Mozambico e Angola: due paesi, uno stile


Raccogliamo in questo articolo le chiacchierate con padre Sisto Elias, superiore della regione Mozambico, e padre Fredy Gomez, responsabile del gruppo di missionari in Angola, che restituiscono un’immagine di un modo di fare missione basato soprattutto sulla collaborazione con le comunità locali.

Lo scorso 15 giugno è stata chiusa la sedicesima e ultima base della Renamo (Resistenza nazionale mozambicana), il gruppo militare, oggi partito politico conservatore, che fra il 1977 e il 1992, nella guerra civile mozambicana, ha combattuto il Frelimo (Fronte di liberazione del Mozambico), il partito al governo di ispirazione marxista. La base si trovava a Vinduzi, nei pressi del parco nazionale di Gorongosa (provincia di Sofala), storica roccaforte della Renamo, e la cerimonia ha visto Ossufo Momade, segretario della Renamo, consegnare l’ultima arma da fuoco, un mitragliatore AK-47, nelle mani del presidente mozambicano e leader del Frelimo, Filipe Nyusi@.

Con questo atto si è concluso il processo di disarmo, smobilitazione e reintegrazione (Ddr nell’acronimo portoghese, da Desarmamento, desmobilização e reintegração), che a cominciare dal giugno 2019 ha interessato un totale di 5.221 guerriglieri (257 donne e 4.964 uomini). Durante la cerimonia, il presidente Nyusi ha assicurato che si procederà ora al pagamento delle pensioni per gli ex combattenti, molti dei quali si trovano in condizioni economiche precarie dopo la smobilitazione, almeno secondo quanto dichiarato nel 2021 a Radio France International dal presidente della Renamo, André Magibire@.

Se questo conflitto è concluso – il prossimo 4 ottobre ricorreranno i 31 anni dalla firma, a Roma, del trattato di pace fra Frelimo e Renamo – lontano dalla fine sembra quello nel nord del paese, nella provincia di Cabo Delgado, dove dal 2017 è in corso un’insurrezione armata jihadista, alla quale però molti combattenti locali hanno aderito soprattutto perché si sentono esclusi dai benefici economici derivanti dalle scoperte di minerali e idrocarburi nella zona. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, a maggio scorso risultavano nel nord del Mozambico oltre 834mila sfollati interni, mentre altre 420mila persone avevano fatto ritorno nelle zone da cui erano fuggite, di cui quasi 392mila in località all’interno della provincia di Cabo Delgado, 27mila in quella di Nampula e un migliaio nel Niassa@.

Vi sono infine gli effetti del ciclone Freddy@, che tra febbraio e marzo ha colpito principalmente il Malawi e le regioni del nord del Mozambico, peggiorando le condizioni igienico sanitarie e aggravando l’epidemia di colera che era già in corso e che, secondo i dati dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità), fra l’inizio dell’anno e il 15 maggio scorso aveva fatto registrare poco meno di 90mila casi e 1.900 morti solo fra Malawi e Mozambico@.

La nuova gestione della salina

Fra le aree danneggiate dal ciclone c’è anche Nova Mambone, dove si trova la salina di Batanhe, fondata alla fine degli anni Sessanta del Novecento da padre Amadio Marchiol e da allora gestita dai missionari della Consolata@.

«La ricostruzione è ancora in corso», racconta padre Sisto Elias, missionario della Consolata mozambicano e superiore regionale al secondo mandato, «ma sarà completata in tempo per la stagione di produzione, che va da agosto a novembre». Negli ultimi due anni, la salina ha vissuto nella propria gestione un cambiamento profondo, incentrato sul metodo di lavoro che i Missionari della Consolata in Mozambico si sono dati sotto la guida di questa direzione regionale: «Abbiamo deciso di decentralizzare e investire sulle risorse locali», spiega Sisto. «Da Maputo facciamo la supervisione, garantiamo costanti visite sul campo e rimaniamo noi i responsabili in ultima istanza. Ma a portare avanti le attività sono le persone della comunità locale, sul posto».

Ora alla salina sono legate due imprese, una per la produzione e trasformazione del sale e una per la vendita all’ingrosso, così da garantire una migliore divisione del lavoro oltre che rigore nella gestione economica e nelle procedure igienico sanitarie. Rigore, precisa padre Sisto, che è lo stato mozambicano stesso a chiedere e a verificare con controlli e ispezioni.

«Produciamo e commercializziamo all’ingrosso tre tipi di sale: il Sal do Índico, che è il nostro marchio per il sale alimentare comune, il Flor do Índico, che è il fior di sale, cioè il prodotto più pregiato, e il Sal de pesca, un sale di qualità inferiore che si usa nella zootecnia oppure nella conservazione del pesce». La salina ha venti lavoratori fissi, che arrivano fino a 80-90 durante la stagione della produzione. Ma la salina rimane, come è sempre stata, un’impresa il cui fine è prevalentemente sociale: «Innanzitutto, l’attenzione è per i lavoratori, per sostenerli nei momenti di difficoltà, per garantire a loro e alle loro famiglie l’accesso all’istruzione, alla sanità. Ma non solo: i fondi per costruire la scuola primaria di Lichinga, nel Niassa, e la secondaria di Nampula sono venuti in buona parte dalla salina». E le scuole stesse sono gestite in modo decentralizzato, appoggiandosi a personale di fiducia in loco: il ruolo dei missionari è quello di effettuare frequenti visite per verificare la trasparenza nella gestione economica e l’alta qualità dell’insegnamento. «E per gli studenti le cui famiglie si trovano in condizioni di povertà estrema dimostrate, la scuola ha un sistema di borse di studio finanziate con le rette delle famiglie in grado di pagare».

Lotta malnutrizione a Capalanca in Angola

Il centro nutrizionale di Cuamba

Una simile gestione decentrata si applica anche al lavoro del centro nutrizionale che si trova nella cittadina di Cuamba, nel Niassa. Fino a qualche anno fa, il responsabile dei progetti attivi al centro nutrizionale era uno dei missionari della Consolata presente nella missione e parrocchia di Cuamba. Con la cessione della parrocchia ai sacerdoti diocesani, da circa due anni i missionari non sono più lì. «Questo ci ha costretto evidentemente a ridimensionare le attività del centro», spiega ancora Sisto, «rinunciando ad esempio ad avere una persona incaricata che prestasse servizio costante». Ma la malnutrizione è ancora presente e il centro è importante nel contrastarla. «Abbiamo deciso di mandare avanti le iniziative in sostegno ai bambini malnutriti semplicemente acquistando e stoccando in un magazzino latte in polvere e altri cibi che si conservano nel tempo e organizzando le distribuzioni alle famiglie bisognose attraverso i cristiani locali».

La presenza del centro e le sue attività di lotta alla malnutrizione si sono rivelate molto importanti per affrontare due emergenze che si sono sovrapposte nell’ultimo anno: l’arrivo da Cabo Delgado di diverse famiglie di sfollati, e le inondazioni legate al ciclone Freddy. Così, in una relazione dell’aprile scorso, padre Sisto riportava che, per far fronte ai maggiori bisogni causati da questi eventi, il centro ha collaborato con gli agenti di salute e l’Ingd (Istituto nazionale per la gestione e la riduzione dei rischi da catastrofe) per fornire assistenza alle persone ospitate in due centri di accoglienza della zona: riso, zucchero, olio, sapone, latte e farina sono stati acquistati e distribuiti a 187 famiglie con una media di 5 figli ciascuna, per un totale di 935 bambini e adolescenti, ai quali è stato assicurato l’apporto nutrizionale indispensabile.

Arte Macua a Maua in Mozambico su stimolo di padre Frizzi

Maúa, l’eredità di padre Frizzi

Il lavoro di padre Giuseppe Frizzi che, a partire dal 1987, ha studiato e sistematizzato il patrimonio etnolinguistico del popolo Macua Xirima@, continua a essere valorizzato e promosso dai suoi confratelli in Mozambico anche attraverso l’avvio di collaborazioni con entità come la Fondazione Fernando Leite Couto, dedicata al padre del noto scrittore e giornalista mozambicano Mia Couto. «Per prima cosa, la Fondazione ci aiuterà a far sì che tutto il materiale di padre Frizzi – libri e altri scritti – contenuti nel centro studi di Maúa ricevano i necessari riconoscimenti di legge riguardo alla proprietà intellettuale. Poi si cercherà di rendere più fruibili le parti del lavoro del Centro studi che hanno riguardato la filosofia e l’antropologia, separandole da quelle incentrate sulla teologia, in modo da creare testi, saggi, raccolte che possano essere usati per l’approfondimento in ambito accademico o della ricerca in generale».

Altra novità che riguarda il Centro studi Macua Xirima è il trasferimento della sua parte museale a Massangulo, dove c’è un’altra presenza dei missionari della Consolata. Massangulo è più vicina alla strada, meno isolata di Maúa, conclude padre Sisto, e lì un museo sarà più facilmente raggiungibile dai visitatori.

Arte Macua a Maua in Mozambico su stimolo di padre Frizzi

Angola, potenziale inespresso

L’Angola è un paese dal potenziale enorme dal punto di vista economico: sedicesimo produttore al mondo di petrolio@, settimo di banane, ottavo di cassava@, l’Angola si trova però al 148° posto per indice di sviluppo umano e ha un prodotto interno lordo pro capite di 6.491 dollari americani (quello dell’Italia è di 46.385)@.

«Una parte del problema», spiega padre Fredy Alberto Gómez Pérez, missionario della Consolata colombiano e responsabile della comunità di sette missionari attivi in Angola, «è anche il fatto che molti angolani ritengono l’agricoltura un’attività non dignitosa, preferendole altri lavori come l’insegnante, il funzionario pubblico, l’impiegato». Questo approccio delle persone non è ovviamente la sola causa del mancato sviluppo socioeconomico del paese che, come il Mozambico, ha vissuto fra il 1975 e il 2002 quasi tre decenni di guerra civile, i cui segni sul tessuto produttivo oltre che sulla società e sull’ambiente richiedono molto tempo per essere cancellati.

Cappella di Luacano all’inizio dell’avventura missionaria in Angola

Giovane missione

Come in tutte le presenze della Consolata di più recente fondazione, il lavoro dei missionari procede in modo molto graduale e si colloca in zone ai margini, di confine, si tratti delle periferie urbane, delle aree a cavallo fra città e campagna o dell’entroterra più remoto. «I Missionari della Consolata sono arrivati in Angola nell’agosto 2014 e oggi lavorano in tre ambiti con caratteristiche molto diverse tra loro», racconta padre Fredy. «La prima parrocchia che l’allora vescovo della diocesi di Viana, monsignor Joaquim Ferreira Lopes, ci ha affidato è stata quella di Santo Agostinho, a Bairro Capalanca, alla periferia della capitale Luanda. Un anno e mezzo dopo abbiamo rilevato la parrocchia di Nossa Senhora da Consolata nella zona di Funda, che si trova poco fuori Luanda ed è una realtà per metà urbana e per metà rurale. La terza presenza è presso la parrocchia di Santa Maria Mãe de Deus, nel comune di Luacano», che si trova oltre 1.300 chilometri a est, a circa due ore dal confine con la Repubblica democratica del Congo: «Luacano è veramente una realtà ad gentes», sottolinea Fredy, «in mezzo alle savane intorno al lago Dilolo» (su Luacano vedi MC di maggio 2023@).

In questo momento il lavoro dei missionari, oltre che all’evangelizzazione, si rivolge agli ambiti della salute e dell’istruzione: piccoli progetti di assistenza ai bambini malnutriti, creazione di equipe di pastorale sanitaria, formazione per i giovani che non frequentano la scuola. A Luacano, inoltre, i missionari hanno cercato di migliorare i servizi di base anche fornendo acqua alla comunità locale attraverso pozzi e formando gli adulti con programmi di alfabetizzazione.

Per gli anni a venire, i missionari contano di riuscire a dare alle attività un carattere più strutturato. Un annoso problema che accompagna da sempre il loro lavoro è quello di doversi dotare di spazi dove sia possibile organizzare e dare continuità alle iniziative che portano avanti.

«Il progetto del Centro sociale Santo Agostinho» nel Bairro Capalanca di Luanda, spiega padre Fredy, «è nato come risposta più elaborata e sistematica alle sfide di cui parlavo sopra, perché per realizzare tutti gli altri progetti, sia di carattere sociale che di evangelizzazione, abbiamo bisogno di uno spazio adeguato». Servono uno studio medico per assistere i malati e monitorare lo sviluppo dei bambini, una cucina per preparare il cibo e un refettorio per servire il pasti offerti agli anziani seguiti dalla Caritas parrocchiale, stanze per la formazione e la catechesi.

«Dopo una lunga attesa si è deciso di iniziare i lavori con un fondo ricavato accantonando le offerte dei fedeli, ma da soli non riusciremo a terminare i lavori nei tempi desiderati per rispondere alle urgenze che abbiamo». Per questo padre Fredy si è rivolto a Missioni Consolata Onlus per ottenere aiuto nella ricerca di fondi, proponendo un progetto dal costo complessivo di circa 95mila euro.

Chiara Giovetti

Arte Macua a Maua in Mozambico su stimolo di padre Frizzi




La forma dello spirito

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Il santuario di Lourdes accoglie ogni anno 80mila malati e disabili. Ma la Via Crucis è poco accessibile. Così una scultrice trasforma 100 tonnellate di marmo di Carrara in un’opera dello spirito. Incontro con l’artista.

Il santuario di Lourdes è un luogo singolare, unico, dove le persone che vi giungono riescono a riconciliarsi col mondo, aprendo il cuore alla fede. Il miracolo della vita viene percepito con una forza straordinaria e la malattia diventa strumento che conduce al mistero dell’amore di Dio. A Lourdes si raccoglie conforto spirituale, si ricerca una guarigione che può essere non solo fisica, ma anche interiore. A Lourdes si può dare nuovo significato all’esistenza, si colmano vuoti, si trova un’alternativa alla solitudine, e le sofferenze vengono alleviate dal balsamo della preghiera.

annunciazione - scultura presso il museo a cielo aperto in ProvenzaLe apparizioni

Sono migliaia le persone che ogni anno giungono al santuario, dove, l’11 febbraio 1858, Beadette, recandosi insieme a due amiche verso Massabielle, lungo il fiume Gave, in un’ampia grotta ubicata vicino al corso d’acqua, vide per la prima volta «la Signora» – come Beadette chiamò, per la sua grazia, la Madonna – abbellita da una rosa su ciascun piede, e dalla corona del rosario al braccio. Quellaa prima apparizione Beadette la raccontò così: «Avevo appena tolto la prima calza che sentii un rumore come se ci fosse stato un colpo di vento. Allora voltai la testa dalla parte del prato (dal lato opposto alla grotta, nda). Vidi che gli alberi non si muovevano. […] Appena alzai la testa guardando la grotta, scorsi una Signora. Aveva un vestito bianco, un velo bianco e una cintura azzurra e una rosa su ogni piede, del colore della catenella del suo rosario. Allora fui un po’ impressionata. Credevo di sbagliarmi. Mi strofinai gli occhi. Guardai ancora e vidi sempre la stessa Signora. Misi la mano in tasca; vi trovai il mio rosario. Volevo fare il segno della croce. Non potei arrivare con la mano fino alla fronte. La mano mi cadeva. Allora lo sbigottimento s’impadronì ancor più di me. La mia mano tremava. Tuttavia non fuggii. La Signora prese il rosario che teneva tra le mani e fece il segno della croce. Allora provai una seconda volta a farlo e potei. Appena ebbi fatto il segno di croce scomparve il grande sbigottimento che provavo. Mi misi in ginocchio. Ho recitato il rosario in presenza di quella bella Signora. La visione faceva scorrere i grani del suo, ma non muoveva le labbra. Quando ebbi finito il mio rosario, mi fece segno di avvicinarmi, ma non ho osato. Allora scomparve all’improvviso. […] Cammin facendo ho domandato alle mie compagne se non avevano visto niente. No, mi risposero. L’ho domandato loro ancora. Mi dissero che non avevano visto niente. Allora aggiunsero: – E tu hai visto qualcosa? Allora dissi loro: – Se non avete visto niente, neppure io».

Le apparizioni si susseguirono e Beadette ebbe la visione della Madonna ancora una seconda, una terza volta, fino a quindici volte di seguito dal 19 febbraio al 4 marzo 1858. Quattro anni dopo, nel 1862, il vescovo di Tarbes riconobbe ufficialmente l’autenticità delle apparizioni. La grotta di Lourdes, da allora, si è trasformata in luogo di pellegrinaggio, cui accorrono sempre più fedeli, tanto da diventare terzo santuario cristiano al mondo per numero di visitatori all’anno.

Guarigioni e preghiere

scultura Maria De FaykodLa fede, la devozione profonda, la pace e la speranza presenti in questo angolo degli Alti Pirenei francesi derivano sia dalle apparizioni e dalla meravigliosa storia di Beadette, sia dalle numerose guarigioni registrate a seguito del pellegrinaggio stesso, o per effetto di un’invocazione sincera a Nostra Signora di Lourdes. Le guarigioni, pur se reali, rimangono un mistero. Tuttavia, sono spiegabili se si ricordano le parole della Madonna: «Andate a bere alla sorgente e a lavarvi». L’acqua che scorre a Lourdes – nelle fontane, nelle piscine, lungo il cammino chiamato proprio dell’acqua – ha in sé del miracoloso. Questo elemento liquido trae la sua forza dall’autenticità della fede, dalle preghiere, dall’intenzione con cui le orazioni vengono pronunciate.

Proprio questa preghiera la si osserva segnata da un incredibile ardore lungo «la Via Crucis», o meglio, «le Vie Crucis». Quella più nota a Lourdes è stata realizzata e completata nel 1912 sulla collina detta delle espélugues (spelonche). Pur suggestivo, si tratta però di un Cammino della Croce difficoltoso per le persone con handicap. Come ha ricordato Francis Dehaine, direttore generale dei servizi dei santuari a Lourdes, oggi in pensione: «Lourdes accoglie ogni anno più di 80mila persone malate e disabili». Proprio per rendere più agevole l’esperienza del pellegrinaggio a Lourdes a quanti hanno difficoltà motorie è stato avviato, nel 2001, il progetto di realizzare una nuova Via Crucis. L’idea ha preso forma concreta quando monsignor Jacques Perrier, vescovo di Tarbes e Lourdes, decise di proporre come riflessione ai pellegrini questo tema: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati». Per facilitare l’incontro delle persone disabili, affaticate e oppresse, col fervore spirituale di Lourdes venne ufficializzata l’idea di un nuovo Cammino della Croce, più adatto e degno per i malati. Il progetto fu affidato alla scultrice franco-ungherese Maria de Faykod, già nota in tutto il mondo per le sue opere intrise di devozione cristiana.

Più attenzione ai malati

Questa scelta è stata abbastanza naturale, considerata la profonda fede dell’artista. Inoltre, la scultrice aveva già realizzato, nel 1981, per il santuario di Lourdes una statua della Pietà.

Abbiamo incontrato Maria de Faykod presso la sua casa-museo nel Sud della Francia per capire la genesi della sua rivisitazione della Via Crucis. Ci ha raccontato come questo lavoro l’abbia coinvolta totalmente e come abbia iniziato a realizzare le sculture con molto entusiasmo. «Dal 2003 al 2008 mi sono dedicata con grande fervore a questo progetto. Grazie a tanti benefattori siamo riusciti subito a trovare il finanziamento per avviarlo. Come artista non ho voluto accettare alcun compenso, ma abbiamo dovuto sostenere una serie di spese, legate all’acquisto del materiale e del relativo trasporto».

Per cinque intensi anni Maria de Faykod ha plasmato un’imponente opera, ricavata dall’estrazione di quasi cento tonnellate di marmo di Carrara. Un’opera composta da 17 sculture, che ripercorre il cammino di Cristo, dalla Passione alla Resurrezione. «Per me lavorare questa materia significa andare oltre la materia stessa – ci spiega Maria – poiché non vedo tanto l’oggetto in sé, piuttosto mi lascio trasportare dalle sensazioni e da ciò che percepisco modellando il marmo. La mia fonte di ispirazione è certamente la spiritualità, sono cristiana e dunque mi riconosco nell’amore di Dio incarnato in Gesù. Allo stesso tempo, quando ho concepito le sculture per il santuario di Lourdes volevo manifestare qualcosa di diverso rispetto alla Via Crucis tradizionale.

Ho sottolineato la continua unione tra il cielo e la terra, tra il divino, il Cristo e l’umanità. Questo legame è possibile per il tramite della spiritualità. Le sculture mostrano il profondo amore di Gesù verso l’essere umano, testimoniato dal suo sacrificio. Egli porta sulle sue spalle una grande, pesante croce, simbolo delle sofferenze umane, e queste sofferenze le fa proprie. Ma in questo calvario possiamo vedere un ritorno alla sorgente. Gesù ritorna al Padre e attraverso la croce e l’essere umano può ridiventare essere spirituale, ritornando al divino».

Dalla materia alla spiritualità

museo sculture 2014-09-21 119Ogni scultura, quindi ogni tappa della Via Crucis concepita e realizzata da Maria, parla al cuore con un linguaggio metaforico in cui sono racchiuse sofferenza e speranza, lacrime e sorrisi, dolore e gioia. Le opere hanno un forte impatto visivo, sia per la luminosità del marmo – volutamente bianco proprio per evocare la luce divina -, sia per le loro dimensioni. Le 17 sculture hanno un’altezza che varia dai 2,20 ai 2,60 metri, e una larghezza tra 1,30 e 1,80 metri. Sono statue imponenti, capaci di trasmettere la presenza dello Spirito. Osservandole lo sguardo si posa sul visibile e al contempo sull’invisibile.

Come sottolinea Maria: «Per me fare arte significa mostrare ciò che non si vede, ciò che gli occhi non possono o non vogliono osservare, ciò che non sembra esserci nella materia. Potrei dire che la mia prospettiva artistica ed esistenziale sia basata su questo adagio: “Credo nel mondo reale ma vivo nella dimensione spirituale”. Quest’ultima, per me, è molto più forte della dimensione materiale».

Questa angolazione consente a Maria di guardare al mondo in maniera diversa, abbracciando una visione sintetizzabile in una parola: transustanziazione. La materia, sia essa marmo o altro, viene trasfigurata in entità fisica spirituale. Ecco perché le sue sculture riescono a rivelare l’essenza dell’anima: ciò è possibile attraverso un processo di spiritualizzazione infuso dall’artista. Questa prospettiva nutre anche la concezione esistenziale di Maria. Infatti, alla nostra domanda: «Come è possibile non cadere nel pessimismo vivendo in un’epoca così fortemente materialistica e violenta?» Maria ci ha risposto: «Bisogna partire da una visione complessiva. Personalmente, osservo ciò che accade nel presente e vivo nel presente, vedo la materia e il genere umano, però il mio sguardo è più ampio. Guardo alla totalità. Ritengo che questa fase storica, certamente molto materialistica, sia solo un passaggio nell’evoluzione umana, poiché noi andiamo verso un’evoluzione spirituale. Siamo ancorati alla terra ma siamo collegati al cielo e ci proiettiamo verso il cielo. Cristo ci dice: “Evolvete interiormente per incontrare il mio amore”. La Via Crucis è simbolo dell’amore di Cristo che prende su di sé tutta la sofferenza del genere umano per trasformarla, appunto, in amore».

Accessibili a tutti

Inizialmente, il Cammino della Croce realizzato da Maria de Faykod sarebbe dovuto essere collocato in una posizione sopraelevata rispetto alla prateria, ma nel 2008 venne deciso di installarlo provvisoriamente in basso, in attesa che venissero portati avanti lavori di sistemazione della grotta e della piscina. Dopo la drammatica alluvione del 2013 che ha investito i Pirenei e anche Lourdes, danneggiando il ponte Jumeau-Gemello, si stanno finalmente intraprendendo azioni per riprogettare l’ubicazione delle 17 sculture, anche per la loro stessa conservazione. Alcune opere, per effetto delle escursioni termiche e soprattutto per effetto della pioggia caduta nel 2013, e nell’ottobre 2015, hanno subìto danni. Nel momento in cui scriviamo non si sa esattamente quale sarà la loro futura ricollocazione. È certo che le migliaia di pellegrini malati e impossibilitati a camminare hanno il diritto di seguire il Cammino della Croce in tutta tranquillità.

Silvia C. Turrin