Ritorna il feudalesimo?


Viviamo in un tempo strano e unico. Unico, perché è il solo tempo che abbiamo: nessuno di noi può scegliere quando e dove nascere. Strano, perché, nonostante il nostro orgoglio per le conquiste scientifiche, le nuove possibilità della comunicazione, i risultati in medicina, i sistemi democratici, la crescita di responsabilità nei confronti dell’ambiente, stiamo vivendo innumerevoli contraddizioni.

Tra queste c’è la crisi di identità di genere e, di conseguenza, delle relazioni tra uomini e donne, della famiglia, della natalità e della difesa della vita con aborto e morte assistita che diventano diritti. C’è la democrazia che scricchiola, insidiata da autoritarismi e dittature, ma anche da politici al servizio dei grandi poteri economici.

Per quanto riguarda l’ambiente, le decisioni sono ancora dettate da chi gestisce petrolio, carbone e grandi industrie. Inoltre, nell’agricoltura si espandono i latifondi a monocoltura e l’allevamento intensivo delle multinazionali che riducono la biodiversità di vegetali e animali, le produzioni a km zero, e tolgono spazio ai piccoli agricoltori.

Altro ambito di grandi potenzialità, ma anche di enormi problematiche, è quello della comunicazione e dell’intelligenza artificiale. L’internet e lo sviluppo del digitale hanno decisamente modificato il nostro modo di comunicare, di essere informati, di studiare e lavorare. E ne sono contento. I miei confratelli dicono che sarei stato uno dei primi missionari della Consolata a usare il cellulare, e ho cominciato a smanettare sui computer dai primi anni Ottanta. Ho vissuto con gioia e aspettativa l’evoluzione di questo mondo, con il sogno che aiutasse a far sparire le guerre, a far crescere la fraternità, favorendo la conoscenza e stima reciproca, e cancellare le disuguaglianze.

Oggi, però, i media digitali rischiano di essere strumenti di manipolazione, disinformazione sistematica e controllo, rafforzando il potere dei regimi autoritari e dei monopoli economici, e facendo crescere la disparità tra la ricchezza di pochi e la miseria di molti.

Guardando alla millenaria storia dell’umanità, ci sentiamo orgogliosi di vivere in un tempo dove non abbiamo più né imperatori né feudatari e dove «uno vale uno». Non siamo più nel Medioevo, ci diciamo. Abbiamo acquistato l’autonomia della politica dalla religione, abbiamo fatto passi da gigante in tutti i campi del sapere… eppure è bastata una crisi come quella del Covid-19 per buttare all’aria tutte le nostre sicurezze e accentuare tutte le nostre fragilità, che rivelano un mondo decisamente malato. Un mondo nel quale i ricchi diventano sempre più ricchi a spese della maggioranza, non solo nei paesi poveri, ma anche in quelli del Nord del mondo, mentre le istituzioni sovranazionali, Onu inclusa, diventano via via irrilevanti. Sembra iniziata l’epoca di un nuovo feudalesimo.

Che fare per reagire a una simile situazione?

Non ho soluzioni in tasca. Ma certamente una delle prime cose da fare è quella di sviluppare un pensiero critico e libero che si fondi sulle domande e sulle ragioni centrali del nostro vivere. Un pensiero che passi dall’io al noi, dalla sete di potere e ricchezza alla coscienza che solo diventando servitori del bene comune possiamo costruire bellezza, bene essere e pace.

Questo, per noi che crediamo in Gesù Cristo, può venire solo dal confronto profondo con la Parola di Dio, nella quale troviamo le chiavi e i criteri per la vera libertà interiore, per rinnovare i nostri rapporti interpersonali e sociali, per un approccio bello e responsabile al creato. Lì c’è l’humus per supportare un vero cambio di mentalità («conversione») che non sia solo un’operazione di cosmesi fatta solo di parole, ma diventi un reale impegno che si realizza in piccoli gesti quotidiani e anche in un rinnovato schierarsi nel volontariato e nella politica (come cura della polis, la città, per il bene comune, come scriveva Aristotele).

Nella Parola troviamo anche le motivazioni per non mollare, per non cedere allo scoraggiamento e non rassegnarci alla violenza del mondo nel quale viviamo, e giocare la nostra vita al servizio degli altri, come ha fatto Gesù e, sul suo esempio, tantissimi testimoni che ricorderemo in modo particolare il prossimo 24 marzo, giornata dei missionari martiri.

Gigi Anataloni




Fratelli tutti: per un mondo senza scartati

testo di Francesco Gesualdi |


A ottobre 2020, è uscita la terza enciclica di papa Francesco. Tratta di convivenza e fratellanza. Visto che la qualità dell’esistenza dipende anche dall’economia, il pontefice ne esamina le problematiche. Facendo critiche precise e proponendo soluzioni.

Fratelli tutti: è questo il titolo dell’ultima enciclica di papa Francesco che ha un obiettivo, una motivazione e una strategia. L’obiettivo è quello di sollecitarci a costruire un mondo fraterno senza scartati. La motivazione è la convinzione, condivisa anche con il grande imam Ahmad Al-Tayyeb, secondo la quale Dio «ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro». La strategia è il dialogo.

Economia e povertà

L’enciclica si apre con un’analisi della situazione che, oltre a concentrarsi su aspetti morali, culturali e sociali, inevitabilmente comprende anche aspetti economici, perché la qualità della nostra esistenza dipende in gran parte da come l’economia è organizzata. L’enciclica lo dice chiaramente: «Persistono oggi nel mondo numerose forme di ingiustizia, nutrite da visioni antropologiche riduttive e da un modello economico fondato sul profitto, che non esita a sfruttare, a scartare e perfino ad uccidere l’uomo. Mentre una parte dell’umanità vive nell’opulenza, un’altra parte vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata e i suoi diritti fondamentali ignorati o violati». E precisa: «Questo scarto si manifesta in molti modi, come nell’ossessione di ridurre i costi del lavoro, senza rendersi conto delle gravi conseguenze che ciò provoca, perché la disoccupazione che si produce ha come effetto diretto di allargare i confini della povertà. […] Ci sono regole economiche che sono risultate efficaci per la crescita, ma non altrettanto per lo sviluppo umano integrale. È aumentata la ricchezza, ma senza equità, e così ciò che accade è che nascono nuove povertà».

La proprietà privata

Tra i fondamentali capitalistici che papa Francesco torna a mettere in discussione c’è il primato della proprietà privata. Una puntualizzazione che conviene riportare in maniera integrale, perché su questo tema, dentro la Chiesa, ci sono ancora troppe ambiguità: «Il mondo esiste per tutti, perché tutti noi esseri umani nasciamo su questa terra con la stessa dignità. Le differenze di colore, religione, capacità, luogo di origine, luogo di residenza e tante altre non si possono anteporre o utilizzare per giustificare i privilegi di alcuni a scapito dei diritti di tutti. Di conseguenza, come comunità siamo tenuti a garantire che ogni persona viva con dignità e abbia opportunità adeguate al suo sviluppo integrale. Nei primi secoli della fede cristiana, diversi sapienti hanno sviluppato un senso universale nella loro riflessione sulla destinazione comune dei beni creati. Ciò conduceva a pensare che, se qualcuno non ha il necessario per vivere con dignità, è perché un altro se ne sta appropriando. Lo riassume San Giovanni Crisostomo dicendo che “non dare ai poveri parte dei propri beni è rubare ai poveri, è privarli della loro stessa vita; e quanto possediamo non è nostro, ma loro”. Come pure queste parole di San Gregorio Magno: “Quando distribuiamo agli indigenti qualunque cosa, non elargiamo roba nostra ma restituiamo loro ciò che ad essi appartiene”. Di nuovo faccio mie e propongo a tutti alcune parole di San Giovanni Paolo II, la cui forza non è stata forse compresa: “Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno”. In questa linea ricordo che “la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata”. Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il “primo principio di tutto l’ordinamento etico sociale”, è un diritto naturale, originario e prioritario. Tutti gli altri diritti sui beni necessari alla realizzazione integrale delle persone, inclusi quello della proprietà privata e qualunque altro, “non devono quindi intralciare, bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione”, come affermava San Paolo VI. Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società».

Il mercato

Parole altrettanto chiare sono riservate al mercato: «Qualcuno pretendeva di farci credere che bastava la libertà di mercato perché tutto si potesse considerare sicuro […]. Il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale. Si tratta di un pensiero povero, ripetitivo, che propone sempre le stesse ricette di fronte a qualunque sfida si presenti». E facendo riferimento alla così detta teoria del trickledown, dello sgocciolamento, secondo la quale se si accresce la ricchezza prodotta – non importa cosa, né in quali condizioni, né a vantaggio di chi -, qualcosa arriverà anche ai poveri in virtù del fatto che i ricchi richiederanno un numero di servitori sempre più ampio, il papa aggiunge: «Il neoliberismo riproduce sé stesso tale e quale, ricorrendo alla magica teoria del “traboccamento” (sgocciolamento) – senza nominarla – come unica via per risolvere i problemi sociali. Non ci si accorge che il presunto traboccamento non risolve l’inequità, la quale è fonte di nuove forme di violenza che minacciano il tessuto sociale. Da una parte è indispensabile una politica economica attiva, orientata a “promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale”, perché sia possibile aumentare i posti di lavoro invece di ridurli. La speculazione finanziaria con il guadagno facile come scopo fondamentale continua a fare strage. D’altra parte, senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare».

Per papa Francesco, dunque, la soluzione risiede nella solidarietà e nella gratuità, principi da vivere ad ogni livello, da quello interpersonale e di quartiere fino a quello statale: «Alcuni nascono in famiglie di buone condizioni economiche, ricevono una buona educazione, crescono ben nutriti, o possiedono naturalmente capacità notevoli. Essi sicuramente non avranno bisogno di uno stato attivo e chiederanno solo libertà. Ma evidentemente non vale la stessa regola per una persona disabile, per chi è nato in una casa misera, per chi è cresciuto con un’educazione di bassa qualità e con scarse possibilità di curare come si deve le proprie malattie. Se la società si regge primariamente sui criteri della libertà di mercato e dell’efficienza, non c’è posto per costoro, e la fraternità sarà tutt’al più un’espressione romantica».

Le migrazioni

L’enciclica non rinuncia ad affrontare anche un altro tema su cui oggi c’è grande fermento: come orientarsi fra locale e globale? Prendendo come riferimento il «vicinato» papa Francesco indica la dimensione regionale, intesa come dimensione continentale, come livello ottimale di collaborazione economica, mettendo in guardia dall’interesse che le grandi potenze hanno a impedire che i paesi poveri stringano alleanze fra loro: «Ci sono paesi potenti e grandi imprese che traggono profitto da questo isolamento e preferiscono trattare con ciascun paese separatamente. Al contrario, per i paesi piccoli o poveri si apre la possibilità di raggiungere accordi regionali con i vicini, che permettano loro di trattare in blocco ed evitare di diventare segmenti marginali e dipendenti dalle grandi potenze. Oggi nessuno stato nazionale isolato è in grado di assicurare il bene comune della propria popolazione».

Un’enciclica dedicata alla fratellanza non poteva certo ignorare il tema delle migrazioni a cui dedica un intero capitolo. E dopo avere sottolineato come i migranti contribuiscano all’arricchimento umano e culturale della società, papa Francesco sente il bisogno di sgomberare il campo dal rischio che il tema sia valutato solo in termini di convenienza. Per cui afferma senza mezzi termini che la stella polare deve essere la gratuità: «Tuttavia, non vorrei ridurre questa impostazione a una qualche forma di utilitarismo. Esiste la gratuità. È la capacità di fare alcune cose per il solo fatto che di per sé sono buone, senza sperare di ricavarne alcun risultato, senza aspettarsi immediatamente qualcosa in cambio. Ciò permette di accogliere lo straniero, anche se al momento non porta un beneficio tangibile».

La nuova politica

La sintesi del pensiero di papa Francesco è che «dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno». Ma «per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale, è necessaria la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune». Una politica, cioè, che non sia sottomessa all’economia. E una delle vie intraviste da papa Francesco per ottenere una nuova politica è la nascita di una nuova cultura che si può ottenere solo attraverso il dialogo. «Il dialogo tra le generazioni, il dialogo nel popolo, perché tutti siamo popolo, la capacità di dare e ricevere, rimanendo aperti alla verità. Un paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali: la cultura popolare, la cultura universitaria, la cultura giovanile, la cultura artistica e la cultura tecnologica, la cultura economica e la cultura della famiglia, e la cultura dei media». E in particolare, dialogo con i movimenti popolari, definiti da papa Francesco come «poeti sociali, che a modo loro lavorano, propongono, promuovono e liberano. Con essi sarà possibile uno sviluppo umano integrale, che richiede di superare «quell’idea delle politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli. Benché diano fastidio, benché alcuni “pensatori” non sappiano come classificarli, bisogna avere il coraggio di riconoscere che senza di loro la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino».

Dialogo e lotta

Il dialogo sollecitato da papa Francesco è verso tutti e in forma gentile. «La pratica della gentilezza non è un particolare secondario né un atteggiamento superficiale o borghese. Dal momento che presuppone stima e rispetto, quando si fa cultura in una società, trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti».  Nel contempo papa Francesco ci tiene a precisare che dialogo non significa rinuncia al conflitto se serve a fare trionfare i diritti: «Non si tratta di proporre un perdono rinunciando ai propri diritti davanti a un potente corrotto, a un criminale o a qualcuno che degrada la nostra dignità. Siamo chiamati ad amare tutti, senza eccezioni, però amare un oppressore non significa consentire che continui ad essere tale; e neppure fargli pensare che ciò che fa è accettabile. Al contrario, il modo buono di amarlo è cercare in vari modi di farlo smettere di opprimere, è togliergli quel potere che non sa usare e che lo deforma come essere umano. Perdonare non vuol dire permettere che continuino a calpestare la dignità propria e altrui, o lasciare che un criminale continui a delinquere. Chi patisce ingiustizia deve difendere con forza i diritti suoi e della sua famiglia, proprio perché deve custodire la dignità che gli è stata data, una dignità che Dio ama».

Francesco Gesualdi