Italia-Africa. Cresce l’export di armi

 

In un mondo sempre più in conflitto, l’Italia è costantemente tra i leader mondiali nella vendita di armamenti. Secondo il rapporto «Trends in international arms transfers, 2024» pubblicato dallo Stockholm international peace research institute (Sipri, istituto che analizza la sicurezza globale), tra il 2020 e il 2024, l’Italia è stata la sesta esportatrice globale di armi: dalle sue industrie è arrivato il 5% di tutto il materiale bellico richiesto nel mondo, con un aumento del 138% rispetto alle vendite nel periodo 2015-2019.

Il mercato degli armamenti italiani quindi è in costante crescita. Lo conferma anche la «Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento» presentata il 24 marzo in Parlamento dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Secondo il documento, nel 2024 l’Italia ha esportato armamenti in 90 Paesi, guadagnando 7,7 miliardi di euro. Un incremento del 22% rispetto ai 6,3 miliardi del 2023.

Nelle mani di pochi
Dal rapporto emerge anche che l’industria bellica italiana è in mano a pochi. Da sole, Leonardo, Fincantieri, Rheinmetall Italia e Mbda Italia coprono il 60% delle esportazioni totali. Proprio grazie a una commessa da un miliardo di euro a Fincantieri (per due pattugliatori polivalenti d’altura destinati alla Marina militare), nel 2024 l’Indonesia è passata da 35° a prima importatrice di armi italiane. Seguono Francia, Regno Unito e Germania e, più in generale, Paesi dell’Unione europea e della Nato (destinatari del 44% delle esportazioni italiane).

Il mercato africano
Ma sono cresciute anche le esportazioni in Africa. Nel 2024, per la prima volta, i Paesi subsahariani hanno speso più di quelli nordafricani: 587 milioni di euro contro 306 milioni. In Africa subsahariana gli acquisti sono cresciuti del 501% rispetto al 2023 e del 2.401% rispetto al 2022. Tra conflitti, instabilità o semplice rinnovo degli arsenali, molti Stati si sono affidati agli armamenti italiani.
Ad esempio la Nigeria – nel 2024 prima importatrice africana e terza mondiale di armi italiane – ha speso 481 milioni di euro per bombe, missili, aerei, strumentazioni elettroniche e materiale da addestramento, necessari all’esercito contro Boko Haram, gruppo jihadista attivo nel nordest del Paese al confine con Niger, Ciad e Camerun. Non a caso, lo scorso anno, anche questi ultimi due Paesi hanno acquistato in Italia: il Ciad ha speso 21 milioni di euro (40mila nel 2023) mentre il Camerun ha versato 206mila euro.
Nel 2024, dopo alcuni anni, anche Botswana e Angola sono tornate a guardare al mercato italiano: la prima ha acquistato aerei e apparecchiature elettroniche per 61 milioni di euro, la seconda ha speso 14 milioni di euro. Ugualmente l’Uganda: dopo aver comprato armamenti italiani per l’ultima volta nel 2020, lo scorso anno il Paese ha fatto acquisti per 4,5 milioni di euro.
Somalia e Sudafrica hanno agito agli antipodi: se la prima ha triplicato la propria spesa, arrivando a 1,7 milioni di euro, il secondo l’ha dimezzata, fermandosi a 500mila. Infine, il Kenya si è confermato un mercato affidabile per l’industria italiana con transazioni per 2 milioni di euro.

Un continente interessante
D’altronde, negli anni, le aziende italiane hanno sviluppato una presenza capillare nel continente. Ad esempio, Leonardo (nel 2024 prima esportatrice con 1,8 miliardi di euro di fatturato, il 28% del totale) opera in undici Paesi africani. In Angola, lavora per espandere la sorveglianza marittima, spaziale e del cyberspazio. A Pointe Noire (Repubblica del Congo), si è assicurata un contratto per realizzare il sistema di sicurezza del porto. Mentre la fornitura di caccia alla Nigeria è stata un punto fermo delle vendite nel 2024.
Ma Leonardo non è la sola. I legami di Fincantieri con l’Egitto sono solidissimi. Benelli armi opera in Nigeria, Angola ed Egitto. Support logistic services ed Elettronica sono presenti in Sudafrica. E tante altre ancora sono sparse per tutto il continente.
L’industria bellica italiana dunque gode di ottima salute. Si alimenta da e contribuisce ad alimentare gli innumerevoli conflitti in tutto il mondo. Oltre a sostenere la corsa globale al riarmo.
Ma quest’anno potrebbe essere l’ultima volta in cui sono disponibili dati dettagliati sul mercato italiano degli armamenti. Soprattutto sul piano sulle transazioni finanziarie, di cui il 70% nel 2024 è passato per soli tre istituti: Unicredit, Deutsche Bank e IntesaSanpaolo.
Prosegue infatti l’iter parlamentare del disegno di legge (ddl) di iniziativa governativa n. 1730 che modifica la legge 9 luglio 1990, n. 185. Quest’ultima disciplina l’esportazione di armamenti italiani e impone al governo di presentare una relazione annuale al Parlamento sulla movimentazione di materiale bellico da e per il Paese. Il ddl invece mira a ridurre il controllo parlamentare sul commercio di armi e la trasparenza sulle transazioni finanziarie. Rendendo così ancora meno trasparente uno dei mercati più pericolosi al mondo.

Aurora Guainazzi




Italia. La legge che vuole nascondere il commercio di armi

 

Il controllo dei cittadini italiani sul commercio di armi è a rischio. La campagna «Basta favori ai mercanti di armi!» fa pressione sul Parlamento perché i limiti posti dalla legge 185/90 e la trasparenza sui flussi finanziari legati alle armi non vengano azzerati.

C’era una volta la legge 185/90 sul controllo del commercio di armi e sulla trasparenza dei finanziamenti delle banche al settore.

C’era una volta e c’è ancora, nonostante anni di tentativi da parte dei diversi governi di ridurne gli effetti.

Oggi, però, corriamo il rischio che il primo governo Meloni riesca nell’intento.

È all’esame delle Commissioni esteri e difesa della Camera, infatti, il disegno di legge di iniziativa governativa numero 1730 – «Modifiche alla legge 9 luglio 1990, n. 185», già approvato dal Senato -, che, oltre a ridurre il controllo del Parlamento sul commercio italiano di armi, vuole azzerare la trasparenza sui dati delle transazioni finanziarie operate dalle banche.

La società civile perderebbe uno strumento fondamentale per sapere quante armi l’Italia vende e a chi (compresi regimi autoritari e Paesi in conflitto), e quali sono le organizzazioni finanziarie che si offrono come canali per questo commercio. Uno strumento che permette, ad esempio, l’attività di informazione e denuncia della Campagna Banche armate, promossa da Nigrizia, Missione Oggi e Mosaico di pace.

La discussione delle linee generali del disegno di legge avverrà in aula il prossimo 17 marzo.

Prima di allora, ciascuno può fare la sua parte mettendo la propria firma alla petizione online della campagna lanciata dalla Rete italiana pace e disarmo: «Basta favori ai mercanti di armi!» già sostenuta negli ultimi mesi da un nutrito gruppo di organizzazioni che sta facendo sentire la sua voce.

«Diciamo no agli affari armati irresponsabili che alimentano guerre e insicurezza», recita il testo della petizione online.

E prosegue:

«Il Disegno di Legge di iniziativa governativa che modifica, peggiorandola […], la normativa italiana sull’esportazione di armi (la Legge 185/90) è stato approvato dal Senato nel febbraio 2024 e ora […] dovrà essere votato alla Camera dei deputati.

La società civile ha da subito espresso la propria preoccupazione […] evidenziando l’intenzione di indebolire il controllo sulle vendite all’estero di armi voluta da tempo da alcuni gruppi di pressione legati all’industria militare. Ma nonostante interventi di merito nel dibattito al Senato […], il Governo non ha voluto sentire ragioni e ha completamente ignorato e rigettato tali indicazioni […]. Il voto definitivo del Senato ha confermato un rifiuto totale del confronto (anche su questioni specifiche in chiaro conflitto con la normativa internazionale che l’Italia ha sottoscritto) segno evidente che l’obiettivo vero della modifica della Legge 185/90 è solo quello di favorire affari armati potenzialmente pericolosi e dagli impatti altamente negativi.

[…] le richieste della nostra Campagna sono chiare e si possono realizzare concretamente approvando gli emendamenti al DDL illustrati e proposti fin dall’inizio dell’iter parlamentare […]».

Seguono sei proposte molto precise, tra cui, per esempio, quella di «Inserire nella norma nazionale un richiamo esplicito al Trattato sul commercio delle armi (Arms Trade Treaty)» e quella di «Migliorare la trasparenza complessiva sull’export di armi rendendo più completi e leggibili i dati».

Come partecipare alla campagna?

Firmando la petizione online; facendo aderire la propria organizzazione (associazione, sindacato, parrocchia, circolo,…) al documento di richieste della Rete; promuovendo presso il proprio Comune l’adozione di una mozione in difesa della Legge 185/9o; contattando i Deputati della propria Circoscrizione, Provincia, Regione tramite una bozza di lettera già pronta; rilanciando la mobilitazione sui social media, «in particolare facendo un “tag” ai profili social di Rete pace disarmo della Camera dei deputati e dei partiti politici o parlamentari che ritieni più opportuno sollecitare».

Luca Lorusso