Cari Missionari: ancora di «apparizioni», e poi di «nei cieli» e altro

Lettere di lettori con (possibile) commento del Direttore |


A proposito di apparizioni e di scritti di Maria Valtorta

Sfogliando la rivista di marzo ha attirato la mia attenzione l’articolo che tratta di apparizioni e veggenti. Ora, nessuno pretende che la Chiesa dia con facilità il suo benestare a fatti soprannaturali che richiedono tempo, verifiche, ed anche un pizzico di umiltà; tuttavia, è innegabile, e pare non essere una mera coincidenza, il fatto che le frequenti apparizioni della Vergine si verifichino in un periodo storico particolarmente difficile a persone semplici, talvolta illetterate, anziché a teologi o uomini di Chiesa. La presenza della Mamma che cammina con noi, che ci consola ed esorta a «fate quello che Egli vi dirà», rafforza la necessità di credere sempre più fermamente nella centralità di Cristo nella vita del suo popolo. Per quanto riguarda la collana del «Poema dell’Uomo-Dio» di Maria Valtorta, che mi era stata consigliata da un sacerdote negli anni ’90, posso dire che la sua lettura mi ha avvicinata ancora di più, se possibile, al Vangelo. Con osservanza e gratitudine, e con preghiera di pubblicazione,

Pasquina Angheben – 13/03/2018

[…] perché nella posta dei lettori sotto il titolo «A proposito di apparizioni e veggenti», il rev. don Paolo Farinella, ha toni così duri e drastici nei confronti di apparizioni della Madonna, comprese quelle riconosciute «che dicono sempre le stesse cose ormai da secoli…», e poi contro Maria Valtorta citando ben due divieti del Santo Uffizio, ma tralasciando l’autorizzazione ufficiale di Pio XII che il 26 febbraio 1948 ha dichiarato all’Editore Emilio Pisani: «Pubblicate quest’Opera così come sta, senza pronunciarvi a riguardo dell’origine straordinaria o meno di essa: chi legge, capirà»?

Qui appare evidente un conflitto molto grave tra l’autorizzazione del Papa Pio XII e il Santo Uffizio, che può pericolosamente dividere i credenti lettori della Valtorta. Suggerisco sia bene esaminare la questione direttamente col Centro Editoriale Valtortiano […].

A me le pubblicazioni della Valtorta hanno fatto un bene grandissimo, senza entrare in conflitto col Vangelo, né con l’autorità della Chiesa. I suoi libri li avevo acquistati tutti e continuo a leggerli da anni: non sono una nuova rivelazione, ma un dettaglio delle pagine dei Vangeli per renderci più forti di fronte alle assillanti provocazioni e tentazioni che il demonio quotidianamente ci pone. Riconoscendo il Bene ricevuto, sarei dunque io fuori della Chiesa? e le ormai migliaia di lettori sparsi nel mondo sarebbero anche loro tutti fuori della Chiesa? sarebbe un male enorme. […] Cordiali saluti

Graziano Grua – Torino, 10/03/2018

Gent.mo Direttore,
non è nella mia natura fare polemiche, né perdere e far perdere tempo in tal senso. Tuttavia, quanto descritto sulle opere valtortiane in MC di marzo merita, per verità, di essere rettificato e completato. Tali opere e la loro autrice non hanno subito nessuna condanna né stroncatura definitiva da parte della Chiesa.

Anzi, l’allora arcivescovo Mons. Dionigi Tettamanzi, (in una lettera ufficiale come Segretario generale della Conferenza episcopale italiana all’editore dei volumi, ndr) il 6 maggio 1992 precisa che «Proprio per il vero bene dei lettori e nello spirito di un autentico servizio alla fede della Chiesa, sono a chiederLe che, in un’eventuale ristampa dei volumi, si dica con chiarezza fin dalle prime pagine che le “visioni” e i “dettati” in essi riferiti non posso­no essere ritenuti di origine soprannaturale, ma devono essere considerati semplicemente forme letterarie di cui si è servita l’Autrice per narrare, a suo modo, la vita di Gesù».

Questo va detto, anche per giustizia nei confronti dei tanti estimatori che nelle opere valtortiane hanno trovato e trovano motivi significativi di edificazione spirituale. Tutto questo sempre all’interno della Chiesa e senza nulla voler togliere alle fondamenta del Vangelo.

Gianluigi Martini – 10/03/2018

Caro direttore, posso aggiungere anch’io qualche riflessione? Premetto: non sono un esperto di apparizioni mariane né di Maria Valtorta, ma uditore. Perché tanta acidità di don Paolo riguardo alle anche odierne apparizioni mariane? La Madre della Consolazione avrà qualcosa di urgente da dirci, non crede? Altrimenti dobbiamo pensare che una qualche «emanazione proveniente da non si sa dove» fa cose senza senso da almeno due/trecent’anni, razionalmente parlando. A dire il vero, anche Mosè, Noè, Elia, Isaia, tantissimi altri compresi i Santi, hanno ricevuto apparizioni e rivelazioni, private e pubbliche. La stessa Maria allora giovanissima, Giuseppe suo sposo (si ricorda? «…in sogno gli disse “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria”» Mt 1,20-21. In sogno, pensi! […]

In quanto a Maria Valtorta […], nell’articolo suddetto vedo imprecisioni. La chiesa non si è espressa due volte ma tre:

  • Decreto del Sant’Uffizio del 16 dicembre 1959, giustificato con un articolo su L’Osservatore Romano del 6 gennaio 1960;
  • Lettera del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede del 31 gennaio 1985;
  • Lettera del Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana del 6 maggio 1992.

Tutti e tre i suddetti documenti non denunciano neppure un errore in materia di fede e di costumi, che è la sola materia nella quale la Chiesa può pronunciare un giudizio di condanna.

Il primo documento era, invece, di condanna, e lo affiancava un articolo giustificativo che si sviluppava in quattro parti. Chiunque può leggere nel suddetto sito (quello dell’editore dei libri di Maria Valtorta, ndr) le 35 righe al riguardo. Molto precise, leggermente canzonatorie. Li capisco. Li dentro ci sono le famose ponderate motivazioni (non prese alla leggera).

Non dimentichi che l’Index (Indice dei libri proibiti) è stato abolito, pur mantenendo la sua validità morale. […] Sia chiaro che il di allora (31 gennaio 1985) prefetto (e mi onoro di essere suo ammiratore, anche e soprattutto come Papa) Ratzinger, nella sua informativa all’arcivescovo di Genova, card. Siri, bene ha fatto a squillar la tromba «al fine di neutralizzare i danni che tale pubblicazione può arrecare ai fedeli più sprovveduti». A me e a tantissimi altri, di tutto il mondo ormai, l’avvertimento non serve. Non facciamo parte di quella credo sparutissima cerchia. Ammesso che non sia nel frattempo svanita nel nulla.

Vede caro direttore che, come scrive infine lei, i volumoni sono serviti eccome! Hanno aiutato perfino le missioni, no? Buona Pasqua a tutti

Emiliano Vettori – Rovereto, 18/03/2018

 

Abbiamo pubblicato qui le parti più rilevanti di alcune email ricevute dopo la pubblicazione in queste pagine della risposta di Paolo Farinella circa «apparizioni e veggenti». Grazie a chi ci ha scritto.

Preciso subito che non abbiamo nessuna questione aperta con il Centro Editoriale Valtortiano e che non è nostra intenzione far guerra ad apparizioni e veggenti. Anche luoghi di apparizioni molto discutibili (potrei citarne più di uno) sono diventati luoghi di autentica devozione e preghiera una volta riportati nel seno della vera comunione con la Chiesa. Le vie di Dio e della Madre del Signore sono davvero infinite.

Quanto alla questione sollevata dal nostro testo di marzo, la risposta si trova proprio in quanto scritto dai nostri lettori, quando citano l’intervento del cardinal Dionigi Tettamanzi, che, in veste di vescovo segretario della Cei, scrisse all’editore dei libri di Maria Valtorta che quegli scritti «non posso­no essere ritenuti di origine soprannaturale, ma devono essere considerati semplicemente forme letterarie». Questo vale per i testi in questione, come per altri che hanno spopolato o continuano a spopolare oggi.

Dove ci sono le vere apparizioni, quelle riconosciute dalla Chiesa – come Fatima e Lourdes -, le parole attribuite a Maria, la Madre di Gesù, stanno in pochi fogli e non hanno bisogno di volumi.

Permetteteci (oso parlare anche per Paolo Farinella!) allora di sentirci a disagio quando leggiamo che «Gesù ha detto» o «Maria ha ammonito», o cose simili. Rendo lode al Signore perché ha ispirato e ispira persone a scrivere cose belle su di Lui, su sua Madre, sulla sua Sposa, la Chiesa. Possono fare tanto bene, perché così il messaggio della Parola del Vangelo viene reso accessibile a ciascuno secondo la sua sensibilità e capacità. Il buono e il bello si prendono da tutti, anche da chi non crede.

La «Parola di Dio», però,  è una cosa, mentre i commenti, le letture spirituali, i colloqui spirituali, le storie romanzate, i video e i film sui Vangeli sono un’altra. Lo Spirito Santo soffia in molti modi, anche oggi, per aiutarci a capire e vivere nel nostro tempo la Parola di Gesù.


Che significa «nei cieli»?

Al prete Paolo Farinella, […] i suoi articoli sulla preghiera sono tutti molto interessanti. Quello su «Pregare Dio senza dargli riposo» (MC, marzo 2018) è molto bello. Le dico come la penso io: sarei certamente ateo (o agnostico) se non fosse che c’è il Vangelo di Gesù. È solo per questo motivo che sono un «cristiano dubbioso». Detto tutto questo, vorrei venire alla mia domanda che riguarda la preghiera principe, cioè il Pater noster. In questa preghiera c’è due volte la parola «cielo», una volta (al plurale) come luogo in cui sta Dio, e una volta come luogo in cui la volontà del Padre viene fatta. La mia domanda è: che cosa è questo cielo / cieli? Le invio cordiali saluti.

Carlo May – 17/03/2018

Risponde Paolo Farinella.

Caro Sig. Carlo,
la parola «cieli» deve essere intesa e letta nel senso della cosmogonia orientale che è tripartita: il cielo (alto), la terra (piatta) e gli inferi (sottoterra). La si trova anche nella struttura della Divina Commedia.

Di conseguenza «Padre nostro che sei nei cieli» (plurale in greco) è equivalente di «Dio altissimo». «Sia fatta la tua volontà così in cielo come in terra» è una espressione idiomatica semitica che per esprimere la totalità di qualche cosa la comprende tra due «estremi opposti», in questo caso «cielo e terra» per dire sempre (significato temporale) oppure ovunque / dappertutto (significato locativo). Poiché Dio è creatore di tutto, cioè del «cielo e della terra», la sua volontà (di salvezza) non può essere estranea al mondo creato, cioè al cielo, alla terra e al sotto-terra.

Per dire che una persona deve pregare sempre si dice «quando siedi e quando ti alzi», o anche «quando entri e quando esci», che significa «in ogni momento» dell’attività quotidiana.

Si usa anche l’espressione Regno di Dio, usata da Marco e Luca che parlano a cristiani non provenienti dall’ebraismo. Al contrario Matteo predilige l’espressione Regno dei cieli perché parla ad Ebrei divenuti cristiani. Il significato è lo stesso, ma nel secondo caso, Matteo, usa il modo ebraico di utilizzare parole alternative per non nominare il nome di Dio. Di conseguenza «Regno dei cieli» è usata per non nominare il nome di Yhwh-Dio, come era usanza al tempo di Gesù e ancora oggi. L’espressione non ha niente a che vedere con re, regine, principi e baroni, essa significa nel Nt «un nuovo modo di relazionarsi nell’accogliere il progetto del nuovo mondo proposto da Gesù con l’annuncio del Vangelo», per cui è un invito a noi a cambiare mentalità, modalità di stili di vita e aprirci alla prospettiva di Dio che vuole aiutarci a modificare radicalmente i rapporti interni all’umanità. Tiri lei le conclusioni davanti alla povertà, agli immigrati, all’emarginazione, ai bisogni dei sempre più poveri. Il resto è superfluo.

Un caro saluto, sperando di essere stato chiaro.

Paolo Farinella, prete


«Dio è donna»

Ho letto con molto interesse l’articolo «Crateùs, dove Dio è donna», pubblicato in MC di marzo […]. Il titolo mi ha riportato a uno spettacolo singolare a cui avevo assistito nel dicembre 1999 in Karnataka, nel profondo sud dell’India, dove stavo vivendo una straordinaria esperienza in un lebbrosario.

Una giovane suora mi chiese se mi sarebbe piaciuto assistere ad una rappresentazione, interpretata da giovani seminaristi, in cui si voleva dimostrare come Dio, uomo nell’immaginario comune, potesse in realtà essere tutto e il contrario di tutto. Intelligenza Suprema, termine femminile, perché non donna? Per carità, quei giovani seminaristi, ovviamente tutti maschi, ce la misero tutta per rendere credibile questa ipotesi, anche se non tutto era facilmente comprensibile, poiché alcuni brani erano recitati in lingua locale. Ma in quel Dio, in abiti europei, pesantemente truccato per accentuarne la femminilità, avrei avuto non poche difficoltà a credere. Cordiali saluti

Mario Beltrami – 06/03/2018


Tra Pil e Grecia malridotta

Un suggerimento per l’ottimo Gesualdi: durante la Belle Époque nessuno sapeva cos’era il Pil, e del debito pubblico non si sapeva bene l’ammontare, perché la maggior parte era irredimibile, cioè si pagavano solo gli interessi e il capitale mai: chi ne aveva bisogno, vendeva il suo titolo di “rendita” in borsa. Eppure, col debito pubblico si armavano eserciti e marina, si dotavano le città di fogne e acquedotti, si costruivano ferrovie, porti e strade.

Grecia: si, certo, sono malridotti. Ma ci sarebbe da capire perché il Portogallo, che ha più o meno gli stessi abitanti, sembra uscito dalla crisi e loro no. Forse perché la Grecia ha sempre mantenuto un esercito spropositato e avevano il vizio a ogni elezione di assumere migliaia di dipendenti pubblici senza neanche dargli un ufficio, perché non c’era lavoro, ma solo lo stipendio in premio del lavoro elettorale. E perché nei supermercati non vediamo mai roba greca e, quando c’è, è piuttosto cara. E quanto del debito pubblico è stato destinato al colossale furto delle Olimpiadi da parte degli impresari greci

Claudio Bellavita – 07/03/2018


In moto per la Mongolia

Agosto 2018. Per tre brianzoli quest’anno le vacanze non saranno solo svago e relax, ma diventeranno il momento per concretizzare un impegno di solidarietà.

Progettando un viaggio nel fascino della sterminata Mongolia, Gianni Cagnetta, Sigfrido Martinelli ed Edoardo Casiraghi hanno conosciuto padre Giorgio Marengo e hanno capito il vero senso della loro partenza.

Non poteva non toccare il loro cuore il progetto di un italiano come loro, che tanto sta costruendo in un luogo così lontano.

E i brianzoli, si sa, anche quelli d’adozione, non conoscono altro modo per fare le cose: farle e farle bene.

Skype e mail fanno sentire tutto a portata di mano, padre Marengo è dietro un video che racconta e in un attimo diventi parte della scena. Una realtà dai colori così vivi non può non chiamarti ad essere protagonista.

Così, detto e fatto: le moto partiranno un mese prima, con una spedizione dedicata su un camion. Centauri e destrieri si ritroveranno a Ulan Bator da cui inizieranno il periplo di seimila chilometri attraverso la Mongolia per raggiungere poi Arvaiheer e la missione, dove resteranno una settimana.

Intanto è partita la macchina organizzativa. La pagina dal titolo «La motocicletta: un diario, una passione, una missione», è attiva su Facebook per raccogliere consensi e compagnia nella fatica, ma soprattutto i fondi per arredare la scuola materna di Arvaiheer. E allora, avanti insieme.

Le donazioni potranno essere effettuate sul conto di Missioni Consolata Onlus (vedi pag. 83) specificando «in moto da padre Marengo». Grazie.

Maria Elisa Borrelli – 28/03/2018




Mongolia: diventare cristiani in un paese buddista

Testo e foto di Giorgio Marengo |


Il Triduo pasquale

Nel silenzio di un pomeriggio stranamente grigio per la polvere sollevata dal vento primaverile ci siamo trovati a pregare nella gher-cappella, la tenda mongola della parrocchia di Arvaiheer. Comincia il Triduo. Non doveva essere tanto diverso quel giorno, mentre i discepoli andavano alla sala superiore dove il Maestro li aspettava. Lui sapeva già, loro erano ignari. E nel giro di poco si son visti lavare i piedi, specchiandosi in quell’acqua sporca che era l’amore allo stato puro. Poi la cena ebraica, che però assume un significato nuovo, inaudito. Anche i cristiani e i catecumeni di Arvaiheer erano stupiti. Dall’acqua del catino a quella del fonte che dopo due giorni avrebbe irrigato la vita per farvi germogliare un rapporto nuovo con Dio Padre…

Il giorno dopo abbiamo contemplato Cristo che non scende dalla croce come i supereroi, ma accetta fino in fondo la condizione umana, arrivando addirittura a morire di morte violente. Esperienza molto provocatoria per gente abituata a valutare il favore di Dio dal successo mondano e da una vita tranquilla, lontana da malattie e sofferenze. Il cielo era ancora grigio; non c’è venerdì santo che non lo sia.

Poi il ritiro di sabato mattina. Una bella tradizione per aiutare i catecumeni a prepararsi al rito che si svolgerà quella sera e per disporre i battezzati a rinnovare la propria fede e ad accogliere i nuovi membri della comunità. Arriviamo sempre a questo momento con carichi di debolezze e anche di tensioni; sembra quasi che il diavolo ci metta la coda. E nel pianto liberatorio delle confessioni (due ore, nonostante la comunità cristiana non raggiunga le 30 unità e i sacerdoti siano due!) il miracolo di quel perdono che poi ci scambiamo in cappella con un gesto il più possibile concreto. Quest’anno ognuno doveva andare da tutti gli altri e dirgli due parole, “scusami” e “grazie”, prima di abbracciare e farsi abbracciare dall’altro. Altre lacrime e singhiozzi: se la fede non passa anche da questa dimensione emotiva rimane astratta, mentre qui c’è bisogno di tanta concretezza. Persone che per screzi e incomprensioni si ammalano letteralmente (l’espressione che usano è “essere entrati nella bocca di un altro”), tentando il ricorso a lama buddisti e a sciamani perché risolvano “magicamente” quelle loro tensioni, scoprono una profonda liberazione quando riescono a guardarsi in faccia e a perdonarsi, nel nome di Colui che per primo si è fatto carico dei loro fardelli spirituali.

Pasqua, passaggio

Qui la Pasqua è davvero passaggio. Ognuno lo percepisce a modo suo. I 4 adolescenti (tra i 15 e i 18 anni) che hanno fedelmente seguito i due anni di preparazione prescritti dalle disposizioni della Chiesa locale lo vivono come coronamento di un cammino, ingresso nella comunità degli “adulti” credenti.

Chuluuntsetseg è una signora di 50 anni, che conosce da tempo la nostra comunità dove i suoi due figli sono cresciuti, prima di andare a cercare fortuna a Ulaanbaatar. Per lei è stato un avvicinamento lento e progressivo, finché alcuni mesi fa si è chiesta “cosa le mancasse” a diventare cristiana, proprio come succedeva nelle prime comunità cristiane del libro degli Atti.

Baterdene ha una storia tutta sua. Ha 28 anni, 8 dei quali trascorsi tra un ricovero e un’operazione chirurgica, prima per un tumore al cervello, poi (l’anno scorso) per una grave deformazione alla colonna vertebrale, risolta con un intervento molto delicato reso possibile da un ospedale cattolico di Seoul; adesso sono 8 mesi che non esce di casa, perché il decorso post-operatorio è molto lento e delicato. Lui ha incontrato il Signore nella sofferenza e ha capito che c’è qualcuno disposto ad alleviarla per amore di Lui, proprio come i missionari e i professionisti cattolici che ha conosciuto. Debito di riconoscenza? Non solo, ma profonda attrazione, maturata negli incontri individuali che una catechista della nostra comunità ha portato avanti andando a visitarlo frequentemente e nella condivisione personale con il missionario.

Infine, Otgonerdene e Sainzaya, rispettivamente di 10 e 13 anni, cresciuti praticamente alla missione, ultimi figli di Gantulga e Uurtsaikh, coppia diventata cristiana in questi anni e che pochi mesi fa ha avuto la tragedia di un figlio morto suicida a 17 anni di età. Ci sono pressioni nella loro famiglia che vorrebbero interrompere il loro cammino di fede, preferendogli il culto sciamanico; ma loro sentono di dover invece completare la propria adesione a Cristo come famiglia intera, anche per sottrarsi ai malevoli influssi degli spiriti, da loro percepiti come molto vicini e incombenti.

La veglia pasquale.

Nelle prime ore del pomeriggio il cielo si è tinto di ocra e tutto è rimasto avvolto dalla polvere di una tempesta primaverile; si fa fatica a stare in piedi e soprattutto a non mangiare la troppa sabbia che scricchiola tra i denti. Il vento cala, senza però cessare e decidiamo di predisporre il fuoco nel punto in cui il muro della casa offre un riparo. Le fiamme s’innalzano non dalla legna, ma dallo sterco secco che una signora della comunità ha comprato per misericordia a una povera donna al mercato. Usukhjargal, il simpatico bimbetto di 8 anni battezzato da piccolo, suggerisce al papà di disporre lo sterco a forma di croce. Così è e poco dopo la luce entra nella gher buia, prima che Gantulga, da buon poeta e cantastorie, declami l’Exultet come fosse una lode mongola. La liturgia scorre armoniosa nelle sue varie parti, fino a quando i catecumeni sono invitati ad avvicinarsi alla grande pietra scavata a forma di croce appesa al tondo centrale della gher, àncora perché la struttura non voli via col vento e insieme legame simbolico dei mongoli tra la loro terra e l’amato cielo. La famiglia cattolica che vive nella steppa al confine col deserto del Gobi ha adesso 8 nuovi membri, che alla fine della celebrazione s’intrattengono per foto-ricordo e per scambiarsi auguri e benedizioni. Il ruolo dei padrini e delle madrine è molto sentito: sono loro ad offrire doni ai neo-battezzati e a riceverne in segno di riconoscenza per aver accettato di fare da guide nella fede.

Pasqua

La Pasqua ad Arvaiheer è così. Ci sono tante cose perfettibili, noi missionari e la gente ci portiamo appresso tanti limiti; eppure è sempre un miracolo di fede che commuove. La domenica di risurrezione i neofiti vengono in chiesa con le loro camicie bianche (realizzate dalle donne del progetto cucito, in perfetto stile mongolo). Dopo messa ci fermiamo a bere il suutei tsai (tè salato con latte) e per l’occasione facciamo anche pranzo a base di khushuur (frittelle di carne) cucinate da una signora della comunità. La vita da queste parti è dura, non concede tanta poesia; nei due giorni di tempesta di terra, i pastori hanno continuato a vegliare le greggi nel delicato momento dei parti primaverili. Non si fanno tanti complimenti, ci sarà da “resistere” di nuovo a tante prove; ma adesso queste persone hanno nel cuore una speranza nuova e sanno che il “Dio del Cielo” è sceso per loro e li ha presi con sé per accompagnarli ogni giorno, fino dentro all’eternità.

Giorgio Marengo
missionario della Consolata ad Arvaiheer, Mongolia


Pubblicato la prima volta il 03/04/2018 su Asia News




Cari missionari, lettere dai lettori

Usukhjargal

Usukhjargal è un simpatico bimbetto di 7 anni, che abita in una gher (la tradizionale tenda mongola) alla periferia di Arvaiheer, capoluogo polveroso della provincia dell’Uvurkhangai, in Mongolia, tra le montagne Khangai e la steppa che dirada verso il deserto. Ha l’occhio vispo di un bambino pieno di vita, mentre scende la collina stringendo la mano callosa di papà Jargalsaikhan che da tre anni aiuta noi missionari con i lavori manuali.

Sette anni fa i medici avevano sconsigliato alla mamma di portare a termine la gravidanza, sulla base di (presunte) mal-
formazioni, o più probabilmente perchè prevedevano un parto difficile, che avrebbe creato loro fastidi. Ed eccolo qui ora, saltando e correndo nel cortile della missione, con le immancabili gote rosse e il sorriso sulle labbra. I genitori sono stati così felici di averlo avuto che l’hanno ritenuto un dono di Dio e hanno chiesto per lui il battesimo quando aveva poco più di un anno.

È stato tra i bimbi del primo gruppo del nostro asilo informale ospitato in una gher dal 2013. L’asilo e iniziato con lui ed è un progetto che si sta rivelando molto positivo: sono molte le famiglie che per povertà ed emarginazione non riescono ad iscrivere i propri figli alle scuole materne statali. Così abbiamo pensato di crearne una con mezzi molto semplici e poco dispendiosi, valorizzando gli elementi culturali più sentiti, come appunto l’abitare nelle gher.

Usukhjargal adesso frequenta la seconda elementare, ma continua a venire tutti i giorni alla missione, dove si unisce agli altri bambini del doposcuola. In un’altra gher calda (anche quando fuori fa meno trenta) e accogliente, bambini e ragazzi delle scuole vengono a fare i compiti e a giocare, assistiti da due signore della comunità.

Il volontariato qui è ancora una novità, ma queste due mamme hanno capito che possono rendersi utili con quello che sanno fare e sono di esempio a tutti. Una di loro è Otgonbayar, la mamma di Usukhjargal. Cerchiamo così di promuovere la cultura della gratuità che fa ancora fatica ad affermarsi in un paese che sta emergendo da 70 anni di comunismo.

Due volte alla settimana Usukhjargal (insieme a tutti gli altri bambini e adulti che lo desiderino) viene a farsi la doccia alla missione, dove da otto anni è attivo un servizio di docce e bagni pubblici gratuiti. Nelle gher ovviamente non c’è acqua corrente e l’igiene personale è dunque ridotta al minimo, per non dire che è molto sacrificata.

All’asilo e al doposcuola cerchiamo di provvedere cibo buono e salutare, per supplire alle carenze vitaminiche di un’alimentazione poco variegata e talvolta insufficiente.

Un giorno, mentre Usukhjargal faceva la fila per lavarsi le mani prima di merenda, ho visto un bambino che gli bisbigliava all’orecchio. Mi sono avvicinato e ho sentito dire: «Sai che bello, mio papà adesso non beve più! Alla sera vediamo insieme la tv e non ci sono più urla e oggetti che volano dentro la  nostra gher…». È infatti un vero cammino di guarigione quello che il papà dell’amichetto di Usukhjargal ha intrapreso con un gruppo di uomini che si trovano regolarmente alla missione per cercare insieme una via che li faccia uscire dall’alcolismo, vera piaga sociale da queste parti. La missione è qui per tutti e può mettere in atto questi segni di prossimità e aiuto se è sostenuta da persone di buona volontà.

Guardando giocare Usukhjargal, non posso che ringraziare Dio per tutti coloro che in questi anni ci stanno permettendo di prenderci cura di lui e di tanti altri come lui, piccoli e grandi. È il miracolo della solidarietà che si rende concreto attraverso la Fondazione Missioni Consolata Onlus. Grazie.

Giorgio Marengo
Arvaiheer, 16/02/2018

Grazie per il dossier sui migranti

Buongiorno,
ho conosciuto la vostra bellissima rivista qualche anno fa, quando sono passato un po’ per caso alla Consolata con i miei studenti in visita di istruzione a Torino. Innamorato dei contenuti e del vostro stile, ho volentieri fatto l’abbonamento alla rivista, che ricevo e leggo sempre con attenzione.

In particolare ho trovato davvero fatto bene, sintetico ma insieme esaustivo, il dossier pubblicato nel numero di gennaio a firma di Daniele Biella, circa i migranti e il reportage dalla nave Aquarius. Poiché tratto spesso con i miei alunni temi che puntano a sensibilizzarli e a superare i molti, troppi luoghi comuni sull’argomento, vorrei poter diffondere il dossier a titolo informativo, anche in ambito comunale (sono consigliere comunale nel mio paese e accogliamo alcuni richiedenti asilo, ma con purtroppo molti pregiudizi tra i cittadini).

Dino Caliaro
27/01/2018

 

Grazie di cuore. Le ricordo che dal nostro sito è possibile scaricare il dossier come pdf e poi stamparlo.

Preghiere e novene

Gentilissimi,
seguo sempre con grande interesse la vostra rivista. Volevo dare un mio piccolo contributo inoltrandovi alcune preghiere, orazioni, novene a cui sono legate promesse molto potenti e/o grandi indulgenze. Ovviamente non è mia intenzione dirvi cosa dovete o non dovete pubblicare, solo queste preghiere mi hanno aiutato molto e credo possano aiutare anche tante altre persone. Così ho pensato di suggerirvene alcune, che magari già conoscerete o già avrete pubblicato, sperando arrivino a quante più persone possibile. Sperando di fare cosa gradita ringrazio in anticipo per l’attenzione e porgo distinti saluti

Monia
27/02/2018

Cara Monia,
le confesso che quando ho ricevuto la sua email con la lista di ben ventitré novene e preghiere (da quella – a me ignota – alla «Sacra Spalla» alla «Via Crucis» – che con le novene ha ben poco da spartire), il primo pensiero è stato «un altro spam. Cestina». Poi ci ho ripensato perché poteva diventare un’opportunità per questa pagina di dialogo con i lettori. Il tema della preghiera, sul quale ormai da oltre un anno sta scrivendo don Paolo Farinella, sta suscitando molto interesse perché tocca il cuore della vita cristiana. In questo contesto è abbastanza chiaro che stiamo cercando di proporre uno stile di preghiera biblicamente e liturgicamente fondato, provando a evitare devozionalismi e pietismi, pur rispettando la vera «pietà popolare» e le sue ricche tradizioni.

Noi che viviamo dopo il Concilio Vaticano II abbiamo ricevuto un dono grandissimo: quello dell’Eucaristia – la «messa» – che è passata da «rito e obbligo» a «celebrazione e incontro» di salvezza nello spezzare la Parola (finalmente comprensibile a tutti) e il Pane. L’Eucarestia è al cuore della nostra preghiera, tutto il resto viene da quel fare memoria viva della Pasqua e alla messa tutto ritorna per diventare offerta gradita a Dio.

Le «preghiere, orazioni, novene a cui sono legate promesse molto potenti e/o grandi indulgenze», possono anche aiutare, ma hanno il rischio di mantenere in noi una falsa concezione di Dio, un Dio che ha ripetutamente bisogno di essere supplicato e che ascolta solo se si recitano con fedeltà e insistenza certe formule.

Che contrasto tra la prolissità e ripetitività di molte novene e la sobrietà della preghiera di Gesù. Ai discepoli che gli chiedono «insegnaci a pregare» (Lc 11,1-4), lui offre solo la brevissima preghiera del «Padre», senza fare promesse, senza mettere condizioni né sul numero di volte né per quanti giorni né sulle modalità (in piedi, seduti, inginocchiati…).

Quando Gesù dorme sulla barca nella tempesta (Mc 4, 37-40 – figura della Chiesa e di noi nelle difficoltà della vita) ai discepoli spaventati non dice di pregare i salmi, di fare rituali, di recitare speciali invocazioni: chiede solo di avere fede.

E quando nella stessa barca vanno in panico perché non hanno «pane» (Mc 8,14-21) li rimprovera perché «non hanno capito» il miracolo del pane, cioè l’Eucarestia, il «Pane di vita» spezzato per noi e sempre presente in mezzo a noi. Anche per noi, nelle acque tempestose dei nostri tempi, la forza viene dalla fede che sostiene la nostra preghiera, non dal numero e tipo di preghiere che recitiamo. Gesù ci ha fatto una promessa: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Impariamo a camminare con lui, sapendo che c’è sempre, anche se a volte sembra dormire.

Galeano

Eduardo Galeano (AFP files / Pabro Porciuncola)

Solo adesso ho letto l’articolo su Galeano, contenuto nel numero di dicembre della rivista. Sono allibito nel leggere le dichiarazioni di Gianni Minà sul Venezuela, e soprattutto a leggerle su una rivista come Missioni Consolata. Quanto viene detto dai giornali occidentali, compreso il nostro Avvenire, sulla disastrosa situazione dei diritti umani dei venezuelani viene trattato con disprezzo dal giornalista. Le recenti elezioni della Costituente sono state vinte da Maduro? Ma queste elezioni sono state illegali, il presidente Maduro non aveva nessun diritto di eliminare il Parlamento, eletto comunque democraticamente, in un paese dominato prima da Chavez e adesso dall’ex camionista Maduro, e di sostituirlo con la Costituente. L’opposizione non ha potuto fare niente per fermare lo strapotere dei chavisti e decine di persone sono state uccise dalla polizia durante le manifestazioni di protesta in difesa della democrazia. I venezuelani sono alla fame, già decine di bambini sono morti di stenti e la colpa non è certo dei cosiddetti «servizi di intelligence nordamericani». La colpa è dell’arroganza del potere e dell’incapacità di far fronte ai bisogni della popolazione, ridotta a fare lunghissime code di fronte a negozi che non hanno quasi nulla da vendere. D’altronde, Gianni Minà è ben conosciuto per la sua amicizia con Fidel Castro prima e adesso con Raùl, il fratello che ha preso il potere. I cubani stanno un po’ meglio dei venezuelani, per loro fortuna, ma Gianni Minà non dovrebbe dimenticare che i Castro hanno accumulato un’immensa fortuna nel povero paese caraibico; l’attuale presidente Castro controlla direttamente tutta l’economia cubana, e ne ha approfittato largamente. Non è la prima volta che su Missioni Consolata vengono pubblicati articoli molto discutibili, già anni fa avevo letto le lodi della «presidenta» cilena Michelle Bachelet che. come tutti sanno, è una sostenitrice della «salute riproduttiva», cioè dell’aborto. Ma che linea ha scelto Missioni Consolata? Il fondatore sarebbe d’accordo se fosse ancora vivo? Perché non vi leggete gli ottimi articoli che Avvenire ha dedicato alla crisi venezuelana? E l’Avvenire non è certo al servizio delle «agenzie di informazione nordamericane». Da una rivista cattolica mi aspetto come prima cosa un’informazione corretta, non di regime. Distinti saluti.

Franco Eustorgio Malaspina
Milano, 03/02/2018

Caro Sig. Malaspina,
grazie di averci scritto. Le confesso che mi ha sorpreso che sia «allibito» di fronte a quanto ha scritto Minà sul Venezuela visto che sembra conoscere le frequentazioni dello stesso e quindi sapere bene come la pensa. Circa la «presidenta» Michelle Bachelet (di cui abbiamo scritto nel maggio e giugno 2014) è certamente discutibile nel suo appoggio alla «salute riproduttiva», ma ha pagato con la prigione e la tortura il suo impegno politico, mentre il generale Pinochet, pur devoto della Madonna, non ha esitato a imprigionare, torturare e uccidere i suoi oppositori.

Non siamo né fans di Castro né di Chávez, tantomeno di Maduro. I Castro, come dice lei, hanno pur accumulato un’immensa fortuna, ma non risultano certo nella lista dei più ricchi del mondo. Quel signore che fa spedire pacchi a mezzo mondo e vuole mettere il «braccialetto» ai suoi operai perché lavorino «meglio», è immensamente più ricco di loro e di tanti altri.

Se poi ci segue in rete, avrà visto che sulla nostra pagina Facebook abbiamo segnalato più e più volte proprio le pagine di Avvenire sia sul Venezuela che su altre gravi situazioni del mondo. Ammetto che su questa rivista non abbiamo più pubblicato articoli specifici sulla situazione di quel paese (l’ultimo è dell’agosto 2016). E questo è un errore, anche se continuiamo a seguirne la drammatica situazione grazie ai nostri missionari e agli amici che abbiamo sul posto.

Che direbbe poi il nostro Fondatore? Nel nostro piccolo, noi cerchiamo di fare un’informazione documentata e approfondita che permetta al lettore di farsi la sua opinione su situazioni, fatti e persone. Su questo l’Allamano non penso avrebbe da obiettare. Scriviamo «slow news» (facendo il verso al fast food) proprio perché non vogliamo imporre niente a nessuno, ma servire la verità con una speciale attenzione ai poveri, agli emarginati e a quelli che sono ignorati dalla grande comunicazione. Non siamo esenti da errori e possiamo sbagliare. Riportare fatti e opinioni di persone che non vivono o sono contro i principi cristiani non è sposarne le idee e rinunciare alla nostra fede e religione. Siamo pronti a essere corretti e a confrontarci su fatti e idee. Per questo la ringraziamo ancora della sua email.

Petrolio causa di tensioni nel mondo

Nell’articolo sull’Ecuador (MC 12/2017) si parla della curiosa proposta dell’ex presidente Correa di chiedere un contributo alla comunità internazionale per non estrarre petrolio da una zona ecologicamente sensibile. Non si vede bene quale comunità sarebbe interessata a dare un contributo a un presidente sudamericano, che poi potrebbe diventare un Maduro, il quale forse si fa pagare in proprio per non estrarre più il petrolio venezuelano, convenientissimo ma con aziende in preda al marasma e con attrezzature che mancano anche dell’ordinaria manutenzione.

Ma probabilmente sono interessate le banche Usa che han prestato i soldi alle società che praticano il fracking devastando l’Ovest di Usa e Canada, ma assicurando loro l’autonomia energetica. Se il petrolio scende stabilmente sotto i 50 euro falliscono sia le società che le banche, e finora l’unico costosissimo sistema di non farlo scendere è di impedire la produzione in Iraq e Siria, attizzando continue complicatissime guerre, e possibilmente d’ora in poi razionare gli acquisti dall’Iran. E mantenere uno stato di tensione che impedisca anche solo di progettare un investimento per l’estrazione sottomarina dal Mediterraneo orientale, tra Cipro e l’Egitto, l’area più incasinata del mondo, ma con petrolio e gas molto convenienti.

Claudio Bellavita
02/02/2018

Lascio la risposta a Paolo Moiola, autore dell’articolo.

La proposta dell’ex presidente Correa è stata ritirata dallo stesso (quando era ancora in carica) a causa della scarsa risposta avuta a livello internazionale. L’idea era rivoluzionaria in quanto avrebbe consentito di salvaguardare uno scrigno mondiale di biodiversità qual è quella parte di Amazzonia ecuadoriana. Senza parlare della mancata emissione di CO2 nell’atmosfera che avrebbe contribuito a mitigare le conseguenze del cambio climatico. Quanto all’eventuale trasformazione di Correa, egli non è più presidente e vive in Belgio, paese della moglie. Dunque, il rischio che diventi un altro Maduro – come paventa il lettore – non sussiste.

 




Kharkhorin e Torino: un patto per il dialogo


Il giorno 9 novembre, presso la Sala del Consiglio del Comune di Torino, comunemente conosciuta come “Sala Rossa”, è stato firmato il Patto di Collaborazione fra il capoluogo piemontese e la città di Kharkhorin (Mongolia). Con questo atto pubblico, La Sindaca di Torino, Chiara Appendino, e il Sindaco della cittadina mongola, Enkhbat Lamzav, si sono impegnati, a nome delle due cittadinanze, a permettere un interscambio maggiore fra i due paesi, soprattutto nei campi della cultura e del turismo.

Negli antichi scranni in cui, in pieno Risorgimento, si sedette Cavour, è stata ospitata una piccola delegazione di amici, parenti e invitati vari, tra cui anche i Missionari e le Missionarie della Consolata.

Entrambi gli Istituti sono presenti in Mongolia dal 2003, nella capitale Ulaanbaatar e nella cittadina di Arvaikheer, capitale della Provincia di Uvurkhangai, ubicata nel centro del paese, a poche decine di chilometri dall’inizio dell’immenso deserto del Gobi.

Della stessa provincia fa parte anche Kharkhorin, l’antica Karakorum, prima capitale dell’impero mongolo per volere dello stesso Genghis Kahn. La città conserva oggi un’impareggiabile importanza culturale, religiosa (e di conseguenza, turistica) per chi vuole capire la storia di questo paese e, più in generale, dell’Asia centrale. Un interessante museo storico-archeologico guida il visitatore alla riscoperta di questo luogo che varie squadre di archeologi stanno cercando di riportare alla luce, con difficoltà, ma anche con interessanti risultati. Una delle principali fonti di riferimento è il diario scritto da un frate francescano italiano, Giovanni di Pian del Carpine che visitò la zona come legato papale in missione presso la corte del Khan mongolo. Il racconto dettagliato di questa impresa, che risale al XIII secolo, parla della compresenza pacifica e tollerante in Kharkhorin di un grande tempio buddhista, di una moschea islamica e di una chiesa cristiana nestoriana. Questo mirabile esempio del passato ha molto da dire anche al tempo presente, in cui le religioni sono usate sovente per dividere anziché unire i popoli nella ricerca della pace.

Sin dall’inizio della loro presenza in Asia, i Missionari e le Missionarie della Consolata hanno ritenuto che il dialogo, alimentato dalla conoscenza delle tradizioni religiose presenti sul territorio, sia fondamentale per l’evangelizzazione, ma anche per una vera collaborazione nel quotidiano, in vista del bene comune. A questo scopo, studio e ricerca a tavolino sono molto importanti; ciò che tuttavia conta maggiormente sono le relazioni fratee di rispetto e amicizia, che nascono da una frequentazione reciproca protratta nel tempo. In Mongolia è quanto essi cercano di fare, sia con gli amici buddhisti (monaci e semplici fedeli) sia con chi segue altre forme religiose, come lo Sciamanesimo (che appartiene all’identità’ più ancestrale della Mongolia) e l’Islam (praticato soprattutto nell’ovest del Paese), sia con chi non aderisce a nessun credo religioso.

Il tentativo di assecondare il profondo desiderio di armonia e dialogo ha spinto Missionari e Missionarie a rivolgere verso Kharkhorin il loro sguardo, muovendo i primi passi verso la costituzione di un centro di dialogo interreligioso e di ricerca storico-culturale.

La Firma del Patto di Collaborazione è frutto dei contatti capillari che Padre Giorgio Marengo, Missionario della Consolata torinese, ha mantenuto vivi su entrambi i fronti, mongolo e piemontese. L’incontro del 9 novembre, infatti, porta a compimento i propositi messi sul tavolo soltanto l’anno scorso, durante una visita a Torino del Sindaco della Città di Kharkhorin, accompagnato dall’allora Vice Goveatore della provincia di Uvurkhangai, in occasione del Forum mondiale dello sviluppo economico locale.

Se l’aspetto turistico e commerciale di questo accordo è certamente molto importante, occorre sottolineare la forte componente culturale che sottostà a questa firma, come la stessa Sindaca di Torino ha sottolineato nel suo discorso di benvenuto. Non è un caso che, oltre al Sindaco di Kharkhorin, per la delegazione mongola erano presenti l’Ambasciatore della Repubblica di Mongolia a Roma, dott. Tserendorj Jambaldorj, il direttore del Museo di Erdene Zuu, Naigal Tumurbaatar e la direttrice del Museo di Kharkhorin, Narangerel Giina.

I due studiosi hanno avuto modo di parlare del patrimonio culturale che gestiscono durante l’inaugurazione della mostra fotografica “Un tesoro nella steppa. Il monastero di Erdene Zuu in Mongolia”, in esibizione al MAO, il Museo di Arte Orientale di Torino, fino a domenica 11 dicembre 2016. La splendida coice del MAO ha esaltato i colori delle immagini che raccontano la storia centenaria del più importante ed antico centro di spiritualità buddhista del paese.

La mostra, realizzata grazie alle fotografie messe a disposizione dall’archivio della Regione di Uvurkhangai, presenta l’importante monastero buddhista costruito nel 1586 da Avtai Khan, principe dei Khalkha, l’odiea Repubblica di Mongolia. Delimitata da una cinta muraria di 400 metri per lato, scandita da 108 stupa, l’area sacra di Erdene Zuu era caratterizzata da numerosi edifici religiosi, costruiti nell’arco di tre secoli con differenti stili architettonici. Oggi, grazie anche ai Missionari della Consolata, questo tesoro viene condiviso in Occidente.

Firma del patto di collaborazione tra la città di Torino rappresentata dalal sindaca Chiara Appendino e la città di Kharkhorin in Mongolia rappresentata dal sindaco l. Enkhbat.
Firma del patto di collaborazione tra la città di Torino rappresentata dalla sindaca Chiara Appendino e la città di Kharkhorin in Mongolia rappresentata dal sindaco Lamzav  Enkhbat. Padre Giorgio Marengo, imc, che ha il dialogo non solo come traduttore. (foto Marco Bello)

Firma del patto di collaborazione tra la città di Torino rappresentata dalal sindaca Chiara Appendino e la città di Kharkhorin in Mongolia rappresentata dal sindaco l. Enkhbat.

Firma del patto di collaborazione tra la città di Torino rappresentata dalal sindaca Chiara Appendino e la città di Kharkhorin in Mongolia rappresentata dal sindaco l. Enkhbat.

Firma del patto di collaborazione tra la città di Torino rappresentata dalal sindaca Chiara Appendino e la città di Kharkhorin in Mongolia rappresentata dal sindaco l. Enkhbat.

Firma del patto di collaborazione tra la città di Torino rappresentata dalal sindaca Chiara Appendino e la città di Kharkhorin in Mongolia rappresentata dal sindaco l. Enkhbat.

Firma del patto di collaborazione tra la città di Torino rappresentata dalal sindaca Chiara Appendino e la città di Kharkhorin in Mongolia rappresentata dal sindaco l. Enkhbat.


Inaugurazione al Mao di Torino della mostra fotografica sugli scaviu archeologici a Kharkhoin alla presenza di Giorgio Marengo, imc, e il sindaco di Kharkhorin, Enkhbat Lamzav. Per la delegazione mongola erano presenti l’Ambasciatore della Repubblica di Mongolia a Roma, dott. Tserendorj Jambaldorj, il direttore del Museo di Erdene Zuu, Naigal Tumurbaatar e la direttrice del Museo di Kharkhorin, Narangerel Giina
Inaugurazione al Mao di Torino della mostra fotografica sugli scavi archeologici a Kharkhoin alla presenza di Giorgio Marengo, imc, e il sindaco di Kharkhorin, Enkhbat Lamzav. Per la delegazione mongola erano presenti l’Ambasciatore della Repubblica di Mongolia a Roma, dott. Tserendorj Jambaldorj, il direttore del Museo di Erdene Zuu, Naigal Tumurbaatar e la direttrice del Museo di Kharkhorin, Narangerel Giina (foto Paolo Moiola)

Inaugurazione al Mao di Torino della mostra fotografica sugli scaviu archeologici a Kharkhoin alla presenza di Giorgio Marengo, imc, e il sindaco di Kharkhorin, Enkhbat Lamzav. Per la delegazione mongola erano presenti l’Ambasciatore della Repubblica di Mongolia a Roma, dott. Tserendorj Jambaldorj, il direttore del Museo di Erdene Zuu, Naigal Tumurbaatar e la direttrice del Museo di Kharkhorin, Narangerel Giina

Inaugurazione al Mao di Torino della mostra fotografica sugli scaviu archeologici a Kharkhoin alla presenza di Giorgio Marengo, imc, e il sindaco di Kharkhorin, Enkhbat Lamzav. Per la delegazione mongola erano presenti l’Ambasciatore della Repubblica di Mongolia a Roma, dott. Tserendorj Jambaldorj, il direttore del Museo di Erdene Zuu, Naigal Tumurbaatar e la direttrice del Museo di Kharkhorin, Narangerel Giina

Inaugurazione al Mao di Torino della mostra fotografica sugli scaviu archeologici a Kharkhoin alla presenza di Giorgio Marengo, imc, e il sindaco di Kharkhorin, Enkhbat Lamzav. Per la delegazione mongola erano presenti l’Ambasciatore della Repubblica di Mongolia a Roma, dott. Tserendorj Jambaldorj, il direttore del Museo di Erdene Zuu, Naigal Tumurbaatar e la direttrice del Museo di Kharkhorin, Narangerel Giina

Inaugurazione al Mao di Torino della mostra fotografica sugli scaviu archeologici a Kharkhoin alla presenza di Giorgio Marengo, imc, e il sindaco di Kharkhorin, Enkhbat Lamzav. Per la delegazione mongola erano presenti l’Ambasciatore della Repubblica di Mongolia a Roma, dott. Tserendorj Jambaldorj, il direttore del Museo di Erdene Zuu, Naigal Tumurbaatar e la direttrice del Museo di Kharkhorin, Narangerel Giina

Inaugurazione al Mao di Torino della mostra fotografica sugli scaviu archeologici a Kharkhoin alla presenza di Giorgio Marengo, imc, e il sindaco di Kharkhorin, Enkhbat Lamzav. Per la delegazione mongola erano presenti l’Ambasciatore della Repubblica di Mongolia a Roma, dott. Tserendorj Jambaldorj, il direttore del Museo di Erdene Zuu, Naigal Tumurbaatar e la direttrice del Museo di Kharkhorin, Narangerel Giina




Sussurrare il Vangelo al cuore dell’Asia


“Sussurrare il Vangelo al cuore dell’Asia: uno studio missiologico sull’evangelizzazione in Mongolia” è il titolo della tesi di dottorato difesa giovedì 24 novembre da padre Giorgio Marengo presso l’Università Urbaniana di Roma.

Il lavoro è la conclusione di una ricerca condotta sul campo, in quanto frutto dell’attività missionaria di padre Giorgio, da ormai quasi quattordici anni in Mongolia. Rubando il tempo al sonno e integrando lo studio con il lavoro pastorale e missionario, padre Giorgio ha dato corpo alla riflessione che lo ha accompagnato durante questa decade abbondante di ministero.

Gli obiettivi della ricerca erano: sondare nel fitto tessuto dell’animo mongolo quali siano le porte più accessibili perché l’annuncio cristiano raggiunga quella profondità dove solo può fiorire la fede e radicarsi nel tempo. A segnare i passi di questo percorso è stata la fortunata espressione di Thomas Menamparampil, arcivescovo emerito di Guwahati – India, che dà il titolo alla tesi di p. Giorgio, suggerendo due momenti d’indagine: il primo, più descrittivo, dedicato alla comprensione della Mongolia e della visione del mondo dei suoi abitanti; e il secondo, volto a rintracciare una modalità di missione che sia il più possibile adeguata a questo mondo e che il verbo “sussurrare” vorrebbe appunto indicare.

Padre Giorgio ha ripercorso con la commissione e le tante persone intervenute  a questo evento il suo cammino di ricerca, aprendo una finestra di pensiero sulla storia e la cultura di un popolo nomade che fu immensamente grande nel passato, ma che rimane pressoché sconosciuto alla maggior parte delle persone. Usi, tradizioni, costumi, religiosità sono elementi che il missionario ha imparato a conoscere bene grazie a una continua immersione nella realtà del posto, alle relazioni intessute con fatica nel tempo. “Sussurrare – infatti –  è verbo che dice vicinanza, frateità, empatia. Verbo che sta tra la proclamazione e il silenzio, molto caro all’Asia. Questa espressione allude anche all’idea di segreto, molto tipica delle culture asiatiche e di quella mongola in particolare: la Parola comunicata esige di essere pronunciata con la stessa profondità da cui si origina e mirando a suscitare in chi l’ascolta la stessa densità di silenzio e di stupore in cui nasce. Ne consegue uno stile che si potrebbe riassumere accennando alla radice sanscrita del verbo “sussurrare”: svar, suono/suonare. La missione come una melodia che fa vibrare il cuore. Esigenza di bellezza, armonia, equilibrio, proporzione, discrezione”.

Sono queste parole dello stesso Giorgio, tratte dal testo con cui ha difeso il suo elaborato. Da esse è facile capire come lo stile del sussurro apra al missionario e gli permetta di approfondire il discorso sulla contemplazione e la preghiera come autentiche vie di evangelizzazione, sia per la dinamica stessa della missione, sia per la particolare sintonia con un contesto fortemente segnato dalla dimensione spirituale.

Il dibattito che è seguito alla presentazione del candidato ha permesso al Direttore della tesi e controrelatori (il Prof. Benedict Kanakapally e i professori Luciano Meddi e Donatella Scaiola rispettivamente ) di chiarire ulteriormente alcuni punti del missionario presentato da padre Giorgio. Il successo è stato garantito da un giudizio estremamente positivo sia sul lavoro scritto che sulla presentazione che di essa è stata dato.

Al termine, prima dei ringraziamenti da parte del candidato, un ospite mongolo, il prof. Selenge, studioso cattolico della cultura del suo paese, amico personale di Giorgio e suo sostegno in questo lavoro di ricerca, ha presentato un segno tradizionale di onore e rispetto, offrendo al neo dottore  dell’Arul (latte essicato) e un drappo azzurro, insieme ad auguri di ogni bene.

Padre Giorgio ripartirà fra pochi giorni per preparare la celebrazione del Natale con la sua piccola comunità cristiana di Arveiheer, continuando con essa a “sussurrare” il Vangelo in Mongolia e al grande continente asiatico.

Padre Giorgio Marengo difende la sua tesi all'università urbaniana. - Articolo su Dottorato Giorgio Marengo “Sussurrare il Vangelo al cuore dell’Asia: uno studio missiologico sull’evangelizzazione in Mongolia” è il titolo della tesi di dottorato difesa giovedì 24 novembre da padre Giorgio Marengo presso l’Università Urbaniana di Roma. Il lavoro è la conclusione di una ricerca condotta sul campo, in quanto frutto dell’attività missionaria di padre Giorgio, da ormai quasi quattordici anni in Mongolia. Rubando il tempo al sonno e integrando lo studio con il lavoro pastorale e missionario, padre Giorgio ha dato corpo alla riflessione che lo ha accompagnato durante questa decade abbondante di ministero. Gli obiettivi della ricerca erano: sondare nel fitto tessuto dell’animo mongolo quali siano le porte più accessibili perché l’annuncio cristiano raggiunga quella profondità dove solo può fiorire la fede e radicarsi nel tempo. A segnare i passi di questo percorso è stata la fortunata espressione di Thomas Menamparampil, arcivescovo emerito di Guwahati – India, che dà il titolo alla tesi di p. Giorgio, suggerendo due momenti d’indagine: il primo, più descrittivo, dedicato alla comprensione della Mongolia e della visione del mondo dei suoi abitanti; e il secondo, volto a rintracciare una modalità di missione che sia il più possibile adeguata a questo mondo e che il verbo “sussurrare” vorrebbe appunto indicare. Padre Giorgio ha ripercorso con la commissione e le tante persone intervenute a questo evento il suo cammino di ricerca, aprendo una finestra di pensiero sulla storia e la cultura di un popolo nomade che fu immensamente grande nel passato, ma che rimane pressoché sconosciuto alla maggior parte delle persone. Usi, tradizioni, costumi, religiosità sono elementi che il missionario ha imparato a conoscere bene grazie a una continua immersione nella realtà del posto, alle relazioni intessute con fatica nel tempo. “Sussurrare

Padre Giorgio Marengo difende la sua tesi all'università urbaniana. - Articolo su Dottorato Giorgio Marengo “Sussurrare il Vangelo al cuore dell’Asia: uno studio missiologico sull’evangelizzazione in Mongolia” è il titolo della tesi di dottorato difesa giovedì 24 novembre da padre Giorgio Marengo presso l’Università Urbaniana di Roma. Il lavoro è la conclusione di una ricerca condotta sul campo, in quanto frutto dell’attività missionaria di padre Giorgio, da ormai quasi quattordici anni in Mongolia. Rubando il tempo al sonno e integrando lo studio con il lavoro pastorale e missionario, padre Giorgio ha dato corpo alla riflessione che lo ha accompagnato durante questa decade abbondante di ministero. Gli obiettivi della ricerca erano: sondare nel fitto tessuto dell’animo mongolo quali siano le porte più accessibili perché l’annuncio cristiano raggiunga quella profondità dove solo può fiorire la fede e radicarsi nel tempo. A segnare i passi di questo percorso è stata la fortunata espressione di Thomas Menamparampil, arcivescovo emerito di Guwahati – India, che dà il titolo alla tesi di p. Giorgio, suggerendo due momenti d’indagine: il primo, più descrittivo, dedicato alla comprensione della Mongolia e della visione del mondo dei suoi abitanti; e il secondo, volto a rintracciare una modalità di missione che sia il più possibile adeguata a questo mondo e che il verbo “sussurrare” vorrebbe appunto indicare. Padre Giorgio ha ripercorso con la commissione e le tante persone intervenute a questo evento il suo cammino di ricerca, aprendo una finestra di pensiero sulla storia e la cultura di un popolo nomade che fu immensamente grande nel passato, ma che rimane pressoché sconosciuto alla maggior parte delle persone. Usi, tradizioni, costumi, religiosità sono elementi che il missionario ha imparato a conoscere bene grazie a una continua immersione nella realtà del posto, alle relazioni intessute con fatica nel tempo. “Sussurrare




Mongolia: ordinato primo sacerdote mongolo


Nel VII secolo i primi a portare il Vangelo sono i Nestoriani. Nel XIII secolo arrivano i cattolici. Una Chiesa vivace e numerosa è spazzata via sotto la dinastia Ming nel XVI secolo, quando il Buddismo tibetano diventa religione di stato.

Solo nel 1992 possono rientrare i primi missionari cattolici. Rinasce una piccola comunità cristiana. Che cresce velocemente. E ha ora il suo primo prete. Enkh-Joseph è il primo sacerdote cattolico nativo della Mongolia. È stato ordinato nella cattedrale dei santi Pietro e Paolo il 28 agosto 2016, alla presenza di quasi tutti i fedeli cattolici del paese, oltre che di molti ospiti stranieri. La Chiesa cattolica in Mongolia conta poco più di 1.500 battezzati e ha accolto con gioia questo evento storico.

La storia vocazionale di Enkh inizia in famiglia, quando le sue sorelle maggiori si avvicinano alla Chiesa e ricevono il battesimo. Nel giro di poco s’interessa anche lui e comincia a frequentare la neo istituita parrocchia della cattedrale di Ulaanbaatar. Quando lo conosciamo noi è un ragazzino timido e gentile, che comincia a farsi delle domande importanti. Suo papà è morto quando lui era piccolo e la mamma quando sente del suo desiderio di entrare in seminario è un po’ titubante; così Enkh accetta il consiglio materno di concludere prima l’università e si iscrive a un college di Ulaanbaatar. Il diploma arriva presto e a questo punto la mamma non oppone più resistenza. È pronto per il seminario: ma quale, visto che in Mongolia non ce ne sono? La diocesi coreana di Daejeon è in ottimi rapporti con la Prefettura Apostolica di Ulaanbaatar e così inizia il cammino di formazione presso quel seminario, reso più impegnativo a motivo della lingua diversa che deve imparare. Adesso parla meglio di un coreano, dicono. Più di sette anni di studio e finalmente arriva il grande giorno.

L’evento – di portata storica – è preparato per mesi da un’apposita commissione. Visto che la capienza della cattedrale è di 600 posti, si deve allestire uno spazio all’esterno e nella vicina palestra dei Salesiani, per consentire alla gente di seguire da vicino la liturgia. Sono presenti, oltre al vescovo locale mons. Wenceslao Padilla, il nunzio apostolico in Corea e Mongolia mons. Osvaldo Padilla e il vescovo della diocesi coreana di Daejeon mons. Lazzaro You.

Sono presenti anche alcune autorità civili e religiose. È molto toccante il momento in cui l’abate buddista Choijamts, figura autorevole e ben nota del Buddismo mongolo, vuole salutare il novello sacerdote e fargli scendere dal collo lungo le spalle una sciarpa azzurra in segno di rispetto. Un gesto simbolico che parla al cuore della gente e dice dignità, riconoscimento, onore. Al termine della celebrazione arriva anche il sacerdote ortodosso della chiesa della Santissima Trinità di Ulaanbaatar, non lontana dalla cattedrale cattolica. Un altro gesto di grande significato, questa volta ecumenico: padre Alexey omaggia don Enkh di un bassorilievo a icona, che rappresenta san Nicola, venerato tanto dagli Ortodossi quanto dai Cattolici.

Il giorno seguente c’è la prima messa presieduta da don Enkh. Il clima è più raccolto, molta meno gente e più spazio ai sentimenti. Nell’omelia don Enkh si sofferma sul versetto biblico scelto per l’occasione: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23). Oltre a sentirsi chiamato come il giovane Samuele (il brano tratto da 1 Sam, 3 era la prima lettura del giorno precedente) Enkh ricorda il momento in cui ha sentito in maniera nuova la forza della croce: «Era il lunedì dell’Angelo dell’anno scorso; tutto avrebbe dovuto essere in festa, ma io non riuscivo a percepire la gioia della risurrezione. Riflettendo capii il motivo: non avevo voluto partecipare alla croce del Signore, ecco perché adesso non potevo provare l’immensa gioia della Sua risurrezione…». Ecco perché adesso si augura di saper seguire il Signore sempre e comunque, per poter irradiare la Sua vita nel ministero sacerdotale.

Dalla piccola comunità di Arvaiheer sono in 15. Partecipano con molta commozione. Chi, come Perliimaa-Rita, è arrivata alla fede ormai avanti negli anni è ancora più felice nel vedere un giovane mongolo diventare prete. È convinta, come tutti del resto, che saprà raggiungere il cuore delle persone e contribuire in maniera decisiva al processo di inculturazione della fede. C’è anche un senso di soddisfazione nel constatare che «uno dei nostri ce l’ha fatta»: è la promessa di future vocazioni; altri, vedendo il suo esempio, ne seguiranno le orme. Per loro il momento forse più emozionante è quello, durante la sua prima messa, in cui don Enkh spende più di mezz’ora per imporre le mani su ognuno dei convenuti. «Vedere un sacerdote mongolo benedire la gente è stato molto commovente – confiderà poi Diimaa-Elizabeth, altra fedele di Arvaiheer -. Un gesto che fino a ora avevamo visto compiere solo dai missionari, ora lo compie un nostro giovane. È bello pensare che don Enkh sia diventato canale della benedizione divina».

È quello che auguriamo anche noi a don Enkh: vivere il sacerdozio come lo visse il Beato Allamano, sempre docile allo Spirito che lo volle usare come conca dove la grazia si posava e come canale che la lasciava scorrere sulla gente.

Giorgio Marengo