Venti Nordici. Finlandia, confine d’Europa
- La svolta conservatrice il nuovo governo.
- Diventare finlandesi Migrazioni e multiculturalismo.
- Meno ideologia, più scienza. Visita alla centrale di Olkiluoto.
- Tecnologia e Welfare Un paese laboratorio.

La svolta conservatrice. Il nuovo governo
Nel paese scandinavo, i conservatori hanno preso il posto dei progressisti. La loro vittoria è stata propiziata dalle proposte su economia, immigrazione, sicurezza, valori tradizionali. Nel frattempo, l’aggressività del vicino russo, ha spinto la Finlandia ad aderire alla Nato.
Helsinky. In centro città c’è un via vai di pendolari che si dirigono verso i loro uffici. La capitale finlandese mantiene il suo fascino nordico, con l’architettura che mescola tradizione scandinava e modernità funzionale. Eppure, qualcosa è cambiato nell’aria politica di questo paese con 5,5 milioni di abitanti. La Finlandia di Sanna Marin – giovane socialdemocratica, primo ministro dal 2019 al 2023, simbolo di un nuovo femminismo nordico – appartiene ormai al passato. Dal giugno 2023, il Paese è guidato da Petteri Orpo, leader del partito della Coalizione nazionale e di un governo di centrodestra che ha segnato una svolta conservatrice significativa.
Da Sanna Marin a Riikka Purra
Il governo Orpo rappresenta una delle alleanze più controverse della storia finlandese. Formato da quattro partiti – la Coalizione nazionale, il Partito dei finlandesi, il Partito popolare svedese e i Cristiano democratici – controlla 108 seggi sui 200 del parlamento finlandese. Tra i quattro aderenti, è però il Partito dei finlandesi – il Perussuomalaiset, guidato da Riikka Purra – che rende la coalizione particolarmente significativa nel panorama politico nordico.

«Non è stato un cambiamento improvviso», mi spiega Tapio Raunio, professore di Scienze politiche all’Università di Tampere, mentre ci troviamo nel suo ufficio. «I semi del malcontento verso le politiche progressiste di Marin erano già visibili nelle elezioni comunali del 2021. Gli elettori finlandesi erano preoccupati per l’economia, l’immigrazione e sentivano che il governo precedente fosse troppo focalizzato su questioni identitarie a scapito dei problemi concreti».
Le elezioni dell’aprile 2023 hanno raccontato una storia dai margini sottilissimi: la Coalizione nazionale (Kokoomus) e il Partito dei finlandesi hanno ottenuto entrambi il 20,1% dei voti, mentre i socialdemocratici di Marin si sono fermati al 19,9%. Una differenza di poche migliaia di voti che ha cambiato radicalmente il corso politico del Paese.
L’ascesa del Partito dei finlandesi rappresenta forse l’elemento più significativo di questa trasformazione. Fondato nel 1995 come «Veri finlandesi» dall’ex socialdemocratico Timo Soini, il partito ha attraversato diverse metamorfosi, passando da forza anti establishment a partito populista di destra, fino a diventare una delle componenti principali del sistema politico finlandese. Sotto la guida di Riikka Purra, avvocata 47enne originaria di Espoo, il partito ha consolidato la sua posizione come voce delle preoccupazioni dell’elettorato più conservatore.

«Purra è riuscita a dare al partito una faccia più rispettabile rispetto ai suoi predecessori», osserva la politologa Jenni Karimäki. «Ha mantenuto le posizioni di destra su immigrazione e identità nazionale, ma le ha presentate con un linguaggio più istituzionale. Questo le ha permesso di attrarre voti non solo dalla base tradizionale del partito, ma anche da elettori di centrodestra delusi dalla Coalizione nazionale».
Il programma del governo Orpo riflette chiaramente questa nuova direzione politica. Le priorità includono il risanamento delle finanze pubbliche attraverso tagli alla spesa sociale, una stretta significativa sulle politiche di immigrazione e asilo, e una revisione delle ambizioni climatiche considerate troppo costose per l’economia nazionale. Il governo ha – inoltre – promesso di rafforzare la «sicurezza interna» e di promuovere i «valori finlandesi tradizionali».

Tuttavia, gestire una coalizione così eterogenea non è una sfida da poco. Il Partito popolare svedese (Suomen ruotsalainen kansanpuolue), che rappresenta la minoranza di lingua svedese del Paese (circa il 5% della popolazione), spesso si trova in disaccordo con le posizioni più nazionaliste del Partito dei finlandesi. I Cristiano democratici, dal canto loro, mantengono posizioni più moderate su alcune questioni sociali. È un equilibrio delicato nel quale Orpo deve costantemente mediare tra le diverse anime della coalizione.
La reazione dell’opinione pubblica al nuovo esecutivo è stata variegata. I sostenitori del Governo apprezzano l’approccio più pragmatico alle questioni economiche e migratorie, mentre i critici accusano l’esecutivo di aver abbandonato la tradizione progressista finlandese. Anche in questo Paese si sta, dunque, assistendo a una sorta di normalizzazione del populismo di destra: quello che fino a pochi anni fa era considerato estremismo politico, oggi fa parte del programma governativo.
La nuova politica migratoria
Un esempio concreto di questa trasformazione è rappresentato dalle nuove politiche migratorie. Il Governo ha ridotto significativamente il numero di rifugiati accettati, ha inasprito i criteri per il ricongiungimento familiare e ha introdotto controlli più severi ai confini. Queste misure hanno sollevato critiche da parte delle organizzazioni per i diritti umani, ma hanno trovato il sostegno di una parte significativa dell’elettorato.
La svolta conservatrice non si limita, però, alle questioni migratorie. Il Governo ha anche ridimensionato gli investimenti in energie rinnovabili, preferendo puntare sul nucleare, e ha rallentato alcuni progetti di welfare innovativi avviati dall’amministrazione precedente. «È un cambiamento di paradigma», spiega Elina Kestilä-Kekkonen, politologa dell’Università di Tampere. «Dal modello scandinavo progressista stiamo andando verso un conservatorismo più pragmatico, simile a quello che vediamo in altri Paesi europei».
Questa trasformazione ha anche implicazioni internazionali. Mentre la Finlandia mantiene il suo forte sostegno all’Ucraina e alla propria integrazione nella Nato, il governo Orpo ha adottato posizioni più critiche verso alcune politiche dell’Unione europea, in particolare quelle relative alla distribuzione obbligatoria dei richiedenti asilo. «Vogliamo essere buoni europei, ma anche difendere la sovranità nazionale finlandese», ha dichiarato in più occasioni il primo ministro.
I sondaggi mostrano che, dopo quasi due anni di governo, la coalizione Orpo mantiene un sostegno relativamente stabile, attestandosi intorno al 46-48% delle preferenze. Tuttavia, la polarizzazione politica è aumentata, con una parte significativa dell’elettorato che esprime forte opposizione alle politiche governative.
La sfida per il governo Orpo nei prossimi anni sarà quella di mantenere la coesione della coalizione, mentre affronta questioni complesse come l’invecchiamento della popolazione, la transizione energetica e le tensioni geopolitiche con la Russia. La Finlandia progressista è stata sostituita da un Paese alla ricerca un nuovo equilibrio tra tradizione e modernità, tra apertura internazionale e protezione dell’identità nazionale.

Dalla neutralità all’atlantismo
L’ingresso della Finlandia nella Nato rappresenta probabilmente la decisione di politica estera più significativa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Una scelta storica, in quanto pone fine a uno status di neutralità mantenuto per lungo tempo dal Paese, compiuta in virtù di un largo consenso diffuso sia tra l’opinione pubblica, sia all’interno della classe dirigente finlandese.
La rapidità di questo cambiamento è stata sorprendente. Nel dicembre 2021, solo il 26% dei finlandesi sosteneva l’adesione alla Nato, mentre il 51% era contrario. Un anno dopo, nell’aprile 2022, due mesi dopo l’invasione russa dell’Ucraina, i favorevoli erano saliti al 78%. Oggi, nel 2025, il sostegno si mantiene stabile, rendendo la Finlandia uno dei paesi Nato con il consenso più alto per l’appartenenza all’Alleanza atlantica.
Questa trasformazione non è stata solo numerica, ma ha rappresentato una vera e propria rivoluzione culturale e geopolitica per un Paese che aveva fatto della neutralità attiva uno dei pilastri della propria identità nazionale dal dopoguerra. La «finlandizzazione» – termine coniato per descrivere la capacità di mantenere l’indipendenza pur rispettando gli interessi di sicurezza dell’Unione Sovietica – era diventata sinonimo di pragmatismo diplomatico.

L’adesione alla Nato, formalizzata nell’aprile 2023 insieme alla Svezia, ha comportato cambiamenti significativi non solo nella postura rispetto alla sicurezza del Paese, ma anche nella percezione che i finlandesi hanno di se stessi e del proprio ruolo nel mondo. La Finlandia, che condivide 1.340 chilometri di frontiera con la Russia – il confine più lungo tra un paese Nato e il Paese di Vladimir Putin -, si è trovata improvvisamente in prima linea nella nuova Guerra fredda.
«L’integrazione nelle strutture Nato è proceduta più rapidamente di quanto chiunque si aspettasse», ha spiegato il generale di brigata Jukka Sonninen, in una recente intervista alla televisione pubblica Yle: «I finlandesi hanno sempre avuto capacità militari solide – il servizio militare obbligatorio non è mai stato abolito – ma ora queste capacità sono integrate in una strategia di difesa collettiva».
Il bilancio della difesa finlandese è aumentato significativamente, passando dall’1,9% del Pil nel 2022 al 2,4% previsto per il 2025. Gli investimenti si concentrano principalmente su sistemi di difesa aerea, capacità di guerra elettronica e miglioramento dell’interoperabilità con le forze alleate. Il Paese ha, inoltre, deciso di acquistare 64 caccia F-35 americani, che sostituiranno progressivamente i vecchi F/A-18 Hornet a partire dal 2026.
Ma è forse nella percezione della Russia che si registra il cambiamento più drammatico. Tradizionalmente, i rapporti con Mosca erano caratterizzati da una cauta cordialità, nonostante le tensioni storiche. La Russia era il principale partner commerciale della Finlandia, e molte aziende finlandesi avevano significativi investimenti nel Paese vicino. L’invasione dell’Ucraina ha cambiato tutto, anche per i socialdemocratici.
«La Russia di Putin non è più la Russia con cui potevamo fare affari», afferma Elina Valtonen, ex ministra degli Esteri del governo Marin, ora all’opposizione. «È diventata un vicino imprevedibile e potenzialmente pericoloso. La chiusura della frontiera terrestre (decisa del dicembre 2023, ndr) è stata una decisione necessaria, anche se dolorosa».
Per decenni, il confine era stato uno dei più trafficati tra Russia e Occidente, con circa 9 milioni di attraversamenti annui prima della pandemia. La decisione è arrivata dopo un improvviso e contemporaneo afflusso di richiedenti asilo provenienti da Paesi terzi attraverso la Russia sia in Finlandia che in Norvegia, un fenomeno che Helsinki e Olso hanno interpretato come una forma di guerra ibrida orchestrata dal Cremlino.
La chiusura ha avuto conseguenze significative per le comunità di confine che, per generazioni, avevano vissuto di commerci transfrontalieri e turismo russo. Città come Lappeenranta e Imatra hanno visto crollare i loro ricavi, mentre migliaia di finlandesi che lavoravano o avevano proprietà in Russia si sono trovati improvvisamente isolati.
«È stato traumatico», racconta una proprietaria di un negozio di souvenir a Lappeenranta. «I turisti russi rappresentavano il 60% dei nostri clienti. Ora dobbiamo reinventarci completamente». Il Governo ha stanziato fondi per sostenere le attività economiche colpite, ma la transizione resta difficile.
L’opinione pubblica, tuttavia, sostiene ampiamente la decisione. I sondaggi mostrano che oltre l’85% dei finlandesi approva la chiusura della frontiera, considerandola necessaria per la sicurezza nazionale. «I finlandesi hanno capito che non è più possibile separare questioni economiche e di sicurezza quando si tratta della Russia», osserva la politologa Minna Ålander del Finnish institute of international affairs.

Una chiara scelta di campo
La nuova strategia di sicurezza finlandese si basa su tre pilastri principali: deterrenza, resilienza e cooperazione internazionale. La deterrenza include non solo le capacità militari convenzionali, ma anche sistemi di difesa cibernetica avanzati e preparazione contro la guerra ibrida. La resilienza sociale viene rafforzata attraverso programmi di preparazione civile e comunicazione strategica per contrastare la disinformazione.
«Ogni finlandese deve essere preparato a contribuire alla difesa nazionale», ha spiegato Jukka Sonninen. «Non parliamo solo di difesa militare, ma di resilienza sociale, economica e informatica». Il Paese ha investito significativamente in bunker civili – Helsinki ha alcune delle migliori protezioni antiaeree d’Europa – e in sistemi di allerta per la popolazione.
La cooperazione nordica si è intensificata notevolmente. Finlandia, Svezia, Norvegia e Danimarca hanno creato un comando di difesa integrato per l’area artica e baltica, mentre Estonia, Lettonia e Lituania vedono nella Finlandia un partner naturale nel contenimento della Russia. «Siamo diventati il fianco Nord della Nato. Questo ci dà responsabilità aggiuntive, ma anche maggiore influenza nelle decisioni dell’Alleanza», ha concluso Jukka Sonninen.
L’impatto generazionale dell’adesione alla Nato è particolarmente interessante. I giovani finlandesi, che non hanno vissuto la Guerra fredda, sembrano più entusiasti dell’integrazione occidentale rispetto alle generazioni più anziane. «Per noi la Nato rappresenta normalità europea», dice Laura Pitkänen, studentessa 22enne dell’Università di Helsinki. «È difficile immaginare che fino a poco tempo fa fossimo neutrali».
La trasformazione è visibile anche nella cultura popolare e nell’educazione. Le scuole hanno introdotto nuovi programmi di educazione civica che includono la comprensione della difesa nazionale e della sicurezza informatica.
L’adesione alla Nato ha rappresentato la fine di un’era per la Finlandia, ma anche l’inizio di un nuovo capitolo. Un Paese, che per decenni ha fatto dell’equilibrio diplomatico la sua specialità, ora deve imparare a navigare come membro a pieno titolo dell’Occidente, in un mondo sempre più polarizzato.
Piergiorgio Pescali

Diventare finlandesi
Migrazioni e multiculturalismo
Le persone di origine straniera sono l’8,3 per cento della popolazione totale. L’integrazione non è facile, ma possibile in un Paese con una scuola all’avanguardia.
Helsinky. Camminando attraverso il quartiere di Itäkeskus, nella periferia orientale di Helsinki, il paesaggio urbano racconta una storia di trasformazione che va ben oltre l’architettura degli anni Ottanta. I supermercati halal si alternano ai negozi di alimentari somali, i ristoranti nepalesi condividono la strada con pizzerie gestite da famiglie italiane di seconda generazione, mentre i cartelli bilingui finlandese-arabo indicano i servizi pubblici. Questo è il volto della nuova Finlandia multiculturale.
«Venticinque anni fa, questo quartiere era popolato quasi esclusivamente da finlandesi etnici», mi racconta un’assistente sociale di origine somala che lavora nei servizi di integrazione del comune di Helsinki. «Oggi, in alcune scuole elementari della zona, i bambini di origine straniera sono la maggioranza. È un cambiamento demografico senza precedenti nella storia finlandese».
Stranieri in crescita
I numeri confermano questa trasformazione. La popolazione di origine straniera in Finlandia è cresciuta dal 2,6% del 2000 all’8,3% del 2024, con proiezioni che indicano il 15% entro il 2035. L’area metropolitana di Helsinki concentra la maggior parte di questa popolazione. Alcuni quartieri della capitale registrano percentuali di residenti stranieri superiori al 30%.
Questa evoluzione demografica rappresenta una sfida inedita per un Paese che, fino agli anni Novanta, era tra i più etnicamente omogenei d’Europa. La Finlandia, che per secoli era stata terra di emigrazione – con oltre un milione di suoi cittadini emigrati principalmente in Svezia e Nord America nel XX secolo – si è trovata improvvisamente a gestire flussi significativi d’immigrazione. E non tutti erano preparati a questa trasformazione.

Il percorso d’integrazione
Le comunità di immigrati più numerose includono russi (circa 90mila), estoni (50mila), somali (22mila), iracheni (15mila) e siriani (12mila). Ciascuna di queste comunità ha portato proprie sfide e specificità.
La comunità russa, presenta un caso particolare. Molti sono arrivati negli anni Novanta e Duemila, spesso come gli Ingriani, una etnia finnica arrivata dalla regione di San Pietroburgo dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Il governo Orpo sta implementando politiche di integrazione più severe rispetto al passato. Il nuovo modello richiede maggiori competenze linguistiche per l’accesso ai servizi sociali e prevede percorsi più strutturati. «Non basta più vivere in Finlandia», ha detto in un’intervista Mika Salminen, direttore dei servizi di integrazione del ministero dell’Interno. «Bisogna dimostrare di voler diventare finlandesi».
Gli immigrati e le scuole finlandesi
Questa svolta ha, come era prevedibile, generato accesi dibattiti incentrati soprattutto sul sistema educativo del Paese. Tradizionalmente considerato tra i migliori al mondo, oggi deve affrontare la sfida rappresentata dai nuovi studenti appartenenti a tradizioni culturali e linguistiche diverse. Le scuole di Helsinki hanno sviluppato programmi specifici per l’apprendimento del finlandese come seconda lingua, ma i risultati non sono uniformi.
«Abbiamo studenti che arrivano senza conoscere l’alfabeto latino e studenti che parlano già tre lingue», racconta Marjo Kyllönen, direttrice del settore della pubblica istruzione del comune di Helsinki. «La diversità è una ricchezza, ma richiede risorse e metodi didattici completamente nuovi».
I dati del «Programma per la valutazione internazionale degli studenti» (Pisa) mostrano che, mentre la Finlandia mantiene risultati eccellenti a livello nazionale, esistono significativi divari di performance tra studenti autoctoni e di origine straniera. «Non è solo una questione linguistica» analizza Sari Sulkunen, ricercatrice presso l’Università di Jyväskylä. «È una questione culturale più ampia. Alcune famiglie di immigrati non hanno familiarità con il sistema educativo finlandese, che si basa molto sull’autonomia dello studente e sulla collaborazione scuola famiglia».
Per affrontare queste sfide, diverse scuole hanno sviluppato programmi innovativi. La scuola elementare di Puotila, ad esempio, ha introdotto insegnanti mediatori culturali che parlano le lingue delle principali comunità di immigrati.

Gli immigrati e il lavoro
Il mercato del lavoro presenta un quadro complesso. Mentre i cittadini Ue, in particolare estoni e svedesi, mostrano tassi di occupazione simili ai finlandesi autoctoni, altre comunità affrontano difficoltà significative. Il tasso di disoccupazione tra i cittadini di origine somala raggiunge il 65%, mentre quello degli iracheni si attesta al 45%.
«Molti immigrati hanno qualifiche non riconosciute, competenze linguistiche insufficienti o provengono da sistemi educativi molto diversi. Servono tempo e investimenti mirati», spiega Akram Al-Turk, consulente per l’integrazione lavorativa presso il centro per l’impiego di Helsinki.
Alcune aziende finlandesi hanno sviluppato programmi specifici per l’assunzione di personale immigrato. Nokia, ad esempio, ha lanciato un’iniziativa per assumere rifugiati con competenze tecniche, fornendo corsi di lingua e accompagnatori culturali.
Tuttavia, esistono anche storie di successo significative. La comunità vietnamita, arrivata principalmente dall’esperienza dei boat people negli anni Ottanta, ha raggiunto livelli di integrazione eccellenti. «I vietnamiti hanno tassi di occupazione superiori alla media finlandese e i loro figli ottengono risultati scolastici ottimi», osserva Ronkainen. «È un esempio di integrazione riuscita a lungo termine».
La coesione sociale rimane relativamente alta, ma si registrano tensioni crescenti. I sondaggi mostrano che il 73% dei cittadini considera l’immigrazione un fenomeno complessivamente positivo, ma il 58% ritiene che l’integrazione non stia procedendo abbastanza rapidamente.
Tolleranza e valori finlandesi
I finlandesi sono tolleranti, ma hanno anche aspettative elevate di conformità alle norme sociali. Questa tensione, tipica delle società nordiche, è particolarmente evidente in questioni come il velo islamico, i matrimoni combinati o le pratiche educative tradizionali. Non si chiede di abbandonare la propria cultura, ma ci si aspetta rispetto per i valori finlandesi fondamentali: uguaglianza di genere, diritti dei bambini, rispetto delle leggi.
Le politiche abitative hanno giocato un ruolo cruciale nell’integrazione. A differenza di altri Paesi europei, la Finlandia ha evitato di concentrare gli immigrati in specifici quartieri ghetto prevenendo la segregazione etnica.
Il settore sanitario ha dovuto adattarsi significativamente. I servizi hanno introdotto mediatori culturali e traduttori, mentre alcuni ospedali hanno sviluppato protocolli specifici per comunità con esigenze particolari per rispettare tabù culturali.
La digitalizzazione dei servizi pubblici ha creato nuove barriere per alcuni immigrati più anziani o con bassa scolarizzazione. Il sistema finlandese è molto digitalizzato e chi non padroneggia la lingua o non ha competenze digitali rischia di essere escluso. Per rispondere a questa sfida, sono stati sviluppati servizi di supporto digitale multilingue e corsi di alfabetizzazione informatica specifici per immigrati.
«Non possiamo tornare indietro», conclude Ronkainen. «La sfida è creare un modello di integrazione che preservi i valori finlandesi permettendo la diversità culturale».
Il successo di questo modello determinerà non solo il futuro demografico del Paese, ma anche la sua capacità di mantenere quel consenso sociale che ha caratterizzato la società finlandese nel dopoguerra.
Piergiorgio Pescali

L’identità religiosa
La Chiesa luterana
Formalmente, il 66,6% dei finlandesi appartiene alla Chiesa evangelica luterana, facendone una delle comunità religiose più numerose d’Europa in termini percentuali. Le chiese, però, si svuotano e la maggior parte dei fedeli che partecipano alle funzioni è anziana.
«È il paradosso della fede finlandese», mi spiega l’arcivescovo Tapio Luoma. «La maggioranza dei cittadini si considera luterana per identità culturale, ma la pratica religiosa attiva riguarda meno del 10% della popolazione. Siamo una Chiesa di appartenenza più che di credenza».

Questa peculiarità riflette il ruolo storico della Chiesa luterana in Finlandia. Per quattro secoli, dal 1593 al 1923, il luteranesimo è stato religione di Stato, plasmando non solo la spiritualità ma l’intera cultura finlandese. Anche dopo la separazione formale tra Stato e Chiesa, l’istituzione ecclesiastica ha mantenuto un ruolo sociale centrale.
«La Chiesa luterana finlandese è molto più di un’istituzione religiosa», spiega ancora Luoma. «È un provider di servizi sociali, un custode della cultura, un sistema di welfare parallelo. Molti finlandesi la sostengono per queste funzioni, indipendentemente dalle loro convinzioni teologiche».
I numeri confermano questa interpretazione. La Chiesa gestisce 765 parrocchie in tutta la nazione, impiega circa 24mila persone e ha un budget annuo di 1,1 miliardi di euro, finanziato attraverso l’imposta ecclesiastica (1-2% del reddito per i membri) e donazioni. È il secondo datore di lavoro del Paese dopo lo Stato.
Detto questo, anche in Finlandia la secolarizzazione procede inesorabilmente. Ogni anno circa 15mila finlandesi lasciano formalmente la Chiesa, mentre solo 8mila vi aderiscono. «I giovani vedono la Chiesa come un’istituzione obsoleta», osserva Laura Tuominen, studentessa di teologia 24enne. «Molti dei miei coetanei escono dalla Chiesa appena diventano maggiorenni, principalmente per non pagare l’imposta ecclesiastica».
La Chiesa ha risposto a queste sfide con una strategia di modernizzazione e apertura. Nel 2010 ha accettato l’ordinazione delle donne come pastori e ha progressivamente ammorbidito le posizioni su temi etici controversi.
«La Chiesa finlandese è tra le più liberali del mondo luterano», spiega l’arcivescovo Luoma. «Benediciamo i matrimoni tra persone dello stesso sesso, accettiamo il divorzio, sosteniamo i diritti delle donne. Cerchiamo di essere una chiesa inclusiva in una società plurale».
P.P.

Meno ideologia, più scienza.
Visita alla centrale di Olkiluoto
È la più potente centrale nucleare dell’Europa, la terza del mondo. Dopo un lungo percorso, oggi è il simbolo della filosofia energetica finlandese, favorevole al nucleare.
Olkiluoto. Quando si arriva al complesso nucleare di Olkiluoto, nel comune di Eurajoki sulla costa occidentale della Finlandia, la prima cosa che colpisce è la maestosità dell’impianto. Due edifici di contenimento, più una terza cupola moderna e imponente, dominano il paesaggio industriale. È qui che si sta scrivendo una delle pagine più significative del futuro energetico europeo.
Con i suoi 1.600 MW di capacità, Olkiluoto 3 (tre, infatti, sono i suoi reattori) è attualmente l’unità nucleare più potente d’Europa e la terza al mondo. Il reattore Epr (European pressurized reactor), entrato in funzione commerciale nell’aprile 2023 dopo anni di ritardi e costi lievitati, rappresenta molto più di un semplice impianto di generazione elettrica: è il simbolo di una filosofia energetica che distingue la Finlandia da gran parte dell’Europa occidentale.
«Questo reattore da solo produce circa il 14% dell’elettricità finlandese», mi spiega Juha Poikola ingegnere della Tvo (Teollisuuden Voima), l’azienda che gestisce l’impianto. «Ma il suo impatto va ben oltre i numeri. Ha dimostrato che l’Europa può ancora costruire tecnologia nucleare avanzata»: il 14% dell’energia di un’intera nazione prodotta in uno spazio di poche decine di metri quadrati.

La scelta nucleare
La strada verso Olkiluoto 3 è stata tutt’altro che semplice. Iniziata nel 2005, la costruzione ha subito numerosi ritardi tecnici e legali, con i costi che sono lievitati dai 3 miliardi di euro iniziali a oltre 11 miliardi. Il reattore doveva essere operativo nel 2009, ma ha iniziato la produzione commerciale solo quattordici anni dopo. Tuttavia, per i finlandesi, questo lungo percorso non ha scalfito la fiducia nel nucleare.
«In Germania o in Italia, ritardi del genere avrebbero probabilmente ucciso il programma nucleare», osserva Tomas Tala, direttore del consorzio FinnFusion. «In Finlandia, li abbiamo visti come problemi tecnici da risolvere, non come ragioni per abbandonare la tecnologia».
Questa differenza di approccio ha radici profonde nella cultura del Paese. Il pragmatismo nordico, combinato con una forte tradizione ingegneristica e una fiducia nelle istituzioni, ha creato un ambiente favorevole al nucleare che contrasta nettamente con l’atteggiamento di molti altri Paesi europei. Ma c’è di più: la Finlandia è riuscita a creare un consenso sociale intorno al nucleare che include persino i partiti tradizionalmente più scettici.
«Il nostro approccio è sempre stato basato sulla scienza, non sull’ideologia», mi dice Atte Harjanne, parlamentare del Partito verde finlandese, mentre prendiamo un caffè. Harjanne, fisico di formazione, rappresenta una posizione che sarebbe impensabile per molti partiti verdi europei. «Abbiamo fatto i conti con la realtà climatica: se vogliamo raggiungere la neutralità carbonica mantenendo standard di vita elevati, il nucleare è necessario».
Questa posizione non è stata semplice da raggiungere nemmeno per i Verdi finlandesi. Il partito ha vissuto intensi dibattiti interni, ma alla fine ha prevalso l’approccio pragmatico. «Abbiamo studiato i dati» continua Harjanne. «Il nucleare finlandese ha un record di sicurezza eccellente, produce energia carbon-free e ci garantisce indipendenza energetica. Sarebbe irresponsabile opporsi per principio ideologico».
Nel Paese il consenso sul nucleare raggiunge livelli impressionanti: oltre il 60% della popolazione sostiene l’energia nucleare (grafico), con punte dell’80% tra i giovani laureati e più del 90% tra i laureati in materie scientifiche. Questo sostegno è alimentato da diversi fattori, ma forse il più importante è la trasparenza con cui le autorità hanno gestito il dossier nucleare nel corso dei decenni.
«Fin dagli anni Settanta, abbiamo coinvolto le comunità locali nelle decisioni sul nucleare», spiega Petteri Tiippana, direttore dell’Autorità finlandese per la sicurezza nucleare (Stuk). «Non abbiamo mai imposto nulla dall’alto. Le comunità che ospitano impianti nucleari ricevono benefici economici diretti e hanno voce in capitolo nelle decisioni che li riguardano».
Il caso di Eurajoki, il comune che ospita Olkiluoto, è emblematico. Con poco più di novemila abitanti, questa comunità costiera riceve annualmente milioni di euro in tasse dalla centrale nucleare, finanziando servizi pubblici di qualità superiore e mantenendo le imposte locali tra le più basse della Finlandia. «I nostri figli hanno scuole eccellenti, abbiamo una biblioteca modernissima e servizi sanitari di primo livello», racconta Vesa Lakaniemi, sindaco di Eurajoki. «Il nucleare non è solo accettato qui, è visto come una risorsa per la comunità».
Ma la vera rivoluzione di Olkiluoto non è solo nel reattore Epr.

Il deposito delle scorie
A pochi chilometri dall’impianto, scavato nella roccia granitica a 420 metri di profondità, si trova Onkalo, il primo deposito geologico permanente al mondo per scorie nucleari ad alta attività.
Il deposito è progettato per contenere le scorie radioattive per 100mila anni, isolandole completamente dall’ambiente. «È il progetto più a lungo termine mai intrapreso dall’umanità», spiega Pasi Tuohimaa, public relations di Posiva, l’azienda responsabile del deposito. «Stiamo progettando per un periodo di tempo che va oltre l’intera storia della civiltà umana».
La costruzione di Onkalo ha richiesto vent’anni di ricerche geologiche, test tecnologici e sviluppo di protocolli di sicurezza. Il sistema si basa su barriere multiple: le scorie vengono incapsulate in contenitori di rame, sigillati con argilla bentonitica e posizionati in tunnel scavati in roccia granitica stabile da 1,9 miliardi di anni. «Anche se tutte le barriere ingegneristiche dovessero fallire, la roccia stessa conterrebbe la radioattività», assicura Tuohimaa.
L’accettazione sociale di Onkalo è stata altrettanto notevole. Mentre altri Paesi europei hanno lottato per decenni per trovare siti per i depositi di scorie nucleari – spesso incontrando opposizione feroce delle comunità locali – la Finlandia ha risolto il problema con un approccio trasparente e partecipativo. «Abbiamo iniziato il dialogo con le comunità locali negli anni Novanta», ricorda Tuohimaa. «Non abbiamo nascosto nulla. Abbiamo spiegato i rischi, i benefici e le alternative».
Il risultato è che Eurajoki e i comuni limitrofi non solo accettano Onkalo, ma lo vedono come un’opportunità economica e tecnologica. Il deposito porta investimenti, posti di lavoro qualificati e posiziona la regione come centro di eccellenza nell’ingegneria nucleare.

Non solo nucleare
Questa capacità di gestire l’intero ciclo nucleare – dall’importazione dell’uranio allo smaltimento delle scorie – colloca la Finlandia in una posizione unica nel panorama energetico mondiale. Mentre la Germania ha deciso di eliminare gradualmente il nucleare e la Francia fatica a modernizzare il suo parco reattori, la Finlandia sta espandendo le sue capacità nucleari.
«Il nucleare non è solo parte del nostro mix energetico, è parte della nostra strategia industriale» spiega Riku Huttunen, direttore generale dell’Agenzia finlandese per l’energia. «Abbiamo industrie energivore – metallurgia, chimica, pasta di legno – che hanno bisogno di elettricità abbondante e affidabile. Il nucleare ce la garantisce».
Questa strategia ha permesso alla Finlandia di raggiungere risultati ambientali significativi mantenendo la competitività industriale. Il Paese ha già ridotto le emissioni di CO2 del 35% rispetto ai livelli del 1990, pur mantenendo una crescita economica robusta. L’obiettivo della carbon neutralità entro il 2035 – cinque anni prima dell’obiettivo Ue – sembra raggiungibile.
L’integrazione tra nucleare e rinnovabili in Finlandia è particolarmente sofisticata. Il Paese ha investito massicciamente nell’eolico – soprattutto onshore – e nel solare, nonostante le latitudini nordiche. Ma è il nucleare che fornisce la flessibilità necessaria per gestire l’intermittenza delle rinnovabili. «Non vediamo competizione tra nucleare e rinnovabili», chiarisce Huttunen. «Li vediamo come complementari. Il nucleare fornisce elettricità stabile 24 ore su 24 per 7 giorni alla settimana, le rinnovabili aggiungono capacità quando le condizioni sono favorevoli».
Questa filosofia pragmatica contrasta nettamente con l’approccio di Paesi come la Germania, dove l’Energiewende ha puntato tutto sulle rinnovabili eliminando il nucleare. I risultati parlano chiaro: mentre la Germania ha ancora significative emissioni dal settore elettrico e bollette energetiche tra le più care d’Europa, la Finlandia ha raggiunto un mix energetico quasi carbon-free mantenendo costi competitivi.
«La differenza culturale è fondamentale», riflette il sociologo dell’energia Tapio Litmanen dell’Università di Jyväskylä. «I tedeschi vedono il nucleare attraverso il prisma di Chernobyl e Fukushima. I finlandesi lo vedono attraverso il prisma dell’ingegneria e della gestione del rischio. Due approcci completamente diversi allo stesso problema.»
Il modello finlandese sta attirando interesse internazionale. Delegazioni da tutto il mondo visitano Olkiluoto e Onkalo per studiare l’approccio finlandese. «Riceviamo visite continue da altri Paesi che vogliono capire come abbiamo fatto» racconta Tuohimaa. «Il nostro modello di gestione partecipata e trasparente del nucleare è diventato un caso di studio globale».
La lezione è chiara: il successo del nucleare non dipende solo dalla tecnologia, ma dalla capacità di costruire consenso sociale attraverso trasparenza, partecipazione e benefici concreti per le comunità. È un modello che altri paesi stanno cercando di replicare, ma che richiede un contesto culturale e istituzionale specifico che non è facile da esportare.
Piergiorgio Pescali

Tecnologia e Welfare
Un paese laboratorio
Innovazione e sostenibilità sono le parole d’ordine della Finlandia. Senza però dimenticare il proprio sistema di welfare, tra i più avanzati al mondo.
Helsinky. Mentre il mio viaggio attraverso la Finlandia del 2025 volge al termine, sono di nuovo nella capitale nel quartiere di Kalasatama, un’area che fino a pochi anni fa ospitava il porto commerciale e oggi rappresenta uno dei progetti di sviluppo urbano sostenibile più ambiziosi d’Europa. Grattacieli in legno si ergono accanto a edifici tradizionali ristrutturati con criteri di efficienza energetica estrema, mentre pannelli solari e turbine eoliche urbane completano un paesaggio che sembra uscito da un film di fantascienza.
Il quartiere di Kalasatama è un laboratorio del futuro dove si stanno testando tutte le tecnologie che renderanno Helsinki carbon neutral entro il 2030, cinque anni prima del target nazionale. I progressi sono tangibili: Helsinki ha già ridotto le emissioni del 60% rispetto ai livelli del 1990, principalmente attraverso il passaggio dal carbone alle bioenergie per il teleriscaldamento urbano e l’elettrificazione dei trasporti pubblici. «Il segreto è l’integrazione sistemica», spiega Laura Aalto che ha ricoperto il ruolo di direttrice marketing e comunicazione della città di Helsinki. «Non basta cambiare una tecnologia alla volta. Bisogna ripensare completamente come funziona una città: energia, trasporti, edifici, rifiuti, tutto deve essere interconnesso in un sistema circolare».
Il modello Helsinki sta attirando delegazioni da tutto il mondo. La città ha sviluppato un sistema di teleriscaldamento che utilizza il calore di scarto dei data center per riscaldare gli edifici, ha introdotto autobus a idrogeno e sta sperimentando sistemi di mobilità autonoma per il trasporto pubblico. Ma è forse nel settore dell’economia circolare che la Finlandia sta dimostrando la maggiore innovazione. Il Paese ha l’obiettivo di diventare la prima economia completamente circolare al mondo entro il 2035, eliminando il concetto di rifiuto attraverso il riuso, il riciclo e la rigenerazione dei materiali.
L’industria forestale finlandese, tradizionalmente focalizzata su carta e legname, si sta trasformando in un settore ad alta tecnologia che produce biocarburanti, biomateriali avanzati, tessuti sostenibili e persino cibo sintetico da cellulosa. Aziende come Stora Enso e Upm (Industria forestale finlandese) hanno investito miliardi in bioraffinerie che trasformano gli scarti di lavorazione in centinaia di prodotti diversi.
«Da un albero oggi ricaviamo non solo carta e legno, ma anche carburante per aerei, tessuti, plastiche biodegradabili, farmaci e additivi alimentari», racconta Jyrki Ovaska, direttore della ricerca presso Upm. «È una rivoluzione industriale silenziosa che sta cambiando completamente il paradigma produttivo».
Questa trasformazione ha implicazioni profonde per l’identità nazionale finlandese che va ben oltre il settore forestale. Il Paese è leader mondiale in diverse nicchie tecnologiche: dall’ingegneria navale per navi rompighiaccio (Aker Arctic) ai sistemi di automazione industriale (Kone, Metso), dalle tecnologie per data center efficienti ai videogiochi (Supercell, Remedy).
Il settore dei videogiochi rappresenta un caso di studio interessante. Dopo il successo globale di Angry Birds, la Finlandia è diventata una delle capitali mondiali del gaming, con oltre 300 studi di sviluppo e un fatturato annuo di 2,7 miliardi di euro.

L’intelligenza artificiale spiegata
È forse nell’approccio all’intelligenza artificiale che la Finlandia si sta distinguendo. Il Paese ha lanciato il programma Elements of AI, che ha l’obiettivo di formare l’1% della popolazione (55mila persone) sui fondamenti dell’intelligenza artificiale. È il più ambizioso programma di alfabetizzazione Ia (Intelligenza artificiale) al mondo.
«Non vogliamo che l’Ia sia appannaggio di pochi specialisti», spiega Teemu Roos, professore di
informatica all’Università di Helsinki e cocreatore del programma. «Vogliamo che ogni cittadino finlandese comprenda le potenzialità e i rischi dell’intelligenza artificiale. È una questione di democrazia digitale».
Questo approccio inclusivo riflette i valori nordici di uguaglianza e trasparenza applicati alla tecnologia. La Finlandia sta sviluppando sistemi di Ia «spiegabile» per la pubblica amministrazione e ha introdotto standard etici rigorosi per l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei servizi pubblici.
La sostenibilità permea tutti gli aspetti dell’innovazione finlandese. Il Paese ha sviluppato un «indicatore di benessere genuino» che misura il progresso non solo attraverso il Pil ma anche attraverso parametri ambientali e sociali.
Una filosofia che si riflette anche nelle politiche fiscali. La Finlandia ha introdotto una carbon tax progressiva che aumenta automaticamente ogni anno, incentivando investimenti in tecnologie pulite. I proventi vengono utilizzati per ridurre le tasse sul lavoro, creando un doppio incentivo economico ambientale.
Il sistema di welfare finlandese si sta adattando ai cambiamenti del mercato del lavoro nell’era digitale. Il Paese ha sperimentato il reddito di base universale tra il 2017 e il 2018, e sta ora testando modelli di Welfare 2.0 che includono formazione continua, mobilità professionale assistita e nuove forme di protezione sociale per lavoratori autonomi e freelance.
«Il lavoro del futuro sarà più flessibile ma anche più incerto» prevede Olli Kangas, ricercatore presso Kela (l’agenzia finlandese per la sicurezza sociale). «Il nostro sistema di welfare deve adattarsi a questa realtà senza perdere le garanzie di sicurezza che caratterizzano il modello nordico».
L’educazione continua rappresenta un pilastro di questa strategia. La nazione ha introdotto il diritto individuale alla formazione professionale per tutti i lavoratori, finanziato dallo Stato e dalle aziende. «In un mondo che cambia rapidamente, l’apprendimento permanente non è più un lusso ma una necessità» osserva Olli Kangas.
Ma il consenso finlandese, che per decenni ha caratterizzato le decisioni politiche del Paese, è sotto pressione. L’ascesa del Partito dei finlandesi riflette una parte della popolazione che si sente esclusa dalla modernizzazione e dalla globalizzazione: c’è una Finlandia che va veloce verso il futuro e una Finlandia che ha paura di essere lasciata indietro. Tuttavia, la capacità di adattamento della società rimane notevole.
Il Paese ha saputo navigare la transizione post-Nokia (nel 2011, dal suo fallimento nacquero centinaia di società hitech), l’integrazione nella Nato, la gestione dell’immigrazione e ora affronta la sfida climatica con determinazione.
Miracolo finlandese
La Finlandia non ha risolto tutti i suoi problemi – nessun Paese l’ha fatto – ma ha dimostrato che è possibile costruire un modello di sviluppo che combina prosperità economica, sostenibilità ambientale e giustizia sociale. In un mondo sempre più diviso e polarizzato, l’esempio finlandese offre una via alternativa: pragmatica, inclusiva e orientata al futuro.
È questo, forse, il vero «miracolo finlandese» del XXI secolo: non la crescita economica esplosiva o la potenza militare, ma la capacità di reinventarsi continuamente rimanendo fedeli ai propri valori fondamentali. Una lezione preziosa per tutti noi, mentre navighiamo le acque incerte del futuro globale.
Piergiorgio Pescali

Lapponia (Terra dei Sami). Clima surriscaldato
Rovaniemi. Qui il paesaggio racconta una storia geografica e geopolitica unica. Distese infinite di foreste si alternano a laghi ghiacciati e tundra. Siamo oltre il Circolo polare artico, in una regione che rappresenta il 26% del territorio finlandese ma ospita solo il 3,4% della popolazione nazionale che oggi sta vivendo una trasformazione senza precedenti. Le temperature aumentano al doppio della velocità della media globale, sciogliendo ghiacci perenni e aprendo nuove rotte commerciali. Contemporaneamente, la scoperta di vasti giacimenti di minerali rari ha scatenato una nuova «corsa all’oro» polare. «L’Artico era una zona di cooperazione pacifica», spiega Timo Koivurova, professore di diritto artico all’Università di Lapponia. «La guerra in Ucraina ha cambiato tutto. Russia e Occidente si confrontano ora anche nell’Artico, e noi finlandesi ci troviamo in mezzo».
Il Consiglio artico, fondato nel 1996, includeva tradizionalmente tutti gli otto stati artici (Finlandia, Norvegia, Svezia, Islanda, Danimarca, Canada, Usa e Russia). L’invasione russa dell’Ucraina ha portato alla sospensione della partecipazione russa, paralizzando di fatto il meccanismo di cooperazione regionale. La strategia artica finlandese per il periodo 2024-’30 riflette questa nuova realtà geopolitica. Il documento, presentato dal governo Orpo, enfatizza la sicurezza, la sostenibilità e la sovranità, abbandonando il precedente approccio puramente cooperativo.
Turismo e comunità indigene
L’economia artica finlandese è in rapida trasformazione. Il turismo, tradizionalmente basato su caccia e pesca, ha abbracciato il fenomeno dell’aurora boreale e del «turismo di Babbo Natale», attirando oltre 600mila visitatori annui a Rovaniemi. Tuttavia, questa crescita crea tensioni con le comunità indigene.
«Il turismo di massa sta cambiando il volto della Lapponia», osserva Leo Aikio, primo vicepresidente del Parlamento sami finlandese. «Vediamo un eccesso di turismo in alcune aree, mentre le nostre tradizioni di allevamento delle renne sono sotto pressione». In Finlandia, i Sami, popolo indigeno che abita l’Artico scandinavo da migliaia di anni (cfr. MC aprile 2020), contano circa 10mila persone. La loro economia tradizionale si basa sull’allevamento di renne, ma oggi deve competere con nuovi usi del territorio.
Il cambiamento climatico sta trasformando radicalmente l’ecosistema. Le temperature invernali sono aumentate di 3-4 gradi negli ultimi cinquant’anni, modificando i luoghi di migrazione degli animali e riducendo la durata del manto nevoso. «Quando ero bambino, la neve arrivava a ottobre e rimaneva fino ad aprile», racconta Ante Sokki, allevatore sami. «Ora arriva a dicembre e se ne va a marzo. Le renne fanno fatica a trovare cibo sotto il ghiaccio che si forma quando piove d’inverno».
P.P.

Ha firmato il dossier:
PIERGIORGIO PESCALI. Risiede in Giappone e Corea del Nord lavorando nella ricerca scientifica nel settore della fisica nucleare. Grazie al lavoro che lo porta a viaggiare per il mondo collabora con vari media. È una firma storica di MC.
A CURA DI: Paolo Moiola, giornalista MC.

















































