Noi e Voi, lettori e missionari in dialogo
GIOVANI AL MAKIUNGU HOSPITAL
Giovani. Vacanze. Mese di agosto. Lo stereotipo legato a queste parole farebbe pensare a una vacanza nella riviera romagnola o in qualche isola della Spagna, eppure per due giovani di Cernusco Lombardone la scelta è stata un’altra.
Angelica Brivio, 18 anni, e Matteo Biella, 23, cresciuti nella realtà oratoriana del paese, hanno voluto trascorrere quindici giorni in Tanzania presso il Makiungu hospital, dove opera padre Sandro Nava, missionario della Consolata, accompagnati da alcuni soci dell’associazione I bagai di binari con cui collaborano.
Per Matteo non è la prima volta in terra missionaria; proprio l’anno scorso aveva visitato la realtà di padre Carlo Biella in Mozambico.
«Ciò che mi ha spinto maggiormente a intraprendere questa esperienza è stata la curiosità di vedere con i miei occhi il lavoro svolto da padre Sandro – ci ha raccontato -. Allo stesso tempo, l’idea di visitare Paesi meno rinomati rappresenta per me sempre uno stimolo ulteriore».
«Volevo conoscere un mondo completamente diverso dal mio, avvicinarmi alle persone, mettermi al servizio degli altri – aggiunge Angelica -. Inoltre, volendo intraprendere gli studi di medicina, era per me anche un’opportunità di vedere da vicino cosa significa realmente lavorare in un ospedale».

Le aspettative di questa esperienza sono state appagante nel vedere come il missionario cernuschese si sia mosso in questi cinque anni per portare il Makiungu hospital a essere oggi uno degli ospedali più all’avanguardia del Paese, accessibile anche alle persone meno abbienti.
«Le mie aspettative non solo sono state confermate, ma addirittura superate – ha voluto precisare Matteo -. L’ospedale è gestito in maniera impeccabile: ogni dettaglio è curato con attenzione, dalla pulizia interna ed esterna, al perfetto funzionamento e rifornimento costante della farmacia, fino all’efficienza straordinaria dei numerosi reparti».
«Le mie aspettative – ha aggiunto Angelica – sono state superate in quanto ho avuto la possibilità di affiancare una dottoressa e di entrare in contatto con i pazienti. Ho vissuto per alcuni giorni la realtà ospedaliera osservando come si effettuavano gli esami nel reparto di Rianimazione. Inoltre, ogni giorno riuscivamo a ritagliarci un’ora di tempo da trascorrere con i bambini residenti con le loro famiglie vicino all’ospedale. Quello che ho ricevuto da loro non si può spiegare solo a parole; mi hanno insegnato che l’amore non ha bisogno di una lingua in comune. Basta un sorriso, un abbraccio o qualche bolla di sapone per creare un legame che ti resta nel cuore».
Con impegno, i due giovani sono stati di supporto alla realtà di padre Sandro. Hanno svolto principalmente compiti logistici, come lo smistamento di decine di scatoloni presenti nel magazzino e la loro suddivisione per tipologia di oggetti donati. Si trattava soprattutto di vestiti e giochi per bambini: i primi sono stati distribuiti in pacchetti, ciascuno contenente il minimo indispensabile di vestiario, consegnati ai neonati e ai bambini ricoverati.
«I giochi, invece, sono stati donati ai gruppi di bambini che ogni sera, verso le 18, “venivano a trovarci” sotto la nostra dimora – aggiunge Matteo -. Palloncini, girandole e bolle di sapone erano diventati un dono quotidiano. In ospedale invece mi sono occupato esclusivamente del taglio delle garze, un’operazione semplice ma essenziale dato l’elevato consumo giornaliero». Un’esperienza che ha indubbiamente lasciato il segno.

«Mi ha colpito l’amore incondizionato dei bambini. Il modo in cui si attaccano a te con fiducia, pur non conoscendoti – precisa Angelica -. Il modo in cui riescono a sorridere pur avendo pochissimo. Un palloncino colorato, una bolla di sapone, un po’ di solletico… e i loro occhi si illuminano. È difficile da spiegare, ma ho capito che la felicità è un qualcosa molto più semplice di quanto pensiamo e che non ci accorgiamo di quanto siamo fortunati».
«Un altro aspetto che mi ha colpito è stato vedere le decine di targhe di ringraziamento dedicate ai privati e alle associazioni che hanno reso possibile la costruzione dell’ospedale e l’acquisto di importanti macchinari: segni concreti di fiducia e vicinanza verso padre Sandro e la sua missione. Mi ha reso orgoglioso vedere scritto su due di esse il nome del mio paese», ha voluto spiegare Matteo.
Chiedere cosa ognuno di loro porti a casa, dopo questa piccola esperienza missionaria, viene automatico.
«Una versione di me stessa più consapevole, più grata. Ho riscoperto il valore della semplicità e la bellezza delle piccole cose. Ho capito che voglio davvero intraprendere la strada della facoltà di medicina, ma non solo per “guarire” malati, bensì anche per accompagnare le persone nei momenti più difficili», ha risposto Angelica.
«Oltre alle tredici magliette di calcio acquistate nei suggestivi e colorati mercati della Tanzania, ho acquisito una consapevolezza profonda – tiene a raccontarci Matteo -. Per costruire e mantenere operativo un ospedale nel cuore della natura servono passione, dedizione, costanza e un impegno instancabile».
Uno degli obiettivi del sodalizio cernuschese è quello di sensibilizzare, coinvolgere più persone, meglio ancora se giovani.
«Consiglierei senza esitazioni questa esperienza a tutti – incalza Matteo -, soprattutto a chi studia medicina o sogna di diventare medico o infermiere».
«Non si tratta solo di un viaggio, ma è un vero e proprio tuffo in un’altra realtà. È un’occasione per crescere, mettersi alla prova, aprire gli occhi e il cuore. Consiglierei a chiunque abbia voglia di imparare, di dare e allo stesso tempo di ricevere molto di più; fare un’esperienza così, lascia un segno indelebile».
Provare per credere.
I bagai di binari
Cernusco Lombardone (Lc), 26/08/2025

Vero missionario (Cellana p Franco)
Era il 1993, tanti anni fa. L’associazione Amici Missioni Consolata muoveva i suoi primi passi nel Cam (allora Centro di animazione missionaria) attaccato alla Casa madre dei Missionari della Consolata in Torino. Dopo i primi anni con padre Giordano Rigamonti, l’associazione aveva trovato in padre Franco Cellana il suo «cappellano».
Appena letto quanto pubblicato su di lui nella rivista di agosto-settembre in ricordo di padre Franco, l’amico Ottavio Losana, allora presidente degli Amc dopo essere stato per anni capo nazionale degli scout dell’Agesci, mi è arrivato in ufficio, a dispetto della sua «giovane» età, e mi ha portato questa poesia che lui stesso aveva scritto nel 1993, quando padre Franco era stato nominato consigliere generale dell’Istituto e aveva dovuto lasciare Torino e, quindi, gli Amici.


Caro Franco,
due anni son passati
da quando questa grande associazione
mi ha messo assieme a te,
in coabitazione, ad occupare
il posto altolocato di presidente.
E già tu ci abbandoni,
che ad altro incarico ti hanno nominato;
il Gran Consiglio ahimè va rispettato,
non valgono lusinghe o ricchi doni.
Eri giunto fra noi dal Tanzania,
trovandoci un po’ incerti e quasi tonti
per la partenza del padre Rigamonti.
Ma la tristezza l’hai spazzata via
come un torrente dei monti del Trentino
che dalle rocce scende a cascatella
portando l’acqua sempre fresca e bella
dentro le sponde di un laghetto alpino.
Sempre di corsa,
sempre un po’ in ritardo,
ma sempre pronto
al momento del bisogno
ci hai indicato il grandissimo sogno
del mondo missionario.
Con lo sguardo,
con l’esempio e con la tua parola
ci hai insegnato a guardare lontano,
a aprire il cuore, a stendere la mano
a ogni persona e a non lasciarla sola.
Pronto,
se c’è qualcosa che un po’ sgarra,
a strimpellare sulla tua chitarra,
così a cantare le lodi del Signore
ci hai insegnato in italiano,
ma anche in kiswaili, in brasiliano,
in spagnolo, e a tutte le ore
mai ti sei dichiarato maldisposto
a stare in amicizia in mezzo a noi.
Che faremo noi tutti d’ora in poi?
Chi verrà a occupare questo posto?
Caro Franco, alpino poderoso,
forte, sincero, leale, generoso,
pronto a bere un bicchiere in compagnia,
infinita sarà la nostalgia!
Ora basta, che già io mi commuovo:
anche se orfani, anche se infelici,
continueremo ad essere tuoi amici.
Parte il vecchio assistente. Viva il nuovo
Ottavio Losana,
AMC Torino, agosto 2025
Gli Amici Missioni Consolata sono sempre grati a padre Franco e continuano oggi il loro generoso impegno missionario, speranzosi di trovare nuovi giovani amici che condividano con loro la bella avventura di supporter dei missionari
Chondogyo
Caro Paolo Moiola,
sono stato molto felice di leggere l’articolo sul chondogyo in italiano (MC 10/2025 pp. 17-19 dove si usa il termine «ceondoismo», ndr).
Vorrei commentarlo con due precisazioni.
La prima. Il simbolo della nostra Chiesa – chiamato Kungulzang – non ha significato se preso parzialmente. Il suo significato è possibile solo nella sua forma completa. Come ti ho detto spesso «Per comprendere facilmente il cuore dell’universo», perché rappresenta il dinamismo dello spirito.
La seconda. Come tu stesso avevi notato, il chondogyo è una religione molto spirituale fin dalla sua origine. Quindi, affermare che esso sia diventato spirituale sotto l’influenza della dominazione giapponese è sbagliato.
Infatti, il terzo maestro del chondogyo, Son Byeong-hui (detto Euiam), che è stato anche leader del Movimento per l’indipendenza 3.1 («Movimento Sam-il»), aveva una profonda pratica spirituale già nel 1880, molto tempo prima dell’invasione della Corea da parte del Giappone (avvenuta nel 1894, ndr).
Detto questo, sono molto felice e ti ringrazio molto per il tuo sincero impegno. Cordiali saluti,
Yoontaek Jung
(responsabile della chiesa di Seul), 23/09/2025
Nucleare
Caro Direttore,
nel mio articolo sul nucleare pubblicato nel numero di ottobre, la figura a pag. 12 sui costi delle diverse fonti energetiche avrebbe dovuto riportare nella legenda che la curva in grigio scuro è relativa alle centrali a gas metano usate per far fronte ai picchi di richiesta elettrica sulla rete (quindi per periodi brevi, con la conseguenza che i costi relativi all’impianto si spalmano su una limitata produzione energetica, facendo aumentare di molto il costo dell’elettricità). La curva del «Gas naturale», in colore grigio chiaro, si riferisce invece ad impianti usati continuativamente, con una grande produzione di elettricità, che pertanto risulta più economica (corretto nella versione online, ndr).
Con l’occasione mi permetto di evidenziare come, sempre sul numero di MC di ottobre, nel testo a firma Piergiorgio Pescali, sia errato dire che «l’uranio e il plutonio necessari per le armi nucleari richiedono processi industriali completamente diversi e molto più complessi» [rispetto all’uso nei reattori]. Magari fosse così!
Purtroppo, disponendo delle tecnologie e dei materiali per un programma nucleare civile, si possiede quanto è necessario per realizzare bombe nucleari; procedere a farle o meno è solo questione di scelta politica da parte dei governi.
Pure criticabile è l’affermazione che una centrale nucleare può operare indipendentemente dalle condizioni meteorologiche (e, aggiungerei, anche ambientali). Basta vedere i problemi che varie centrali nucleari in Francia e altri paesi hanno avuto negli ultimi due anni, durante periodi di alte temperature estive. Cordiali saluti.
Mirco Elena (fisico)
21/09/2025

























































































