Giustizia e pace si baceranno


Si vis pacem, para bellum! (se vuoi la pace, prepara la guerra).
L’antico adagio, a guardare alle decine di conflitti ad alta o bassa intensità che si combattono nei diversi continenti, sembra tornato di moda. Una guerra non solo di scontri armati ma che paventa una rapida distruzione del pianeta e di quanto lo abita, se dovesse verificarsi lo scenario di un conflitto nucleare, minacciato da chi di pace non intende sentir parlare.

In risposta a questa tentazione, esattamente dieci anni dopo l’ultima imponente manifestazione pubblica per la pace svoltasi nell’aprile 2014 nell’Arena di Verona, torna lo stesso appuntamento, rinnovato, sia per i temi trattati che per le modalità di attuazione, che vede coinvolti a livello nazionale e sovranazionale dozzine di entità ecclesiali e laiche, gruppi ecumenici e interreligiosi, movimenti popolari e organizzazioni non governative, rappresentanti sindacali e società civile.

L’intento è di richiamare con forza il nostro governo a rispettare e applicare l’articolo 11 della Costituzione che recita: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Un auspicio e un progetto tuttora disattesi, visto il coinvolgimento diretto o indiretto dell’Italia nelle situazioni di conflitto cui assistiamo nel mondo.

Arena 2024, come le precedenti, nasce dal mondo missionario, ecclesiale e laico, che contrappone la logica della pace a quella della guerra, al fine di spingere le istituzioni politiche a dare una risposta concreta, unitaria e ispirata ai principi di giustizia e di pace, per evitare di cadere nel baratro di un conflitto globale.

Giustizia e pace si baceranno! Queste parole di Isaia – poste a titolo dell’assemblea popolare in Arena – raccolgono l’aspirazione di milioni di persone che sognano un mondo in cui finalmente siano le vie del dialogo, dell’accoglienza reciproca e della pace alla base della convivenza planetaria. A testimoni di pace di oggi dai vari continenti, si unirà la memoria dei grandi profeti, laici o religiosi, da proporre e far conoscere ai giovani: Romano Guardini, Aldo Capitini, Giorgio La Pira, Ernesto Balducci, Tonino Bello, Davide Maria Turoldo, Primo Mazzolari, Arturo Paoli e tanti altri protagonisti delle Arene precedenti.

L’impegno per la giustizia e la pace non intende limitarsi all’incontro in Arena del 17-18 maggio; vuole essere invece l’avvio di un processo di costruzione della pace che prosegua dopo l’evento, scuota la coscienza di tutti e coinvolga l’intera società, non solo gli strati più attivi, nella promozione della pace.

È questo il sogno di chi per lunghi mesi ha organizzato l’evento e dei suoi maggiori protagonisti: papa Francesco, che sarà presente e ribadirà il suo chiaro dissenso a guerra e violenza; il vescovo di Verona, monsignor Domenico Pompili, che da mesi anima la preparazione di Arena 2024; l’amministrazione comunale di Verona che in tanti modi ha facilitato e accompagnato l’organizzazione della manifestazione e i componenti dei cinque tavoli di lavoro che per mesi hanno discusso su cinque temi critici: pace e disarmo; ecologia integrale e stili di vita; migrazioni; lavoro; democrazia e diritti.

Parafrasando papa Francesco, Arena 2024 mira «a creare seminatori di cambiamento, promotori di un vero processo virtuoso di cultura della pace; compiti imprescindibili per camminare verso un’alternativa umana di fronte alla globalizzazione dell’indifferenza».

In questo rinnovato impegno che parte dall’appuntamento di Verona le riviste missionarie della Fesmi continueranno a esserci con il loro compito: raccontare i tanti cantieri dove questa strada della pace è un’alternativa concreta che prova ogni giorno a costruire un’umanità nuova. Insieme e adesso.

Fesmi
(Federazione stampa missionaria italiana)


Ecco alcuni link alle altre testate Fermi.

 




La missione è annuncio di pace


Una riflessione delle riviste missionarie italiane (Fesmi) in occasione della Giornata mondiale della pace (1 gennaio 2024).

Mai quanto quest’anno che sta iniziando la Giornata mondiale della pace che la Chiesa celebra nel primo giorno dell’anno ci interpella. Il vento di morte, violenza e distruzione che in queste settimane drammatiche ci ha raggiunto da Gaza, non ha fatto altro che aggiungersi alle ferite della guerra in Ucraina (combattuta tra cristiani, che arrivano addirittura a benedire le proprie armi), al conflitto violentissimo che da quasi tre anni ormai sfigura il Myanmar, a quello tornato a insanguinare il Sudan, alle tante altre guerre dimenticate che sempre più raramente entrano nelle scalette dei notiziari. Secondo l’organizzazione Acled (Armed conflict location and event data project), che raccoglie dati per monitorare i conflitti, al momento ci sono 59 guerre nel mondo.

Con sguardo profetico papa Francesco ci parla da tempo della «terza guerra mondiale a pezzi». In un contesto come questo, quale volto può assumere l’impegno del mondo missionario in favore della pace? Ci rendiamo conto che le parole di circostanza e i richiami generici a un destino comune non bastano più. C’è bisogno di gesti e scelte concrete, capaci di ridare corpo all’impegno per la pace.

Un primo passo è chiedere perdono. Perché le tante guerre tornate a riesplodere tutte insieme hanno un triste denominatore comune: sono il frutto imputridito di ingiustizie che durano da troppo tempo. Diritti negati, interessi predatori, ferite mai rimarginate. Molte volte ne abbiamo parlato sulle nostre riviste, ma senza riuscire a comunicare davvero quanto la sorte di questi fratelli e sorelle ci chiami in causa. Sono il dividendo degli affari che l’industria delle armi continua a mietere nascondendo dietro il paravento di presunte «opportunità» per il made in Italy il loro prezzo di sangue. Lo sappiamo tutti! Eppure abbiamo smesso di ricordarcelo quando questi conflitti falciavano vittime innocenti in terre lontane dai nostri occhi e dal nostro cuore (ad esempio nello Yemen).

Questo 1° gennaio 2024, allora, è davvero un’occasione per ricominciare a dire a tutti che «Pace a voi» è una parola irrinunciabile del Vangelo di Gesù. Che riconoscersi fratelli non è una vaga aspirazione del cuore, ma una precisa scelta di campo nei rapporti tra le nazioni. Che la riconciliazione tra i popoli non è un orizzonte buonista, ma un futuro che si costruisce anch’esso «a pezzi», cominciando dai gesti quotidiani di incontro tra chi dice basta alla logica del nemico.

È la pace che abbiamo visto rinascere in tanti angoli del mondo, in tante nostre missioni sfregiate dalla guerra. La pace di chi ha avuto il coraggio di voltare pagina, aprendo il proprio cuore al perdono. La pace di chi non si è rassegnato alla vendetta per il torto subito, ma ha saputo guardare avanti.
Ed è la strada per accogliere anche nuove grandi sfide globali, come quella dell’uso dell’intelligenza artificiale che papa Francesco ci indica nel suo messaggio di quest’anno: strappiamola a chi è già al lavoro per applicarla ad armi ancora più devastanti, per farne invece realmente un’opportunità di sviluppo al servizio di tutti.

La missione è annuncio di pace: torniamo a ripeterlo all’Italia di oggi.

Disegno di Don Giovanni Berti per Missionari Saveriani 2024

 




Il Sinodo: da evento a processo


Una riflessione delle riviste missionarie italiane (Fesmi) in occasione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi che si svolge a Roma dal 4 al 29 ottobre e che ha per tema: «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione».

Papa Francesco, nel suo discorso per il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo (17 ottobre 2015), ha rilanciato l’immagine della Chiesa come «sinodale e missionaria». In America Latina lui stesso ha vissuto il sinodo non solo e non tanto come evento speciale, ma come processo che interessa la Chiesa tutta, come popolo di Dio in ascolto del sensus fidei di tutti i battezzati nei loro diversi ministeri.
Una vera sinodalità, intesa come «cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio», spalanca la Chiesa sul mondo, accresce la sua credibilità, rinvigorisce il suo entusiasmo missionario e si fa portavoce dei poveri e voce critica di fronte a quelle strutture di peccato che tuttora impediscono che persone e popoli vedano riconosciuti, rispettati e promossi i propri diritti a vivere con dignità. Riprendendo in ciò le parole con cui Francesco ha concluso il suo discorso: «Una Chiesa sinodale è come un vessillo innalzato tra le nazioni (cfr. Is 11,12) in un mondo che – pur invocando partecipazione, solidarietà e trasparenza nell’amministrazione della cosa pubblica – consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani avide di ristretti gruppi di potere».
Come Chiesa che «cammina insieme» ai popoli, partecipe dei travagli della storia, coltiviamo tuttora il sogno che le società si edifichino nella giustizia e nella fraternità, generando un mondo più degno di viverci per le generazioni che verranno.
Papa Francesco considera la sinodalità come costitutiva della vita e dell’agire della Chiesa. In tale visione il Sinodo sulla sinodalità diventa un’occasione privilegiata per riscoprire il discepolato di ogni credente, creando dialogo con tutti e scoprendo che tutte le Chiese
devono dare e ricevere, superando l’esperienza storica di chi manda missionari e aiuti e chi riceve soltanto.
Una delle esperienze più vere della vita missionaria da noi vissuta è la formazione di
collaboratori per far crescere le comunità locali. Camminando insieme nella vita, nella
preghiera, nella catechesi, i catechisti e gli animatori locali formano e trasformano
i missionari, insegnando ad amare la gente nel concreto, a usare un linguaggio più
essenziale per arrivare al cuore delle persone.

Guardando al mondo missionario, il Sinodo diventa inoltre una sfida a declericalizzare la Chiesa, soprattutto nelle comunità cristiane di antica origine, permettendo a ciascun battezzato di riscoprire i doni che lo Spirito elargisce per la comune condivisione, superando la tendenza tuttora presente dei «preti tuttofare».
Quanto alle giovani Chiese, pure tentate dal clericalismo insito nel processo formativo in troppi seminari, il Sinodo può ovviare al rischio che si consolidi un modello tradizionale di sacerdozio che ignora la bellezza, la novità, la creatività di una evangelizzazione povera e partecipativa, dove laici e ministri non ordinati svolgano servizi che arricchiscono l’intera comunità.

Un’autentica sinodalità aiuterà inoltre le Chiese del Sud del mondo, specie le più ricche di fedeli, laddove abbondano vocazioni sacerdotali e religiose, a resistere alla tentazione della grandeur, del benessere, del dare priorità alle opere e ai soldi.

Sinodalità, dunque, come tempo opportuno per convertirsi a un metodo nuovo ma antico di vivere la Chiesa e di evangelizzare. In uno stile meno preoccupato di redigere documenti e orientato invece a promuovere una vita cristiana autentica e pienamente vissuta. In quest’ottica, la sinodalità non si esaurisce nella celebrazione di saltuarie assemblee, per quanto speciali, ma da «fatto saltuario» diventa un percorso vissuto: da evento a processo.

Fesmi (Federazione delle riviste missionarie italiane)


Aderiscono le seguenti riviste:




Noi e voi, lettori e missionari in dialogo

L’indimenticabile padre Silvano

Domani (23/09) ricorrono sei anni dalla morte di padre Silvano Sabatini (nella foto, ndr.)!

A padre Silvano io devo molto: la sua amicizia, la sua visione d’insieme, la ricerca della verità, l’amore per l’alterità, per la missione, per le popolazioni indigene, per la sua famiglia missionaria, tutte cose che mi hanno aiutato a crescere e a trovare un equilibrio.

Una volta gli dissi che, andandolo a trovare all’ospedale di Venaria, in verità, non andavo a trovare lui, ma me stesso! Infatti, quando uscivo da lì, la «nebbia», che a volte si addensa nelle nostre menti, nei nostri cuori, si diradava e sentivo che quelle visite frequenti mi facevano bene. Silvano comunicava interesse, vita, dinamicità anche in un reparto di lungodegenza per anziani!

A Silvano devo il fatto che leggo la mia vita in modo «unitario»: giovane ragazzo ero entrato nei missionari della Consolata per diventare prete. Sono stato in Brasile e ho avuto la fortuna di vivere un anno a Roraima. Poi mi sono sposato, ho avuto una figlia. Il mio matrimonio è entrato in crisi, anni dopo ho incontrato in J. la mia «dolce metà» (così la chiamava Silvano!) … ebbene potrei leggere la mia vita, come tanti fanno, come «cassetti separati», e invece no, Silvano mi ha aiutato a scorgere negli avvenimenti della vita un «filo conduttore», a cominciare da quell’amore per la missione che mi accompagna sin da piccolo e non mi ha mai lasciato.

Padre Silvano, intercedi presso Dio per il Brasile, per le popolazioni indigene, per i tuoi confratelli perché oggi il momento storico è «terribile».

Paolo Guglielminetti
Torino, 22/09/2020

Eccoci! Ora spetta a noi…

[…] Noi riviste, siti e realtà editoriali impegnate nell’informazione e nell’animazione missionaria ci sentiamo interpellati dalle parole che Papa Francesco scrive nel suo messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2020. «Eccomi, manda me» è un invito che sentiamo rivolto in maniera particolare al nostro compito di comunicatori in questo momento in cui tanti fratelli e sorelle sono alla ricerca di una parola vera di speranza per alleviare tante paure e chiusure rese ancor più evidenti dalla pandemia.

«Eccoci, manda noi». A raccontare che davvero «siamo tutti sulla stessa barca». Il Papa lo ripete oggi a noi, riproponendo le parole da lui pronunciate la sera del 27 marzo in una piazza San Pietro deserta. Perché l’esperienza del Coronavirus ha reso evidente quanto una malattia possa renderci ugualmente fragili, da una parte all’altra del mondo. Ora spetta a noi il compito di far vedere che anche in questa grande tragedia che ha già portato via più di un milione di vite sono sempre i poveri a pagare il prezzo più alto. Come tocca a noi mostrare che anche per tanti altri mali che affliggono il mondo di oggi è così. Che anche le guerre alimentate dai profitti dell’industria delle armi, la povertà prodotta da uno sfruttamento iniquo delle risorse e del lavoro di fratelli e sorelle, il dramma della fame già da alcuni anni tornata a crescere in troppe aree del mondo, la distruzione del creato che, in nome del profitto di pochi, spoglia la vita di intere comunità, sono virus davanti ai quali nessuno può sentirsi davvero immune.

«Eccoci, manda noi». […] E allora tocca a noi mantenere aperto lo sguardo sulle strade nuove che lo Spirito continua ad aprire nelle periferie. Narrare la fede testimoniata a prezzo della vita sulle frontiere più sofferte, la speranza seminata sui banchi delle scuole di ogni latitudine, la carità che trasfigura ciò che agli occhi del mondo sembrava piccolo e inutile. Tocca a noi far sì che la testimonianza che ci arriva dalle Chiese dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina scuota ancora le nostre comunità uscite quanto mai spaesate da un’esperienza che ci costringe a mettere da parte la comodità rassicurante del «si è sempre fatto così».

[…] Tocca a noi far scoprire che in missione, persone di culture e religioni diverse si incontrano per riconoscersi insieme figli e figlie dell’unico Dio. […] E che guardare negli occhi ogni persona è sempre il primo passo per costruire percorsi di riconciliazione anche là dove le ferite lasciate dai conflitti sono più profonde. […]

Dal messaggio dei Media missionari italiani (FeSMI)
 del 1° ottobre 2020

[testo integrale sul nostro sito e su quelli delle riviste associate alla Fesmi]

 




Eccoci! Ora spetta a noi…

testo della Fesmi, Federazione della Stampa missionaria italiana |


«In questo anno, segnato dalle sofferenze e dalle sfide procurate dalla pandemia da Covid-19, il cammino missionario di tutta la Chiesa prosegue alla luce della parola che troviamo nel racconto della vocazione del profeta Isaia: “Eccomi, manda me” (Is 6,8). È la risposta sempre nuova alla domanda del Signore: “Chi manderò?”. Questa chiamata proviene dal cuore di Dio, dalla sua misericordia che interpella sia la Chiesa sia l’umanità nell’attuale crisi mondiale».

Noi riviste, siti e realtà editoriali impegnate nell’informazione e nell’animazione missionaria ci sentiamo interpellati dalle parole che Papa Francesco scrive nel suo messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2020. «Eccomi, manda me» è un invito che sentiamo rivolto in maniera particolare al nostro compito di comunicatori in questo momento in cui tanti fratelli e sorelle sono alla ricerca di una parola vera di speranza per alleviare tante paure e chiusure rese ancor più evidenti dalla pandemia.

«Eccoci, manda noi». A raccontare che davvero «siamo tutti sulla stessa barca». Il Papa lo ripete oggi a noi, riproponendo le parole da lui pronunciate la sera del 27 marzo in una piazza San Pietro deserta. Perché l’esperienza del Coronavirus ha reso evidente quanto una malattia possa renderci ugualmente fragili, da una parte all’altra del mondo. Ora spetta a noi il compito di far vedere che anche in questa grande tragedia che ha già portato via più di un milione di vite sono sempre i poveri a pagare il prezzo più alto. Come tocca a noi mostrare che anche per tanti altri mali che affliggono il mondo di oggi è così. Che anche le guerre alimentate dai profitti dell’industria delle armi, la povertà prodotta da uno sfruttamento iniquo delle risorse e del lavoro di fratelli e sorelle, il dramma della fame già da alcuni anni tornata a crescere in troppe aree del mondo, la distruzione del creato che, in nome del profitto di pochi, spoglia la vita di intere comunità, sono virus davanti ai quali nessuno può sentirsi davvero immune.

«Eccoci, manda noi». Ad accompagnare chi anche in questo tempo difficile sceglie di lasciare tutto e parte per annunciare il Vangelo di Gesù. Perché anche là dove tutto sembrerebbe suggerire un prudente ripiegamento, noi sappiamo che «nessuno è escluso dall’amore di Dio». E allora tocca a noi mantenere aperto lo sguardo sulle strade nuove che lo Spirito continua ad aprire nelle periferie. Narrare la fede testimoniata a prezzo della vita sulle frontiere più sofferte, la speranza seminata sui banchi delle scuole di ogni latitudine, la carità che trasfigura ciò che agli occhi del mondo sembrava piccolo e inutile. Tocca a noi far sì che la testimonianza che ci arriva dalle Chiese dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina scuota ancora le nostre comunità uscite quanto mai spaesate da un’esperienza che ci costringe ad uscire dalla comodità rassicurante del «si è sempre fatto così».

«Eccoci, manda noi». A scoprirci «tessitori di fraternità». Nel tempo dell’isolamento forzato, durante la pandemia, abbiamo sperimentato la nostalgia delle nostre relazioni di familiarità e di amicizia. Ora tocca a noi far sì che non resti solo un sentimento vago, ma questa consapevolezza diventi la primizia di un’umanità nuova. Tocca a noi far scoprire che in missione persone di culture e religioni diverse si incontrano per riconoscersi insieme figli e figlie dell’unico Dio. Che gli ostelli o gli ospedali realizzati grazie alla generosità di tanti hanno la loro porta aperta per accogliere tutti. E che guardare negli occhi ogni persona è sempre il primo passo per costruire percorsi di riconciliazione anche là dove le ferite lasciate dai conflitti sono più profonde.

«Eccoci, manda noi». In un mondo dell’informazione dove le notizie parrebbero avere orizzonti ogni giorno più ristretti, vogliamo essere coloro che aiutano a tenere aperta la mente e il cuore. Per partecipare anche noi alla missione della Chiesa, oltre la paura del mare in tempesta.

1° ottobre 2020
riviste e siti degli Istituti missionari italiani,
associati nella Federazione della stampa missionaria italiana (Fesmi)


Da guardare: Tessitori di Fraternità

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=yuYdxr-zdMU?feature=oembed&w=500&h=281]




Decreto Sicurezza è una legge repressiva anche nei confronti degli italiani

Cimi (Conferenza Istituti missionari Italiani)
Fesmi (Federazione stampa missionaria italiana)

Comunicato

7 dicembre 2018


Come rappresentanti degli Istituti (esclusivamente) missionari italiani (CIMI) e delle riviste missionarie aderenti alla Fesmi,
condividiamo e sosteniamo l’appello del nostro confratello padre Alex Zanotelli, comboniano, contro il Decreto Sicurezza approvato recentemente che «prevede per i migranti l’abolizione della protezione umanitaria, il raddoppio dei tempi di trattenimento nei Centri per il Rimpatrio(CPR), lo smantellamento dei centri SPRAR (Sistema per i richiedenti asilo e rifugiati) affidati ai Comuni (un’esperienza ammirata a livello internazionale, per non parlare di Riace), la soppressione dell’iscrizione anagrafica con pesanti e concrete conseguenze, l’esclusione all’iscrizione del servizio sanitario nazionale e la revoca di cittadinanza per reati gravi».

Ricordiamo che come missionari

  • Siamo impegnati anzitutto nei paesi di provenienza dei migranti a sostenere tutta una serie di attività orientate a garantire alla gente di quei paesi il diritto di restare nella loro terra;
  • siamo impegnati in Italia con la Chiesa italiana e le sue organizzazioni (Caritas, San Vincenzo, Uffici Migrantes e quanto altro) in una miriade di iniziative a favore dei migranti con l’impegno di personale con grande esperienza di servizio ai popoli più diversi;
  • tramite le nostre riviste offriamo una informazione puntuale, corretta, approfondita e documentata sul fenomeno migratorio senza fare di questo uno strumento di propaganda.

Invitiamo le nostre consorelle e i nostri confratelli

  • a esprimersi con chiarezza su questa realtà, anche a rischio di diventare impopolari;
  • a sostenere tutte le iniziative della Chiesa locale sul territorio per venire incontro a coloro che soffriranno (e già soffrono) le conseguenze di questo decreto;
  • a firmare l’appello pubblicato da padre Alex su Change.org e qui sotto riportato.

CIMI e Fesmi

 



Testo dell’appello di padre Alex Zanotelli

«Il 27 novembre 2018 sarà ricordato come il Martedì Nero della Repubblica italiana perché il Parlamento ha trasformato in legge il Decreto Sicurezza che è in netta contraddizione con i principi della nostra Costituzione. E questo è avvenuto senza una discussione parlamentare e senza la possibilità di inserire emendamenti.
Altro che centralità del Parlamento! È un brutto segnale per la nostra democrazia!

Infatti il Decreto Sicurezza è una legge repressiva anche nei confronti degli italiani. Rende reato, per esempio, il blocco delle strade o delle ferrovie (strategia nonviolenta attiva), proibisce l’assembramento di persone (elemento costitutivo della stessa democrazia), impone il daspo e gli sgomberi. È forse l’inizio di un sistema poliziesco guidato dall’uomo forte?

Ma la gravità di questo Decreto sta nel fatto che nega i principi di solidarietà e di uguaglianza che sono alla base della nostra Costituzione. Infatti questo Decreto prevede per i migranti l’abolizione della protezione umanitaria, il raddoppio dei tempi di trattenimento nei Centri per il Rimpatrio (CPR), lo smantellamento dei centri SPRAR (Sistema per i richiedenti asilo e rifugiati) affidati ai Comuni (un’esperienza ammirata a livello internazionale, per non parlare di Riace), la soppressione dell’iscrizione anagrafica con pesanti e concrete conseguenze, l’esclusione all’iscrizione del servizio sanitario nazionale e la revoca di cittadinanza per reati gravi.

Trovo particolarmente grave il diniego del diritto d’asilo per i migranti, un diritto riconosciuto in tutte le democrazie occidentali, menzionato ben due volte nella nostra Costituzione. Questa è una legge che trasuda la ‘barbarie’ leghista e rappresenta un veleno micidiale per la nostra democrazia. Di fatto il decreto è profondamente ingiusto perché degrada la persona dei migranti e crea due classi di cittadini, rendendo lo ‘straniero’ una minaccia, un nemico e sancendo così la nascita del ‘tribalismo’ italiano, come lo definisce G. Zagrebelsky. Anzi crea l’apartheid giuridica e reale. E questo conduce alla separazione e la separazione è peccato. Per di più questo Decreto che si chiama sicurezza, ma sicurezza non offre, perché moltiplicherà il numero dei clandestini e degli irregolari che verranno sbattuti per strada. E l’effetto è già sotto i nostri occhi: tre migranti su quattro si sono visti negare l’asilo, migliaia di titolari di un permesso di soggiorno sono stati messi alla porta, circa quarantamila usciranno dagli SPRAR. E sono spesso donne con bambini che hanno attraversato l’inferno per arrivare da noi! Così entro il 2020 si prevedono oltre 130.000 irregolari per strada. E gli irregolari verranno rinchiusi nei nuovi lager, i CPR. A questi verrà ingiunto, entro sette giorni, di ritornare nei loro paesi. Ma né i migranti né il governo hanno i mezzi per farlo. Così rimarranno in Italia mano d’opera a basso prezzo per il caporalato del nord e del sud.

E’ questa la conclusione amara di un lungo cammino xenofobo di questo paese, iniziato con la Turco-Napolitano (i CIE!), seguito dalla Bossi-Fini, dai decreti Maroni e dalla legge Orlando-Minniti, oltre che al criminale accordo di Minniti con la Libia. Questo Razzismo di Stato è poi sfociato in una guerra contro le ONG presenti nel Mediterraneo, per salvare vite umane, e alla chiusura dei porti, in barba a leggi nazionali e internazionali! Non c’è più Legge che tenga, la legge la fa la maggioranza di turno al governo! È in ballo il diritto, la legge, la nostra stessa democrazia. È grave che ora anche il Presidente della Repubblica abbia firmato questo Decreto. Non possiamo più tacere. Dobbiamo reagire, organizzare la resistenza per salvare la nostra comune umanità.

Per questo ci appelliamo a:

  • Corte Costituzionale, perché dichiari il Decreto sicurezza incostituzionale;
  • Giuristi, perché portino queste violazioni dei diritti umani alla Corte Europea di Strasburgo;
  • Conferenza Episcopale Italiana perché abbia il coraggio di bollare questo Decreto e la politica razzista di questo governo come antitetici al Vangelo;
  • Istituti missionari, perché facciano udire con forza la loro voce, mettendo a disposizione le loro case per ‘clandestini’ come tante famiglie in Italia stanno facendo;
  • Parroci, perché abbiano il coraggio di offrire l’asilo nelle chiese ai profughi destinati alla deportazione, attuando il Sanctuary Movement, praticato negli USA e in Germania;
  • Responsabili degli SPRAR, CAS e altro, perché disobbediscano, trattenendo nelle strutture i migranti, soprattutto donne con bambini;
  • Medici, perché continuino a offrire gratuitamente servizi sanitari ai clandestini;
  • Cittadinanza attiva, perché in un momento così difficile e buio, si oppongano con coraggio a questa deriva anti-democratica, xenofoba e razzista anche con la ‘disobbedienza civile’ così ben utilizzata da Martin Luther King che affermava: «L’individuo, che infrange una legge perché la sua coscienza la ritiene ingiusta ed è disposto ad accettare la pena del carcere per risvegliare la coscienza della comunità riguardo alla sua ingiustizia, manifesta in realtà il massimo rispetto per la legge!»

Coraggio, inizia ora la Resistenza civile!

Alex Zanotelli

Napoli, 4 dicembre 2018

 




Sinodo dei giovani: Esperienze di giovani in «Missione»


Da ormai parecchi anni molte realtà in Italia propongono ai giovani di trascorrere un periodo in missione per un’esperienza concreta di incontro con il mondo. È una proposta che – anno dopo anno sta crescendo non solo nei numeri ma anche nella qualità: non è semplicemente una «vacanza alternativa», ma una proposta che mira a lasciare il segno nello sguardo con cui un giovane affronta la propria vita, anche qui in Italia.

Proprio per questo, in occasione del Sinodo che si tiene in questo mese di ottobre e ha per tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», le riviste missionarie riunite nella Fesmi, insieme a Missio Giovani e al Segretariato Unitario di Animazione Missionaria (Suam) hanno pensato di promuovere un’indagine nazionale su questo tipo di esperienze e divulgarne i risultati preliminari in occasione del Sinodo.

Giovani a Makambako, in Tanzania, agosto 2018

Per conoscere la realtà dei giovani partiti sono stati predisposti due questionari,

  • uno rivolto alle realtà che promuovono questi percorsi,
  • l’altro proposto direttamente ai giovani partecipanti,

che sono stati inviati a tutti i Centri missionari diocesani, agli istituti missionari e alle associazioni cattoliche di volontariato che in Italia promuovono esperienze, estive e non, in missione.

I primi risultati di questo censimento sono una sintesi delle risposte che 39 realtà – tra centri missionari diocesani, istituti religiosi e associazioni – hanno offerto al questionario loro rivolto.

Viene raccolta anche la voce di 106 giovani partecipanti, che hanno offerto il proprio feed-back su quanto ha lasciato loro in eredità il periodo trascorso in missione.

Va precisato che si tratta di un campione parziale senza alcuna pretesa di esaustività: sappiamo bene essere molti di più i centri missionari e gli istituti che organizzano questo tipo di proposte. Inoltre esperienze del genere sono organizzate anche da singole parrocchie in collaborazione con missionari o missionarie della propria comunità. Quanto presentato di seguito, dunque, vuole essere semplicemente un primo sguardo, nella speranza di riuscire in futuro a offrire una fotografia più completa; e non potrebbe essere anche un frutto del Sinodo su giovani e discernimento vocazionale?


Nota: va ricordato che l’Agesci invia ogni anno circa 450 giovani a fare esperienze di servizio in Africa, America Latina e altri paesi dell’Asia Minore e dell’Europa.

Agorà degli Scout a Villa Buri – Verona


Giovani in Missione: Dati significativi

Con questa premessa, presentiamo alcuni dati significativi emersi dall’indagine:

Quanti giovani in missione?

  • Nelle realtà censite il numero complessivo di ragazzi e ragazze coinvolti nelle esperienze estive promosse in missione nell’estate 2018 si aggira intorno ai 1000 giovani;
  • per molte realtà si tratta di una proposta consolidata: più della metà degli enti che hanno risposto al questionario racconta di offrire questo tipo di esperienza da almeno 10 anni
  • una stima complessiva del numero di giovani coinvolti dall’avvio delle proposte parla ormai di almeno 20.000 giovani italiani inviati in missione da queste 39 realtà.

Chi sono e dove vanno questi giovani?

  • L’età media è molto giovane: il 39% dei ragazzi coinvolti ha meno di 25 anni, solo il 26% ha superato i 30 anni
  • tra i partecipanti vi sono lavoratori (54%), studenti (37%) e giovani in cerca di un’occupazione (9%)
  • Le risposte pervenute direttamente dai giovani sono per il 71% da donne
  • per la metà dei giovani si tratta di un’esperienza unica nell’arco della propria vita. E sono comunque meno del 30% i giovani partecipanti alle esperienze del 2018 che raccontano di essere stati in missione più di due volte
  • le destinazioni abbracciano tutti i continenti con una prevalenza significativa dell’Africa (38%)
  • la durata varia a seconda delle proposte: per molti l’esperienza dura solo tre o quattro settimane, ma c’è anche chi vive in missione per alcuni mesi.

Come arrivano?

  • Pochi partono da soli: a seconda della proposta si arriva in missione in gruppo (58%) oppure insieme a una o altre due persone (34%); la dimensione comunitaria, dunque, è un fattore importante;
  • l’esperienza non arriva all’improvviso ma è solitamente preparata con cura. L’82% dei giovani parte dopo aver frequentato un cammino di preparazione; e almeno la metà dei giovani che partono lo fa al termine di un cammino che è andato avanti durante tutto l’anno precedente all’esperienza in missione
  • nel 40% dei casi, poi, anche al ritorno è previsto un nuovo percorso che continua durante tutto l’anno successivo; per far sì che l’esperienza vissuta in missione non sia qualcosa di estemporaneo, ma un tempo forte della propria vita.

Come incide l’esperienza vissuta in missione sulla loro vita?

  • A molti lascia in eredità un forte senso di responsabilità: il 69% dei giovani racconta – una volta tornato a casa – di aver scelto di assumersi un impegno in parrocchia o nella propria diocesi o in un’associazione di volontariato. Molti di questi impegni sono legati all’ambito dell’animazione missionaria in Italia. Un altro sbocco interessante per alcuni è l’impegno nel campo dell’assistenza ai migranti in Italia, nel segno della continuità nell’apertura al mondo. Più in generale c’è chi racconta di aver cambiato almeno un po’ il proprio stile di vita in Italia, di essere più attento a questioni come il consumo dell’acqua, di aver cambiato il modo di vedere tante cose
  • non mancano difficoltà di ambientamento in missione: il clima, le condizioni di vita, a volte anche lo stesso dover accettare di non essere lì per fare qualcosa ma semplicemente per condividere. Ma anche questa fatica alla fine viene riconosciuta come un dono dell’esperienza vissuta in missione.
  • emerge però chiara un’altra fatica che ha a che fare con il ritorno a casa: una volta tornati in parrocchia si fa fatica a trovare un ambiente aperto ad accogliere davvero la ricchezza vissuta in missione da questi ragazzi e ragazze. L’impressione che emerge è quella che abbiano vissuto un’esperienza che riconoscono essere stata molto ricca da un punto di vista personale, ma che fatica a far crescere intorno a sé la consapevolezza e l’apertura al mondo anche in chi è rimasto a casa. Il che – evidentemente – pone a tutti i livelli una sfida pastorale su come valorizzare meglio queste esperienze ormai così diffuse.

Nicaragua, Achuapa, agosto 1986

I FRUTTI RACCOLTI “IN MISSIONE”

Di seguito alcune frasi scritte di chi ha fatto l’esperienza “missionaria”:

«Ho imparato un modo nuovo di vedere le cose: anche casa mia, da quando sono tornato, mi sembra un mondo nuovo e diverso»

«Ho imparato che cosa vuol dire sentirsi stranieri, cosa vuol dire non essere accettati, ho conosciuto correnti di pensiero completamente diverse dalle nostre. Mi ha arricchito mostrandomi un mondo che non avevo mai visto».

«Ogni incontro, ogni realtà, ogni storia, ogni ferita… tutto è stato un dono prezioso. L’esperienza ha cambiato il mio sguardo, mi ha messa in discussione, mi ha lasciato tanto e ha fatto tanto spazio. Ha cambiato la mia vita in un modo che non mi sarei mai aspettata»

«Mi ha cambiato la percezione del tempo, delle attività da svolgere nella giornata, l’attenzione a me stessa, la preghiera quotidiana per accettare quello che non capisco. Mi ha dato una “direzione”, mi ha fatto capire quanto sia bello vivere servendo».

«Mi ha fatto comprendere l’importanza del ruolo del missionario: non è colui che fa qualcosa per l’altro, ma colui che è qualcosa per l’altro e l’altra. Mi ha aperto gli occhi di fronte al mio bisogno di amare ed essere amata e mi ha permesso di rendermi conto di come, quando non organizziamo tutto e non abbiamo la pretesa che tutto sia sotto il nostro controllo, c’è qualcuno che si sta guidando. Infine mi ha fatto conoscere una realtà molto povera, ma che ha molto da insegnare a noi oggi nel tornare a relazioni più vere e di apertura verso l’altro».

«Poter toccare con mano come si vive in questi luoghi, quali povertà e ricchezze offrono, vedere, sentire e vivere con la gente ogni giorno ti arricchisce, ti cambia, è un’esperienza che entra a far parte di te e che non puoi fare a meno di condividere con gli altri».

Kenya, agosto 2007, giovanie meno giorvani al luogo dove èstato ucciso padre Kaiser, vicino al lago Nakuru

RIFLESSIONI CONCLUSIVE

  • Questi dati indicano una cosa molto chiara: queste esperienze sono una ricchezza non solo per il mondo missionario, ma anche per tutta la Chiesa e la società italiana. In questo momento storico, segnato dalla paura della diversità e dalla tentazione della chiusura, questi ragazzi e ragazze tornano dalla missione con uno sguardo nuovo sul mondo e desiderano spenderlo anche nella forma di un impegno concreto qui in Italia.
  • La Chiesa italiana si è accorta di loro? Ed è disposta a investire su questo patrimonio?
  • Anche al mondo missionario questi dati chiedono però un passo in più: l’indagine, pur con i suoi limiti, rappresenta il primo tentativo di mettere in rete questo tipo di esperienze nate e portate avanti autonomamente da ciascuna realtà. Proprio l’importanza che i giovani danno a questo tipo di esperienze non dovrebbe incoraggiare una maggiore collaborazione tra le realtà che propongono questo tipo di esperienze? Pur senza perdere nulla della specificità di ciascun ente, si potrebbero elaborare percorsi e strumenti condivisi, utili per strutturare meglio i percorsi di preparazione e i momenti proposti al rientro in Italia.
  • Le parrocchie e comunità locali non potrebbero valorizzare meglio la presenza di questi e queste giovani, con il loro vissuto?
  • Possono queste esperienze maturare in un serio processo di discernimento e diventare occasione per donare al mondo non solo qualche settimana ma tutta la propria vita? In quali forme? Sono domande che il Sinodo ci rilancia…

Fesmi, Missio Giovani, Suam
3 ottobre 2018


Questa rivista – Missioni Consolata – è parte della Fesmi, Federazione Stampa Missionaria Italiana

Testo pubblicato anche da ComboniFem