Messico. Di tutti, ma non dei Maya


Un percorso di oltre 1.500 chilometri, cinque stati attraversati, costi giganteschi: sono i dati salienti del «Tren Maya», un’opera che sta avendo impatti enormi sulla penisola dello Yucatán, cuore della civiltà maya. Proprio le comunità indigene e gli ambientalisti si sono (inutilmente) opposti al progetto, fortemente voluto dal presidente messicano Manuel Obrador (Amlo).

Secondo il presidente Amlo (Andrés Manuel López Obrador), il Tren Maya sarà un volano di crescita economica. A fine opera, saranno 1.525 chilometri di rotaie che collegheranno Palenque a Cancún, attraverso cinque stati messicani (Chiapas, Quintana Roo, Yucatán, Campeche e Tabasco).

La ferrovia servirà al trasporto di merci (legname, minerali, materiali da costruzione) e al turismo, riducendo da qualche settimana a pochi giorni gli spostamenti tra le piramidi maya e le spiagge sull’oceano.

Il costo del progetto, presentato nel Piano di sviluppo nazionale 2019-2024 come ricetta anti povertà, è di 20 miliardi di pesos (circa un miliardo e mezzo di euro) per un totale di 42 treni e 34 stazioni, con accesso a sette aeroporti e ventisei aree archeologiche.

Obiettivo dichiarato del governo Amlo è portare lavoro e reddito, migliorando le comunicazioni interne in un paese dove quasi non esistono ferrovie e la popolazione si sposta su autobus lenti e poco capienti.

L’opera si sta realizzando in tempi record: circa l’80 per cento dei lavori sono già conclusi e, mentre scriviamo, ci sono già stati viaggi su alcune tratte del percorso. L’intervento sta riscuotendo un vasto consenso popolare, soprattutto tra le classi medio basse.

Il prezzo da pagare, però, potrebbe essere molto alto, come denunciano scienziati, ambientalisti, rappresentanti delle comunità indigene e Ong locali, suffragati anche da una recente sentenza del Tribunale internazionale per i diritti della natura (Vedi sotto: Comunità indigene inascoltate).

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Silenzio sugli svantaggi

«Il cosiddetto Tren Maya non è un treno e non è maya», ha spiegato Miguel Angel del Congresso nazionale indigeno (Congreso nacional indígena, Cni).

«Non si tratta di una semplice posa di binari, ma di un’opera mastodontica, inclusiva di più progetti che stanno trasformando il territorio sul piano logistico, energetico, agricolo».

La ferrovia si porta dietro resort, centri commerciali, lotti residenziali, alberghi. In corrispondenza di almeno diciotto stazioni sorgeranno polos de desarrollo (poli di sviluppo) destinati a ospitare ognuno 50mila persone, con allevamenti di maiali e polli per il circuito turistico e l’esportazione in Cina che – insieme a nuove colture di palma e soia – aumenteranno inquinamento e consumi idrici.

Inoltre, «il treno non è maya perché non è pensato per la popolazione ma per gli interessi del governo, delle potenze straniere come Cina, Canada e Usa, e delle imprese che sfruttano le risorse locali».

«Anche la criminalità organizzata avrà maggiori opportunità di investire i proventi illeciti nel settore turistico e immobiliare», ha osservato Miguel Angel.

È già in atto un fenomeno di gentrificazione (trasformazione di un’area da popolare a esclusiva, ndr) per cui, nelle zone di passaggio del treno, i prezzi stanno lievitando, rendendo proibitivi i costi dei beni essenziali e delle case.

«Per la gente comune ci sono solo svantaggi. Le stazioni, costruite vicino alle città e ai siti turistici, sono difficilmente raggiungibili da chi vive nei villaggi. Gli scavi e l’estrazione di pietre rovinano il territorio, i bambini devono andare a scuola in mezzo alla polvere e al rumore, con problemi per la salute. Nella zona di Palenque stanno colando cemento armato a pochi metri dalle piramidi, al solo fine di ampliare e rendere più sontuosi il museo, la biglietteria e le strutture ricettive».

I lavori del Tren Maya sono spesso accompagnati da sfratti ed espropri illegali. Gli ejidos (le terre comunitarie) – denuncia l’Ong messicana Prodesc – vengono fatti passare come proprietà private grazie al sostegno di notai compiacenti. Per lasciare spazio ai cantieri si sono demolite centinaia di abitazioni, e non sempre le famiglie hanno ricevuto indennizzi o sistemazioni alternative.

Anche i posti di lavoro e i vantaggi economici sarebbero uno specchietto per le allodole, «temporanei e destinati a concludersi insieme ai cantieri», ha sostenuto l’esponente del Cni.

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Neocolonialismo

Secondo le comunità in resistenza, il Tren Maya «è una delle grandi opere che proseguono nel solco del neocolonialismo estrattivista, danneggiando l’ambiente, la società e l’economia». Esso costituisce «un tutt’uno con un altro mega progetto voluto da Amlo, il Corridoio interoceanico, una linea ferroviaria che collegherà i porti dell’Atlantico con quelli del Pacifico. Ciò allo scopo di riconfigurare il territorio con la creazione di interi hub logistici (autostrade, ferrovie, aeroporti) e manifatturieri (gasdotti, oleodotti, raffinerie, miniere, parchi industriali).

«Il presidente del Messico, che si presenta come un innovatore vicino al popolo, sta facendo più danni dei precedenti governi conservatori. Riscuote consensi tra la gente perché fa cose utili nell’immediato, ma provoca danni irreparabili nel medio e lungo periodo», dicono al Cni.

Amlo è stato il primo presidente di sinistra dell’ultimo secolo, il più votato nella storia messicana recente con oltre il 53 per cento dei voti.

A diffidare di lui (che, nelle elezioni del giugno 2024, non potrà ricandidarsi, ndr), sono stati per primi gli zapatisti: nel 2012 il subcomandante Marcos lo definì «l’uovo del serpente», per indicare che sotto il guscio progressista covava un neoliberista.

Voto al referendum sul Tren Maya (15 dicembre 2019); le modalità della consultazione sono state criticate da più parti. Foto Lexie Harrison-Cripss – AFP.

Devastazione ambientale

Per fare posto alla ferrovia Palenque-Cancún si sta abbattendo il 70 per cento degli alberi che fanno parte della Selva Maya, la più grande nel continente americano dopo quella amazzonica. Quel che appare dall’alto è un’enorme cicatrice grigiastra, fatta di terra e cemento, che spacca in due il verde folto della copertura boschiva per centinaia di chilometri.

«Stanno disboscando ettari di foresta originaria, fonte di sostentamento per le comunità maya che vivono di un’agricoltura di piccolo impatto e che le attribuiscono carattere sacro. Così si distrugge una preziosa riserva della biosfera, un habitat di specie animali che necessitano di ampi spazi: giaguari, ocelot, tapiri, scimmie, coccodrilli, pappagalli».

Ma i danni ambientali non si fermano qui, come spiega il biologo Roberto Rojo. «La foresta pluviale è ricca di specie viventi, di siti archeologici non ancora del tutto scoperti e di formazioni geologiche uniche, i cenotes: grotte calcaree sotterranee o a cielo aperto, caratterizzate da stalattiti, stalagmiti e laghetti d’acqua dolce dal limpido colore verde o blu». Oltre alla loro bellezza che attrae turisti da tutto il mondo, queste oasi naturalistiche costituiscono una fonte di approvvigionamento idrico che rischia di scomparire. «Ormai solo il trenta per cento delle fonti è incontaminato, e la carenza d’acqua pulita danneggia i piccoli coltivatori favorendo l’abbandono o la cessione delle terre ai latifondisti». Nel 2018 Roberto Rojo ha fondato i Cenotes urbanos, gruppo di speleologi impegnato a mappare i cenotes non documentati di Playa del Carmen, dove si sta costruendo il tratto cinque (da Tulum a Playa del Carmen) del Tren Maya. Dal 2019 la loro è diventata una corsa contro il tempo per censire il maggior numero di grotte, nel tentativo di impedirne la distruzione.

«La rotta ferroviaria attraversa almeno un centinaio di cenotes. Qui il terreno calcareo si sbriciola, perciò i binari non poggiano direttamente a terra ma vengono sopraelevati a 17,5 metri d’altezza, su centinaia di pali del diametro di oltre un metro conficcati a 25 metri di profondità, è come costruire su gusci d’uovo», dice Elias Siebenborn, membro dei Cenotes urbanos. «Gli scavi distruggono alghe e batteri essenziali per la sopravvivenza dell’ecosistema e inquinano l’acqua. A volte, per procedere più in fretta, le ruspe tappano i cenotes con la terra. È un danno incalcolabile, irreversibile».

Donne indigene; le comunità non sono state coinvolte nel progetto ferroviario del Tren Maya. Foto Robin Canfield – Unsplash.

Senza autorizzazioni

Lo scorso marzo il Tribunale internazionale per i diritti della natura ha chiesto al governo di sospendere i lavori del Tren Maya che «provoca devastazioni a lungo termine e viola la stessa legge messicana».

La costruzione della ferrovia, si legge nella sentenza, è avvenuta «senza la Manifestación de impacto ambiental integral (relazione preliminare sugli impatti ecologici prevista dalla legge, nda), senza autorizzazioni per il cambio di destinazione d’uso dei terreni, e senza attenersi alle sospensioni giudiziali richieste in questi anni dagli Amparos» (tribunali costituzionali cui i cittadini possono adire direttamente, un po’ come i Tar italiani, nda).

«Il Tren Maya è un ecocidio e un etnocidio che viola i diritti ambientali, umani e culturali delle comunità indigene, in nome di una visione puramente commerciale e finanziaria», dice Raúl Vera López, uno dei giudici del Tribunale. Esponente della teologia della liberazione e strenuo difensore dei diritti umani, monsignor Vera López è tra le voci che, fin dai tempi del presidente conservatore Felipe Calderón (2006-2012), hanno denunciato i pericoli della militarizzazione del Messico, un tema «caldo» anche sotto il governo Amlo.

Il vescovo messicano Raúl Vera López, conosciuto per le sue battaglie per i diritti umani, si è schierato contro il Tren Maya. Foto Especial – desdelafe.mx.

«Oggi predomina una politica della paura che rafforza il clima di violenza, già molto forte nel Paese a causa del narcotraffico e dei paramilitari», spiega il vescovo Vera López. «Anche i lavori del Tribunale ne hanno risentito: noi giudici siamo stati seguiti da gente armata. Dopo aver subito minacce e intimidazioni, diverse persone hanno disertato le udienze o si sono limitate a mandare biglietti di denuncia anonimi. Nello Stato di Quintana Roo, a Señor, i militari sono andati di casa in casa a minacciare gli abitanti; a Tihosuco, durante un’udienza si sono presentati tipi sospetti che hanno fotografato i partecipanti e preso le targhe delle automobili».

Sono anche in aumento le sparizioni forzate e gli assassinii, in un paese tra i primi al mondo per numero di defensores e defensoras ambientales uccisi. Nel 2021, su 200 omicidi, oltre un quarto si sono verificati in Messico (dati Global Witness).

Il Tren Maya comporta «una militarizzazione massiccia e capillare, i lavori avanzano preceduti dalle camionette blindate dell’esercito», sostiene monsignor Vera López.

«Le forze armate hanno anche la gestione diretta di diversi cantieri, perché a loro è riconosciuta la facoltà di fare impresa, assumere personale edile e appaltare i lavori a ditte esterne», ha spiegato Miguel Angel del Cni.

La Guardia nazionale controlla le attività del Tren Maya, mentre la Marina gestisce il Corridoio interoceanico. «Parte dei proventi dei cantieri sono destinati a pagare le pensioni dei militari, che quindi hanno tutto l’interesse a reprimere il dissenso», ha detto Miguel Angel.

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Una resistenza lunga 500 anni

Per fronteggiare l’apparato militare e di potere che sostiene le grandi opere, le comunità indigene ricorrono a vie legali, manifestazioni di piazza e blocchi dei cantieri. Una lotta impari, Davide contro Golia. Dove trovano la forza per non arrendersi?

«Ciò che da sempre ci dà coraggio, ci mantiene uniti e solidali, e sostiene la resistenza dei nostri popoli, è la spiritualità», ha spiegato Raul Zibechi, scrittore e giornalista uruguayano esperto di movimenti sociali latinoamericani, relatore all’incontro El Sur resiste, promosso dal Cni.

«Nella vita quotidiana, come nelle iniziative di contrapposizione, i rituali e la cosmovisione maya sono onnipresenti, ad esempio attraverso le cerimonie in onore della terra, dell’acqua, della foresta.

La spiritualità ci proietta in una dimensione non materiale ma profondamente umana, l’essere umano è un essere spirituale che può andare oltre le contraddizioni materiali», ha continuato Zibechi. «Ci sta piombando addosso un’enorme tempesta, contro cui non possiamo costruire barriere materiali; ma possiamo unirci, abbracciarci, affidarci alla Pachamama, la Madre Terra».

Qualunque sia l’esito dello scontro, «questa è la nostra vittoria: aver continuato a esistere e resistere, essere ancora qui dopo la lunga notte di 500 anni (dall’arrivo di Cristoforo Colombo, nda). E forse, come popolo, r-esisteremo per altri 500 anni».

Stefania Garini

Mappa del percorso, delle tratte e delle stazioni principali del Tren Maya.


Le imprese straniere in Messico

«El tren alemán»

Negli ultimi anni un numero crescente di imprese, soprattutto statunitensi, ha trasferito le proprie produzioni in Messico, raggiungendo nel 2022 un volume di investimenti diretti pari a 35,3 miliardi di dollari, il 12% in più rispetto all’anno precedente (dati Banco de México).

Ad attirare capitali sono le politiche commerciali, come l’accordo di libero scambio Nafta 2 con Usa e Canada entrato in vigore nel 2020, ma anche le scarse tutele ambientali e la possibilità di impiegare manodopera a basso costo.

Tra le aziende europee interessate dalle grandi opere vi sono le spagnole Renfe (compagnia ferroviaria) e Ineco (ingegneria dei trasporti), la lussemburghese Arcelor Mittal (piastre in acciaio per la raffineria di Dos Bocas), la francese Alstom (costruzioni ferroviarie). Tra i soggetti impegnati in Messico nelle vecchie e nuove opere di estrattivismo energetico vi sono anche alcune aziende italiane, come Enel Green Power (parchi eolici di Oaxaca) ed Eni (raffineria di Tabasco).

La tedesca Deutsche Bahn è presente nella progettazione del Tren Maya (qualcuno, sarcasticamente, lo chiama Tren Aleman) attraverso la controllata DB Engineering & Consulting. Pur avendo firmato una Convenzione con l’impegno di garantire i diritti delle comunità, secondo il Congresso nazionale indigeno la Deutsche Bahn (tristemente nota per aver gestito i «treni della morte» sotto il nazismo) avrebbe ignorato il primo e basilare diritto: quello delle persone a essere informate e consultate. Per parte sua, la Deutsche Bahn sostiene che il progetto sta creando lavoro e che il treno è un mezzo di trasporto ecologico, che ben si sposa con l’emergenza climatica.

S.Ga.

Scorcio del sito archeologico maya di Palenque, nello stato del Chiapas. Foto Dassel – Pixabay.


Il Tribunale internazionale per i diritti della natura

Comunità indigene inascoltate

Il Tribunale internazionale per i diritti della natura, fondato nel 2014 dalla Global alliance of the rights of nature, ha lo scopo di far valere la soggettività giuridica della Natura – che non può difendersi da sé -, denunciando i crimini perpetrati contro di essa e dando voce ai popoli indigeni in merito alle violazioni subite dalla loro terra, dalle loro acque e dalla loro cultura. Pur essendo un tribunale d’opinione, le cui sentenze non hanno potere vincolante, i suoi pronunciamenti costituiscono importanti precedenti per le rivendicazioni legali di comunità e attivisti.

A deliberare sul Tren Maya, dopo aver raccolto le testimonianze di una ventina di comunità negli stati di Chiapas, Campeche, Quintana Roo e Yucatán, sono stati i giudici Francesco Martone, già presidente di Greenpeace Italia, Raúl Vera López, vescovo emerito di San Cristobal de Las Casas e di Saltillo, la sociologa argentina Maristella Svampa, l’avvocato ecuadoriano Yaku Pérez e il capo delegazione zapoteco dell’Indigenous environmental network, Alberto Saldamando.

La sentenza del Tribunale è stata notificata al presidente Amlo, alla Commissione nazionale per i diritti umani, ai relatori Onu per i diritti umani e per i diritti dei popoli indigeni, al rappresentante dell’Unesco in Messico, e tradotta in lingua maya per renderla accessibile alle comunità.

È da escludere però che Amlo faccia dietrofront, visto che nel 2021, in risposta ai mandati giudiziali degli Amparos che chiedevano la sospensione dei lavori, aveva dichiarato il Tren Maya opera di sicurezza nazionale. D’altra parte, la linea ferroviaria è ormai quasi completata.

S.Ga.

Una piramide di Chichén Itza, uno dei più noti siti archeologici maya nella penisola dello Yucatan. Foto Mario La Pergola – Unsplash.

 




Gocce di speranza


I Missionari della Consolata sono arrivati nel 2018 a Luacano, diocesi di Luena nella provincia di Moxico. Proprio nella regione dove, sedici anni prima, aveva avuto i suoi momenti conclusivi la guerra civile che ha stravolto la vita del paese dal 1975 al 2002 lasciando pesanti distruzioni e numerosi campi minati.

Luacano si trova 220 km a est di Luena (anche Lwena, ndr), capoluogo della provincia di Moxico, a 1.300 km da Luanda, capitale dell’Angola, e ad appena 100 km dai confini con il Congo Rd. La cittadina è stata fondata nel 1931. Moxico, con i suoi nove comuni, compreso Luacano, ha un’estensione territoriale di 223.023 km2 (circa dieci volte la Lombardia, con un decimo della sua popolazione, ndr). È la provincia dove si sono combattute le ultime fasi della guerra civile. Nel comune di Luacano, dove i Missionari della Consolata sono arrivati nel 2018, oltre a provocare innumerevoli morti, la guerra ha portato la distruzione di infrastrutture, scuole, case e chiese, e ha causato un massiccio esodo di popolazione che ha lasciato il territorio senza insegnanti, infermieri, medici, artigiani e tecnici.

Secondo l’ultimo censimento, nel 2014 Luacano aveva 21.447 abitanti. Considerando un tasso di natalità annuo intorno al 7%, e le difficoltà di registrazione e le incertezze dei documenti, oggi si stima ci siano circa 40mila abitanti. Le principali attività economiche sono la pesca e la coltivazione della manioca. La popolazione è composta da due gruppi etnolinguistici: i Tchokwe e i Luvale, che hanno un profondo patrimonio culturale. Di particolare rilievo sono i «mukanda», i riti di circoncisione per l’iniziazione dei «wali» (giovani), riti che però non comportano la mutilazione genitale femminile.

Le nostre comunità

La parrocchia santa Maria Mãe de Deus di Luacano è nella diocesi di Luena. A servirla siamo in due Missionari della Consolata: insieme a me, lavora padre Bernard Maina Wambui. Ha sette centri sparsi su un’area di 13.573 km2 (grande come la Campania, ndr). Il primo centro è Calomba dove c’è una piccola comunità di cattolici. Sono in tre, tra i quali l’unica donna catechista, la signora Victorina Tumba (Soba), che non sa né leggere né scrivere.

Il secondo è la comunità di Caifuche che vede crescere il numero di fedeli di giorno in giorno. Lì, non c’è ancora un responsabile della comunità che, per ora, è guidata da una piccola commissione di fedeli. Gli incontri di preghiera o la celebrazione della messa avvengono sotto un albero di mango.

Il terzo è la comunità di Lituta. Questa soffre per il fatto che la maggior parte dei suoi membri è analfabeta e molto attaccata alla religione tradizionale.

Il quarto centro è la comunità di Cazanguissa. È quella meglio organizzata di tutta la parrocchia, perché le responsabilità sono condivise, e così riesce anche ad aiutare due comunità vicine (Sambololo e Cualendende). I pochi giovani collaborano nelle attività pratiche e animano il coro. Esiste un gruppo di 48 catecumeni di diverse età che, con il nostro aiuto, è attualmente suddiviso secondo le varie tappe del cammino di iniziazione cristiana. La comunità però non è in grado di autofinanziarsi, in quanto i suoi membri non hanno risorse economiche da condividere, possono offrire solo servizi e lavori concreti.

Il quinto è quello del Lago Dilolo che è stata senza la messa per dieci anni fino all’anno scorso. La vita della comunità è guidata da un piccolo consiglio locale. La maggior parte dei fedeli non è battezzata e per questo abbiamo organizzato insieme un piano di formazione e catechesi.

Il sesto centro è la comunità di Caxita che è quella più lontana da Luacano (200 km). È una comunità vivace guidata da tre catechisti che hanno costruito una cappella in legno ed erba. Questa comunità ha il potenziale per diventare una chiesa forte, ma la sua distanza e le strade dissestate costituiscono una grande sfida per noi.

Il settimo è la comunità parrocchiale di Luacano dove c’è la celebrazione quotidiana della messa, l’adorazione eucaristica settimanale, la disponibilità al sacramento della riconciliazione due volte alla settimana, oltre all’accompagnamento di gruppi e movimenti. Anche il catechismo viene insegnato su base settimanale.

La comunità è divisa in diversi gruppi: bambini, giovani, uomini e donne. Sperimenta anche l’incostanza nella partecipazione a causa del grande movimento di persone verso altre località (Luau e Luena) alla ricerca di pascoli più verdi.

È da notare che i bambini e i giovani sono una parte importante della popolazione e un gran numero di loro non sa né scrivere né leggere, il che rende molto difficile trasmettere qualsiasi formazione religiosa o sociale.

La cappella di Tchinyama a 60 km sud dalla nostra presenza IMC a Luacano Angola

Programma di eradicazione dell’analfabetismo

Per capire meglio la situazione di Luacano, dobbiamo vedere come va in generale il sistema educativo in Angola. Secondo i dati ufficiali del ministero dell’Istruzione per l’anno 2019@, quasi il 25% della popolazione angolana è analfabeta. Tuttavia, la realtà sul campo è molto varia e non corrisponde alle statistiche ufficiali.

Secondo il servizio della televisione pubblica dell’Angola (Tpa) del 26 marzo 2019, nella provincia di Cuanza Norte, che dista solo 211 km dalla capitale, oltre il 90% degli studenti di prima media non sa né leggere né scrivere. Se quella provincia così vicina a Luanda è in queste condizioni, possiamo immaginare la situazione scolastica in comuni remoti come Luacano.

Infatti, il tasso reale di analfabetismo, secondo le organizzazioni non governative, è del 45-55%, ovvero 13 milioni di angolani dai 15 anni in su@.

Il rapporto Undp (Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo) sull’Angola degli anni 2014-2018 mostra un tasso del 47% di angolani tra i 5 e i 23 anni che non frequentano la scuola e, tra questi, il 16% non l’ha mai frequentata.

Va notato che in province come Lunda Norte, oltre l’85% della popolazione adulta è analfabeta.

La causa principale di questa drammatica situazione è la lunga guerra civile durata più di 25 anni fino al 2002. Ma, dopo l’accordo di pace, nel paese è emerso un pessimo sistema educativo: scuole senza strutture, senza materiale didattico, e con insegnanti senza un’adeguata preparazione.

Stando così le così, noi missionari della Consolata abbiamo intrapreso un programma di alfabetizzazione in cui educhiamo la gente del posto a leggere e scrivere. Durante la settimana i nostri giovani si incontrano nel pomeriggio per corsi di alfabetizzazione che coinvolgono anche la sensibilizzazione vocazionale. Infatti, da questa attività sono uscite cinque ragazze che studiano in diverse case di suore e cinque giovani entrati nel seminario minore.

visita pastorale alla cappella di san Paolo in Lituta alla distanza di 67km dalla sede parrocchiale

Maternità precoce

Purtroppo è frequente incontrare ragazze di appena 12 anni incinte o sposate. La maggior parte viene da noi chiedendo aiuto, ma con i mezzi limitati che abbiamo possiamo solo incoraggiarle a rimanere positive, mentre nel profondo di noi siamo turbati.

Un pomeriggio, mentre stavo camminando nel villaggio di nome bairro Morango, le nuvole hanno iniziato ad addensarsi e presto ho sentito le prime gocce di pioggia sulla fronte. Mi sono riparato velocemente nella casa più vicina, una capanna dal tetto di erba secca. Entrando, mi sono stupito che nella sua semplicità quella casa fosse in grado di ospitare ben quattordici bambini. Tra di essi c’era una ragazza di 13 anni che allattava un bambino nato da appena due settimane. Il resto dei suoi fratelli non era mai entrato in una scuola. Nessuno sapeva pronunciare una parola portoghese, tutti parlavano solo luvale. Non c’era niente da offrire allo sconosciuto appena entrato in casa: nessuna sedia, niente acqua e, con sorpresa, non c’era nemmeno un piccolo segno dell’imminente pasto per l’intera famiglia.

Più avanti, nella settimana, li abbiamo inclusi nel programma alimentare, ma ancora una volta la sfida principale è l’incapacità di finanziare un programma umanitario così nobile.

Salute

Nel comune di Luacano c’è una struttura sanitaria, ma purtroppo mancano i medici, e il loro laboratorio non ha le attrezzature per far fronte al crescente numero di malattie.

Qui la malaria è comune a causa dei prolungati periodi di piogge e della mancanza di un buon sistema di drenaggio e di fognature. La mancanza di conoscenza dell’igiene di base contribuisce anche a diverse malattie. La maggior parte dei cittadini soffre costantemente di diarrea e vomito. L’assenza di acqua potabile è la causa della maggior parte delle malattie. Per questo, nonostante le nostre ristrettezze economiche, abbiamo contribuito a scavare numerosi pozzi per migliorare il benessere della nostra gente.

In questa situazione ci sono persone che hanno optato per l’assistenza domiciliare, cioè le cure tradizionali.

Il comune di Luacano non ha obitori. All’ospedale comunale e al centro di maternità infantile non c’è mai stata una camera mortuaria, così, quando qualcuno muore, il funerale si fa entro il giorno seguente, prima che il corpo inizi la decomposizione.

Trasporti

La distanza tra Luena, sede della diocesi e capitale della provincia, e Luacano, è un’altra delle difficoltà che tutti hanno. L’unica via di comunicazione esistente è la ferrovia, mentre la strada è in condizioni impossibili. Sono solo 220 km, ma con il treno ci vogliono cinque ore. I treni sono disponibili cinque giorni alla settimana (lunedì, martedì, mercoledì, giovedì e sabato).

Se invece si decide di utilizzare la strada, uno lo fa a suo rischio e pericolo. Le strade hanno due caratteristiche principali: sono molto sabbiose durante il periodo secco e diventano un pantano durante la stagione delle piogge.

Tornando al treno, vale la pena sottolineare alcune sue caratteristiche che lo rendono unico: è un treno con motore alimentato a diesel; c’è un continuo movimento di persone da una carrozza all’altra; ogni stazione in cui si ferma diventa un mercato all’aperto dove si comprano prodotti alimentari (principalmente limoni, pesce ecc.) e dove un gran numero di bambini cercano di venderti di tutto, anche quando ci sono condizioni meteorologiche avverse.

Questa unicità è enfatizzata anche da una natura bellissima e lussureggiante lungo la linea ferroviaria.

Stando così le cose continuiamo a dialogare con le autorità locali affinché intervengano sul mantenimento delle poche infrastrutture di questo meraviglioso paese. Abbiamo con loro ottime relazioni che ci permettono anche di godere di una buona sicurezza, specialmente in previsione di offrire ai nostri amici la possibilità di visitare la missione.

La nostra casa

La nostra casa si trova in un quartiere costruito dal governo locale dopo la guerra. Era stata donata al vescovo di Luena, dom Tirso Blanco (defunto il 22/02/2022).

È una casa semplice con i servizi essenziali e dotata di pannelli solari. A poca distanza c’è un’altra casa conosciuta localmente come la «casa del vescovo», che gli era stata donata dallo stesso comune come sua dimora per le sue le visite pastorali. Questa casa è più ampia ed è a disposizione degli ospiti. Per l’acqua è stato scavato un pozzo che serve egregiamente per le nostre necessità e per quelle dei fedeli quando vengono alla chiesa.

Siamo in un rapporto molto positivo e cordiale con i nostri vicini, bella gente che ha un cuore grande nella propria semplicità e che fa anche buona guardia alla casa quando noi siamo lontani per visitare i centri.

Manioca, cibo di base

La popolazione locale è sempre vissuta dipendendo dalle piogge stagionali e, nella stagione secca, dalle acque raccolte negli stagni naturali. I continui drastici cambiamenti climatici hanno rotto questo equilibrio ed è stato necessario scavare nuovi pozzi per rispondere ai bisogni della gente.

L’alimentazione dipende per il 90% dalla manioca. Foglie di manioca come verdure, steli di manioca come legna da ardere e tuberi di manioca come pasto principale. Con una dieta così limitata, ci sono molti casi di sindrome da insufficienza alimentare soprattutto nei bambini piccoli. L’unica volta che c’è un cambiamento di menù è quando viene cucinato un pesce essiccato della stagione precedente.

Per cambiare questa realtà stiamo iniziando a introdurre altre colture stagionali intercambiabili, come il mais e i fagioli che maturano in un tempo più breve della manioca, la quale impiega un anno intero prima di essere pronta per il consumo.

Sfide

A Luacano bisogna imparare a vivere senza internet, visto che la rete mobile è debole e instabile. In compenso il contatto con la gente del posto è sempre pieno, a ogni ora del giorno.

Anche la nostra mobilità è limitata perché durante la stagione delle piogge (da settembre a marzo) siamo costretti a fermarci nella sede centrale a causa dell’acqua che rende le «strade» impossibili anche con un potente fuoristrada.

Per fare le spese poi, non possiamo contare sull’unico negozio locale. Esso vende i prodotti a un prezzo tre o quattro volte più alto che in città, così bisogna percorrere i 220 km che ci separano da Luena con il treno che parte il pomeriggio alle tre, pernottare in città, comprare il necessario e poi prendere un altro treno per ritornare a casa il giorno dopo alle quattro del mattino. Sono qui a Luacano da meno di un anno. Non era certo nelle mie previsioni essere inviato in un posto così remoto e impegnativo. Ma è una bella sfida per la mia passione missionaria. Ringrazio di cuore tutti quelli che ci sono vicini con la loro preghiera e il loro sostegno.

Martin Mbai Ndumia


Angola

  • 1.246.700 km² di superfice (23° del mondo per estensione)
  • 25.789.024 abitanti nel 2014
  • 35.928.000 abitanti al 23/03/2023, h 15, secondo l’United nations world population prospect.

Paese situato nell’Africa sudoccidentale. Sotto influenza portoghese dal XV secolo, colonia fino al 1951, poi provincia d’oltremare e infine indipendente dal Portogallo l’11 novembre 1975 dopo un’aspra guerra.
Al momento dell’indipendenza il Paese era diviso, da una parte il Movimento popolare di liberazione dell’Angola (Mpla), fondato nel 1956 e appoggiato dall’Urss, dall’altra l’Unione Nazionale per l’Indipendenza totale dell’Angola (Unita) e il Fronte di liberazione nazionale dell’Angola (Flna), più vicini agli Stati Uniti. In gioco c’erano non solo contrasti etnici e interni, ma anche il controllo delle ricche risorse (petrolio e diamanti in particolare) del Paese. Iniziò così la guerra civile che sarebbe durata fino al 2002.

La guerra ha devastato le infrastrutture e danneggiato gravemente la pubblica amministrazione, l’economia e le istituzioni religiose.

È importante notare che i 27 anni di guerra civile in Angola hanno lasciato milioni di famiglie alla fame, altre sono state costrette a fuggire dalle loro case nei paesi vicini, Congo e Zambia, e oltre 100mila bambini sono stati separati dalle loro famiglie.

Quando i combattimenti sono terminati nel 2002, mine antiuomo ed esplosivi erano disseminati ovunque in campi,
villaggi e città, e hanno continuato a uccidere e ferire migliaia di persone. Le vittime delle mine antiuomo non ricevono alcun sostegno dal governo.

M.M.N.


LA RELIGIONE

La popolazione dell’Angola è prevalentemente cristiana. Non esistono statistiche accurate sull’argomento. La maggioranza è cattolica, circa il 20% è protestante di varie denominazioni e gli altri aderiscono a credenze tradizionali. Solo una piccola percentuale (forse il 2%) aderisce all’Islam o ad altre religioni. I cattolici sono più numerosi nella regione costiera occidentale densamente popolata. La Chiesa cattolica continua a svolgere un ruolo importante nel fornire istruzione al popolo dell’Angola. Il Paese ha attualmente cinque arcidiocesi e 19 diocesi: Huambo (diocesi di Huambo, Benguela, Kwito-Bié), Luanda (Luanda, Cabinda, Caxito, Mbanza Congo, Sumbe, Viana), Lubango (Lubango, Menongue, Ondjiva, Namibe), Malanje (Malanje, Ndalatando, Uije) e Saurimo (Saurimo, Dundo, Lwena). La nostra diocesi, Lwena, dopo la morte del salesiano dom Tirso Blanco il 22/02/2022, è in attesa della nomina di un nuovo vescovo Si stima che il 47% della popolazione angolana, soprattutto nelle aree rurali, pratichi varie forme di religioni indigene. Anche molte persone che professano il cristianesimo, si trovano ancora attaccate ad aspetti delle pratiche e delle credenze religiose tradizionali.

M.M.N.


Archivio MC




Le frontiere del mondo


Ogni giorno, 400 milioni di container attraversano il globo. Carichi di tutte le merci lecite (come ananas, o scarpe) e illecite (come droghe, o armi), per essi non esistono frontiere. Se si vuole capirne qualcosa, si trovano muri, filo spinato e, a volte, militari armati.

A ndrea Bottalico è ricercatore, redattore di «Napoli Monitor» e di riviste di inchiesta sociale.

Si era già occupato delle condizioni di lavoro nei cantieri navali con Il fuoco a mare. Ascesa e declino di una città-cantiere del sud Italia (Monitor edizioni, 2016).

Quest’ultimo libro Le frontiere del mondo. Viaggio nella filiera del container, apparentemente breve, è in realtà ricchissimo di notizie, riflessioni e interrogativi.

Spazia su un’estensione geografica internazionale delineando le caratteristiche di numerosi porti – da Genova, Gioia Tauro, Marsiglia, Beirut, Anversa, a Rotterdam – di cui descrive gli aspetti strutturali popolandoli di abitanti che ne identificano il contesto sociale ed economico.

Il linguaggio scorre, il discorso non ha intoppi. L’oggetto del racconto è complesso, ma è molto apprezzabile l’insieme dato da profondità investigativa e buona scrittura, integrate con l’oggettività del reportage.

Bottalico traduce i dati della sua ricerca in narrazione, con una storia che si snoda nel tempo.

I personaggi si animano via via che il narratore si trova immerso nelle realtà, inaspettatamente sconosciute e misteriose, in cui svolge la sua analisi.

L’inventore dei container

Un primo bandolo per dipanare il racconto è offerto dal personaggio che diede inizio alla storia dei container: Malcolm Purcell McLean. Autotrasportatore di origini scozzesi, nato nel 1913 nella Carolina del Nord (Usa), con i suoi risparmi McLean comprò un camion di seconda mano e fondò nel 1934 una piccola impresa per il trasporto di prodotti agricoli, la McLean Trucking.

In pochi anni divenne proprietario di una flotta di 2mila camion e trenta terminal sul territorio degli Stati Uniti.

La sua fortuna dipese dalla messa in pratica di una sua intuizione sulla gestione del traffico internazionale delle merci: se invece di scaricare le merci dai camion per caricarle ogni volta sulle navi, si fossero caricati direttamente i rimorchi dei tir sulle navi, si sarebbe risparmiato tempo, denaro, lavoro.

Lo sviluppo dei container nacque da questa semplice osservazione.

Banane e cocaina

Raccontando le vicende di McLean, Bottalico sottolinea che «il vero affare delle compagnie di trasporti non è gestire navi o treni, ma spostare la merce». Presenta così la vera protagonista del suo libro: la merce.

«Oggigiorno più di quattrocento milioni di container si spostano in tutto il mondo trasportando il 90% di ogni cosa e irrorando il globo di prodotti».

La merce viaggia in incognito dentro enormi scatole di metallo, in quantità e con velocità crescenti. Questa accelerazione produce un impatto enorme a livello globale sulle relazioni sociali, gli ambienti di lavoro, le dinamiche di potere, l’ambiente.

Una delle tante pecche di questa pervasività è il fatto che, a fronte dell’enorme numero di container, si effettuano controlli sul loro contenuto su meno del 2%.

«Di conseguenza – aggiunge Bottalico – è possibile trovare cocaina all’interno di un container che trasporta ananas, o carne, o frutta esotica, o frutti di mare, o caschi di banane, e armi all’interno di un container di sacchi di cemento, o bobine di carta, e così via. Lecita o illecita, la merce si confonde tra la merce […] oltrepassando le frontiere a ritmi sempre più frenetici e secondo logiche precise anche se contorte, attraverso una fitta rete di società […], holding finanziarie e intermediari di varia natura, trafficanti e multinazionali […]».

Recinzioni e filo spinato

Bottalico trasmette un’idea della complessità del sistema merce ponendo domande alle quali non riceve risposte (cosa c’è in quel container? dov’è diretta quella nave? chi ha in concessione quell’area portuale?) e offrendo, pagina dopo pagina, confronti tra i porti (dalle banchine genovesi controllate dai camalli alle piattaforme deserte di Rotterdam) e dialoghi occasionali (il camionista che veglia di notte la sua merce, il marinaio che attende di imbarcarsi, lo spedizioniere che gestisce flussi logistici sull’intero pianeta).

Le descrizioni quasi fotografiche dei luoghi fanno da scenario, aiutando chi legge a trovare appigli in un discorso nel quale la merce continuamente sfugge.

«La strada parallela alla banchina – scrive Bottalico del porto di Gioia Tauro (RC) – è attraversata da camion pieni di cassette della frutta che cercano di evitare i fossi. Da quelle parti le gru si possono osservare meglio insieme alle navi ormeggiate in banchina. Un cancello alto e lungo crea una sorta di cintura con sofisticati sistemi di sorveglianza che separano il caleidoscopio portuale dal mondo di fuori. I militari presidiano l’ingresso di un’azienda. Si possono sentire i rumori delle operazioni di sbarco e imbarco, oltre le cancellate e le recinzioni che delimitano l’area portuale con filo spinato e le telecamere».

«Vago per un po’ in un labirinto per poi ritrovare la strada – racconta Bottalico di Rotterdam -. I duecento ettari del terminal con le sue quarantuno gru […] si riescono a scorgere appena sulla sponda opposta in lontananza. Più mi avvicino e più mi rendo conto della loro imponenza […]. Al lato opposto del terminal un antico mulino e alle spalle del mulino le due torri di raffreddamento della centrale nucleare di Doel. Il villaggio si trova nel mezzo, tra il terminal, il fiume e la centrale, intorno a un’area grande tremila campi di calcio».

Un libro da leggere e rileggere per apprezzare la varietà di storie, persone e paesaggi, per soppesare l’impossibilità di tracciare e controllare la merce e percepirne la pervasività e l’ormai inarrestabile espansione distruttrice.

Elena Camino

Ecco altri tre libri e un film per approfondire:

  • Sergio Bologna, Tempesta perfetta sui mari. Il crack della finanza navale, DeriveApprodi, Roma 2017, pp. 217, € 18.
  • David Abulafia, Il grande mare. Storia del Mediterraneo, Mondadori, Milano 2017, pp. 695, € 25.
  • Giorgio Nebbia, La violenza delle merci, Ecoistituto del Veneto Alex Langer, Venezia, 1999, pp. 48.
  • Allan Sekula, Noël Burch, The Forgotten Space, Icarus Film, New York 2010.