Mondo. Questo, un tempo, era un ghiacciaio

 

In un clima politico che sta diffondendo il negazionismo climatico, le Nazioni Unite hanno istituito la «Giornata mondiale dei ghiacciai», prevista per il 21 marzo di ogni anno, giorno dell’equinozio di primavera. Il 2025 è anche l’Anno internazionale per la preservazione dei ghiacciai. Si tratta di un appello – fatto su iniziativa dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) e dell’Unesco – per salvare i ghiacciai della Terra che si stanno rapidamente riducendo a causa del cambiamento climatico.

Il problema interessa tutta la criosfera (che è la porzione di superficie terrestre coperta da ghiaccio e neve). Oltre al ritiro dei ghiacciai, da tempo si sta assistendo a una riduzione dello spessore della neve (in particolare, nelle Alpi) e a un incremento dello scongelamento del permafrost (un tipo di terreno perennemente ghiacciato).

Stando a un articolo pubblicato su Nature (19 febbraio 2025), dal 2000, i ghiacciai hanno perso tra il 2% e il 39% del loro ghiaccio a livello regionale e circa il 5% a livello globale. Lo studio ha osservato la perdita di massa glaciale in 19 regioni del mondo. A livello globale, le perdite maggiori sono state causate dall’Alaska (22%), dall’Artico canadese (20%), dalla Groenlandia (13%) e dalle Ande meridionali (10%). A livello regionale, la più grande scomparsa di massa di ghiaccio si è verificata nelle Alpi (39%). È proprio nelle regioni alpine che si prevede la quasi totale scomparsa dei ghiacciai entro la fine del secolo.

Un’immagine del ghiacciaio Harding (catena montuosa di Kenai), in Alaska. L’Onu ha dichiarato il 21 marzo di ogni anno «Giornata mondiale dei ghiacciai». Il 2025 è anche l’«Anno internazionale per la preservazione dei ghiacciai». (Foto Paolo Moiola)

Ghiacciai e calotte glaciali immagazzinano circa il 70% dell’acqua dolce globale, rifornendo attualmente almeno due miliardi di persone. Il loro scioglimento minaccia, quindi, la sicurezza idrica. Ma le conseguenze non si fermano a questo. La perdita di massa potrebbe contribuire a un innalzamento del livello del mare fino a circa 20 centimetri entro fine secolo. Inoltre, la riduzione del permafrost avrà implicazioni dirette sulla stabilità di terreni e costruzioni e porterà al rilascio di gas serra (ma anche di agenti patogeni) intrappolati nel suolo ghiacciato.

I periodici rapporti dell’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) confermano che la situazione è grave e molto probabilmente compromessa. Eppure, la politica ha scelto di essere cieca. Per esempio, Donald Trump ha sempre sostenuto che il cambiamento climatico è una bufala («It’s a hoax»). Così, appena entrato alla Casa Bianca (lo scorso 20 gennaio), ha firmato un ordine esecutivo per uscire dagli accordi sul clima di Parigi e uno anche per l’Alaska, la terra dei ghiacciai. L’obiettivo di questo secondo viene dichiarato fin dalle prime righe: «Lo Stato dell’Alaska detiene una riserva abbondante e in gran parte inutilizzata di risorse naturali […]. È pertanto imperativo revocare immediatamente le restrizioni punitive attuate dalla precedente amministrazione». Quelle definite «restrizioni punitive» sono divieti e limiti fissati dall’ex presidente Biden per proteggere e preservare un ambiente unico ma molto delicato come quello dell’Alaska.

Paolo Moiola




Mondo. Un grado e mezzo

 

È già accaduto: la soglia di 1,5 gradi centigradi è stata superata. Nei giorni scorsi, più organizzazioni scientifiche hanno annunciato che la temperatura media della Terra è salita oltre quel valore limite che, nel 2015, quasi 200 paesi avevano accettato firmando l’accordo di Parigi sul clima.

Lo scorso 10 gennaio, Copernicus, il programma di osservazione della Terra dell’Unione europea, ha divulgato un report drammatico sul clima del 2024: «Sono stati battuti – si legge – molteplici record globali, per i livelli di gas serra e per la temperatura dell’aria e della superficie del mare, contribuendo a eventi estremi, tra cui inondazioni, ondate di calore e incendi boschivi. Questi dati evidenziano gli impatti accelerati del cambiamento climatico causato dall’uomo».

Secondo gli scienziati, anche i recenti devastanti incendi di Los Angeles sono stati favoriti dai cambiamenti climatici. La rivista «Nature», una delle più prestigiose riviste scientifiche del mondo, ha commentato (10 gennaio) che «il mondo si sta muovendo in territorio pericoloso, forse più rapidamente di quanto si pensasse in precedenza». Tuttavia, ha osservato che la media decennale rimane ancora sotto il limite di 1,5 gradi. Ma per non indulgere in ottimismo precisa che, quando anche la media decennale sarà superata, «il pianeta avrà accumulato ancora più calore, amplificando ulteriormente violente tempeste e incendi, danni all’ecosistema e innalzamento del livello del mare».

Sulla stessa linea l’ultimo rapporto di «The Lancet» su salute e cambiamento climatico (datato 9 novembre 2024) secondo il quale «in tutto il mondo le persone stanno affrontando minacce da record per il loro benessere, la loro salute e la loro sopravvivenza a causa del rapido cambiamento climatico. Dei 15 indicatori che monitorano i rischi per la salute, le esposizioni e gli impatti correlati al cambiamento climatico, dieci hanno raggiunto nuovi record preoccupanti nell’ultimo anno di dati». Per esempio, la mortalità correlata al calore per le persone di età superiore ai 65 anni è aumentata del 167% rispetto agli anni Novanta. Allo stesso modo, è aumentato il rischio di stress da calore per le persone che praticano attività fisica all’aperto e le ore di sonno perse.

Inoltre, si legge ancora nel rapporto di The Lancet, le condizioni meteorologiche più calde e secche hanno contribuito ad aumentare il numero di persone esposte a concentrazioni di particolato pericolosamente elevate. Nel frattempo, i cambiamenti delle temperature e delle precipitazioni stanno favorendo la trasmissione di malattie infettive come la dengue, la malaria, la malattia correlata al virus del Nilo occidentale e la vibriosi, «esponendo le persone al rischio di trasmissione in luoghi precedentemente non colpiti».

Insomma, la comunità degli scienziati e dei ricercatori sta facendo quanto di sua competenza per mettere in guardia e affrontare il cambiamento climatico. Anche papa Francesco lo ripete praticamente in ogni occasione pubblica. «Abbiamo il dovere – ha detto nel discorso al corpo diplomatico (9 gennaio) – di esercitare il massimo sforzo per la cura della nostra Casa comune e di coloro che la abitano e la abiteranno». Molto meno attenta e reattiva è, invece, la parte politica.

Donald Trump, il nuovo presidente Usa, è da sempre un negazionista climatico. Dal canto suo, anche l’Europa, il continente con le normative ambientali più stringenti, pare avere un ripensamento sulla spinta dei partiti sovranisti. Per tutto questo, per la questione climatica le prospettive presenti e future non appaiono per nulla incoraggianti.

Paolo Moiola