Che dice su di noi il bilancio sociale
A giugno, abbiamo pubblicato il bilancio sociale sulle nostre attività del 2024. Per Mco si tratta del quinto. Vale la pena di fermarsi a riflettere su quello che abbiamo capito di noi grazie alla sua stesura.
Interventi multisettore, assistenza sanitaria in Africa, educazione allo sviluppo in Italia. Ecco quali sono gli ambiti di lavoro nei quali sono aumentati di più gli investimenti di Missioni Consolata onlus nel 2024.
Il dato emerge dal nostro Bilancio sociale pubblicato@ il mese scorso. Nel documento, consultabile sul sito di Mco, si dà conto ai donatori anche del complessivo aumento della raccolta fondi rispetto all’anno precedente. L’incremento è stato di quasi 712 mila euro, il 21% in più del 2023.
Sono i fondi per il sostegno generico quelli che hanno registrato il maggiore aumento: questo è dovuto al fatto che, rispetto al 2023, Mco ha ricevuto più donazioni libere, cioè senza indicazioni vincolanti da parte dei donatori su come utilizzarle. Con esse si è costituito un fondo che finanzierà interventi di emergenza e iniziative in linea con le priorità della onlus: sostenere, ad esempio, progetti significativi in Paesi dove la presenza dei Missionari della Consolata è più recente e le difficoltà delle comunità locali più accentuate.
I fondi sono andati a circa 230 missionari, che li hanno usati in venti Paesi, Italia compresa, per realizzare progetti, gestire il programma di sostegno a distanza, ma soprattutto per il funzionamento di strutture e attività ricorrenti.
Mettere in sicurezza i servizi
È questo, infatti, il dato che risalta guardando alla ripartizione dei fondi fra settori operativi: progetti, sostegno a distanza (di scolari e studenti, ndr), sostegno a opere e attività ricorrenti, attività religiose e rivista.
Nel 2024, quasi trentadue euro ogni cento raccolti hanno sostenuto il funzionamento di strutture e attività ricorrenti: alle scuole è andato il 29% dei fondi di questo settore, agli ospedali il 49%, agli impianti idrici il 3%, ai programmi consolidati di difesa dei popoli indigeni il 3% e altri costi che garantiscono la piena operatività dei servizi già presenti.
In altre parole, e semplificando un po’, grazie a queste risorse, un ospedale è in grado di effettuare almeno le stesse visite e gli stessi esami di laboratorio dell’anno precedente; una scuola non è costretta ad accorpare più classi per mancanza di insegnanti o perché la pioggia ha sfondato il tetto di un’aula; una comunità non rischia di restare senz’acqua perché la pompa del pozzo si è rotta.
A finanziare, invece, iniziative espansive dell’offerta di servizi attraverso progetti di cooperazione sono andati circa 25 euro ogni cento, oltre la metà spesi fra istruzione e sanità. Mentre i sostegni a distanza ne hanno assorbiti meno di quattro.
Una fetta cospicua, pari a circa 13 euro ogni cento, ha permesso alla redazione di Missioni Consolata di produrre informazione missionaria sia sul cartaceo che sul web, mentre quasi otto euro sono stati spesi in attività religiose, come il sostegno ai seminari in cui si formano i futuri missionari della Consolata o la costruzione di chiese e cappelle. Per i costi di amministrazione e funzionamento in missione e in Italia – cioè i costi di personale e di struttura sia della onlus che delle amministrazioni regionali Imc sul campo – si è speso circa il 13% dei fondi, mentre intorno al 3% sono andati al sostegno generico di cui abbiamo parlato sopra.

E allora la sostenibilità?
A ben guardare, questa preponderanza del sostegno a strutture e attività che già esistono non stupisce: il modo dei missionari di fare cooperazione prevede, infatti, che quest’ultima sia una delle attività che si svolgono in anni di permanenza sul campo, che, non di rado, porta i religiosi stessi a diventare parte integrante della comunità locale.
In molti casi, i missionari si trovano in zone dove, negli anni, lavorando con la gente locale, sono riusciti a garantire servizi di base in ambito educativo e sanitario – dispensari e scuole primarie – per fasce della popolazione che altrimenti ne sarebbero escluse, perché le locali autorità pubbliche non sono in grado di farsi carico dei costi per i servizi alla popolazione o perché la situazione globale è decisamente peggiorata sia per ragioni interne al Paese, per il cambiamento climatico o crisi internazionali. Così, a volte, le autorità governative fanno accordi ufficiali con i missionari perché essi offrano quel servizio al posto loro.
È il caso, ad esempio, dell’ospedale di Neisu, nella Repubblica democratica del Congo, che, sulla base di una convenzione quadro del 2007 fra il ministero della Sanità congolese e la diocesi di Isiro-Niangara, è incaricato di servire la zona sanitaria Ovest della città di Isiro, diventando di fatto uno snodo del sistema sanitario nazionale.
In questi contesti, non si tratta di costruire un ospedale, ma di mantenerne in piedi e funzionante uno già esistente. Eventuali nuovi servizi sanitari – ad esempio, restando a Neisu: la creazione di un reparto cardiologia – vengono aggiunti attraverso interventi progettuali circoscritti solo quando se ne ravvisano necessità, fattibilità e almeno parziale sostenibilità.
La comunità locale viene coinvolta in vari modi per coprire i costi ordinari, ad esempio richiedendo il pagamento di rette scolastiche nelle scuole, o di alcuni servizi sanitari negli ospedali e centri di salute. Spesso, però, queste strutture si trovano in zone dove una buona parte della popolazione non ha il reddito sufficiente per pagare tale servizio. I missionari scelgono di offrirlo comunque per evitare che le persone rinuncino a curarsi o smettano di mandare i figli a scuola. In questo modo, la sostenibilità, intesa come capacità di queste strutture di coprire in autonomia i propri costi, viene raggiunta solo in parte. Per questo le donazioni sono indispensabili.
Inoltre, un progetto è, per definizione, un’iniziativa innovativa che trasforma, a volte in modo profondo, il contesto in cui si realizza per offrire una soluzione duratura a un problema strutturale. In questo senso, tutte le opere dei missionari, alle quali Mco offre il suo sostegno, sono state «progetti» nella loro fase iniziale, ma sono passate poi a essere «strutture e attività ricorrenti» da mantenere e far funzionare sul lungo periodo.

Progetti sì, progettifici no
Semplificando molto, la visione più rigida dello strumento «progetto» nella cooperazione allo sviluppo prevede che il progetto «virtuoso» sia quello che realizza un’iniziativa in grado di reggersi in piedi da sola dal punto di vista finanziario una volta che il progetto è concluso e i suoi fondi terminati.
Le spese di struttura, funzionamento, personale, attività ordinarie di una scuola o di un ospedale in un Paese del Sud globale, quindi, dovrebbero essere via via coperte grazie al ruolo crescente delle autorità pubbliche locali nel prendersi in carico i costi, o attraverso le entrate – rette scolastiche, pagamenti delle visite e delle terapie – che la struttura ottiene dagli utenti in grado di pagare, o, ancora, da una combinazione di queste due cose.
Dal 2020 a oggi, i bilanci sociali di Mco hanno messo in chiaro che il sostegno a opere (strutture) e attività ricorrenti per garantirne il funzionamento ordinario assorbe il grosso dei fondi di una onlus missionaria come Mco.
Questo qualifica il suo lavoro come non sostenibile? La sua capacità di lavorare per progetti ne esce compromessa? In definitiva sono queste le domande che ci si trova a porsi davanti al quinto bilancio sociale.
Per rispondere, è di aiuto affacciarsi sulla piazza dove si svolge molta parte del dibattito pubblico sulla cooperazione in Italia, cioè il blog Info-cooperazione. Nel 2018, un articolo dal titolo «Uscire dalla spirale del progettificio. La proposta della filantropia privata» riportava un contributo@ apparso sul giornale delle Fondazioni a firma di Carola Carazzone, segretaria generale di Assifero (Associazione italiana delle fondazioni ed enti della filantropia istituzionale) secondo cui «in qualunque settore, le organizzazioni che investono sulle persone, sulle capacità, sui sistemi gestionali e tecnologici, sulla sostenibilità e lo sviluppo finanziario hanno più probabilità di successo. Ma nel terzo settore l’approccio ideologico cambia le carte in tavola» e i donatori vogliono finanziare solo i progetti, seguendo il «mantra che (…) tutti i finanziamenti debbano essere destinati ai progetti con la correlata formula magica della percentuale dei costi di struttura/costi generali come unico indicatore di efficienza». Secondo Carazzone, questo da decenni strangola gli enti del terzo settore, riducendoli in «progettifici».
Carazzone definiva già nel 2018 questo modo di lavorare obsoleto e inefficace in un’epoca storica di fenomeni che superavano i confini tra settori e che si caratterizzavano per «diseguaglianza crescente, popoli in movimento, cambiamento climatico, invecchiamento della popolazione, populismo, xenofobia». Per affrontare questioni come queste, concludeva la segretaria di Assifero, i singoli progetti non sono sufficienti. Occorre selezionare le organizzazioni del terzo settore e «investire sulle loro missioni, sui loro obiettivi strategici, espandendo e catalizzando le loro competenze e capacità».

Nessun posto è lontano…
Sette anni, trenta milioni tra rifugiati e sfollati, una pandemia e due guerre dopo, le considerazioni di Carazzone non potrebbero essere più attuali. Che qualcuno non possa curarsi in Costa d’Avorio o non possa andare a scuola in Colombia ha smesso da tempo di essere un problema solo locale. Questo per almeno due motivi: il primo è la mobilità umana, che è un tratto tipico della nostra specie e lo strumento a cui ricorrono le persone quando non trovano, nel luogo in cui vivono, le condizioni, compresa la disponibilità di servizi pubblici, per avere uno standard di vita che ritengono accettabile. Se la quota di popolazione che migra sul pianeta non è aumentata nemmeno di un punto percentuale dal 1990 a oggi, passando dal 2,9% al 3,7%, in valore assoluto le persone che si muovono sono raddoppiate: da 154 a 304 milioni@.
Il secondo motivo è che le diseguaglianze stanno aumentando anche nelle società del Nord del mondo, che stanno affrontando problemi sempre più simili a quelli del Sud globale: problemi che, in Italia, riguardano sistemi sanitari in affanno, una incidenza della povertà familiare cresciuta di tre punti percentuali in dieci anni@ e investimenti troppo bassi nel settore dell’istruzione@.

… e chi dona lo sa
Le persone reagiscono in modi diversi di fronte a questi fenomeni: uno di essi è percepire i problemi come questioni comuni a loro e a molti altri lontani e collegate tra loro, che si manifestino sotto casa o in un altro continente.
Molti dei donatori di Mco mostrano in modo chiaro questa sensibilità, quando donano a una struttura (ospedale, scuola) o addirittura a un’attività ordinaria che la struttura svolge (parti sicuri, stipendi per gli insegnanti) senza indicare altro.
Molti immaginano forse che un ospedale missionario come quello di Neisu, in Rd Congo, resterà non del tutto sostenibile a lungo.
Ma sanno che non è sostenibile nemmeno il fatto che in quello stesso Paese ci siano intere aree dove la guerra del 1997 – 2002 non è mai finita e dove i metalli necessari per produrre i nostri dispositivi elettronici vengono estratti dal sottosuolo da una forza lavoro che include bambini di sette anni pagati un dollaro al giorno@ e che a trarre i maggiori guadagni da questo commercio sia un gruppo armato, l’M23, che commette atrocità costanti contro la popolazione civile@.
In questo senso, allora, il sostegno a opere e attività ricorrenti è una voce che abbiamo creato per «etichettare» una parte importante delle risorse raccolte, e poi utilizzate sul campo, e che mostra la visione inclusiva e solidale che i nostri donatori hanno del mondo.

Una piccola galassia
Siamo certamente in buona compagnia: secondo i dati disponibili su Open Cooperazione@, la piattaforma di info-cooperazione che raccoglie i dati delle organizzazioni italiane del settore, le entrate di queste organizzazioni nel 2023 sono state 1,3 milardi di euro di cui il 40% da donatori privati.
A caricare i dati sono stati 143 enti. Secondo l’ultimo censimento Istat delle istituzioni non profit@, quelle che hanno come settore di attività prevalente la cooperazione e solidarietà internazionale sono 4.443 e portano avanti il loro lavoro grazie a 3.741 dipendenti e 70.262 volontari, di cui il 55% svolgono attività sistematica e il 45% saltuaria.
È difficile stabilire solo con queste informazioni quale sia il volume totale dei fondi raccolti da queste oltre 4mila organizzazioni e impiegati nella cooperazione.
Per quanto riguarda Mco, gli enti del terzo settore che ci hanno sostenuti nel 2024 sono stati 87, di cui sei hanno come obiettivo esclusivo, o almeno prevalente, il finanziamento alle opere dei missionari della Consolata, e forniscono oltre un terzo dei fondi che riceviamo da questa categoria di donatori.
Chiara Giovetti
Nota bene:
alla data di chiusura di questo articolo, il bilancio sociale era ancora in fase di stesura. Per questo potrebbero esserci delle piccole discrepanze fra i dati riportati qui e quelli definitivi.
