Brasile: incontri ravvicinati


Impressioni scritte all’ombra dei grandi alberi della foresta (Mata) Atlantica del Brasile nei momenti di pausa dal lavoro di ricerca. Le «Riserve della foresta atlantica» sono un insieme di otto aree protette a cavallo degli stati brasiliani di Bahia ed Espírito Santo, che si sviluppano su un’area di circa 112.000 ettari.

Sembra il ronzio di un grosso calabrone. Mi vola attorno. Ora l’ho dietro le spalle. Mi giro con cautela per non spaventarlo. È lì, fermo, a mezz’aria, che mi guarda incuriosito, quasi a chiedersi come mai questa grossa scimmia visiti i fiori come lui. Le ali non si vedono, troppo veloci per l’occhio umano. Pare un modellino di seta sospeso nel vuoto, retto da fili invisibili. In un attimo, il colibrì scarta a destra e poi in basso, veloce come un ufo, poi di nuovo a sinistra e in alto, nervoso, frenetico, elettrico. Sembra grigio, ma i raggi tangenti del sole riflettono colori iridescenti, metallici, stupendi. Ora pare verde, poi blu, poi rosso scarlatto per ritornare grigio in penombra. Rizza le penne del collo che sembrano una ghirlanda. Una visione troppo fugace, il tempo di visitare un paio di fiori con la sua lingua lunga e sottile come un filo di sarta e poi, sempre di scatto, svanisce rumorosamente nel nulla tra le liane, le orchidee, le bromelie (foto 1).

Puma concolor (Foto Richard)
2. Puma concolor (Foto Richard)

Ieri sera finalmente è piovuto. Un bel temporale durato un paio di ore. Si sono mostrati rospi e rane, ma lo spettacolo più bello l’hanno offerto le scimmie urlatrici. Non si vedono che raramente, e quest’anno non si erano ancora fatte sentire col loro ruggito possente. Alle prime gocce di pioggia hanno iniziato all’unisono. Tutta la foresta echeggiava dei loro versi impressionanti, udibili a chilometri di distanza, ad esteare tutta la loro felicità. Pareva di essere circondati da un esercito di giaguari. Indimenticabile. Ieri è arrivato nella stazione un altro ricercatore, si chiama Richard, gestisce trappole fotografiche. Ne avevo viste un paio disseminate in foresta. Gli ho chiesto di vedere le foto scattate. Sono il frutto di otto trappole che hanno funzionato per tre mesi circa. Scattano la foto quando i loro sensori intercettano gli animali. Tra questi naturalmente figuro anch’io, ma ciò che mi impressiona è che prima o dopo il mio passaggio la camera registra tapiri, jaguarundi, ocelot e diversi puma. Anche in pieno giorno! E pensare che ero convinto di essere il solo in giro in quel pezzo di foresta dove non pareva esserci traccia di grandi mammiferi. Evidentemente mi osservavano passare ogni giorno, nascosti tra i cespugli, a pochi passi dal sentirnero.

Richard, gentilissimo, mi ha lasciato le foto più belle. C’erano anche tanti uccelli, specialmente peici e tacchini, ma non ho osato chiedere troppo
(foto 2, il passaggio del puma).

carcarà (Foto Curletti)
3. carcarà (Foto Curletti)

Doveva succedere. Un disastro nella nostra modesta cucina: uova rotte e mangiate, macchinetta del caffè rovesciata, pane sbocconcellato, zucchero sparso ovunque, frutta parzialmente distrutta, piatti e bicchieri rotti a terra… Neppure il sacchetto dei rifiuti è stato risparmiato. È bastato dimenticare la finestra aperta perché quel furbone di carcarà ne approfittasse per saccheggiare le nostre scorte. Mezzo falco e mezzo avvoltornio, si atteggiava a gallina e con aria innocente si aggirava nel cortile proprio come un pollo domestico. Sembrava un amico confidente e invece ci teneva d’occhio studiando i nostri movimenti e la buona occasione per farci fessi. Ora l’ha appena trovata. Eppure avrei dovuto capirlo che il suo atteggiamento soione ci riservava qualche brutta sorpresa. Con quel cappuccio nero sopra il capo color caffellatte ha proprio l’aspetto di un mafioso con tanto di coppola in testa. Anche la sua andatura impettita è da guappo. Ora è sul tetto che ci guarda soddisfatto, pancia piena alla faccia nostra, parrebbe quasi che col suo sguardo acuto e tagliente come una lama voglia prenderci in giro. Che fare? Vedendo il disastro i miei colleghi brasiliani, col loro 3. carattere gioviale, l’hanno presa a ridere: ma che bravo il nostro ladro! E non ci è restato che pulire e mettere ordine…

È passata più di una settimana dal fattaccio e mentre prima era onnipresente, il carcarà non si è più visto. Potrà sembrare strano, ma mi sa che si è reso conto d’averla combinata grossa e si tiene alla larga per paura di rappresaglie. Mica stupido il nostro «giocondor»… (foto 3).

tegù (Foto Curletti)
4. tegù (Foto Curletti)

Mi passa davanti con aria indifferente e quasi indolente, ma so che mi controlla ed è pronto alla fuga al minimo cenno di reazione. Con l’andatura da star di musica rap, muove il corpo come una sciantosa, oscilla a destra e a sinistra alzando le zampe alternativamente, la lunga coda inerme ad anelli chiari e scuri, la piatta lingua biforcuta in eterno movimento alla ricerca di odori e di sapori. Ma chi ha detto che i dinosauri sono estinti? Eccolo qui, un bellissimo esemplare di tegù, il più grande dei sauri terrestri brasiliani. Ormai mi conosce, abbiamo un tacito appuntamento giornaliero, io alla ricerca di un po’ d’ombra nella calura del tardo mattino, lui alla ricerca di sole che lo riscaldi. Puntualissimo esce dal suo buco nelle giornate calde, controlla il terreno circostante ed attende paziente l’uscita della compagna. Lei è più piccola e diffidente, lui invece sa di potersi fidare e mi passa a mezzo metro di distanza, quasi con aria di sfida. Sfida che raccolgo con il mio obiettivo fotografico. Il suo ritratto mi riempirà il cuore di nostalgia al ritorno nel freddo inverno europeo (foto 4).

anuro in bromelia (Foto Curletti)
5. anuro in bromelia (Foto Curletti)

Il buio arriva presto in foresta e lei lo saluta, puntuale. Un trillo lungo, intenso, cristallino. Pochi istanti e poi torna nel silenzio della sua solitudine. L’ho cercata per tre notti di seguito e infine l’ho trovata. La bromelia è aggrappata al tronco di un grosso albero e il suo fiore rosso ricorda il pennacchio del cappello di un carabiniere in uniforme. Lei se ne sta nascosta nel suo interno, nell’occhio formato dalla corona circolare delle foglie caose che conserva l’umidità della pioggia. Mi fissa con i suoi grandi occhi rossi inespressivi, rannicchiata e immobile, sperando di non essere vista. Colore verde pallido, ventre più pallido ancora, piccolissima, con tondi pallini prensili sulle lunghe dita. La raganella se ne sta lì nel profondo pozzo della sua bromelia, al sicuro. Vorrebbe vedere la luna ma per paura si accontenta di vederla passare per pochi momenti dalla rotonda finestra aperta verso il cielo del suo rifugio. Poi rimane al buio, solitaria, nell’attesa che il suo richiamo venga inteso da un compagno (foto 5).

 

Per lui la morte ha le ali violette in continuo vibrato movimento. No, non ha la falce ma una sottile siringa paralizzante. Antenne gialle, corpo nero allungato stretto in un vitino da vespa, agile e nervoso. Ormai paralizzato, si lascia trascinare impotente. Lo sfecide l’ha appena ghermito e lui, la migale, grosso ragno con zanne terrificanti, terrore dei piccoli vertebrati, è ormai rassegnato ad essere dato in pasto alla prole, divorato poco alla volta ma pur sempre vivo, per conservare più a lungo possibile i succhi biologici di cui i neonati del predatore hanno bisogno. È lì, impotente, in balia del suo aggressore nonostante il potenziale offensivo, col veleno in grado di uccidere uccelli e piccoli mammiferi. Non posso frenare un moto di compassione. Chissà se è cosciente che lo attende una morte terribile, lunga, forse dolorosa, ma sicuramente da incubo nel vedere ogni giorno le larve del suo carnefice avvicinarsi per mangiarlo poco alla volta.

Sfecide
sfecide con la preda (Foto Curletti)

Insetti che predano ragni, non solo il contrario. Qual è il significato? Quale stato d’animo regna tra gli abitanti della foresta? L’amore? No, quello lo lascio ai film disneyani. Pur essendo un sentimento fondamentale, importantissimo per la sopravvivenza della specie, l’amore ha durata limitata e prima o poi finisce. Quello invece che accompagna dalla nascita alla morte è la paura. Paura. Quella non abbandona mai, è la compagna che permette la salvezza dell’individuo. Paura di essere parassitato, assalito, divorato, sbranato. Coinvolge tutti, dal giaguaro al tapiro, dal tamanduà all’agutì, dalla scimmia al bradipo, dalla formica alla vespa, dal lombrico alla lumaca. Non esiste il predatore assoluto, ogni specie, uomo compreso, ha i suoi nemici. Quanta verità in una frase di Tennyson che riassume perfettamente il pensiero: «Nature, red in tooth and claw», natura, denti e artigli insanguinati. È questa la legge, piaccia oppure no. Appare troppo evidente a chi sa interpretare il grande libro della giungla. E che Kipling mi perdoni… (foto 6).

 piroforo (Foto Curletti)
7. piroforo (Foto Curletti)

Dopo la pioggia ecco i vagalumen. Così i brasiliani chiamano i pirofori, grossi coleotteri elateridi che si attivano al calar delle tenebre. Producono luce come le nostre lucciole, ma al contrario di queste hanno luce costante e più potente: si narra che i vecchi esploratori li mettessero in gabbiette per poter leggere e scrivere la notte. Bastavano una ventina di esemplari. Hanno due punti luminosi ai lati del pronoto, dietro il capo. Alcune specie ne hanno un terzo più piccolo sulla parte inferiore dell’addome, tipo fanalino di coda. Sono esseri timidi e frugali: di giorno si vedono raramente, si accontentano della linfa che sgorga dalle ferite di qualche albero. Sono neri o bruni, poco vistosi, ma quando cala la notte mostrano tutto il loro luminoso splendore. Al buio sono uno spettacolo. I rami brillano della loro luce, giganteschi alberi di natale accompagnati dai canti dei grilli e delle cicale invece che da jingle bells. Foresta magica, non sempre terribilmente inospitale (foto 7).

Eciton formiche legionarie (Foto Curletti)
8. Eciton formiche legionarie (Foto Curletti)

Sono due colonne lunghe centinaia di metri di cui non riesco a vedere gli estremi, che si perdono nell’intrico della foresta. Due semplici colonne di formiche ma quanta differenza. Le prime frenetiche, febbrili, velocissime, aggressive, voraci; i soldati dalle enormi mandibole e dal colore avorio che si mescolano alle nere operaie indaffarate a predare le larve e le pupe di un altro formicaio per fae degli schiavi. Questi, per imprinting, lavoreranno inconsapevolmente per gli assassini della loro tribù, magari aiutandoli a depredare altri formicai fratelli. Sono dei nomadi, non hanno nido, si accampano randagi attorno alla loro regina. Milioni di agguerriti individui caivori, terrore della foresta. Provo a fermare un’operaia per verificare il bottino, una pupa in metamorfosi. Con una velocità impressionante sono subito aggredito da tre soldati. Sono stati fulminei, ben più della velocità della mia mano. Evidentemente mi tenevano d’occhio. La puntura è molto dolorosa e devo desistere. Le chiamano formiche legionarie, per gli entomologi Eciton, probabilmente proprio per la loro febbrile attività. Non le ferma nessuno, tutti gli animali della foresta indietreggiano al loro arrivo, guadano fiumi formando ponti di individui, attraversano laghi con zattere viventi formate da stornici volontari pronti ad annegare per la loro regina e per la colonia.

Atta formiche tagliatrici di foglie (Foto Curletti)
9. Atta formiche tagliatrici di foglie (Foto Curletti)

La seconda colonna è ben più lenta, compassata. Le operaie con sforzi immani portano tenacemente pezzi di foglia che altre sorelle hanno tagliato con le possenti mandibole, andando controvento e facendosi a volte sollevare per effetto vela, ma senza mollare il bottino. I soldati controllano e vigilano immobili ai lati della lunga fila, pronti a sacrificarsi per difenderle. Sono vegetariane le Atta, fatto inconsueto per il mondo delle formiche. La cosa curiosa è che oltre ad essere vegetariane sono anche degli agricoltori. Le foglie infatti non sono mangiate, ma ammassate all’interno del formicaio per fae concime su cui crescerà un fungo particolare che è il loro esclusivo alimento. Alle prime piogge le future regine sciameranno a migliaia, sono enormi, molto più dei loro sudditi. Verranno quasi tutte divorate dai predatori, uomo compreso, che ne apprezzano le cai grasse succulente. Feroci le prime, più tranquille e perseguitate le seconde. Che sia un caso? (foto 8 di Eciton e 9 di Atta).

Gianfranco Curletti*

* L’autore è l’entomologo del Museo di Storia Naturale di Carmagnola (To). Ha al suo attivo numerose spedizioni scientifiche nei vari continenti, anche se le sue ricerche lo hanno portato principalmente nell’Africa subsahariana. Autore di oltre un centinaio di pubblicazioni specialistiche, non disdegna la divulgazione. Suo il libro «Matto per gli Insetti», edito da Blu ed. di Torino. Collabora da anni con il Museo della Consolata di Torino, e con i missionari in Tanzania, Mozambico e Kenya ha condiviso conoscenze, studi, sudori e cibo.