Non tutto fa brodo!

Egregio direttore,
leggendo su Missioni Consolata di maggio scorso il trafiletto «Qualcosa d’incomprensibile», mi consenta un pizzico di sgomento.
Se per ogni religione c’è «la sua porta d’ingresso al paradiso» su piede pari, che significa allora magistero? Che significa evangelizzare? Ogni via è buona: tutto fa brodo. Mi potrò rivolgere al New Age in buona coscienza?
Mario Rizzonelli
Dro (TN)

La porta del paradiso si apre nella misura in cui il singolo crede e obbedisce al magistero e mistero della bontà-misericordia di Dio. Non tutto «fa brodo». È quanto si desume anche dal citato «romanzo ecumenico» Le chiavi del regno di Joseph Cronin.

Mario Rizzonelli




Indulgenza, per favore!

Caro direttore,
mi sono domandato tante volte (e sempre con tristezza) perché il cattolicesimo, nel momento dell’attuale giubileo, abbia rinunciato ad utilizzare il tema delle «indulgenze» per ammorbidire il dissidio, ridurre le distanze che lo separano dal protestantesimo e, invece, sia prevalsa la tesi dell’atteggiamento intransigente e vecchia-maniera: debito di colpa, debito di pena, tesoro della chiesa…
Sono concetti che il messaggio di Gesù spazza via «come il vento orientale che squarcia le navi di Tarsis». Ma tant’è! Così è andata persa l’occasione per abbattere un pezzo di muro… Però qualcosa è successo: proprio dal papa ci è venuto un esempio e un monito formidabile.
Io vorrei mandare un pensiero di affetto e un piccolo contributo al tormento di quell’uomo che, tutto solo, contro ogni dubbio e armato soltanto delle sue convinzioni, ha saputo chiedere perdono e dire «mai più». E sia questo, almeno, il mio modo di togliermi il cappello davanti a lui.
Sergio Briatta
Torino

Le parole, oltre che macigni, possono essere pure carezza, sollievo, consolazione. Ad esempio: «indulgenza» (dal latino indulgeo) significa comprensione, clemenza, propensione al perdono, disponibilità a scusare colpe altrui. Tale indulgenza è in «vendita»?

Sergio Briatta




Insultato l’onorevole Colombo

Spettabile redazione,
l’articolo di Angela Lano (Missioni Consolata, giugno 2000) è molto curioso ed è diviso in due parti. Nella prima l’autrice conferma ciò che ho scritto su la Repubblica; nella seconda conclude con espressioni offensive (emozione, disinformazione, ignoranza, superficialità), che sono tanto più gravi perché smentite dalla prima parte dell’articolo.
Sono stupito di un testo così illogico, di un comportamento così incoerente e dal curioso desiderio di trasformare un dissenso in insulto, strano per una rivista missionaria.
Furio Colombo
Roma

«Citare» non è necessariamente «confermare»…
Sia Furio Colombo sia Angela Lano parlano della scuola matea di Via Cecchi (Torino), con una differenza: mentre il primo è in parlamento, la seconda è un’insegnante e opera come giornalista nell’ambito dell’immigrazione islamica.
Per l’onorevole le lezioni di arabo «solo per bambini arabi» ledono la costituzione italiana. Ma l’insegnante precisa che le lezioni sono un’alternativa all’ora di religione cattolica per chi cattolico non è; e ascrive al parlamentare disinformazione.
L’informazione corretta è un dovere, specie per una rivista missionaria,

Furio Colombo




Le pattumiere nucleari

Egregio direttore, faccio seguito alla mia lettera del 31 marzo per inviarle la risposta pervenutami dalla Commissione europea che, a quanto leggo, sembra sensibile ed interessata alla situazione creatasi nella città di Severodvinsk (Russia) e già all’opera (o lo è stata).
Forse più interventi e segnalazioni, specie se cornordinati, potrebbero spingere l’Unione europea ad interessarsi maggiormente al problema dell’inquinamento, sia a livello politico che tecnico-umanitario.
Piero Lanino – Palermo

L’architetto Lanino è stato colpito dall’articolo titolato «Fabbrica di sordomuti», conseguenza della «pattumiera nucleare» di Severodvinsk (cfr. Missioni Consolata, gennaio 2000). Allarmato, ne ha inviato copia alla Commissione europea, lanciando un appello affinché sensibilizzi l’opinione pubblica su una ignorata «Cheobyl al rallentatore». Questa è la risposta ricevuta.

E gregio architetto Lanino, il professor Prodi, presidente della Commissione europea, la signora Wallström, commissaria per l’ambiente e la sicurezza nucleare, e il commissario Nielson mi hanno trasmesso la sua lettera dello scorso 5 marzo, di cui la ringraziamo.
L’appello da lei lanciato per sensibilizzare istituzioni e autorità italiane ed europee sulla tragedia della popolazione di Severodvinsk ci commuove, ma purtroppo non ci sorprende. I servizi della Commissione cercano, infatti, da anni di impiegare nel modo più efficace possibile le scarse risorse finanziarie di cui dispongono per intervenire nel settore. Ad esempio, recentemente abbiamo finanziato un progetto volto a migliorare la gestione dei rifiuti radioattivi a Severodvinsk. Il progetto ha anche il compito di indagare sulle conseguenze radiologiche dello scarico di sostanze liquide radioattive nella rete fognaria della regione, avvenuto nel 1990.
Questo progetto non è una iniziativa isolata, ma fa parte delle azioni della Commissione europea nella Russia nordoccidentale, in cui esistono numerose zone potenzialmente altrettanto pericolose come Severodvinsk.
D’altra parte, è necessario contribuire a ridurre le conseguenze radiologiche di cui soffre la popolazione locale, anche per evitare che esse si estendano alla penisola scandinava e colpiscano i cittadini comunitari.
Sono d’accordo con lei: bisogna attirare l’attenzione della comunità internazionale su questa situazione ed altre simili. Al riguardo, i miei servizi effettueranno delle ricerche in collaborazione con i ministeri russi competenti e non mancheranno di rendere pubblici i risultati di tali ricerche.
Le porgo i miei più distinti saluti.
J. Fr. Verstrynge, Deputy Director-General,
Bruxelles, 25/04/2000

aa.vv.




La trappola delle monoculture

Signor direttore, dopo la lettura dell’editoriale «Il bacio della vergogna» (Missioni Consolata, maggio 2000), desidero fare un paio di considerazioni.

1. Se è vero che la decisione dell’Unione europea del 15 marzo favorisce le multinazionali e danneggia i paesi produttori di cacao, è altrettanto vero che, prima di tale provvedimento, i produttori erano tutt’altro che agevolati dal mercato e dal comportamento dei consumatori. L’eccessiva dipendenza dal cacao è fonte di debolezza economica per tutti i paesi della fascia tropicale, perché il suo prezzo viene fissato in base ai capricci degli speculatori occidentali, non in base a considerazioni di equità sociale.
Il vero dramma è la scarsissima attenzione per i canali del commercio alternativo. La variazione dei parametri sul tasso di burro di cacao è solo la conseguenza di un sistema di strapotere, che si è potuto consolidare grazie ai tanti «puristi» del cioccolato che oggi protestano, unendo la loro voce a quella degli ecologisti e dei missionari.

2. È riduttivo parlare di rischi per la salute facendo riferimento all’uso di cacao o surrogati ottenuti da piante geneticamente modificate. La prima modifica di cui si dovrebbe parlare è quella dei territori trasformati in enormi piantagioni di cacao.
In Costa d’Avorio, Ghana, Camerun, Nigeria la monocoltura del cacao è stata una delle principali cause della distruzione della foresta pluviale tropicale, la culla della biodiversità. Perfino le aree protette, spesso sotto l’egida dell’Unione europea e dell’Unesco (è il caso del parco nazionale Tai in Costa d’Avorio e del parco Dja in Camerun, dove vivono anche alcune comunità di pigmei baka), sono minacciate da un’agricoltura cacao-caffè-dipendente, che non tiene in alcun conto né delle esigenze dell’ambiente né delle necessità alimentari delle popolazioni locali.
Quanto a padre Giacinto Franzoi, lo apprezzo perché ha il coraggio di affrontare certi temi in chiesa. È vero che il cacao è meglio della coca: ho l’impressione però che limitarsi a questo non sia proprio ciò che ci vuole per aiutare le persone a prendere coscienza dell’importanza delle foreste naturali.
Dal punto di vista ecologico, le monocolture di cacao sono state un vero disastro: se desideriamo davvero riconvertire l’agricoltura insana, diamo alla foresta pluviale almeno un po’ dello spazio che ha perduto, invece di continuare a incoraggiare un consumo che porterà soltanto altri danni all’ambiente e all’uomo.
Tutelando le foreste tuteliamo gli ultimi polmoni verdi del pianeta, tuteliamo la vita e ciò che è essenziale alla vita; invece, tutelando il consumo di cacao vecchia maniera, diciamo sì al superfluo, sì all’ingordigia e prepariamo il terreno ad altre eurotruffe: cacao ad alto rendimento, cacao ad elevato contenuto di teobromina, cacao ad effetto afrodisiaco, ecc.
Francesco Rondina – Fano (PS)

Un editoriale è una provocazione, oltre che una riflessione. I rilievi del signor Francesco Rondina (che sostanzialmente condividiamo) lo confermano. Alle sue considerazioni ne aggiungiamo altrettante.

1. Nel sud del mondo i prodotti delle monocolture sono destinati soprattutto all’esportazione e, quindi, all’acquisto di valuta pregiata. È lo stesso Fondo monetario internazionale che preme sui paesi in via di sviluppo affinché ne adottino il sistema, che dovrebbe consentire loro d’incamerare dollari anche per pagare il debito estero.
Però i risultati sono tutt’altro che certi, perché il prezzo dei prodotti esportati è molto instabile sul mercato mondiale. È noto, per esempio, il dramma del Senegal che, dopo essersi dedicato alla monocoltura dell’arachide, con il crollo del suo prezzo, si è ritrovato montagne di noccioline invendute. Per non parlare della desertificazione del suolo che l’arachide produce.

2. Il cacao dei contadini di padre Giacinto Franzoi è «una» delle coltivazioni alternative della coca, i cui effetti devastanti sono certamente superiori a quelli del cacao, specialmente sotto il profilo umano.
Esistono anche piantagioni di caucciù, nonché l’allevamento di animali terrestri ed acquatici, tipici dell’Amazzonia colombiana. Senza scordare le piante ed erbe medicinali, fra cui spicca l’uncaria tomentosa («unghia di gatto»).

Francesco Rondina




Il “caso” Haider

Cari missionari,
ho visitato su internet la pagina (home page) del Partito liberale austriaco (FPO) di Jorg Haider.
Ci sono collegamenti (links) i cui titoli sono tutto un programma; ad esempio: «I crociati del nostro tempo». Non mancano svastiche naziste.
La sezione «Bambini» inizia così: «Ho 11 anni ed ero solito frequentare la scuola pubblica. È una vergogna vedere quante menti bianche si sono sciupate. Ma ora frequento una scuola privata, dove non sono picchiato più da ganghe di non bianchi. Inoltre sto ritrovando l’orgoglio in me stesso, nella mia famiglia e nel mio popolo».
La sezione «Canti dalla patria» presenta titoli, quali: Ancora un negro, Cerca la corda (per impiccarlo), Alcuni negri non muoiono mai, Cae alla griglia, Sporca cagna femminista, Soluzione finale, Olocausto 2000, Orgoglio bianco, Azione anticomunista, Sei milioni di menzogne (sei milioni di ebrei uccisi), Vattene a casa, Parla il Führer, Viva il partito nazional-socialista della Germania, Vittoria e salute…
Ce n’è quanto basta per terrorizzare qualsiasi persona civile. È opportuno divulgare questi dati, perché nessuno domani dica: «Io non sapevo».
Sabrina Ferri
(via e-mail)

Questo messaggio è scaturito da una giusta rivolta di fronte al «caso Haider». Il personaggio è noto per xenofobia e filonazismo. Ma il suo partito è entrato a far parte dell’attuale governo della vicina Austria.

Sabrina Ferri




Cristo e gli altri

Caro direttore,
mi ha molto interessato il suo articolo «Il Dio dei desideri», apparso su Missioni Consolata di febbraio. In modo particolare mi ha colpito il riquadro «Gesù Cristo, grande maestro o unico Salvatore?». In esso si accenna alla distinzione tra una preparazione remota al messaggio cristiano (in cui entrano, ad esempio le religioni asiatiche) e una preparazione prossima (che riguarda soprattutto l’ebraismo).
Gradirei qualche indicazione bibliografica per approfondire il tema.

L’abbonato ha colto un problema complesso: quello della salvezza nelle religioni non cristiane e del loro rapporto con Gesù Cristo. I libri per approfondire il tema non mancano; ma non sono di non facile lettura… Ricordiamo tre articoli della nostra rivista: «È tutt’altro che un affare privato», «Che sarà di loro sull’altra sponda?», «Davvero come Lui non c’è nessuno» (Missioni Consolata, ottobre 999).

Vittorio Montis




A proposito di Neyerere

Caro direttore,
ho scritto a padre Giulio Belotti per fargli i complimenti del suo importante articolo su Nyerere, che lei ha pubblicato. Le giro la simpatica risposta del missionario in Tanzania.

«Carissimo Carlo – ha risposto padre Giulio Belotti -, grazie per il tuo scritto laudativo. Non ricordo il tuo nome. Che vuoi! Sono vecchio, ho già varcato i 76 anni.
Vivo a Mgongo, a 10 chilometri da Iringa, nella Faraja House (casa della consolazione), un centro che raccoglie ragazzi di strada e in difficoltà.
L’articolo su Nyerere non è del tutto mio: fa parte di uno scritto più impegnativo che avevo scritto tempo fa; allora ero un po’ arrabbiato, perché la rivista Mondo e Missione, pur con carità cristiana, aveva stroncato Nyerere e la sua politica. Naturalmente il mio scritto era troppo lungo e non poté essere pubblicato. Ma, alla morte dell’ex presidente del Tanzania, è venuto in taglio e se ne sono serviti nella redazione di Missioni Consolata, lasciando il mio nome. Bontà loro…».

Carlo Bagioli




Il fratello del nonno

Spettabile redazione,
intendo abbonarmi a Missioni Consolata. Il fratello del nonno materno fu un vostro missionario in Kenya ed Etiopia negli anni ’30. Si chiamava padre Giuseppe Dogliani e venne fucilato dai tedeschi in Val Casotto (CN) nel marzo del 1944, dopo essere stato cappellano degli alpini in Russia.

Probabilmente la nostra rivista era già presente nella famiglia del missionario in Kenya ed Etiopia. Poi la «corrente» si è interrotta… Come ci piacerebbe, signor Emilio, che altre persone seguissero il suo esempio! Missioni Consolata è «la rivista missionaria della famiglia», anche perché passa di padre in figlio, da nonno a nipote.
Una tradizione da conservare.

Emilio Cappa




Disastri che interpellano

Cari missionari,
il vostro giornale porta il mondo tra le pareti domestiche. Nel numero di gennaio mi ha colpito moltissimo il servizio sulla città russa di Severodvinsk. Sono stata recentemente in Bielorussia (per conoscere la famiglia del bambino che ogni luglio ospitiamo in casa): quindi sento in modo assai coinvolgente i problemi dell’ex Urss.
Il viaggio mi ha fatto toccare i problemi del popolo e soprattutto dei bambini, che sono quelli più bisognosi di attenzioni: essi saranno gli uomini di domani che goveeranno questo vasto paese, oggi alle prese con freddo, fame e corruzione.
È urgente promuovere la consapevolezza dei disastri umani e ambientali, per smuovere le coscienze intorpidite dal troppo benessere. Altrimenti non sarebbe possibile dirci cristiani.

La lettera si riferisce ad un articolo di E. Knight, nostro collaboratore, che descrive la vita di bambini sordomuti, idrocefali, dementi… vittime della «maledizione nucleare».

C. R.