Sudafrica. Trump minaccia sanzioni

 

La restituzione delle terre sottratte dal regime dell’apartheid o un atto di razzismo al contrario nei confronti della minoranza bianca sudafricana (8,5% della popolazione)? Come leggere l’Expropriation act 13 approvata dal governo sudafricano il 23 gennaio 2025? Il tema è diventato di attualità dopo le dichiarazioni del presidente Donald Trump che ha firmato un ordine esecutivo per tagliare i fondi al Sudafrica accusato di discriminare la comunità bianca. La questione, in realtà, è più complessa di quanto la veda il capo di Stato Usa.

L’Expropriation act 13 è una legge che disciplina l’espropriazione di proprietà private per scopi pubblici o nell’interesse pubblico. Questa normativa, che sostituisce l’Expropriation act 63 approvato nel 1975, all’epoca dell’apartheid, mira ad allineare la legislazione sudafricana alla Costituzione del 1996 e a fornire una base legale per la riforma agraria ideata dal presidente sudafricano Cyril Ramaphosa e volta a correggere le profonde disuguaglianze fondiarie ereditate dal passato.
La nuova legge prevede che lo Stato possa espropriare terreni per infrastrutture pubbliche (strade, scuole, ospedali) o per riforme agrarie che garantiscano un accesso più equo alla terra. Nel testo è previsto che i proprietari siano indennizzati equamente in base al valore della proprietà, al suo utilizzo e al contesto storico. Si prevede però anche la possibilità di un esproprio senza alcun indennizzo nel caso di terreni abbandonati, non produttivi o acquisiti illegalmente durante l’apartheid. Quest’ultimo punto ha fatto tremare la comunità bianca. Gli agricoltori temono che si ripeta in Sudafrica quanto avvenuto in Zimbabwe dove, nel 2000, una riforma agraria mal studiata ha portato all’occupazione illegale dei terreni coltivati e al crollo dell’economia locale.

Pieter Kemp, un agricoltore bianco, ha dichiarato all’emittente britannica Cnn: «Questa legge mette a rischio il nostro sostentamento e crea incertezza sul futuro delle nostre terre». Allo stesso modo, Annelie Botha, rappresentante di un’associazione di agricoltori, ha affermato: «Temiamo che l’espropriazione senza compenso possa portare a instabilità economica e sociale».
Timori che, al momento, paiono infondati. Nonostante le preoccupazioni diffuse, non si sono verificati espropri di massa, né confische di proprietà private senza indennizzo. Finora, la redistribuzione della terra è avvenuta attraverso acquisti volontari da parte dello Stato. La stessa AgriSA, organizzazione commerciale per gli agricoltori sudafricani, ha riconosciuto come infondate le affermazioni sui sequestri di terreni definendole «disinformazione». «L’Expropriation act ha scatenato tumulti politici e inutili tensioni all’interno del sistema agroalimentare. Ciò è stato esacerbato dalla disinformazione riguardante l’intento della legge, con un impatto negativo sul clima degli investimenti per l’agricoltura sudafricana», ha affermato il direttore esecutivo di AgriSA, Johann Kotzé. Che ha aggiunto: «Per essere chiari, non si sono verificati sequestri o confische di proprietà private. Né è stata espropriata alcuna terra senza indennizzo. Sono stati gestiti casi isolati di accaparramento di terreni e violazione di proprietà privata».

Nonostante ciò Donald Trump ha criticato la riforma agraria sudafricana, sostenendo che essa rappresenta «un’espropriazione razziale». Già nel 2018, Trump aveva ordinato di indagare sulle «confische di terre e sugli omicidi di agricoltori bianchi» in Sudafrica, alimentando una narrazione allarmistica diffusa da media conservatori. Nelle ultime settimane, Trump ha inasprito la sua posizione, sospendendo 440 milioni di dollari di aiuti al Sudafrica. Questa decisione ha avuto conseguenze gravi, in particolare sul finanziamento di programmi sanitari cruciali per il Paese, come quelli per la lotta all’Hiv e alla tubercolosi.
Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha respinto con le accuse di Trump, definendole «fuorvianti e radicate in pregiudizi coloniali». Ramaphosa ha sottolineato che la riforma agraria non è una misura punitiva contro i bianchi, ma un tentativo di riparare alle ingiustizie storiche, garantendo stabilità economica e sicurezza giuridica per i proprietari terrieri.

Enrico Casale




Terzo a chi?

La riforma di un settore cruciale


Il terzo settore è entrato oggi in una nuova fase, quella dell’attuazione della riforma, per la quale si sta costruendo il «Registro unico nazionale», che permetterà, fra l’altro, ai cittadini di accedere alle informazioni sugli enti. Molti strumenti introdotti dalla riforma – come il bilancio sociale – fanno già parte del quotidiano delle organizzazioni coinvolte. Cerchiamo di orientarci fra gli acronimi e di capire che cosa manca ancora.

Lo scorso 21 febbraio si è conclusa la cosiddetta «fase 1» della creazione del «Registro unico nazionale del Terzo settore», o Runts, la piattaforma digitale che raccoglierà le sette categorie che ne fanno parte (vedi box a pag. 65).

La fase 1 è consistita, in sostanza, nella trasmigrazione dei dati delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale dai Registri regionali e delle province autonome al registro unico; dal 22 febbraio ed entro il 20 agosto di quest’anno, poi, gli uffici del Runts verificheranno i dati ricevuti e richiederanno, se necessario, le integrazioni agli interessati@.

Quanto alle Onlus, per l’iscrizione al registro, devono presentare domanda, ma, spiega il portale di divulgazione sulla normativa «Cantiere terzo settore», a oggi manca il provvedimento con cui l’Agenzia delle entrate comunica al registro i dati degli enti iscritti all’Anagrafe unica delle Onlus. Finché non ci sarà questo provvedimento, le Onlus non potranno fare domanda@.

«Tra alcuni mesi», si legge tuttavia sul sito del ministero del Lavoro a cui fa capo il Registro, «tutti i cittadini potranno consultare gli statuti, i bilanci, le informazioni previste dalla legge relativamente agli enti iscritti, che dovranno assicurarne periodicamente l’aggiornamento attraverso il sistema»@.

Dalla riforma ci si aspetta maggiore uniformità e trasparenza per un settore che, stando ai dati del censimento permanente Istat delle istituzioni no profit, conta quasi 363mila organizzazioni e poco meno di 862mila dipendenti@.

Quanto è grande il terzo settore

Quanti sono 862mila dipendenti e 363mila organizzazioni? Ovvero, quanto è davvero grande il settore? Per farsi un’idea – molto grezza – dei volumi, si può fare un confronto con i dati Istat sulle imprese italiane e i loro dipendenti suddivise per comparto economico, tenendo però in mente che, all’interno di ciascun comparto, sono incluse anche le cooperative sociali e le imprese sociali, che sono a loro volta enti del terzo settore e che quindi ci sono «pezzi» di terzo settore dentro a molte di queste categorie. Guardando solo alla dimensione complessiva dei comparti economici, si può dire che il numero di Ets è vicino a quello delle imprese attive nel settore manifatturiero, che con 372mila aziende occupa la quarta posizione dopo commercio, attività professionali, scientifiche e tecniche, e le costruzioni@.

Quanti e dove

Quanto ai volumi del lavoro, i dipendenti del Terzo settore sono un numero non lontano da quello dei dipendenti del settore delle costruzioni; considerando, inoltre, che il totale dei lavoratori dipendenti in Italia nel quarto trimestre del 2021 era di circa 17,9 milioni, cinque ogni cento lavorano nel Terzo settore@.

La scheda sui numeri proposta dal portale Cantiere terzo settore a partire dai dati Istat, riporta che l’85%, cioè 308mila, degli Ets sono associazioni e danno lavoro a un dipendente su venti nel settore. Inversa è la proporzione per le cooperative sociali, che sono solo 15mila (poco più di quattro su cento) ma impiegano oltre la metà dei lavoratori del Terzo settore, 456mila su 862mila, una media di 31 dipendenti a cooperativa. «Si contano poi quasi 8mila fondazioni con oltre 102mila addetti retribuiti», conclude il sito Cantiere terzo settore, e «le quasi 40mila altre forme giuridiche che danno lavoro a oltre 138mila persone».

Circa la metà delle Ets ha sede nel Nord Italia e impiega il 58% dei dipendenti del Terzo settore; il Nord Ovest, in particolare, ha 183 lavoratori del settore ogni diecimila abitanti, seguito dal Nordest con 178. Prendendo le singole regioni, è la provincia autonoma di Trento ad avere il rapporto più alto con 253 dipendenti di Ets ogni 10mila abitanti, mentre il Lazio, con i suoi 191, supera il Piemonte, il Veneto, l’Emilia Romagna e si colloca poco sotto la Lombardia@.

Ragioni e ambiti

Il motivo per cui il terzo settore si chiama così è definito dal Cantiere in modo molto chiaro: è un «sistema sociale ed economico che si affianca alle istituzioni pubbliche e al mercato e che interagisce con entrambi per l’interesse delle comunità». Ha elementi del primo settore, lo stato, così come del secondo, il mercato: «Come il mercato, è composto da enti privati, come le istituzioni pubbliche, svolge attività di interesse generale. Questi aspetti si rimescolano, dando vita ad un nuovo originale soggetto».

Agire senza scopo di lucro, chiarisce ancora il portale, non significa non avere profitti: significa essere obbligati a reinvestirli per finanziare le proprie attività invece di redistribuire gli utili fra i membri o i dipendenti. Per questo, la definizione no profit, spesso usata come sinonimo di terzo settore, in realtà non esaurisce gli Ets e, anzi, riguarda solo una parte delle organizzazioni del settore.

Guardando agli ambiti di attività in cui queste ultime operano, sono le attività sportive le più rappresentate (120mila enti), seguite da quelle culturali e artistiche (61mila), da quelle ricreative e di socializzazione (49mila). Al quarto posto l’assistenza sociale e la protezione civile (34mila), che però è l’ambito che impiega più persone, 324mila, mentre la Sanità è il secondo ambito per numero di dipendenti. La cooperazione e solidarietà internazionale conta 4.550 enti che occupano 3.900 persone.

Fra il 2011 e il 2019, gli enti sono passati da 301mila agli attuali 362mila, con un aumento intorno al 20%, mentre i dipendenti dieci anni fa erano 680mila e sono dunque aumentati del 27%.

Punti chiave

La riforma ha iniziato a prendere corpo nel 2014, ma l’approvazione della legge delega n. 196 è arrivata due anni dopo, il 6 giugno 2016 e, a partire dal 2017, hanno iniziato a essere approvati i decreti attuativi. L’intento dell’intervento legislativo è stato quello di procedere a un riordino della normativa come risposta alla richiesta «di regole precise e del superamento della frammentazione legislativa che ha caratterizzato per decenni le tante organizzazioni impegnate nel sociale».

Prima della riforma, infatti, organizzazioni diverse erano iscritte a registri territoriali diversi e facevano riferimento a norme specifiche: la legge quadro 266/1991 regolava il volontariato, la legge 383/2007 disciplinava le associazioni di promozione sociale, le Onlus erano soggette al decreto legislativo 460/1997 mentre per le imprese sociali la norma di riferimento era il decreto legislativo 155/2006. La riforma abroga del tutto o in parte queste norme, raggruppa in un solo testo – il Codice del terzo settore – gli enti interessati, e rende l’iscrizione al Registro unico obbligatoria per essere riconosciuti come Ets.

Apre, inoltre, a tutti gli enti iscritti al registro la possibilità di partecipare all’assegnazione del 5 per mille, introduce diversi obblighi «su democrazia interna, trasparenza, rapporti di lavoro, assicurazione dei volontari, destinazione di eventuali utili» e definisce le attività di interesse generale – determinanti per il riconoscimento come Ets – attraverso un elenco che comprende 26 aree@.

Punti critici

Ad oggi, a fronte di indubbi vantaggi di semplificazione, restano ancora diversi aspetti critici. Ne citiamo solo alcuni a esempio. Il primo riguarda gli aspetti fiscali: come scriveva lo scorso 19 febbraio su Vita.it il commercialista e consulente Marco D’Isanto, il Titolo X del Codice del terzo settore che comprende molte delle disposizioni fiscali «è sospeso perché la sua applicazione decorre dal periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea, richiesta che il governo non ha ancora formulato»@.

L’entrata in vigore del Titolo X, fra l’altro, comporterà l’abrogazione definitiva della legge sulle Onlus e l’applicazione, appunto, delle norme fiscali contenute nel Codice. Per ora, tuttavia, se una Onlus decidesse di cancellarsi dall’anagrafe unica delle Onlus e iscriversi al Runts, a Titolo X ancora sospeso, perderebbe le agevolazioni fiscali previste dal decreto legislativo 460/1997 senza poter ancora beneficiare di quelle introdotte dal Codice@.

Altra questione è quella della frammentazione legislativa, che non è del tutto superata: le imprese sociali, le cooperative sociali e le società di mutuo soccorso, «seguono leggi proprie, diverse fra loro e dal codice». La cooperazione allo sviluppo, inoltre, ha una legislazione parallela a quella del Codice imperniata sulla legge 125/2014 e un’autorità di vigilanza specifica, l’Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo (Aics)@.

Infine, a preoccupare sono anche le difficoltà legate agli aspetti burocratici: in un dibattito in streaming sul canale YouTube di Terzjus, portale specializzato negli aspetti giuridici del Terzo settore@, la responsabile del servizio per le politiche per l’integrazione e il terzo settore della regione Emilia Romagna, Monica Raciti, riportava che, durante la presentazione di un rapporto sull’impatto della pandemia sul terzo settore, alla domanda su quale fosse l’elemento che destava in loro più preoccupazione rispetto al futuro, le associazioni emiliano-romagnole, presenti all’evento, non hanno indicato le difficoltà economiche o la diminuzione dei volontari, ma proprio «la riforma del terzo settore e tutto quello che porta con sé». Ciò che mette in difficoltà le organizzazioni, specialmente quelle piccole e piccolissime, è soprattutto la mole di lavoro necessaria a far fronte agli adempimenti amministrativi e la complessità di alcune procedure.

Effetti su Mco

Mco è una Fondazione, una Onlus e un’organizzazione della società civile (Osc) presente nell’elenco dell’Aics delle organizzazioni di cooperazione allo sviluppo. Alla data di chiusura di questo articolo, dunque, la sua situazione è la stessa delle altre Onlus in attesa di poter fare domanda per l’iscrizione al Runts, che dipende dalla comunicazione fra Agenzia delle entrate e Runts e dallo «sblocco» del Titolo X del Codice che subentrerà al decreto legislativo 460/1997 nel regolare gli aspetti fiscali.

A livello operativo, per la nostra organizzazione, la principale novità introdotta dalla riforma è stata per ora quella della elaborazione e pubblicazione del Bilancio sociale, seguita da una riorganizzazione del sito che permette di accedere con più agilità ai documenti come, appunto, i bilanci, i rendiconti del 5 per mille e l’elenco dei fondi pubblici ricevuti.

Chiara Giovetti


Quali enti sono Ets, quali no

L’articolo 4 del Codice del terzo settore stabilisce che sono Enti del terzo settore [Ets]:

  • ❶ le organizzazioni di volontariato (Odv);
  • ❷ le associazioni di promozione sociale (Aps);
  • ❸ gli enti filantropici;
  • ❹ le imprese sociali, incluse le cooperative sociali;
  • ❺ le reti associative;
  • ❻ le società di mutuo soccorso (Soms);
  • ❼ le associazioni riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato, diversi dalle società, costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale di cui all’art. 5 del Codice, in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi. Tutti questi si trovano a volte indicati per brevità come «altri enti».

Per essere Ets, questi sette tipi di ente devono anche essere iscritti al Registro unico nazionale del Terzo settore [Runts].

Gli enti religiosi civilmente riconosciuti possono essere considerati Ets limitatamente allo svolgimento delle attività di interesse generale di cui all’art. 5 del Codice.

Non sono Ets le amministrazioni pubbliche, le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro, gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dagli enti appena elencati (con alcune eccezioni).

Rielaborazione delle definizioni presenti sul sito del ministero del Lavoro
 e delle Politiche sociali@  a cura di Mco


Farsi un’idea sulla riforma in pochi minuti

Il portale Cantiere Terzo settore mette a disposizione diverse schede sul settore, sulla riforma e i suoi aspetti chiave e aggiorna man mano le proprie pagine dando conto delle scadenze e dei progressi. Segnaliamo in particolare: