Egitto. Il canale a rischio

 

Il Canale di Suez, snodo cruciale per il commercio marittimo globale, sta attraversando una fase di fragile ripresa dopo mesi segnati da gravi turbolenze. Il lento incremento del traffico navale lascia intravedere un possibile ritorno alla normalità, ma gli ultimi dati indicano che il percorso sarà tutt’altro che semplice.

All’origine della crisi vi sono le crescenti tensioni nel Mar Rosso, dove gli attacchi dei ribelli Houthi a navi mercantili, considerate legate a Israele, hanno spinto numerosi operatori internazionali a evitare la rotta egiziana. Il ricorso a percorsi alternativi, più lunghi e onerosi, ha avuto pesanti ricadute, in particolare per l’Egitto, che trae una quota significativa delle proprie entrate dal transito marittimo attraverso Suez.

Questi attacchi hanno spinto una coalizione internazionale, guidata dagli Stati Uniti, a intensificare le operazioni di sicurezza per proteggere la rotta commerciale. Nonostante pattugliamenti e attacchi di rappresaglia, le offensive sono proseguite fino alla fine del 2024. Solo in seguito a un cessate il fuoco a Gaza e a forti pressioni diplomatiche, gli Houthi hanno ridotto le ostilità, consentendo un parziale ritorno alla normalità nei primi mesi del 2025.

Secondo le stime attuali, la piena normalizzazione potrebbe avvenire solo entro la metà del 2025, a condizione che la situazione a Gaza si stabilizzi, un’ipotesi tutt’altro che scontata. In una recente intervista, Osama Rabie, presidente dell’Autorità del canale di Suez (Sca), ha dichiarato che il traffico giornaliero è sceso a 32 navi, rispetto alle 75 registrate in media prima dell’inizio del conflitto, il 7 ottobre 2023.

L’impatto economico è significativo. Le entrate della Sca per l’anno fiscale 2023-2024 sono diminuite a 7,2 miliardi di dollari, rispetto ai 9,4 miliardi dell’anno precedente. Secondo Mohamed El-Shennawy, portavoce della presidenza egiziana, nell’anno fiscale 2024-2025 si è registrata una riduzione del tonnellaggio del 33% e un calo dei transiti del 22%, con una contrazione delle entrate che ha raggiunto il 60% su base annua.

Un impatto negativo che non riguarda solo l’Egitto, ma l’intera economia globale. Da quel tratto di mare transita, secondo i dati dell’Atlantic council, centro studi con sede a Washington, il 12-15% del commercio mondiale e circa il 30% del traffico container globale, con oltre un trilione di dollari di merci ogni anno. Include inoltre circa il 9% dei flussi globali di petrolio via mare (circa 9,2 milioni di barili al giorno all’inizio del 2023) e l’8% dei volumi di gas naturale liquefatto (Gnl). Studi del Fondo monetario internazionale hanno rilevato che, se tali interruzioni dovessero persistere, potrebbero alimentare l’inflazione nelle economie coinvolte, a causa dell’aumento dei costi di importazione e dei ritardi nelle consegne. Gli importatori europei, ad esempio, alla fine del 2023 hanno dovuto affrontare tempi di consegna più lunghi e supplementi sui costi di trasporto, complicando la gestione delle scorte e dei cicli produttivi.

Di fronte a queste sfide, il governo egiziano ha deciso di rilanciare. Il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha ribadito la centralità strategica del Canale di Suez, avviando un piano di modernizzazione infrastrutturale e sviluppo economico integrato. Tra i progetti più significativi figura l’estensione della via d’acqua per altri dieci chilometri, con l’obiettivo di aumentare la capacità di transito e ridurre i tempi di attesa.

Parallelamente, procede il rafforzamento della zona economica speciale adiacente al Canale. Investitori internazionali, in particolare cinesi e giapponesi, stanno puntando sull’area. La compagnia cinese Xin Feng Egypt ha avviato la costruzione di un vasto complesso industriale da 1,65 miliardi di dollari, mentre Toyota Tsusho è coinvolta nell’espansione del parco eolico del Golfo di Suez, destinato a diventare il più grande impianto onshore del continente africano.

Al centro della strategia egiziana vi è anche la transizione energetica. Il Paese mira a posizionarsi come hub regionale per la produzione di idrogeno verde, con accordi già firmati con Masdar (Emirati arabi uniti) e Hassan Allam utilities per la costruzione di centrali specializzate lungo il Canale e sulle coste del Mediterraneo. L’obiettivo dichiarato è raggiungere una capacità di produzione di 480mila tonnellate annue entro il 2030.

«I decisori politici e i leader del settore – osservano gli analisti dell’Atlantic council – dovranno collaborare per salvaguardare la continuità del Canale di Suez, attraverso una cooperazione rafforzata in materia di sicurezza e pianificazione di emergenza, al fine di garantire che i conflitti geopolitici non paralizzino nuovamente una delle arterie commerciali più importanti al mondo. Le recenti interruzioni rappresentano un invito all’azione per rafforzare la resilienza delle catene di approvvigionamento globali contro simili shock».

Enrico Casale