Turchia. Efeso e Nicea, ponti tra fedi

 

Il luogo del confronto è la «Casa di Maria», frequentata soprattutto dai musulmani. Prove di dialogo anche a Nicea, dove quest’anno si celebrano i 1700 anni del Concilio.

C’è un santuario in Turchia, cristiano ma frequentato soprattutto dai musulmani. È Meryem Ana, la Casa di Maria, a Efeso, il luogo dove, per la Tradizione, la Madonna ha vissuto insieme all’apostolo Giovanni dopo la morte, risurrezione e ascensione di Gesù.

Efeso dunque è come un ponte tra islam e cristianesimo. Lo è Meryem Ana, ma anche il grande parco archeologico nel quale si trovano i resti della prima basilica al mondo dedicata alla Madonna (qui conosciuta come la Madre di Dio), e l’anfiteatro dove San Paolo predicava agli efesini, una delle città più vivaci di quei tempi.

Oggi, nella terra dove si è sviluppata una delle prime comunità seguaci di Cristo, i cristiani sono pochissimi, non possono celebrare dove vogliono e, soprattutto, non possono svolgere una vera e propria opera missionaria.

Tuttavia si vedono germogliare semi di dialogo e rispetto reciproco, considerati anche i tanti pellegrini che scelgono la Turchia per i loro viaggi di fede.

A raccontare la devozione di donne e famiglie islamiche per la Madonna di Efeso, sono Caterina e Antonietta, laiche consacrate della famiglia delle Discepole di Maria e dell’apostolo Giovanni. La prima è di Salerno, l’altra di Avellino. Hanno lasciato l’Italia dieci anni fa per vivere in Turchia e, da nove, vivono a Efeso, «ai piedi di Maria», come loro stesse dicono.

«Per i musulmani questo è un “ibadet yeri”, un luogo sacro, benedetto. Infatti nel Corano c’è una Sura – ricorda Antonietta – che dice che Maria è la donna più santa tra tutte le donne. E molti si affidano a lei per avere un bambino. Ci è capitato qualche volta che alcune donne musulmane siano venute qui e abbiano ringraziato la Madonna aver chiesto la grazia di avere un figlio».

Caterina ci mostra un piccolo oggetto nella bacheca di vetro che sta all’uscita della Casa di Maria: «Una coppia da Ankara ha lasciato questa piccola medaglia – dice mostrando l’oggetto devozionale – con una “d” sopra, che significa “dilek”, desiderio. Dopo sette anni, la coppia ha avuto una bambina e l’ha chiamata proprio così: Desiderio».

Tanti lasciano regali a Meryem, una consolazione per molte famiglie in questa terra.
«La Casa della Madonna è un po’ come un ponte tra le varie religioni, soprattutto tra il Cristianesimo e l’Islam. Qui pregano sia cristiani che musulmani, e questo è già un segno che c’è qualcosa di particolare», dice una delle due consacrate.

La Meryem Ana a Efeso. © Manuela Tulli

Grande attesa c’è anche a Nicea dove a fine maggio verranno celebrati i 1700 anni del famoso Concilio. Un evento al quale, salute permettendo, è atteso anche Papa Francesco.

«Le istituzioni della Turchia – dice il vescovo di Istanbul, monsignor Massimiliano Palinuro – sono impegnate ad accogliere il Santo Padre in maniera straordinaria e generosa. Le autorità ci hanno mostrato i progetti ambiziosi che intendono realizzare a Nicea. Il luogo sarà attrezzato, entro maggio, per accogliere i pellegrini e per rendere fruibile il sito archeologico del posto dove si è celebrato il primo Concilio ecumenico», ha sottolineato parlando con la delegazione dell’Opera pomana pellegrinaggi nelle settimane scorse in missione in Turchia con un gruppo di sacerdoti e giornalisti. «La Turchia – ribadisce il vescovo – si sta preparando a quest’evento in maniera straordinaria, vogliono fare il massimo possibile».

È chiaro che, nonostante nel Paese la fede musulmana sia assolutamente prevalente, oggi c’è nei cittadini turchi un interesse per questi siti legato anche al turismo religioso. Questo, tra l’altro, a causa del conflitto in Medio Oriente, si è spostato proprio qui, verso la terra dove per la prima volta i cristiani furono chiamati in questo modo.

Allo stesso tempo, è vero che in Turchia «la Chiesa ha la possibilità di crescere nel dialogo con chi non è cristiano», come dice padre Alessandro Amprino, cancelliere dell’arcidiocesi di Smirne.

Il dialogo è sempre stato al centro della pastorale di monsignor Antuan Ilgit, vicario apostolico dell’Anatolia: «In questa terra, già da secoli – ha detto al momento della sua ordinazione episcopale poco più di un anno fa -, si sperimenta il dialogo e il cammino d’insieme tra le differenti realtà cristiane nella quotidianità, condividendo le stesse sorti, gioie e dolori. E lo stesso vale in una prospettiva di dialogo interreligioso con l’islam».

Manuela Tulli




Filippine. Un villaggio per il dialogo islamo cristiano

 

Nell’isola di Mindanao, in una zona a maggioranza islamica, un missionario cattolico e un intellettuale musulmano hanno fondato un villaggio (e un movimento chiamato Silsilah) del dialogo, nel quale cristiani e musulmani condividono vita quotidiana e fedi.

Quando si entra nel «Villaggio dell’armonia», alla periferia di Zamboanga del Sur, città sull’isola filippina di Mindanao, si ha la sensazione di entrare in un’oasi.
Affacciata sul mare delle Sulu, una corona di piccole isole, Zamboanga si trova all’estremità di una sottile lingua di terra, propaggine occidentale dell’isola di Mindanao, ed è un porto frequentato da commercianti, pescatori, nomadi del mare, genti e viaggiatori di ogni lingua, etnia e cultura che solcano i mari del Sud.

In quest’area, vi sono le province che compongono la Regione autonoma di Bangsamoro in Mindanao musulmana (Barmm), ovvero il territorio che accoglie una consistente popolazione musulmana di circa sei milioni di anime. La regione rappresenta un tratto peculiare delle Filippine meridionali: i seguaci di Maometto in essa sono la maggioranza, mentre nella totalità dell’arcipelago – che conta oltre 100 milioni di abitanti, ed è al 90% cattolico – sono una minoranza di circa il 6%.

Una tenuta di 14 ettari (un villaggio, un bosco, campi coltivati), situata su una collina a 7 chilometri dalla città, ospita un villaggio speciale, ricco di luoghi silenziosi per la meditazione, una casa di preghiera cristiana, una casa di preghiera musulmana, un asilo nido, una biblioteca e una sala conferenze.
La scritta «Villaggio dell’armonia» che accoglie il visitatore, promette bene. Appena si giunge, infatti, si viene accolti da persone sorridenti che guidano quanti voglio addentrarsi in quell’oasi verdeggiante. Lungo il viale d’ingresso, si viene accompagnati da cartelli che propongono la «preghiera dell’armonia», un’invocazione interreligiosa, recitata da cristiani e musulmani, che chiede a Dio di aiutare ogni credente a costruire la pace in quattro fondamentali dimensioni: prima di tutto dentro se stessi; poi nel rapporto con Dio; nella relazione con il prossimo; infine nella cura del creato.
Sono le quattro dimensioni che caratterizzano e raccontano l’essenza di «Silsilah» (temine della mistica che significa «catena»), il movimento per il dialogo islamo-cristiano nato a Zamboanga dall’intuizione di un missionario cattolico italiano, padre Sebastiano D’Ambra, del Pontificio Istituto per le missioni estere (Pime), accanto a un intellettuale e studioso musulmano, con cui condivideva la medesima visione, Dinggi Mc Cormick, cofondatore del movimento.
Toccati dall’esperienza del conflitto tra musulmani e cristiani a Mindanao – una guerriglia nata già dagli anni 70 del Novecento – e desiderando percorrere e approfondire le vie del dialogo con persone di tutte le culture e religioni, i due diedero inizio al movimento Silsilah, insieme a un gruppo di amici musulmani e cristiani, il 9 maggio 1984.

«Il dialogo parte da Dio e riporta le persone a Dio», va ripentendo D’Ambra. Il movimento, promotore di una profonda esperienza di dialogo spirituale e di condivisione di vita tra persone di fedi diverse, ha compiuto 40 anni: un cammino che è stato a tratti accidentato e doloroso, ma anche punteggiato da gioie e frutti insperati.
Una sofferenza indelebile è stata la perdita di Salvatore Carzedda, un altro missionario Pime che aveva condiviso parte del cammino, ucciso da gruppi violenti che avversavano ogni tentativo di dialogo. Grazie alla forza spirituale; grazie al motto «Padayon!», cioè «andiamo avanti», anche nelle avversità; grazie alla sua valenza profetica; Silsilah può dire oggi di aver contribuito a diffondere la cultura del dialogo e lo spirito della riconciliazione nelle Filippine e in tutto il mondo.

«Nel corso di 40 anni – ricorda padre D’Ambra -, Silsilah ha incontrato migliaia di amici musulmani e cristiani. È un’esperienza che ha generato frutti e ha assunto gradualmente un valore universale», spiega il missionario italiano che, fin dall’inizio, volle promuovere la condivisione di vita tra famiglie cristiane e musulmane nell’ottica di considerarsi reciprocamente l’amico, non il nemico, della porta accanto.

Così quel movimento ha unito fin dal principio spiritualità e vita, fede e azione, in una quotidianità comune che ha reso il villaggio un punto di luce per molti: studenti, religiosi, giovani e adulti hanno seguito seminari, corsi residenziali, esperienza di «immersione» che hanno lasciato un segno e generato altrove i Forum Silsilah.
La «spiritualità della vita in dialogo» è contagiosa, e si è diffusa in tutto il mondo.

Paolo Affatato