Giappone. Sanae Takaichi, la prima premier donna

Takaichi Sanae, 64 anni, è diventata la prima donna premier nella storia del Giappone. Dopo aver conquistato la leadership del Partito Liberal Democratico (Ldp) il 4 ottobre scorso, battendo al ballottaggio il giovane Koizumi Shinjiro con 185 voti contro 156, la sua elezione a capo del governo è avvenuta con il voto parlamentare il 21 ottobre. Ma il suo approdo al governo giapponese è tutt’altro che trionfale. Eredita, infatti, un Paese in profonda crisi politica ed economica, e dovrà affrontare ostacoli che vanno ben oltre le sfide tradizionali di un nuovo premier.

Un patito diviso

La prima grande difficoltà per Takaichi arriva paradossalmente dal suo stesso partito.
Il Ldp, che ha dominato la politica giapponese per quasi settant’anni, è uscito profondamente indebolito da una serie di sconfitte elettorali. Nel 2024 ha perso la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti, e nel luglio 2025 anche quella alla Camera dei Consiglieri.
Questi risultati disastrosi hanno portato alle dimissioni del premier uscente Ishiba Shigeru, in carica da appena un anno.

La scelta di Takaichi da parte dell’Ldp riflette una strategia rischiosa: puntare su una figura ultraconservatrice per riconquistare l’elettorato di destra che si era spostato verso partiti emergenti come il Sanseito. Ma questa mossa ha un prezzo. Molti all’interno del partito preferivano il più moderato Koizumi, e la vittoria risicata di Takaichi al ballottaggio rivela profonde divisioni interne.

A complicare ulteriormente il quadro c’è la rottura dell’alleanza storica con il Komeito, il partito moderato di ispirazione buddista che per 26 anni ha garantito stabilità alla coalizione. La nuova coalizione con il Partito dell’Innovazione Giapponese (Nippon Ishin) lascia il governo sotto di due seggi rispetto alla maggioranza assoluta alla Camera bassa: 231 su 465, quando ne servono 233.
Questa fragilità parlamentare significa che Takaichi dovrà negoziare continuamente con l’opposizione per far passare qualsiasi iniziativa legislativa. Un’ironia amara per una donna politica nota per le sue posizioni intransigenti.

Una leadership femminile guardata con diffidenza

Essere la prima donna premier in Giappone non è solo un traguardo simbolico, ma anche un fattore che complica ulteriormente la sua posizione. Il Paese si colloca agli ultimi posti nelle classifiche internazionali sulla parità di genere, e la leadership femminile è ancora guardata con diffidenza in molti ambienti politici e imprenditoriali.

Paradossalmente, le posizioni personali di Takaichi su questi temi potrebbero alienarle il sostegno di chi vorrebbe vedere in lei un simbolo di progresso. L’ultraconservatrice Takaichi si oppone ai matrimoni omosessuali, è contraria alla possibilità per le donne sposate di mantenere il proprio cognome, e ha dichiarato che le donne dovrebbero essere innanzitutto mogli e madri.
Si oppone persino alla possibilità che la successione imperiale cessi di essere un affare esclusivamente maschile.

Queste posizioni la mettono in una posizione singolare: prima donna premier, ma paladina di valori tradizionali che limitano il ruolo delle donne nella società giapponese.

Un falco in politica estera

Il profilo di falco di Takaichi in politica estera rappresenta forse la sfida più delicata del suo mandato.
Cresciuta all’ombra di Abe Shinzo, l’ex premier assassinato nel 2022, Takaichi non ha mai nascosto le sue simpatie per il nazionalismo giapponese.
Le sue ripetute visite al santuario di Yasukuni, che onora i caduti di guerra giapponesi inclusi criminali di guerra giustiziati, hanno già suscitato forti critiche da parte di Cina e Corea del Sud, che vedono il santuario come simbolo del passato militarista del Giappone.
Negli ultimi giorni, tuttavia, Takaichi ha mostrato un inatteso pragmatismo evitando di visitare il santuario durante un’importante festività, probabilmente per non compromettere le relazioni diplomatiche alla vigilia della sua investitura.

Una delle priorità di Takaichi è la revisione dell’articolo 9 della Costituzione pacifista giapponese, che rinuncia formalmente alla guerra e limita le forze armate del paese a un ruolo difensivo. La leader dell’Ldp vuole che venga riconosciuto esplicitamente il ruolo dell’esercito giapponese e ha proposto un significativo aumento della spesa per la difesa.

Questa posizione la pone in sintonia con gli Stati Uniti, che da tempo spingono il Giappone ad assumere un ruolo militare più attivo nella regione Indo-Pacifica, ma rischia di alimentare le tensioni con Pechino, soprattutto considerando che Takaichi ha anche suggerito la creazione di un’alleanza di sicurezza con Taiwan, l’isola rivendicata dalla Cina come parte del proprio territorio.

Anche i rapporti con la Corea del Nord rappresentano un nodo critico. La reticenza di Takaichi nel riconoscere apertamente i crimini di guerra commessi dal Giappone nel secolo scorso complica qualsiasi dialogo con Pyongyang sulla questione degli ostaggi giapponesi e sulla denuclearizzazione della penisola coreana.

Con gli Stati Uniti, Takaichi ha proposto di rivedere l’accordo sui dazi negoziato dal suo predecessore Ishiba, che aveva ottenuto una riduzione al 15%. Il Ldp ha scelto Takaichi anche perché ritenuta la candidata più adatta a gestire le relazioni con Washington in un momento di crescenti tensioni commerciali e strategiche nell’Indo-Pacifico.

Il fronte economico

Sul fronte economico, Takaichi si presenta come una nostalgica dell’«Abenomics», la strategia economica del suo mentore Abe Shinzo basata su tre pilastri: politica monetaria espansiva, aumento della spesa pubblica e riforme strutturali. La leader dell’Ldp non ha mai nascosto la sua ammirazione per Margaret Thatcher, l’ex premier britannica che incontrò a un simposio poco prima della sua morte nel 2013.

Takaichi ha recentemente criticato la decisione della Banca del Giappone di alzare i tassi di interesse, sostenendo la necessità di mantenere una politica monetaria accomodante. Ha proposto aumenti della spesa pubblica e tagli fiscali per contrastare l’aumento del costo della vita che sta erodendo il potere d’acquisto delle famiglie giapponesi.

Il problema è che queste ricette sembrano dissonanti rispetto alla situazione attuale. L’inflazione, dopo decenni di deflazione o stagnazione dei prezzi, è tornata a essere un tema politicamente esplosivo in Giappone. Una politica di yen debole e spesa pubblica espansiva rischia di alimentare ulteriormente l’inflazione, vanificando gli sforzi per alleviare la pressione sui consumatori.

Gli analisti economici avvertono che il raddoppio dell’Abenomics propugnato da Takaichi, potrebbe portare a un’inflazione ancora più alta, proprio l’opposto di ciò di cui ha bisogno la popolazione giapponese in questo momento.

Una sfida difficile

Takaichi Sanae si trova di fronte a una sfida che pochi premier giapponesi hanno dovuto affrontare. Deve governare senza una maggioranza solida, ricucire un partito diviso, gestire crisi economiche e diplomatiche simultanee, e farlo mentre porta il peso simbolico di essere la prima donna alla guida del paese.

Le sue posizioni conservatrici in politica interna ed estera potrebbero rivelarsi sia un punto di forza che una debolezza. Da un lato, potrebbero consolidare la base elettorale dell’Ldp tra gli elettori più tradizionalisti. Dall’altro, rischiano di alienare gli elettori moderati e di complicare i rapporti con i paesi vicini in un momento in cui la stabilità regionale è più che mai necessaria.

Il Giappone, quarta economia mondiale, si trova a un bivio. La scelta di Takaichi rappresenta un test non solo per lei personalmente, ma per l’intera classe politica giapponese: può il paese permettersi un ritorno al conservatorismo duro in un momento che richiede pragmatismo e capacità di compromesso?

La risposta arriverà presto. Il 21 ottobre segna non solo l’inizio di un’era storica con la prima donna premier, ma anche l’inizio di una delle prove più difficili per la leadership giapponese nel dopoguerra.

Piergiorgio Pescali




Spese militari nel mondo. Mai così alte


Gli eserciti e l’industria delle armi festeggiano il 2023 come l’anno più positivo di sempre.
Nel mondo, infatti, la spesa militare non era mai stata tanto alta: 2.443 miliardi di dollari secondo un recente rapporto del Sipri, l’autorevole Istituto di ricerca internazionale per la Pace di Stoccolma.

Per provare a dare una misura alla cifra, basti pensare che secondo l’Unesco, in un mondo abitato da moltissimi analfabeti, nel 2020 si erano spesi 2.200 miliardi per l’istruzione; secondo l’Oms nel 2019 si erano spesi 8.600 miliardi per la salute; secondo Banca Mondiale nel 2022 il debito estero dei paesi a basso e medio reddito (una delle palle al piede di centinaia di milioni di persone) era stimato in circa 9mila miliardi.

L’aumento del 6,8% in un solo anno della spesa militare globale trova le sue ragioni nello scenario di forte instabilità internazionale.

Sembra che i governi delle grandi e piccole potenze, per affrontare le crisi e i conflitti in atto, non riescano a credere ad altro che all’aumento della propria capacità di minaccia nei confronti degli avversari.

È così che nel 2023 l’Ucraina ha aumentato la sua spesa militare del 51% rispetto all’anno precedente, dedicandole il 37% del suo Prodotto interno lordo, 64,8 miliardi di dollari, e che la Russia ha aumentato la sua spesa militare del 24% consumando 109 miliardi di dollari, il 5,9% del suo Pil.

Tra i paesi europei spicca la Polonia, che ha incrementato la sua spesa militare in un solo anno del 75%; ma anche la Finlandia (54%) e la Danimarca (39%).

Altri aumenti notevoli sono stati quelli dell’Algeria, 76%, della Turchia, 37%, di Israele, 24%.

In dieci anni, dal 2014 al 2023, la spesa militare globale è aumentata di quasi un terzo, il 27%.

Bastano i primi due Paesi nella classifica per mettere insieme la metà dell’intera spesa globale: gli Usa con 916 miliardi e la Cina con 296.

Dopo Usa e Cina, troviamo la Russia (109), l’India (83,6), l’Arabia saudita (75,8).

I successivi cinque paesi sono Regno Unito (74,9), Germania (66,8), Ucraina (64,8), Francia (61,3) e Giappone (50,2). L’Italia, con i suoi 35,5 miliardi, è al dodicesimo posto.

Il Sipri, in una nota, sottolinea che con la formula «spese militari» non s’intende la sola spesa in armamenti, ma «tutta la spesa pubblica per le forze e attività militari, compresi stipendi e benefici, spese operative, acquisto di armi e attrezzature, costruzioni, ricerca e sviluppo, amministrazione centrale, comando e supporto».

I dati raccolti dal centro di ricerca svedese mostrano un mondo diviso da profondi conflitti e pronto a esplodere. L’unico elemento di unità sembra essere la fede cieca nell’idolo della forza, quella che genera il circolo vizioso a cui stiamo assistendo: io mi armo perché tu ti armi, tu ti armi perché io mi armo, e così via.

Se fosse possibile misurare in dollari anche le vite spezzate, le sofferenze, gli sfollamenti, le distruzioni, sia materiali che culturali e spirituali, le libertà negate, la visione fosca del futuro, il conto, già esorbitante, sarebbe completamente fuori dalla capacità di calcolo delle persone comuni.

Luca Lorusso