Noi e Voi, dialogo lettori e missionari

Omaggio al «nonno vigile»

Un salone della scuola materna della missione della Consolata di Modjo, in Etiopia, è stata intitolata l’11 febbraio 2020 al trentino Giovanni De Marchi (nella foto qui sotto tra padre Angheben e il vescovo di Meki).

Dopo aver lasciato la divisa di maresciallo dei carabinieri, ha indossato quella di «nonno vigile», per oltre 20 anni, per i bambini delle scuole medie ed elementari di Borgo Valsugana; ma i suoi impegni non gli hanno impedito di dedicarsi alla raccolta di fondi pro Etiopia con la collaborazione di amici, associazioni ed istituzioni locali.

Grande amico del missionario padre Paolo Angheben di Vallarsa, che si trova in Etiopia da circa 45 anni, De Marchi si è recato nel paese africano più di 10 volte a partire dal 2006, per portare i contributi raccolti, i quali sono serviti per realizzare diverse opere importanti:
– nel paese di Daka Bora per costruire una scuola per 300 bambini e per pagare le condutture necessarie per collegare il paese all’acquedotto comunale;
– a Weragu per promuovere la costruzione del ponte sul fiume Minne, fiume che divide la vallata in due e, durante la stagione delle piogge, isola la popolazione dal resto del mondo;
– per contribuire alla costruzione della biblioteca del centro giovanile a Debre Selam;
– per costruire il reparto maternità nella clinica di Modjo;
– per aiutare diversi giovani nel loro corso di studi;
– per costruire il salone della scuola materna di Modjo che ospita attualmente 350 bambini.

Nell’attesa che il buon De Marchi, nonostante l’età che avanza, torni in Etiopia, a lui è stato intitolato il salone della scuola, per ringraziarlo di tutto il lavoro di sostegno a lungo effettuato affinché i giovani possano costruire il loro futuro e la gente etiope possa vivere con dignità nella propria terra.

In Etiopia si dice: «God bless him» (Dio lo benedica) e tutti coloro che lo hanno aiutato.

da Eleonora Arlati
06/03/2020

 

Ricordando un caro amico

Signor Direttore,
ho letto con piacevole sorpresa, nel numero del mese di aprile 2020, sotto il titolo «Ricordando padre Silvano Cacciari» la lettera di un’insegnante, la dr. Brigida Pastorello, che elogia e ringrazia per l’opera di assistenza spirituale ricevuta e il servizio sanitario specie ai più bisognosi, in terra di missione in vari continenti, e singolarmente a Torino e provincia, del padre Silvano Cacciari, improvvisamente  mancato il 18 gennaio scorso all’affetto dei suoi cari, una solida e unita famiglia dell’interland bolognese.

Conobbi padre Cacciari a metà degli anni ‘60: un brillante missionario, docente e giurista, molto noto in città, alla cui intraprendenza imprenditoriale furono legate per alcuni decenni le sorti lusinghiere dell’ospedale Koelliker di Torino, fiore all’occhiello della sanità piemontese. Ebbi modo di apprezzarne le spiccate virtù umane oltre che di religioso e missionario esemplare, quando nel 2015 ho accettato di assisterlo, come avvocato, nella vicenda giudiziaria, resa pubblica dalla stampa nazionale, ormai acqua passata dopo il suo decesso.

Ma non è di questa che intendo parlare, […] ma della grande amicizia, sorta nei miei confronti da parte sua e cordialmente ricambiata, dalla quale mi sento sinceramente gratificato, per l’impareggiabile esempio di onestà intellettuale e professionale, per la profonda sensibilità umana, per l’umile accettazione del ritiro in Casa Madre come custode del santuario del beato Allamano.

Padre Cacciari non fu lapidato alla maniera giudaica, come scrive la dr. Pastorello, né può essere paragonato al Cristo crocifisso, non oserei arrivare a tanto! Tuttavia, ricordandolo nella preghiera di fraterno suffragio mi auguro sinceramente che il Padre Celeste, accogliendo
padre Cacciari nel suo regno di luce e di pace, gli abbia reso giustizia, cosa cui non sono arrivati in tempo o non hanno potuto perfezionare i tribunali di questo mondo.

Sac. prof. Valerio Andriano,
03/05/2020, Torino

A Giulietto

Lo scorso 26 aprile è morto Giulietto Chiesa, giornalista, scrittore e parlamentare europeo. Aveva 79 anni. Grande esperto del mondo sovietico, aveva lavorato per quotidiani e televisioni. La sua collaborazione con MC era iniziata nel dicembre 2002 con un articolo nel dossier dedicato all’Iraq di Saddam Hussein, ma era durata soltanto lo spazio di qualche numero. Troppe le polemiche con i lettori. La sua rubrica – dal titolo emblematico di «Luoghi comuni» – era sempre un pugno allo stomaco. Aveva anche contribuito con un capitolo al fortunato saggio «La guerra, le guerre. Viaggio in un mondo di conflitti e di menzogne» (Emi, 2004), lavoro curato da Benedetto Bellesi, compianto ex direttore di MC, e dal sottoscritto.

A Giulietto Chiesa vada il mio personale grazie. Che riposi in pace.

Paolo Moiola
01/05/2020

Un incontro indimenticabile

Incontrai dom Aldo Mongiano la prima volta a Rio de Janeiro. Era la primavera del 1992. Lui era in transito da Boa Vista per un rientro in Italia, io ero in viaggio per il Sud America con un amico, ed eravamo in quei giorni ospiti alla parrocchia Nossa Senhora Consolata, che i missionari della Consolata gestivano nei pressi delle favelas Mangueira, Morro do telegrafo, Tuiutí, Arará. Padre Claudio Fattor ne era il parroco.

Mongiano aveva un giorno libero e ci propose di fare una visita con lui ai padiglioni in costruzione di Rio92, la conferenza sul clima che sarebbe diventata famosa.

E così andammo. Mi ricordo quel vescovo così semplice e allo stesso tempo così profondo e diretto. Ci parlò di Roraima, della problematica indigena. Per noi, giovani alla scoperta del mondo, fu non solo interessante, ma entusiasmante.

A un certo punto ci disse: «Ricordatevi sempre che bisogna essere in pace con quattro cose: con se stessi, con gli altri, con la natura e, infine, ma non per ultimo, con Dio». Questa semplice regola, che può dar adito a profonde meditazioni e a verifiche personali, me la porto dietro da allora. Chiese poi, a noi giovinastri in cerca di avventura se, nel nostro futuro, pensavamo di dare priorità alla formazione di una famiglia. La domanda ci stupì e ci colse impreparati.

Mentre visitavamo lo spazio dove si sarebbe svolto Rio92, nel quale operai montavano i diversi padiglioni, il vescovo ci lanciò una sfida: «Perché non venite qualche tempo a lavorare con noi a Roraima, per la causa indigena?».

Mesi dopo, rientrato a Torino, scrissi a dom Mongiano una lettera (non c’erano mail, né tanto meno programmi di messaggistica e chiamate con internet): ero disponibile a passare un periodo di volontariato con lui. Alcune settimane dopo arrivò l’attesa busta con le insegne vescovili: «Mi dispiace la situazione è notevolmente peggiorata, non possiamo prenderci al responsabilità di inserire delle persone nuove». Purtroppo la tensione a Boa Vista era molto alta, i fazendeiros avevano minacciato di morte il vescovo. La difesa dei popoli indigenti e della loro terra da parte della chiesa aveva dato fastidio. Ne fui deluso. Ma la causa indigena mi restò dentro. Anni dopo sarei andato a Roraima e ci sarei pure tornato. Caro dom Aldo, grazie e buon viaggio.

Marco Bello
24/04/2020

PREGHIERA (a modo mio)

Signore Dio,
Liberaci dal coronavirus, da chi specula su di esso e sulle normative anti contagio.
Liberaci dal tormento dei vigili urbani avidi e arroganti.
Liberaci dall’oppressione dei carabinieri infedeli e dai poliziotti corrotti.

Sgombera i tribunali dai giudici adoratori di se stessi e collusi con la mafia.
Liberaci dalla tirannia del petrolio, di chi ne fomenta le guerre e di chi distrugge le foreste naturali per le piantagioni di palma da olio.

Liberaci dalla piaga dell’evasione fiscale ma anche dal rigorismo criminale, dalle manovre di chi per risanare, si arroga il diritto di perseguitare e depredare.
Liberaci, o Signore, dalla piaga del neoliberalismo rampante, dall’egemonia di coloro per i quali, «con il denaro» è complemento di compagnia e non di mezzo; da quelli che onorano la moneta come se questa fosse la loro madre, la loro sposa, la loro prole.
Liberaci da tutti quelli che pensano di poter trattare le persone per cui il denaro è solo uno strumento di sussistenza e non un fine, come merce di infima qualità.

Liberaci dall’ossessione antropocentrica di quanti sopravvalutano la scienza umana e la sua ricerca tecnologica e in nome di corona-management, corona-economy, corona-bond, pensano di poter umiliare e perseguire amministrativamente, se non addirittura penalmente, la preghiera di riparazione, la corona del rosario, l’adorazione eucaristica, la cena eucaristica, e il sacramento della riconciliazione.

Yury Skarfenko
Fano, 30/04/2020

Condivido il fatto che viviamo tempi difficili e che probabilmente noi li rendiamo ancora più difficili con i nostri comportamenti sbagliati, la nostra arroganza e la nostra idolatria del potere, del successo, del denaro e della sicurezza. Ma ho qualche riserva su questa preghiera. Sa tanto di «lista della spesa» o di promemoria di cose che Lui deve fare. Forse ci siamo dimenticati che Lui, in Gesù, ci ha già offerto un modello di vita e dei criteri di relazione umana che contestano tutti gli atteggiamenti elencati. Forse, invece di dire a Dio di fare le cose al posto nostro, dovremmo ascoltare di più quello che Lui ci ha già detto e piuttosto chiedergli la forza di mettere in pratica quello che preghiamo nel «Padre nostro».

Nel vivo desiderio che possiamo passare presto da una fase in cui la priorità è «non morire» a quella in cui «vivere» (non per pochi privilegiati, ma per tutta l’umanità e il creato) diventi il centro di tutto.

Riflessione su questo tempo

Si lamentano quasi tutti tranne i giovani cui è chiesto il sacrificio più grande, pur essendo, statisticamente, i meno coinvolti in questa epidemia.

Si lamentano gli anziani, i più a rischio, che pensano di essere immuni per averne affrontate tante, comprese guerre e fame. Si lamentano i cattolici che vorrebbero tornare alla normalità senza riflettere sull’opportunità che questa quaresima prolungata ci offre con il digiuno. Si lamentano gli pseudo sportivi manco dovessero allenarsi per le olimpiadi e li vedi correre senza fiato, pur di uscire di casa.

Invece i giovani hanno accettato di veder sospesa la loro vita e lo hanno fatto con responsabilità e altruismo; per molti dovrebbe essere l’anno della maturità, della prima vacanza con i compagni, dei primi amori, della patente, dei sabati sera, degli abbracci, delle risate per qualunque cosa.

E invece è l’anno della scuola online. È l’anno in cui le risate si fanno nelle chat di gruppo. È l’anno in cui la maturità si fa online, non si fa, si fa con uno scritto o due, … E per molti è anche l’anno della solidarietà, essendosi messi a disposizione, numerosi, come volontari, per portare viveri agli anziani.

Si sono adattati a questa nuova realtà meglio di tutti quanti noi che abbiamo trovato da lamentarci davvero su qualunque cosa. A nostra discolpa, il fatto che non abbiamo più molti treni da prendere e la sensazione che perso uno, persi tutti. Ma credo che dovremmo davvero imparare da loro più di quanto non avremmo pensato.

Rita Ruotolo
Torino, 28/04/2020

Grazie padre Pavese

La domenica del Buon Pastore (3 maggio 2020), è deceduto padre Francesco Pavese, Imc. Abbiamo appreso con dolore la notizia della sua dipartita, che lascia un vuoto denso di gratitudine e di nostalgia. Padre Pavese era un fratello di cui abbiamo potuto apprezzare la ricchissima eppur semplice personalità, il suo amore profondissimo alla Consolata e la sua passione per la conoscenza e l’approfondimento della figura del nostro fondatore, il beato Giuseppe Allamano […].

Grazie, padre Pavese! La Consolata, che hai amato con vero amore di figlio, ti accolga tra le sue braccia!

suor Simona Brambilla, MC
03/05/2020

 

Padre Francesco Pavese e diversi altri confratelli sono stati vittime del virus. Torneremo a parlare di loro nei prossimi numeri. Pregate con noi. Grazie.