AIDS. Un morto al minuto

 

Dagli anni Novanta l’Aids ha smesso di terrorizzare l’Occidente industrializzato, però continua a mietere vittime nel resto del mondo.

Secondo i dati diffusi da Unaids, il Programma delle Nazioni Unite per l’Hiv e l’Aids, sono state, infatti, 630mila le persone morte per malattie legate all’Aids nel 2022, 1,3 milioni quelle recentemente infettate dal virus dell’Hiv e 39 milioni quelle totali che nel mondo hanno vissuto con il virus nel corso dello scorso anno. Di queste ultime, più di nove milioni sono ancora prive di cure, tra cui il 43% dei bambini che hanno contratto l’Hiv.

Malgrado ciò, i finanziamenti globali per il controllo del virus sono in costante calo, arrivando nel 2022 a 20,8 miliardi di dollari, gli stessi livelli del 2013.
Una situazione, denuncia Unaids, in contrasto con gli Obiettivi di sviluppo del Millennio che puntano a debellare l’Aids entro il 2030, insieme ad altre gravi malattie come tubercolosi, epatiti virali, malaria.

Eppure, «la fine dell’Aids è possibile, è alla nostra portata, a patto che siano le comunità a condurre il processo», dichiara Winnie Byanyima, direttrice esecutiva di Unaids.

Let Communities Lead (Lasciamo che siano le comunità a guidare) è appunto il titolo del Rapporto con cui Unaids ha lanciato questo Primo dicembre la Giornata mondiale di lotta all’Aids, istituita nel 1988 dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per informare e sensibilizzare sui rischi del virus.

La copertina del rapporto di Unaids

Come si legge nel Rapporto, le persone con Hiv o esposte al rischio di contrarlo, le loro famiglie e i loro gruppi sociali possono essere in prima linea nel fronteggiare l’infezione, a patto di non venire boicottate «dalla carenza di finanziamenti, da ostacoli politici e normativi, dalla negazione dei diritti umani di queste stesse comunità».

Nella lotta all’Aids i progressi più significativi si sono raggiunti proprio in quei Paesi e in quei territori – come l’Africa orientale e meridionale – dove si è investito di più, e dove sono state abolite leggi discriminatorie nei confronti di determinate categorie sociali: omosessuali, consumatori di droghe, sex workers, donne.

Esemplari in tal senso alcuni Stati caraibici (Antigua e Barbuda, Barbados, Saint Kitts e Nevis), le Isole Cook in Oceania, e Singapore, dove le relazioni omosessuali sono state depenalizzate.

Male invece per l’Europa orientale e l’Asia centrale, dove le infezioni sono aumentate del 49% in circa dieci anni, e per il Medio Oriente e il Nord Africa, dove si è registrato un più 61% di infezioni dal 2010 al 2022.

Occorre dunque promuovere la leadership delle comunità – sostenute nella lotta all’Aids da associazioni, Ong e realtà missionarie – favorendo la partecipazione della società civile ai processi decisionali, garantendo la tutela dei diritti umani e un apporto finanziario adeguato, perché «non eliminare l’Aids costa di più che sconfiggerlo», afferma il Rapporto Unaid.

Adesso l’attenzione è puntata sul «target 95-95-95», uno degli obiettivi intermedi indicati dall’Onu per il 2025. Si tratta di arrivare ai seguenti risultati: fare in modo che il 95% di sieropositivi siano consapevoli del proprio stato sierologico, che il 95% abbia accesso ai trattamenti antiretrovirali, che il 95% raggiunga lo stato di soppressione virologica, cioè non trasmetta più l’Hiv.

Per quanto riguarda l’Italia, nel 2021 si è quasi arrivati al 95-95-93 (dati dell’Istituto Superiore di Sanità). La nota dolente rimane quella delle diagnosi tardive, circa il 60 per cento del totale, dovute alla scarsa percezione del rischio e al timore dello stigma.

Restano dunque fondamentali la prevenzione e l’accesso tempestivo alle cure, da cui l’importanza delle Giornate indette per diffondere le conoscenze sul virus.
In Italia, per tutto il fine settimana, la Lila – Lega italiana per la lotta contro l’Aids sarà presente nelle piazze, nelle scuole e nelle università per fornire informazioni e mettere a disposizione test rapidi.

Stefania Garini




KENYA – Come fermare la tramissione dell’HIV

In Africa, i disastri dell’Aids non dipendono soltanto dalla mancanza di medicinali (introvabili o troppo cari), ma anche dall’ignoranza e dai comportamenti degli uomini. Intanto, anche qui, i convegni medici si tengono sempre in lussuosi hotel a 5 stelle… Un duro atto d’accusa dal Kenya.

Dal 21 al 26 settembre si è tenuta a Nairobi, in Kenya, la 13.ma «Conferenza internazionale sull’Aids e infezioni trasmesse sessualmente» (Icasa). La conferenza è stata giudicata un «successo» dalle autorità, ma non tutti sono d’accordo.

Commenta un osservatore locale, il dottor I.K.W. «Govei, Organizzazioni non governative ed Onu organizzano conferenze, seminari e fiere quasi quotidianamente, su diverse tematiche, con l’Hiv/Aids sempre in primo piano. La maggioranza di questi convegni sono permeati da grande ipocrisia.
Le conferenze sono invariabilmente tenute in alberghi o ritrovi turistici a “5 stelle”. La spesa di una settimana per un singolo delegato sarebbe sufficiente per comprare i farmaci anti-retrovirali per almeno 100 persone per un anno.

I delegati, alla fine della conferenza, se ne vanno, dopo aver goduto di una eccellente “vacanza” in luoghi esotici, a spese altrui, e presto si dimenticheranno delle decisioni prese. In questa conferenza non sembra che alcun delegato o gruppo abbia ufficialmente visitato le baraccopoli o alcun villaggio rurale dove l’epidemia è rampante».

Quasi tutti gli studi presentati, statistiche ecc., non sono altro che «fotocopie retoriche» di quello che tutti ormai sanno. Le multinazionali farmaceutiche partecipano solo per la pubblicità che ne derivano, e si tengono ben stretti i brevetti con i quali producono i farmaci anti-retrovirali che gli ammalati disperatamente ricercano.

Molti dei professionisti, medici, ecc., finita la «vacanza», non vedono l’ora di ritornare alle loro lucrose pratiche, ossia curare la gente che può pagare lautamente. Gli ammalati delle zone rurali rimangono abbandonati come prima.

Cosa capita effettivamente a livello di «strada»? Scrive sul Washington Post la giornalista Martha Blunt: «Incontrai Stella in un bar di Nairobi. Bellina, dal corpo snello, mi diceva di avere 18 anni, ma sembrava più giovane. Rimasta orfana non riesce a trovare lavoro, tuttavia ha abbastanza da mangiare, un posto per dormire e porta dei vestiti decenti. Mentre beviamo qualcosa, arriva il “benefattore” di Stella, un sessantenne ben vestito con la fede nuziale, e abbastanza corpulento, che cerca di allontanarmi dalla sua “fidanzata”».

I sociologi dicono che si tratta del fenomeno di «sesso attraverso le generazioni» diventato comunissimo nei paesi africani; altri lo chiamano The kiss of death from sugar daddies («Il bacio della morte ricevuto dal “paparino”»); oppure in swahili baba sukari o baba mkate. In cambio di sesso le ragazze ricevono vestiti, la retta scolastica, da mangiare e, presto o tardi, l’infezione dell’Hiv.

La girandola è micidiale: le ragazze passeranno il virus al prossimo «paparino», che lo passerà alla moglie, la quale infetterà il prossimo neonato.
Il fenomeno è semplicemente la manifestazione, in termini modei, dell’atavica pratica della poligamia. Per generazioni, l’uomo africano benestante prendeva la prima moglie da ventenne, la seconda da trentenne, la terza da quarantenne, la quarta da cinquantenne e via di seguito. Ogni moglie doveva essere in età procreativa, ossia dai 13 anni in avanti. Questa usanza, ancora diffusa nelle zone rurali, è praticamente impossibile tra i ceti educati e urbanizzati. Di qui la pratica della «ragazza» sistemata in qualche angolo della metropoli.

Statistiche più o meno attendibili riferiscono che un terzo delle ragazze teen-agers (adolescenti) in Africa Orientale sono Hiv positive. Gli uomini credono che le ragazze giovanissime non comportino rischi e le medesime pensano lo stesso verso l’uomo benestante. A parte le relazioni sessuali «civili» di cui sopra, l’altra causa maggiore d’infezioni tra le minorenni sono gli abusi perpetrati sulle ragazzine nell’ambito familiare. La pratica è largamente diffusa tanto nelle campagne come nei centri urbani. Molte di queste giovanissime, rimaste orfane a causa dell’epidemia Aids, per forza si adattano a vivere con i parenti, in stato di virtuale schiavitù.

Una bambina orfana di 12 anni, intervistata dagli osservatori di Human Rights Watch, cosí rispondeva: «Mio zio, per farmi cedere, mi batteva con un cavo elettrico. Prima di andare ad abitare con gli zii, stavo con altri parenti. Il mio fratellastro mi violentava già quando avevo 9 anni».

MILIONI DI INFETTATI

Già dalle prime battute della conferenza di Nairobi risultava evidente che i farmaci anti-retrovirali, anche se venduti a basso prezzo, non sarebbero sufficienti a fermare l’epidemia. Toccherebbe ai governi acquistarle a prezzo speciale dalle aziende farmaceutiche e distribuirle gratis ai più bisognosi.

Diversi delegati hanno accusato certi paesi ricchi di sovvenzionare le conferenze per motivi politici, senza provvedere le medicine urgentemente indispensabili. La conferenza di Nairobi ha attratto 7.000 partecipanti da 109 paesi, che in 100 sedute hanno prodotto oltre 300 documenti scientifici, utili per gli archivi ma non tanto per gli ammalati. La 14.ma conferenza si terrà ad Abuja, in Nigeria, nel 2005.

Le statistiche aggiornate, per quel che valgono, parlano di 30 milioni d’africani infetti dal virus, sui 42 milioni nel mondo. Nell’Africa nera circa 2.4 milioni di persone sono morte d’Aids nel 2002. In Kenya circa 3 milioni sarebbero infetti, con oltre 500 mila morti fino ad oggi. Tuttavia le statistiche locali vanno prese per quel che valgono. I dati pubblicati sono molto approssimativi. Nelle zone rurali la gente normalmente muore di «malaria»…

Per quanto riguarda il Kenya, la conferenza ha prodotto una serie di direttive di carattere penale e legislativo, ma non ha promesso molto circa la possibilità di fornire i farmaci anti-retrovirali a tutte le persone infette. Evidentemente occorrono grandi capitali, che solo gli aiuti dall’estero possono fornire. Una nota positiva è quella che l’esercito americano, l’anno prossimo, in Kenya, inizierà una campagna di prove cliniche per un vaccino in via di sviluppo negli Usa.

INTANTO, IN SWAZILAND…

Cosa fanno gli altri governi in Africa per tenere sotto controllo la piaga dell’Aids? Per esempio, il Swaziland ha uno dei tassi d’infezione Hiv più alti del mondo.
Nel settembre 2001, il giovane monarca re Mswati III, di 35 anni, educato in Inghilterra, decretava un bando che proibiva le relazioni sessuali a tutte le donne sotto i 23 anni. Tuttavia, il giovane monarca, che aveva già «sposato» 11 ragazze, s’invaghiva della 12.ma poche settimane dopo aver scelto la numero 11: la diciottenne Nomonde Fihlawas, che aveva appena vinto la corona di miss Swaziland 2003.

Evidentemente il re contravveniva al suo decreto, emanato nel settembre 2001. Il Parlamento, in seduta speciale, lo condannava a pagare la «multa» di un bue grasso, senza dover rinunciare alla nuova «moglie».
Per chi si interessa di antropologia minore africana, riassumiamo il «modus operandi» con il quale il re del Swaziland si sceglie le «regine». La fidanzatina n. 11, una 17enne di nome Noliqhwa Ntentensa, verrà «sposata» regolarmente non appena avrà compiuto i 18 anni. Ntentensa è stata scelta dal monarca (l’anno scorso, 2002) dopo aver scrutinato una video cassetta di ragazze semi nude, che ogni anno partecipano alla tradizionale «danza delle canne» in onore della regina madre. Per la reed dance di quest’anno (2003) il re Mswati ha partecipato di persona.

Così ha commentato l’inviato speciale dell’agenzia di stampa Reuters: «Ludzidzini (Swaziland), venerdì 5 settembre 2003. Decine di migliaia di ragazzine hanno danzato, a seni scoperti, davanti al re sperando di attrarre la sua attenzione e diventare la sua prossima “moglie”. Quest’anno alla reed dance hanno partecipato un numero record di 50.000 teenagers. Nella scelta “reale” lo stato di verginità della ragazza è di rigore assoluto».

Questa «cerimonia» tuttavia attrae critiche da tutte le parti. Il piccolo regno africano è immerso nella povertà e devastato dall’epidemia dell’Aids. Una ragazza 17enne intervistata così ha risposto: «Sono stanca di essere povera. Spero che il re si accorga di me». Una grossa polemica era scoppiata dopo la danza del 2001. La madre di una ragazza aveva denunciato la scomparsa di sua figlia dal cortile della scuola, rapita, a quanto si diceva, dalle guardie del palazzo e forzata a vivere nel medesimo come «dama di compagnia». La bufera si era smorzata dopo pochi giorni. Ancora una volta aveva vinto il «palazzo».

Giorgio Ferro