Cari missionari

Far di ogni erba un fascio

Spettabile rivista,
se uno afferma categoricamente: il popolo italiano è ladro e corrotto, facendo di ogni erba un fascio, come è tipico del nostro maledetto qualunquismo disfattista e antipatriottico, è certo che non verrà mai preso per razzista. Considerate le nostre attitudini a parlarci sempre male addosso, un tale simile verrebbe anzi applaudito e coronato di gloria. Se, viceversa, un altro tale accusa i Rom o altre minoranze etniche di essere ancora più ladre e delinquenti del popolo italiano, costui si vedrà subito arrivare la patente di solenne razzista e dovrà anche subire il pubblico ludibrio di marca chiaramente progressista e anche catto-comunista. In questo secondo e grottesco caso ci troveremo di fronte a un bell’esempio di pensiero unico alternativo (perché mica esiste solo quello attribuito al potere ufficiale, esiste anche e soprattutto quello sinistrorso), tipico di chi sta a sinistra, cattolici degenerati compresi.
Un pensiero unico che puzza tanto di ipocrisia. E, a chi coltiva questo pensiero unico alternativo, vorrei chiedere: sappiamo di Rom e di romeni che vanno a rubare nelle case e nelle ville degli italiani, ma quanti italiani vanno a rubare nelle case degli immigrati romeni o ucraini o moldavi o in quelle degli zingari, per quanto presumibilmente poco ci possa essere da rubare? E non solo gli italiani si ritrovano derubati, ma per giunta guai se si lagnano e si lamentano e se scendono in piazza a manifestare la propria esasperazione! Stando così le cose, sarebbe il caso di organizzare sit-in di protesta davanti alle varie Ong Cattoliche e non solo, che si occupano di immigrazione et similia. Sarebbe ora che le illuminate menti dei catto-progressisti si decidano una volta e per tutte a prendere in considerazione non soltanto i diritti di chi è costretto a fuggire dal proprio Paese, ma anche di chi vive in questo Paese perché ci è nato e vorrebbe continuare a viverci nella maggior sicurezza possibile! Leviamoci dalla testa utopie di integrazione sic et simpliciter. In America, dopo quasi duecento anni dalla fine della guerra di secessione, hanno ancora problemi seri di razzismo tra neri e bianchi. E pretendere, qui da noi, che le persone di etnia Rom si integrino nella società italiana, vuol dire aspettarsi che abbandonino la propria cultura per assimilare la nostra. E questo non sarebbe razzismo? Anche perché, chi di noi italiani si sognerebbe di compiere l’esatto opposto, ossia rinunciare alla nostra, di cultura, per abbracciare quella Rom?
Vorrei tanto che le tribune cattoliche e laiche più focose su questi temi mi rispondano, evitando di svicolare alquanto indecorosamente, allorché, davanti a precise obiezioni dei lettori, si cerca di far passare tali sacrosante osservazioni per miserevoli pretesti, venati, magari, di razzismo.
Distinti saluti.
Giovanni Pirrera
 Agrigento

Non so se quel catto-comunisti e catto-progressisti è indirizzato a noi, ma mi permetto di offrire alcune precisazioni. Dire che in Italia c’è corruzione (Trasparency Inteational ci pone al 67° posto, dopo il Ruanda, nella lista di 178 paesi dai più virtuosi ai più corrotti) e mafia, che ci sono ladri ed evasori, che c’è lo sfruttamento della prostituzione e pedofilia, non è dire che tutti gli italiani sono ladri, corrotti, mafiosi e pedofili. Sarebbe un’ingiusta generalizzazione. Lo stesso deve valere per altri popoli. Che ci siano ladri tra i rom, imbroglioni e trafficanti di persone tra i nigeriani, sfruttatori di manodopera tra i cinesi, non è dire che tutti i rom, i nigeriani e i cinesi sono così. Che ci siano ladri tra i rom, è vero. Ma se i 1.400.000 furti ca. del 2008 fossero tutti fatti dai 160.000 – dati del Viminale – rom stanziati in Italia, significherebbe che ognuno di loro (anche i neonati e quelli già in prigione) ne ha fatti almeno 9 all’anno!

Quando ero in Kenya, mi faceva molto male sentir dire che gli italiani sono tutti mafiosi. È vero che in Kenya, soprattutto a Malindi, ci sono anche italiani mafiosi e drogati e trafficanti di minori e ragazze, ma la stragrande maggioranza degli italiani in quella nazione sono persone oneste e grandi lavoratori, e certo non sono mafiosi gli oltre 700 missionari italiani che là spendono la loro vita. Ma mi dava (e mi dà ancora) fastidio anche la classifica di italiani donnaioli o latin lover (caratterizzazione che pure è normale anche in campagne pubblicitarie su riviste al di sopra di ogni sospetto e, purtroppo, anche ad altri livelli). In Svizzera, la campagna denigratoria dello scorso settembre contro i frontalieri è stata disgustosa, pericolosa e totalmente ingiusta.
Come giustamente lei fa osservare, il processo di integrazione è un fatto molto lento e i pregiudizi sono duri a morire. Il razzismo (o il suo equivalente chiamato tribalismo in Africa) è un virus pericoloso e difficile da curare, che prospera quando si usano generalizzazioni, etichette e schedature invece di nomi e cognomi, quando si parla di masse, gruppi e categorie e non di persone. Ma prospera anche quando la cosiddetta sicurezza diventa il valore principale, perché in nome della stessa si creano gli «altri, i nemici» e invece di dialogare e cornoperare per costruire un mondo migliore, si costruiscono muri, difese, barriere …
Non pensa forse che il modo migliore per avere sicurezza per tutti sia quello di aiutare tutte le persone di buona volontà ad avere una vita decente con un lavoro dignitoso (e non da schiavi o sfruttati) e una  casa che non sia un tugurio sovraffollato, fatiscente, malsano e strapagato a chi lucra sulla povertà altrui? Questo vale per i rom o gli altri extracomunitari, ma vale anche per gli Italiani, e sono tanti, che in questa crisi si trovano senza lavoro, sfrattati e umiliati da un sistema politico ed economico che sembra non aver occhi né orecchie, e tantomeno cuore, per le fasce più deboli e per le famiglie.

Prendersela con le organizzazioni cattoliche e missionarie che danno voce ai Rom e a chi come loro, accusandole di parzialità e anti-italianismo, non è giusto, anche perché è provato che sono proprio queste stesse organizzazioni, Caritas in testa, che stanno dalla parte degli italiani che sono vittime della presente situazione: disoccupati, sfrattati, quelli con il problema non solo della quarta, ma anche della terza settimana. Tra l’altro non è certo zittendo queste organizzazioni che si risolve il problema, anzi.

DIALOGHI DI PACE
DALLA BRIANZA ALLE MARCHE, CUORI CHE
BATTONO PER LA PACE E LA SALVAGUARDIA DEL CREATO
Sembrava un’impresa folle: invitare i turisti in pieno agosto o gli operosi brianzoli in ottobre a dimenticare per una sera i rispettivi svaghi e impegni e predisporsi, invece, all’ascolto di un messaggio del Papa! Eppure proprio questo è avvenuto, in occasione della Giornata per la Salvaguardia del Creato 2010, per la quale la Chiesa italiana sollecitava la riflessione sullo stretto legame esistente fra il rispetto dell’ambiente naturale e la costruzione della pace fra popoli e persone.
Il tema è stato dettato da Benedetto XVI che vi ha dedicato il Messaggio della Giornata Mondiale per la Pace 2010 al tema «Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato».
Approfittando di questa non frequente concomitanza, e considerando che i temi della pace e della salvaguardia ambientale sono propri anche di chi non crede e di chi appartiene a religioni diverse da quella Cristiana Cattolica, si è diffusa oltre le aspettative degli organizzatori la riproposizione dei «Dialoghi di Pace 2010: lettura scenica del Messaggio del Papa» affidata ad attori-lettori le cui voci si incontrano, si incalzano e si accavallano come in un vero e proprio dialogo.
Ideata nella parrocchia Regina Pacis di Cusano Milanino, dove da alcuni anni va in scena in gennaio con crescente successo, l’iniziativa quest’anno è stata replicata anche a Fano, sulla riviera Adriatica, ad Oreno di Vimercate in apertura del tradizionale triduo dedicato a San Francesco, ed a Milano, nel quartiere Corvetto, come momento di riflessione nell’ambito della decennale Festa del Creato e contraltare positivo a cronache poco amiche di chi opera per il bene nella zona.
In tutte le occasioni, a sottolineare il valore civile e non solo religioso dell’iniziativa,c’era la presenza delle amministrazioni pubbliche (anche rappresentate da Sindaci in veste istituzionale) e, sempre, delle tante realtà del volontariato e dell’associazionismo locale e nazionale in ambito missionario e di salvaguardia ambientale (Gruppo Naturalistico della Brianza, Amici del Sidamo, Gruppi di acquisto solidale, AGe…).
È stato bello constatare come, in ogni luogo in cui è stata allestita, l’iniziativa si è arricchita con le specifiche ed originali capacità e sensibilità di chi ha scelto di farla propria: che si trattasse di concertisti affermati ed attori professionisti o di giovani di talento e filodrammatici per passione.
In tutti i casi, grande merito nel successo dell’iniziativa hanno avuto la musica, affidata a formazioni variabili (chitarre soliste, quintetto di fiati blues, trio multietnico di violini e chitarra), e la lettura di poesie dedicate alla natura ed alla relazione dell’uomo con essa e con la dimensione del soprannaturale cui rimanda scritte da dom Helder Camara, il vescovo brasiliano da alcuni definito il Gandhi cattolico o il San Francesco del Novecento. Intermezzi che hanno visualizzato e commentato con la forza espressiva dell’arte i passaggi più significativi di un’elevazione spirituale che si è rivelata tanto attraente per i non credenti quanto coinvolgente e significativa per chi crede… E che vale la pena riproporre anche altrove!
Già ci si prepara per l’edizione 2011 che, accanto al Messaggio del Papa (Libertà religiosa, via per la pace), prevede la lettura di testi di Oscar Romero. Chi volesse approfittare della documentazione che verrà predisposta non ha che da farsi avanti.
Giovanni Guzzi
Vimercate
http://www.parrocchiamilanino.it/scossa_on_line/in_vetrina/dialoghi_pace/dialoghi_pace.htm

POESIA
Gentilissimo Padre, le scrivo perché questa povera vecchia maestra è venuta a conoscenza che una sua ex allieva presta il suo lavoro da anni in Mozambico. I genitori di Chiara, che è nata nel 1978, mi hanno donato degli appunti di viaggio scritti dal papà.
Tra questi ho trovato una poesia di Chiara che ho fatto leggere anche ai miei nipotini.
Questa sua presenza tra mamme e bambini è a prevenzione dalle malattie che più colpiscono il continente africano; mi ha resa orgogliosa e grata a Dio di questa ex alunna.
La invio a Lei che ringrazio per tutto il bene che fate anche attraverso la vostra rivista che ci giunge sempre preziosa!
In fede con Gesù, per Gesù, in Gesù, la mia più grande riconoscenza.
Maria G. Sansone
 Milano
Ecco la poesia di Chiara.
«…c’è un mondo là fuori
che grida in silenzio
le sue ragioni di essere!
Questo mondo
che noi teniamo
ben lontano
dalle nostre vite,
vorrei che un giorno
potesse parlare.
Ho il cuore aperto
dalla gentilezza
di questa gente,
dalla loro dolcezza,
dalla loro frustrazione.
Cerco di contenere
l’emozione
che mi sta travolgendo
come un fiume in piena.
Devo farcela,
non ho il diritto
di mostrare
il mio stato d’animo;
non posso permettermi
di perdere
neanche una lacrima;
ma continuo a tenere
i bambini per mano,
a sorridere
ai loro grandi occhi neri…
Chiara Gargano
Moma, Mozambico

Extra comunitari
Cari Missionari,
a proposito della domanda «Veneto il più duro?» e alla lettera pubblicata sul numero di settembre u.s. che mi è appena arrivato, posso dire che a Modena da circa 8-10  mesi siamo letteralmente «invasi» da extracomunitari che vengono da Verona. Sono aumentati da 3-5 ogni mattina a 8-15, quasi tutti nigeriani, di cui almeno il 50% da Benin City. Ho inserito un deviatore e staccato il campanello, ma loro mi aspettano alla porta).
Insisto che si rivolgano alle parrocchie di residenza perché, non essendo in grado di aiutare tutti, solo le Caritas parrocchiali possono conoscere le reali condizioni di bisogno e disagio di ciascuno di loro. La risposta è che purtroppo dalle parrocchie arriva pochissimo perché (anche qui) sono già da tempo impegnate nell’aiuto delle famiglie e dei «poveri consolidati», modenesi o comunque italiani. Così suonano al campanello dei singoli cittadini perché almeno non vengono cacciati in malo modo né viene chiamato il 112, come invece succede a Verona (così dicono, ma forse a Verona sono invasi da quelli che scappano di Modena!). Certo che se non si arriva «a lavorare meno, ma a lavorare tutti», la situazione non può che peggiorare.
Saluti.
Romano Ognibene
Modena

Dal Brasile
Caro amico!
Sono figlio di emigrati italiani che vivono nel sud del Brasile… scusa i molti errori del mio “maccaronico” italiano, ma credo mi capirai. Lavoro da molti anni in campagna e ho chiesto a una cugina per scrivere questa mia.
Ho conosciuto la vostra bella rivista con un  sacerdote. Mi piace molto leggere e anche scrivere per attaccare legami con la bella Italia, che ancora non ho mai visto. Qui come lì, si piantano vigneti, si fa vino… Sono solo e la solitudine non è facile. Ho già 60 anni e mi passo il tempo a piantare ortaggi, fiori, camminare, leggere, sentire musica e anche dipingere… vede, tengo nel sangue l’Italia.
Vorrei avere degli amici/che in Italia e altri paesi. Vi prego di pubblicare la mia lettera. Si!! Sono pensionato e ho molto tempo anche per aiutare nella chiesa, nella liturgia e catechesi. Mi puoi fare questo piacere? Aspetto di ricevere diverse lettere, mi piace anche tramite lettera conoscere altri paesi…
Vi ringrazio molto. Tanti saluti da un vostro fratello lontano.
Ivano Dal Magro
Brasile
Se qualcuno vuole mettersi in contatto con Ivano, ce lo faccia sapere e foiamo l’indirizzo.

Biodegradabile
Fate felice Madre Terra e i suoi abitanti, avvolgete la vostra bella rivista in materiale biodegradabile o lasciatela… nuda. Qualcuno lo fa già. Saluti da
Isa Monaca
(via email)
Vorrei poterle dire che esaudiremo il suo desiderio immediatamente. Davvero. Ma non è così. Per ora usiamo plastica riciclabile. Se un giorno ci saranno disponibili confezioni biodegradabili per spedizioni postali, le useremo certamente. Quanto al mandare la rivista «nuda» … non è questione di pudore, ma forse non ha mai visto con quanta sollecita premura e garbo le poste trattano le riviste.

Il mio Pakistan
Ciao Paolo (Moiola, ndr),
complimenti, hai fatto un grande lavoro. In Italia per  prima volta qualcuno ha dedicato un intero servizio al «mio Pakistan» (vedi MC 12/2010, pp.49-56). La mia intervista è bellissima. Sarebbe stato meglio scrivere «matrimonio combinato forzato» invece di matrimonio combinato. Il matrimonio combinato è fulcro della società mentre il matrimonio combinato «forzato» sta ostacolando la vita dei giovani pakistani in occidente. Grazie.
Ejaz Ahmad
(via email)

Well done!
Caro P. Ugo,
complimenti. Hai veramente ricavato un articolo coi fiocchi dai miei pensieri scornordinati, un lavoro ben fatto, molto professionale e una bella grafica (vedi MC 11/2010 pp. 10-16). è stato un piacere incontrate te e gli altri missionari della Consolata. L’espereinza mi ha davvero arricchito. In Cristo
Michael van Heerden
 dal Sudafrica (via email)

NOSTRA MADRE TERRA
Da mesi ero preoccupato per l’assenza dalla rivista MC della rubrica in oggetto. Ora con dispiacere e tristezza ho scoperto su MC la probabile causa di tale vuoto. Esprimo la mia condoglianza alla famiglia del dottor Roberto. Spero che tale apprezzata rubrica possa continuare come prima con la dottoressa Rosanna.
Cordialmente.
Sergio Brovelli
(via email)
Come promesso e può vedere in questo stesso numero, «Nostra Madre Terra» è tornata ad avere il suo spazio nella rivista grazie alla dedizione e competenza della dottoressa Rosanna.




Cari missionari

Inesattezze

Caro Direttore,
ho letto il suo editoriale «Golia 2010» sul numero di luglio-agosto di Missioni. Non mi hanno colpito tanto le inesattezze (volute? dovute a disinformazione? Entrambe ipotesi disdicevoli ad un giornalismo irreprensibile come il vostro). [La lettera contiene poi puntualizzazioni su tre punti: l’attacco alla Freedom Flottilla, il giudizio sul ruolo della Turchia e la liberazione di A. Lano].
Questo, ed altro; ma – come dicevo all’inizio – non sono state tanto le inesattezze ad addolorarmi quanto il clima che si sprigiona dall’editoriale che per me ha evocato (spero a torto) una parola inquietante: antisemitismo. Con tutto ciò rinnovo l’espressione della mia immutata ammirazione per i tanti, ottimi servizi della rivista, che da decenni mi porta il mondo in casa. Cordialmente.
F. Aschieri e Vassia Carla
sostenitori da mezzo
secolo delle Missioni della Consolata – Cumiana (TO)

Intervengo con poche righe di risposta alla lettera «Inesattezze», scritta in reazione all’editoriale «Golia 2010», da me firmato in quanto allora direttore editoriale di Missioni Consolata. Vi sono infatti due sottili insinuazioni che non accetto e che mi permetto di segnalare, senza voler fare eccessiva polemica. La prima riguarda la mia presunta malafede. Se avete riscontrato inesattezze, queste non sono state «volute». Anzi, a ben vedere, le inesattezze da voi segnalate altro non sono che interpretazioni diverse dalle mie di fatti che restano documentati negli archivi dei maggiori mezzi di informazione del nostro paese e inteazionali (e su cui si continuerà a discutere all’infinito). Non credo di avere scritto nulla di falso, al massimo, sicuramente, di non condivisibile. Sono dell’idea che il bianco e il nero non sono i colori più adatti a rappresentare una realtà complessa come quella Medio Orientale che è invece fatta di molti grigi. Potremmo restare a discutere per delle ore su Gaza, sul ruolo della Turchia e alla fine continuare a non essere d’accordo. A consolazione di quanto da me scritto va il fatto che, il 29 settembre scorso (quattro mesi dopo i fatti in questione), il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione che condanna le forze israeliane per aver violato le leggi inteazionali nel blitz condotto contro la Freedom Flotilla diretta a Gaza (anche se Israele, com’è logico, non accetta questa sentenza).
La seconda insinuazione, più grave, riguarda il mio presunto antisemitismo. Perdonatemi, il Dizionario Garzanti della lingua italiana, definisce l’antisemitismo come «ostilità, intolleranza nei riguardi degli ebrei». Esprimere dissenso e protesta nei confronti della politica del Goveo di Tel Aviv non significa assolutamente voler disprezzare gli ebrei e la loro fede. Ci sono ebrei che dissentono dal modo in cui il governo di Israele tratta la questione palestinese, lo sapete meglio di me. L’equazione «critica a
Israele = antisemitismo» può far comodo ad alcuni, ma non è applicabile a Missioni Consolata.
Ugo Pozzoli

Non Solo
Vacanza

Non ho mai baciato, abbracciato e stretto mani così tanto come in quella vacanza in Colombia durante lo scorso agosto. Se potessi darle un titolo sarebbe: «La vacanza dell’accoglienza», un valore che invece troppo spesso dimentichiamo di coltivare (ed insegnare) nei gesti quotidiani. Quanti volti, quante persone ho incontrato e conosciuto! Quello che mi ha colpito di più è stato il continuo contatto con la gente delle parrocchie di Bocachica e Marialabaja, sempre pronta ad accoglierci: una porta aperta, una sedia offerta e tanti racconti di vita quotidiana. Niente ferma questa gente; né le difficoltà, né la povertà. Sono pronti a donare un sorriso, un aiuto a quelli che hanno meno di loro. Si accontentano semplicemente di un tetto sulla testa. Poi, non importa se dal tetto entra acqua, anzi può essere un segno di grazia, si raccoglie e non si butta. Tutto è un dono. Non chiedono molto, solo di essere ascoltati e di parlare, di stare con loro e trascorrere del tempo nelle loro case. Questi momenti sono, per questo popolo, molto importanti: in qualche modo ci hanno chiesto di condividere la loro vita. Essi, danno molta importanza alle persone: le «cose» da fare possono aspettare. Non c’è premura nei loro incontri, non importa se si fa tardi, c’è sempre tempo per le cose; sono le persone che hanno la priorità. Così, ogni incontro diventa un momento di gioia e una festa.
Ho avuto la fortuna di fare questa vacanza speciale perché ho incontrato la comunità dei Padri della Consolata di Bevera, dove Padre Gianfranco Zintu ha organizzato un viaggio – incontro in Colombia per un piccolo gruppo di giovani (vedi foto sotto). Questa vacanza mi ha fatto apprezzare quello che abbiamo e mi ha fatto riflettere sull’enorme ricchezza che possediamo: «l’umanità», che non fa differenze di religione o di razza. Riscopriamo l’amore che batte dentro il cuore e che tendiamo invece a far tacere a vantaggio della ricchezza materiale!
Wilma
Marialabaja – Colombia
 Agosto 2010




Cari missionari

Ospedale di Wamba
Dopo 40 anni di missione, il medico Silvio Prandoni ha lasciato Wamba e aperto una Casa Famiglia a Mombasa. La diocesi di Maralal è una delle più povere del Kenya e l’attuale vescovo Virgilio Pante – missionario della Consolata – chiede aiuto agli Amici di Wamba per far quadrare i conti dell’ospedale. Con il dott. Prandoni noi abbiamo «fatto miracoli per 40 anni»… Salvo errore, l’Istituto Missioni Consolata finora non ha sostenuto finanziariamente il peso di questa opera grandiosa che versa in gravi difficoltà economiche. In Tanzania gli «Amici di Consolata Ikonda Hospital» affiancano l’Istituto Missioni Consolata di Torino nel sostegno finanziario di quest’opera grandiosa! Con la massima stima.
Associazione
 Amici di Wamba

L’ospedale di Wamba sta a cuore a tutti proprio per il prezioso e insostituibile servizio che offre alle popolazioni dell’area. Su questa rivista ne abbiamo parlato molte volte (non ultima, nel numero di settembre 2010), perché siamo molto vicini a quell’ospedale, anche se – a differenza di quello di Ikonda – non appartiene ai Missionari della Consolata, ma alla diocesi di Maralal. Ne conosco personalmente la qualità e il servizio, non solo perché vi sono stato curato all’inizio della mia esperienza missionaria, ma anche perché vi ho mandato innumerevoli pazienti sempre trattati con grande competenza e amore. Quanto al sostegno, l’Istituto ha sempre dato quanto ha potuto senza fae pubblicità, pur non avendone responsabilità diretta e senza tener conto di quanto i suoi missionari (che pure sono Istituto) hanno fatto (anche solo saldando i conti di molti, moltissimi pazienti insolventi). Gestire un ospedale non è facile, tanto più in Africa, e ancor più in un’area come il distretto Samburu. C’è bisogno di almeno mezzo milione di euro ogni anno. Per questo non servono le polemiche, ma, come ha scritto in una lettera a tutti gli amici dell’ospedale il vescovo mons. Virgilio Pante di Maralal, diretto responsabile e proprietario, occorre «lavorate con gioia e stima reciproca, evitando critiche, confronti, affermazioni inesatte, per non cadere nel protagonismo o forme di gelosie. Sottolineo questa ultima frase, anche se forte … L’ospedale deve continuare e non guardare indietro con rimpianti».
I bisogni sono tanti e c’è spazio per la collaborazione di tutti, rallegrandosi di trovare tante persone diverse e solidali in uno stesso progetto.

Un santino per
Siamo due genitori, molto rassegnati e preoccupati, con una figlia di 7 anni; simpatica, carina e vivace ma affetta da distrofia muscolare grave. Chiediamo un piacere per accontentarla: possiamo avere per posta, qualche santino con immagine sacra del Beato Giuseppe Allamano e della Ss.ma Vergine Consolata. Ne sarebbe tanto, ma tanto contenta. Che tristezza e che sofferenza dà il vedere nostra figlia ridotta in questo stato. Le amichette vengono a trovarla, lei si diverte ed è felice. A sera, dopo cena, prima di portarla a letto, preghiamo insieme la Beata Vergine, che la possa aiutare, consolare e guarire. Lo desideriamo tanto. Qualche volta la vediamo piangere, agitarsi nel sonno per i dolori allucinanti che ha alle deboli e fragili gambe.
In attesa, vi ringraziamo; perdonateci il disturbo. Porgiamo con affetto i nostri saluti. Ciao!
Paolo e Ada Turchetto
 Jesolo (VE)

La vostra sofferenza è la nostra, come nostra è la vostra speranza. Vi abbiamo mandato tutte le immagini a nostra disposizione, ma vi assicuriamo soprattutto la nostra vicinanza nella preghiera, sicuri che anche i lettori faranno catena di preghiera e amore con voi per la vostra piccola.

Missionari
e soldi

Caro Direttore,
mi sono portato sulla spiaggia il numero di luglio-agosto della sua rivista e ho letto con attenzione la lettera del signor Di Cosimo e la risposta che lei ha dato. Entrambe mi sono piaciute. Queste sono le lettere che mi piacciono e le risposte che fanno pensare. Aggiungerei che siete sempre contro Israele, ma non conoscendo bene la materia mi astengo da giudizi. Quello che desidero dirle è che mi sento sempre meno unito alla chiesa cattolica. Il fatto è che non esce uno scandalo finanziario nel quale non sia coinvolto sempre un qualche monsignore. Ne ho l’anima piena!
E perché lo dico a lei, aggiungendole magari un peso sullo stomaco invece che una soddisfazione? Perché voi missionari siete l’ultima frontiera della stima che ho per la chiesa cattolica. Dopo, il nulla. è per questo che ho provato veramente un senso di schifo quando ho conosciuto la vicenda del costruttore Anemone e dei suoi soci in imbrogli, tra i quali un certo padre bancomat, in quanto teneva nella sua cassaforte quattro milioni di euro in contanti, non ho capito se per attuare corruzioni oppure per trafficare questi soldi in vista di utili. Cosa vengo a scoprire? Che appartiene ad un ordine missionario come il vostro. […] Io spero tanto che voi Missionari della Consolata siate diversi, ma perché non indicate come impiegate i soldi di cui alla pagina dove sono descritte le forme di aiuto che vi si possono dare (cf. pag. 67, ndr)? I lasciti, siano essi appartamenti, ville, castelli, sottoscala, come li utilizzate? Sarebbe bello poterlo sapere e sicuramente vi farebbe onore, poiché non vi reputo disonesti e perché, come le ho detto in apertura, voi Missionari siete l’ultima linea di trincea che mi tiene ancora legato a questa chiesa dalla quale un disamore costante e progressivo mi allontana.
Con affetto. Sentivo proprio il bisogno di sfogarmi!
Alfredo Nagorìa
Torino

Ho omesso un bel pezzo della sua lettera, ma l’idea è chiara. Chi le risponde ora non è lo stesso direttore di allora, ma siamo in continuità. Commento qui solo sul tema soldi. Dall’inizio della Chiesa i soldi sono stati un fattore di rischio e corruzione. Anania e Saffira negli Atti degli Apostoli, sono il primo esempio. I più grandi monasteri hanno cominciato il loro declino quando sono diventati troppo ricchi. L’Allamano, nostro fondatore, ha sempre insistito che i suoi missionari fossero «canali e non conche» per quanto riguarda i soldi. Ma quante tentazioni!
Penso alla sofferenza dei confratelli di padre bancomat, messi alla gogna con lui. Ho visto con i miei occhi le loro bellissime missioni in Tanzania, prova che i soldi dei benefattori arrivavano a destinazione e che forse padre bancomat si è fatto prendere la mano proprio per amore delle missioni. Ho conosciuto missionari che si sono lasciati ingannare e strumentalizzare da presunti benefattori nella speranza di avere le somme necessarie per un ospedale, una scuola, una chiesa. Ingannati e usati in buona fede! E di falsi benefattori è pieno il mondo missionario. Approfittano del bisogno, della reale povertà, delle difficoltà che i missionari affrontano per far quadrare i conti, e, a volte, anche della loro inesperienza. La speranza di avere grosse somme risolutive da grandi benefattori è come la tentazione di giocare al lotto. Se vincessi i milioni del superenalotto, avrei già in mente una lista infinita di emergenze da risolvere e di bene da fare. Ma, mi viene un dubbio: se poi la tentazione (del potere dei soldi!) fosse troppo grande? Forse è meglio continuare ad arrancare con i 2, 5, 10 o 50 euro che i benefattori normali mandano con fedeltà e amore pur nelle loro difficoltà.
Dare conto sulla rivista di come spendiamo i soldi che riceviamo. Fin dalla sua fondazione questa rivista portava la lista delle offerte ricevute. Poi, negli anni ‘90, si è dovuto rinunciare a quell’informazione per le troppe complicazioni che insorgevano. Quello che le posso dire è questo: tutte le offerte che riceviamo vengono versate integralmente al missionario indicato, senza neppure caricare le spese che i nostri uffici si sobbarcano come personale, rivista, spese postali e/o bancarie – è per questo motivo che abbiamo cominciato a suggerire 5 euro extra per la rivista e spese postali!
Lasciti o altre donazioni (il cui fine non viene specificato) servono per la vita stessa dell’istituto: formazione di nuovi missionari, cure dei malati, assistenza agli anziani (che sono sempre di più), gestione di tutte le attività necessarie ad un’istituzione complessa come la nostra. Il bilancio dell’istituto è strettamente monitorato e, adempiuti gli obblighi di legge civile e canonica, non si può capitalizzare. L’utile di ogni anno (magro in questi anni di crisi) viene ridistribuito alle varie regioni dell’istituto per progetti specifici: fame, sviluppo, ospedali, scuole, progetti di riconciliazione e pace, giovani, rifugiati, catechesi, chiese …
Le assicuro che se noi avessimo attività apostoliche in Italia invece che nelle aree più povere del mondo, non avremmo bisogno di chiedere continuamente soldi ai nostri benefattori e potremmo vivere del nostro ministero. È l’amore per la gente, per i poveri, i piccoli e gli emarginati di questo mondo che ci rende mendicanti. È vero che qui in Italia oggi ci troviamo a vivere in grandi strutture nate in altri tempi, che danno un’impressione di ricchezza. I rapidi cambiamenti di questi anni, la diminuzione delle vocazioni (in Europa) e l’invecchiamento del personale, hanno costretto anche gli istituti missionari a prendere decisioni, a volte confuse, contraddittorie e non oculate. E poi non è così facile disfarsi di edifici carichi di storia. Per avere la certezza che i soldi mandati in missione non sono finiti nelle sue tasche, basterebbe andare ad accogliere un missionario che rientra dalla missione dopo 20/30/50/ 60 anni di servizio e vedere cosa si porta a casa: non un container (come fanno gli impiegati delle ambasciate o delle grandi compagnie), ma una sola valigia (perché ormai non ha più la forza di portae due) con pochi indumenti e tanti ricordi. E spesso, dalle sue mani sono passati miliardi per i poveri del mondo.
Certo, ci sono casi di cattivo uso del denaro da parte di missionari. Il denaro può essere come una droga e ha il potere di corrompere. Ma un caso, dieci casi non dovrebbero scoraggiare e indurre a generalizzare. Molti dei nostri lettori hanno visto con i loro occhi cosa han fatto i missionari con i soldi ricevuti dai benefattori e questo dovrebbe bastare a togliere i dubbi o almeno a non accusare tutta la categoria quando succedono degli scandali. D’altra parte, va considerato che neppure i missionari si stancano di benefattori che mandano uno e poi spendono tre per andare a vedere se il loro uno è stato speso bene. E neppure cacciano fuori di casa chi va a trovarli e sta due mesi a sbafo, (trasporto e traduzioni comprese) sempre a causa di quell’uno donato una volta.

Sbilanciati?

Egregio Direttore, Caro Dio (esageròma nen),
noto che ogni tanto qualche lettore, come il sig. Di Cosimo, si lamenta del vostro «fare politica», ossia schierarvi a sinistra. Ciò non dovrebbe stupire, chi ha un po’ di memoria e nozioni storiche sa che il grande dono divino dei sacerdoti e missionari è condizionato dallo «zeigest», lo spirito del tempo; per cui, in epoca risorgimentale alcuni preti progressisti combatterono in armi a fianco dell’esercito piemontese contro l’impero austroungarico, sotto il fascismo altri religiosi rivoluzionari fecero in talare il saluto romano, altri ancora inquieti seminaristi, a Rivoli nel «formidabile ‘68», accolsero il card. Pellegrino in visita al grido di «Mao Tze Tung» per poi diventare preti operai.
è difficile riempire un mensile di cose interessanti e voi, pur non dicendo tutta la verità, ve la cavate egregiamente. Non ho mai letto però quanto sia pesato nel mancato o ritardato sviluppo democratico del II e III mondo l’influenza nefasta del comunismo sovietico, che durante la guerra fredda combatteva con ogni mezzo per esportare la rivoluzione violenta sovvenzionando e incitando le masse povere. Avete parole di condanna per Israele, ma non per Hamas, organizzazione terroristica, che nel suo statuto dichiara di volere la distruzione fisica dello stato ebraico. Non dite nulla sull’Egitto che anch’esso blocca il suo tratto di frontiera con la striscia di Gaza da cui potrebbero transitare gli aiuti per i palestinesi, giunti con le mani semipacifiche. Tenete una rubrica con un titolo da religione animista primordiale «nostra madre terra», ma la terra è stata creata da Dio per l’uomo non perché gli fosse madre (c’è già la Consolata), ma come un dono prezioso da sfruttare al meglio. Vi opponete al nucleare facendo leva sulla paura provocata dall’insicurezza, ma nessuna fonte energetica è sicura e non inquinante, si tratta di scegliere con la testa e non con i sentimenti. Infine permettetemi un piccolo aneddoto su s. Giovanni Bosco, coevo dell’Allamano, a chi gli chiedeva come mai non prendesse posizione in quei tempi pericolosi e mutevoli che visse, rispose che attuava la politica del Padre Nostro. Sante parole.
Vittorio Mortarotti
 Savigliano (CN)

Quando il mio predecessore scrisse che «Dio rimane il vero direttore editoriale» non voleva certo garantirsi il marchio dell’infallibilità o darsi un’autorevolezza indebita. Ricordava solo che questa rivista non è una rivista di politica né di economia né di sociologia, né di destra né di sinistra, ma una rivista diretta da missionari che cercano di avere l’amore di Dio al centro della loro vita, del loro interesse e del loro modo di vedere la storia. Non potremmo fare diversamente: Dio deve essere al centro. Ma proprio per questo vediamo la realtà da sbilanciati verso i poveri, i deboli, gli emarginati e gli oppressi, dovunque essi siano. E diventiamo allergici a ingiustizie e bugie.
A rischio di antisemitismo? è vero che come rivista, Angela Lano in testa, siamo sulla lista nera di siti sionisti, ma scrivere della situazione degli ordinari palestinesi discriminati e oppressi e resi prigionieri di una situazione che ha rafforzato gli estremisti di Hamas e si trascina ormai da troppi anni, non è esaltare Hamas. ed essere tristi ed anche delusi perché uno stato di diritto come Israele si comporta come si comporta lasciandosi ricattare dai suoi estremisti, non è essere antisionisti. Quando Israele è nato, ci aveva fatto sognare cose ben diverse da quelle che vediamo oggi. Ricorda il film Exodus? Ma tra quello e il muro che oggi taglia e divide la Terra Santa ci sono anni luce. Intanto la gente normale soffre e gli estremismi prosperano nell’impotenza (o calcolo?) internazionale.
Lei, signor Vittorio, menziona poi diversi altri sbilanciamenti di cui noi saremmo colpevoli. Circa il non aver mai parlato contro i danni del comunismo, il mio predecessore, p. Gabriele Soldati, con cui ho lavorato agli inizi degli anni ‘80, si rivolterebbe nella tomba, lui che era un anticomunista militante.
La rubrica «nostra madre terra». Legga questa citazione: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, | la quale ne sustenta et governa, | et produce diversi fructi con coloriti flori et herba». L’autore è al di sopra di ogni sospetto: san Francesco.
Esprimere dubbi sul nucleare è legittimo, e non sponsorizziamo acriticamente altre fonti alternative, soprattutto quando corrono il rischio di finire nelle mani di enti che hanno solo fine di lucro e sono fuori dal controllo della gente comune (come si vuol fare con l’acqua).

Come una
goccia

Egregio Direttore,
sono un vostro “vecchio” lettore. Mi permetto di scriverVi per dirVi che l’articolo “Come una goccia di rugiada” (del Settembre 2010) è stato bello, uno dei più emozionanti che mi possa ricordare. Le scuole italiane dovrebbero adottarlo… Ancora grazie per il vostro lavoro.
Alfio T.
Cervia (Ra)




Cari missionari

I conti della pace

Riflettendo sulla lettera «Armi e bandiere» (Missioni Consolata dicembre 2009), e senza entrare nel merito dell’opportunità o meno dell’acquisto degli F-35, ho pensato di mettere a disposizione la mia competenza professionale (faccio il contabile) per chiarire un po’ la questione dei posti di lavoro che verrebbero creati dall’assemblaggio a Cameri dei suddetti aerei: 300 posti a fronte di un investimento complessivo stimato in 15 miliardi di euro. Facendo la divisione risulta che ogni posto di lavoro verrebbe a costare allo Stato (cioè ai contribuenti) 50 milioni di euro. Ipotizzando che il lavoro per la produzione dei caccia si protragga per un ventennio, è possibile fare un confronto con il costo di un posto di lavoro «pacifico» per lo stesso periodo di tempo Dunque, calcolando (ad abundantiam) in 50 mila euro il costo del lavoro medio annuo (comprensivo di stipendio, imposte e contributi) di un operaio specializzato, o impiegato, o insegnante ecc., e moltiplican- dolo per venti, si ottiene un costo totale per vent’anni di 1 milione di euro, vale a dire un cinquantesimo del costo per ogni unità lavorativa nel programma F-35. Detto in altri termini, con quel che costa un posto di lavoro nello stabilimento di Cameri, si possono creare 50 posti di lavoro nelle industrie civili, nel commercio, nella sanità, nella scuola. In totale 15.000 posti di lavoro invece di 400. Riservati 300 di questi posti di lavoro “pacifici” ai mancati lavoratori di Cameri – al Sig. Pietro perché possa pagare le rate del mutuo, all’Ing. Giorgio appena divenuto papà, al Dott. Giuseppe perché possa mantenere la famiglia, ecc. – con i costi rimanenti si petrebbe permettere a 14.700 altre persone attualmente disoccupate di provvedere agli stessi bisogni.
Tengo a precisare, a scanso di equivoci, che l’abissale differenza nel costo dei posti di lavoro (50 a 1, come detto), non dipende assolutamente da un’altrettanto grande differenza nelle retribuzioni dei lavoratori. Il fatto è che nel programma F-35 l’incidenza del costo del lavoro è minima, il grosso dei costi essendo costituito dalle spese per lo sviluppo (o l’acquisto dagli Usa) delle sofisticatissime tecnologie del nuovo caccia.
Viceversa, il costo per creare un posto di lavoro nell’istruzione o nella sanità equivale in pratica alla sola retribuzione lorda del lavoratore in quanto non si tratterebbe di costruire nuove scuole ed ospedali (che pure costerebbero assai meno dei cacciabombardieri) ma solo di assegnare personale aggiuntivo alle strutture già esistenti, quasi tutte sofferenti per carenza di organico (si veda per la scuola la riforma Gelmini).
Se poi si volessero investire i 15 miliardi di euro nell’edilizia popolare, calcolando in 100 mila euro il costo di costruzione di un dignitoso appartamento, risulta che se ne potrebbero costruire ben 150 mila! A quante persone si darebbe lavoro costruendo 150 mila alloggi? E a quante si darebbe un tetto?

Giorgio Parodi
Asti

Anche la «ragioneria della pace» può essere utile a chiarire i vari aspetti di un problema complesso come quello degli armamenti. Ringraziamo il lettore che ha provato a dare fondamento economico a una discussione che si era finora mantenuta su un piano prettamente etico .

Grazie Antonella

Carissimi amici,
Gesù dice che non c’è amore più grande che dare la vita per coloro che si amano. Così vi racconto di una giovane madre, che ho aiutato a crescere da quando aveva otto anni.
Ho ricevuto tre messaggini dal Kenya. Il primo era del 2 dicembre scorso: «Ho bisogno di preghiere, sono malata. La settimana scorsa mi han detto che ho un cancro del sangue. Sono incinta di sette mesi. Per favore, domanda a Dio che mi dia ancora tre mesi». Il secondo, del 9 febbraio di quest’anno, era scritto dal marito: «Sembra che la fine sia vicina. Dio è stato buono. Abbiamo una bellissima figlia nell’incubatore. I dottori qui non possono fare di più». L’hanno chiamata Olivia. L’11 febbraio è arrivato il terzo: «Mi dispiace. Il Signore ha chiamato Seya questa mattina». In questi tre messaggini si sintetizza il grandissimo atto di amore di Antonella Seya, giovane mamma turkana che avrebbe compiuto 28 anni il prossimo settembre.
Antonella ha dato la sua vita per la figlia che portava in grembo. Non ha scelto l’aborto, che certamente le hanno proposto. Ha dato tutto. Un grandissimo dono, da chi non aveva altro che la sua vita da donare.
Antonella, piccola donna africana, la tua morte non ha fatto notizia, neanche nel tuo paese, il Kenya. Con l’appoggio di molti amici avevo investito tanto su di te, per aiutarti a diventare un’infermiera. Economicamente è stato un povero investimento davvero, visto che hai lavorato solo per pochi anni. Ma sono fiero di te, perché hai dato una grandissima prova d’amore. Sei stata l’investimento più bello che abbia mai fatto.
Approfitto di queste poche righe per ringraziare tutti coloro che han letto la storia pubblicata sulla rivista dello scorso dicembre, «Colei-che-ride non ride più», e hanno dato una mano. Il vostro aiuto è investito specialmente in educazione, perché con l’educazione si combatte la povertà e si rendono persone soggetto del proprio riscatto. Se poi, donando un po’ di affetto, si aiutano anche delle persone a fare delle scelte d’amore, allora l’investimento è davvero perfetto. Grazie di cuore. Se altri vogliono unirsi e dare una mano a far studiare tanti ragazzi e giovani, sono i benvenuti, perché questo servizio ha tempi lunghi e i bisogni sono tanti. Grazie, asante sana (kiswahili), ace olen (samburu).

p. Gigi Anataloni
Torino

I missionari alla Rai: spegnete il gossip,
riaccendete l’informazione

La Federazione Stampa Missionaria Italiana (Fesmi), che raduna una quarantina di testate per un totale di 500mila copie mensili, interviene contro l’intenzione della Rai di chiudere 5 sedi estere.

A meno di clamorosi ripensamenti, la Rai sta per chiudere cinque sedi di corrispondenza nel mondo: Beirut, Il Cairo, Nairobi, New Delhi e Buenos Aires. Cinque su quindici in totale. Stiamo parlando di entrambe le sedi africane, dell’unica in America Latina e di quella in un paese così importante, non solo politicamente ed economicamente, come l’India, oltre che di quella di un paese-simbolo come il Libano.
Se andasse in porto, sarebbe una decisione grave, contraddittoria e miope. In una parola: controproducente.
Come Federazione della Stampa Missionaria Italiana, la condanniamo con forza, auspicando che la dirigenza Rai torni sui suoi passi, anche alla luce delle proteste non solo nostre, ma di molte altre realtà della società civile che in queste ore si stanno levando.
L’ipotesi di chiudere un terzo delle sedi di corrispondenza nel mondo è grave, perché va a colpire il Sud del mondo, quella parte di pianeta già oggi marginale nel circuito informativo italiano. È grave perché ispirata a criteri economicisti che, come tali, dovrebbero essere estranei a un «servizio pubblico» che voglia qualificarsi davvero come tale. Se un problema di compatibilità economica esiste, non è spegnendo l’informazione sul mondo che si risolve ma, semmai, vigilando sugli esosi compensi alle «star» del piccolo schermo o sugli sprechi cui la Rai ci abituato da troppo tempo.
È una decisione contraddittoria, perché la sede di Nairobi è stata aperta – anche per effetto di un tenace «pressing» delle riviste missionarie – soltanto due anni fa.
Ancora: qual è il senso della chiusura di una sede come l’Egitto, cruciale per monitorare l’area mediterranea e, in parte, il mondo islamico? Che senso avrebbe abbandonare oggi l’India, da tutti indicata come uno dei paesi-chiave del presente e del futuro? Appare chiaro che siamo di fronte a una scelta – se attuata – per nulla lungimirante e, alla distanza, destinata a ricadute negative. Controproducente, appunto. Il contrario di quell’efficienza che tanto viene sbandierata.
Contro la deriva di un’informazione Tv sempre più avvitata su stessa, ci eravamo pronunciati nel febbraio 2006 con l’appello «Notizie, non gossip», pubblicato da tutte le riviste della Fesmi: chiedevamo alla Rai una risposta alla scarsità di notizie da intere aree del mondo. Nel maggio 2007, dopo l’apertura della sede di Nairobi, avevamo salutato con favore l’evento: «Se la Rai ha aperto una sede in Africa, molto lo si deve alla mobilitazione del mondo missionario», aveva detto in quell’occasione Enzo Nucci, corrispondente Rai da Nairobi. Speravamo fosse l’inizio di un impegno serio. Per dar voce a popoli, culture, paesi senza voce. Purtroppo – duole constatarlo – non è andata così.
Con tutta evidenza, il problema dei tagli delle sedi estere è solo la punta di un iceberg: la questione riguarda la sensibilità complessiva per i fatti del mondo, le vicende dei continenti solo apparentemente «lontani». Non vorremmo che la scelta di dismettere le sedi straniere confermasse una volontà di ritirarsi nel guscio di un’informazione che per baricentro abbia l’Italia o l’Europa.
Un servizio pubblico che voglia dirsi realmente tale dovrebbe puntare a rendere i suoi telespettatori autentici «cittadini del mondo». Non è certo questa la strada. Chiediamo ai vertici di Viale Mazzini un tempestivo e radicale ripensamento.

FESMI (Federazione Stampa
Missionaria Italiana)




Cari missionari

Nel numero di  dicembre 2009, «Missioni Consolata» ha pubblicato il dossier-reportage «Il grande sogno – viaggio tra i rifugiati», di Gabriella Mancini. Accogliamo due commenti, tra cui quello dell’Assessore alle politiche sociali del Comune di Torino, che speriamo possano aiutare ad allargare il dibattito su un tema tanto importante e scottante come quello dell’accoglienza.

… e le istituzioni?

Ho letto con vivo interesse il vostro approfondito reportage sulla condizione dei rifugiati nella nostra città. Non ho mai trovato sui media, riguardo a questo tema, un’informazione completa come quella contenuta in questo dossier.
In questi anni ho seguito con apprensione la vicenda narrata nel dossier e ho anche personalmente, per quanto possibile, contribuito portando a questi rifugiati dei generi di prima necessità. Di tutta questa storia mi hanno sempre colpito molto i toni di impossibilità assunti dalle istituzioni, sin dall’inizio. Apprendo a mezzo stampa in questi giorni che invece il governo, dopo che il comune aveva già magicamente trovato in fretta e furia fondi per allestire la caserma di via Asti, avrebbe stanziato 2 milioni di euro l’anno per tre anni consecutivi da spendere in via esclusiva per trovare una soluzione al «problema» rifugiati nel comune di Torino.
Una domanda sorge allora spontanea: sarebbero poi veramente comparsi questi fondi senza il «rumore» creato dai rifugiati?”

Paolo Macina
Torino

La Città  è presente

Gentile Direttore,
ho letto con attenzione il dossier-inchiesta «Il grande sogno – viaggio tra i rifugiati» pubblicato sul vostro mensile nel numero di dicembre scorso.
Devo premettere che ogni articolo descrive con fedeltà la drammatica vicenda che viene vissuta da coloro che intraprendono il viaggio del «Grande Sogno» e che tutte le preoccupazioni espresse dall’autrice sono condivisibili.
Ciò che invece mi ha indotto a scriverle è la parziale ottica con cui si descrive il sistema di accoglienza della Città di Torino. O meglio, della «non accoglienza», così come definita da Gabriella Mancini, lasciando credere ai lettori che il tema sia di esclusiva competenza e responsabilità degli enti locali e non una competenza governativa: anche se penso che sui permessi di protezione umanitaria che avrà esaminato, non avrà sicuramente trovato il simbolo della Città bensì della Repubblica Italiana.
Torino, in tutta la Regione Piemonte, è l’unico capoluogo che gestisca 50 posti di accoglienza della rete del «Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati» (Sprar) finanziata dal ministero dell’Inteo. È in solitaria compagnia di altre 3 città: Ivrea (TO), Chiesanuova (TO), Alice Bel Colle (AL). Forse già questo primo indizio serve a spiegare come mai sia di riferimento a molti «flussi».
Non contenti di ciò, abbiamo negli ultimi anni potenziato i posti di accoglienza per dare delle risposte (seppur, a volte, parziali) a coloro che si rivolgevano al nostro Ufficio Stranieri: oggi la Città garantisce oltre 530 posti di accoglienza quotidiana (vitto, alloggio, formazione). Nel 2008 sono stati 1.047 gli stranieri che hanno beneficiato delle nostre strutture per un periodo mediamente di 6 mesi (gestite direttamente o indirettamente dalla Città, oltre alla rete del volontariato e del privato sociale con contributo economico comunale); sono più di 300 i minori stranieri non accompagnati per i quali l’assessore pro tempore ai servizi sociali della Città di Torino è «tutore»!
Forse sarà poco; sicuramente non sufficiente se paragonato ai 30 mila sbarchi sulle coste italiane ogni anno; ma penso sia abbastanza per contendere la palma ai «giovani dei centri sociali, tra i più attivi nell’aiutare i rifugiati» così come definiti in un articolo del dossier; o per dimostrare che il Comune non è «il grande assente» così come definito dalla sig.ra Molfetta in un altro passo del documento.
Alcuni esempi? Ve li elenco per brevità.
• Progetto Hopeland. Si tratta del progetto che fa parte dello Sprar a cui la Città aderisce da quando, ancora nel 1999, si chiamava Progetto Nazionale Asilo (Pna)) e che oggi garantisce un sistema di accoglienza personalizzato di 50 posti (35 maschili e 15 femminili).
• Progetto Masnà. Realizzato sempre nell’ambito dello Sprar, ma rivolto ai minori stranieri richiedenti asilo e rifugiati (20 posti)
• Progetto Isa (Inclusione socio abitativa): interventi per favorire l’esercizio di un diritto di cittadinanza, ridurre il fenomeno della marginalità abitativa e fornire uno specifico supporto abitativo in caso di urgenza a persone in temporanea situazione di rischio. Finanziato dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali con fondi stanziati nel 2007.
• Progetto «Rifugio Diffuso». L’intervento prevede l’individuazione di 20 beneficiari tra richiedenti asilo, rifugiati (con protezione sussidiaria e per motivi umanitari), presenti sul territorio cittadino e presi in carica dall’Ufficio Stranieri, da inserire in accoglienza familiare, attraverso la collaborazione di associazioni, organizzazioni di volontariato e volontari singoli, in percorsi di inserimento sociale mediante la realizzazione di programmi individualizzati.
• Progetto «Action Work». Realizza percorsi di accompagnamento all’autonomia ed all’integrazione sociale mediante azioni di ricerca attiva del lavoro e inserimento lavorativo che avvengono soprattutto attraverso la realizzazione di tirocini formativi, orientativi, socializzanti. La metodologia impostata prevede la sperimentazione di azioni e strumenti finalizzati all’integrazione socio-lavorativa dei cittadini stranieri disoccupati impegnati in percorsi di inserimento sociale, in collaborazione con altri enti, cornoperative ed associazioni del territorio.
• Azioni straordinarie per intervenire sulle situazioni di occupazione abusiva dello stabile di corso Peschiera «ex clinica San Paolo». Progetto di accoglienza temporanea d’intesa con la Prefettura di Torino presso la ex caserma «La Marmora».
C’è poi un sottile filo che separa due interpretazioni del concetto di accoglienza. Accogliere, secondo i ragazzi dei centri sociali, significa «assistenzializzare». L’occupazione ricorrente di stabili per l’ospitalità dei profughi, parte da rivendicazioni condivisibili di diritti (lavoro, casa, residenza) per arrivare poi al passaggio di responsabilità: «Caro comune, in questo stabile che abbiamo occupato ci sono 200 persone: devi occupartene».
Accogliere, secondo il lavoro fatto in questi anni dall’amministrazione comunale, si traduce in «accompagnamento sociale» verso l’autonomia delle persone. Per questo motivo è stato fondamentale il lavoro di concertazione con altri enti, associazioni, organizzazioni. In particolare l’Ufficio Stranieri della  Città di Torino ha promosso la realizzazione del «Tavolo Rifugio» che rappresenta un momento di confronto e condivisione con gli Enti e le Associazioni che liberamente aderiscono. Il Tavolo attualmente coinvolge, oltre all’Ufficio Stranieri, i diversi collaboratori dei progetti (Coop. Soc. Progetto Tenda, Coop. Soc. Il Riparo, Sermig – Centro come Noi, Asgi, Ass. Frantz Fanon, il Cfpp Casa di Carità), i soggetti istituzionali (Questura, Prefettura) e le organizzazioni del volontariato (Ufficio Pastorale Migranti della Caritas, Chiesa Valdese, Ass. La Tenda, Gruppo Abele, Arci, Croce Rossa Italiana, Asai, Ass. Mosaico – Azioni per i Rifugiati, Ass. Somali a Torino, Alma Terra). Si tratta di un luogo multifunzionale che permette l’elaborazione di esperienze di gestione, la verifica dell’andamento dei casi e dei progetti in fieri e la formazione sulle nuove problematiche. Tale luogo viene organizzato come un laboratorio per la progetta- zione di iniziative in favore dei richiedenti asilo e rifugiati, il più possibile vicine alle reali problematiche e alle reali risorse delle persone.
Spero di essere riuscito ad aggiungere un altro pezzo di informazione che mi sembrava totalmente mancante. Così come penso che le migliori politiche per l’integrazione non si realizzino «concentrando» in un’unica realtà le aspettative e le tensioni, ma che sia più facile trovare soluzioni di inserimenti sociali se si lavora su una superficie territoriale ampia. Per questo motivo credo nella programmazione territoriale di Province e Regione che dovrebbe portare alla più capillare distribuzione del fenomeno di accoglienza dei profughi, per offrire maggiori opportunità di autonomia a cui le persone legittimamente aspirano.

Marco Borgione
Assessore alla Famiglia, Salute e Politiche Sociali
Comune di Torino

Caro Assessore, innanzitutto la ringraziamo per l’attenzione e per aver considerato il nostro dossier  un lavoro approfondito. Prendiamo atto dei progetti da lei elencati e che, in sole 20 pagine, non era possibile inserirli tutti. Solo una precisazione: non abbiamo voluto oscurare la presenza del Comune che rientra in più punti nel dossier, dall’intervista all’Ufficio Stranieri del Comune al lungo intervento sul Tavolo di co-progettazione, ma far presente una falla strutturale nel sistema di accoglienza e, in particolare, in quello specifico contesto. Per il resto, ci auguriamo sinceramente  che la sinergia di più intenti, il dialogo e la motivazione nel risolvere i problemi possa condurre a soluzioni strutturali e non transitorie.
Buon lavoro!

Ugo Pozzoli
Gabriella Mancini




Cari missionari

Scrittori
Cari missionari,
ho letto con stupore sul numero di aprile di MC la nota a pié di pagina dell’articolo di Paolo Farinella «Il racconto delle nozze di Cana» (pag. 27). Resto sbalordito a leggere che praticamente l’autore della nota dice chiaro e tondo che non terrà conto di quanto scrive il papa nel suo libro «Gesù di Nazaret». Non sapevo che Benedetto XVI fosse una persona di cui si può tenere poco conto quando scrive; non sarà un esegeta ma è il successore di Pietro come vescovo di Roma, e questo senz’altro conta moltissimo per tutti noi cristiani. O no? (…)
Non entro nel merito delle tesi di Bultmann o di Martin Hengel che non conosco (anzi il nome di quest’ultimo, lo ammetto, mi è del tutto nuovo!), ma penso, conoscendo come tutti il successore di Giovanni Paolo II ormai da quattro anni, che sia un uomo di grande cultura filosofica, oltre a essere stato un noto teologo, apprezzato fin dai tempi del Concilio.
Che importanza ha stabilire se «Gesù di Nazaret» è stato scritto dal teologo tedesco o dal vescovo di Roma? Forse che il cardinale Ratzinger non è stato eletto papa proprio perché ben conosciuto per la sua attività per 25 anni alla Congregazione della Dottrina della fede, a fianco di papa Wojtila, e per la sua preparazione appunto filosofica e teologica? Si rende conto Paolo Farinella che, al di là di tutto, dire che il papa sostiene tesi ormai superate, come minimo lascia nello stupore e rischia di dividere il mondo cattolico, considerato che ben pochi tra i fedeli sono in grado di conoscere quanto sostengono gli studiosi sull’origine del quarto vangelo e l’identità dell’autore?
E, visto che gli studiosi sarebbero unanimi sull’esistenza di due diversi Giovanni, un apostolo e un evangelista, non sarebbe il caso di dirci chi sono questi illustri studiosi? Avrei piacere di conoscere le loro affermazioni; non si può dire praticamente che Ratzinger è un ignorante, senza fornire le prove del perché dovrebbe stare zitto, non essendo un esegeta di professione (ma solo un modesto papa!), e farci capire dove avrebbero ragione gli studiosi, considerato a detta di Farinella, che il vescovo di Roma è l’autore di un libro di «meditazione spirituale edificante» e che nel suo libro ci sarebbero «inesattezze e anche errori».
È possibile conoscere queste inesattezze e questi errori o deve conoscerli solo Paolo Farinella? Noi fedeli chi siamo, ancora una volta solo il popolo bue che è meglio che non legga direttamente la bibbia, come si diceva fino a 50 anni fa, per poi farcela spiegare dagli altri che hanno capito tutto?
Franco E. Malaspina
 Milano
Ce la aspettavamo una simile reazione e non è l’unica. Inviando l’articolo in questione, don Farinella scriveva: «… Verrà un giorno in cui la rivista MC verrà citata per questo articolo che per la prima volta e in maniera scientifica e serena pone l’enorme problema teologico degli scritti dei papi. Quello che dico qui, l’ho detto alla Università Lateranense lo scorso anno (e dove ritorno invitato anche quest’anno) e sono le cose che tutti dicono, ma nessuno ha il coraggio di dirlo per timori inconsistenti o per piaggeria».
La domanda del sig. Malaspina se l’è posta anche il cardinal Martini nella sua recensione: «È il libro di un professore tedesco e cristiano convinto, oppure il libro di un papa, con il conseguente rilievo del suo magistero?». La risposta viene dal papa stesso: «Questo libro non è in alcun modo un atto magisteriale, ma unicamente espressione della mia ricerca personale del “volto del Signore”. Perciò, ciascuno è libero di contraddirmi».
È ancora il card. Martini a dire che «l’autore non è esegeta, ma teologo… non ha fatto studi di prima mano per esempio sul testo critico del Nuovo Testamento», per cui il libro del papa è «una meditazione sulla figura storica di Gesù e sulle conseguenze del suo avvento per il tempo presente… una grande e ardente testimonianza su Gesù di Nazaret» e in quanto testimonianza fa certamente del bene a chi lo legge. Ma per quanto riguarda la questione giovannea e l’autore del quarto vangelo, il card. Martini afferma: «Penso che non tutti si riconosceranno nella descrizione» fatta dal papa.
Il precedente Codice di diritto canonico (1917), prevedeva espressamente il divieto ai papi di scrivere libri, perché essi parlano solo per «magistero». Nel nuovo codice la norma è scomparsa.

Follereau e Damiano
Caro Direttore,
le invio alcuni documenti sul rapporto tra Raoul Follereau e padre Damiano. Come lei sa, il prossimo 11 ottobre il santo padre canonizzerà padre Damiano de Veuster.
Follereau si adoperò moltissimo per favorire il processo di beatificazione di padre Damiano. Egli creò infatti il «Movimento internazionale per la glorificazione di padre Damiano», che raccolse firme di malati di lebbra da tutto il mondo, in un periodo dove non esisteva ancora internet, ma solo la posta normale.
Lunedì 17 aprile 1967, come riporta l’Osservatore Romano, Raoul Follereau, meglio conosciuto come il «Vagabondo della carità», varca il Portone di bronzo in Vaticano. Si reca all’udienza privata che sua santità Paolo VI gli ha accordato. Insieme a lui, gli altri membri del Movimento internazionale per la glorificazione di padre Damiano.
Stringendo le mani dei rappresentanti della delegazione internazionale, il santo padre saluta i firmatari di una petizione che unisce cristiani e non cristiani in una ammirazione unanime per l’apostolo dei lebbrosi. Da 52 paesi del mondo, 32.864 malati di lebbra di ogni confessione e 302 vescovi cattolici testimoniano così la loro riconoscenza e il loro rispetto per padre Damiano e chiedono la sua Glorificazione. Portavoce del gruppo, Raoul Follereau dice al santo padre: «Ciò di cui il mondo ha bisogno è un diluvio di carità, e io vorrei che la festa di padre Damiano venisse un giorno a illuminare la Giornata dei lebbrosi nel calendario della chiesa universale per insegnare agli uomini ad amarsi ancora di più. Poiché l’arma per vincere questa guerra contro la fame, la miseria, le malattie, l’ignoranza, è proprio quella di padre Damiano: è la carità!». Dieci anni più tardi, il 7 luglio 1977, Paolo VI promulga il decreto che riconosce le virtù eroiche del servitore di Dio, padre Damiano de Veuster. Il 4 giugno 1995 padre Damiano viene beatificato da Giovanni Paolo II a Bruxelles.
Spero che Missioni Consolata possa ricordare padre Damiano, ma anche questa straordinaria iniziativa di Raoul Follereau, che nella sua vita si adoperò tanto per gli altri, con le sue iniziative, conferenze in Europa e oltre-oceano fece conoscere al mondo la santità di padre Damiano, come pure quella di Charles de Foucauld.
Con i più sinceri saluti.
Paola Pagani
Fondation Follereau, Italia

Dossier Uruguay:
una lettera dell’ambasciatore

Egregio Direttore,
con grande gioia ho letto su «Missioni Consolata» (maggio 2009) il dossier dedicato all’Uruguay. È raro trovare informazioni su questo paese «invisibile» che, nonostante sia poco conosciuto, ha una storia tanto ricca quanto originale. Senza contare che l’Uruguay è una nazione che può vantare forti vincoli che la legano all’Italia. Mi congratulo quindi con gli autori, Mario Bandera e Paolo Moiola, che hanno saputo fare informazione  offrendo una lettura piacevole e interessante.
Nel momento stesso in cui però mi rallegro con essi, sento il dovere di fornire alcuni chiarimenti.
Il primo di essi riguarda l’informazione che si trova a pag. 40 della vostra rivista secondo la quale l’«Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico» (Ocse) ha dichiarato l’Uruguay un paradiso fiscale.  Il giorno stesso in cui è stata rilasciata tale dichiarazione, il ministero dell’Economia uruguaiano ha inviato una nota in cui si dichiarava l’erroneità di tale dichiarazione; la Ocse ha pertanto immediatamente provveduto al ritiro dell’erronea qualifica attribuita al mio paese, come evidenziato dalla nota inviata dal segretario della Ocse al ministero dell’Economia, nota di cui per altro sono in possesso. L’attuale governo uruguaiano ha condotto un esemplare risanamento del settore finanziario e, come ne danno testimonianza tutti gli organismi inteazionali, è riuscito a consolidare e rafforzare la sua economia, senza penalizzare le politiche sociali che per la prima volta sono state lanciate in Uruguay.
La seconda precisazione si riferisce al veto espresso dal presidente della Repubblica alla legge sull’aborto. L’articolo in questione, a pag. 26, afferma che tale legge avrebbe avuto un effetto «devastante» nell’aver guastato i rapporti del presidente Vazquez con la sua «coalizione politica». Occorre precisare che sin dall’anno 1999 e quindi prima di diventare presidente,  il dr. Tabarez Vazquez aveva più volte annunciato la sua intenzione di porre il veto a un progetto con tali caratteristiche se mai fosse stato approvato. Il suo comportamento non ha rappresentato una sorpresa neppure per chi lo aveva votato. Dopo il veto è stata consultata l’opinione pubblica, constatando che l’appoggio al presidente non solo non era diminuito, ma addirittura aumentato. Oggi, il dottor Vazquez dispone di una maggioranza del 70%, appoggio che nessun presidente ha mai avuto al termine del suo mandato. Né lo possono vantare oggi i nuovi candidati del Frente Amplio, coalizione politica di cui Vazquez continua ad essere il principale riferimento politico.
D’altra parte occorre precisare che il veto è stato posto ad una legge che obbligava a praticare l’aborto anche alle istituzioni cattoliche. A sua volta, per abortire non si esigeva alcuna prova medica circa l’età dell’embrione o del feto. A questi aspetti si aggiungeva tutta una serie di considerazioni filosofiche e altri errori giuridici, che la rendevano un autentico sproposito. Non solo l’aborto veniva ampiamente depenalizzato, ma si consacrava il diritto ad abortire in un contesto giuridico sommamente confuso.
Per il resto, sempre in riferimento all’aborto in Uruguay, occorre chiarire che, secondo la legge attualmente vigente nel paese, l’aborto – in determinate circostanze – risulta essere esente da pena, come nel caso del cosiddetto aborto «terapeutico» – che si esegue per «ragioni di onore» o, anche, quando la madre si trova in condizioni di particolare ristrettezza economica – sempre che, naturalmente risponda ai vari requisiti giudiziari. Sicuramente le fonti a cui si ha avuto accesso non sono state capaci di fornire un’informazione corretta, cosa che crea contrasto con l’altrimenti buona qualità del contenuto del dossier.
Infine, per evitare qualsiasi fraintendimento, desidero chiarire che il sottoscritto non tanto per esser importante, quando per essere ormai vecchio, è stato uno dei fondatori del Fronte ampio, storico con vari libri pubblicati, docente universitario (per trent’anni ho persino insegnato nella facoltà di teologia) e allo stesso tempo amico e ammiratore dei religiosi che tanto lavorano nel paese, in modo particolare con i più poveri ed emarginati.
Vi ringrazio fin d’ora se vorrete pubblicare queste poche righe di chiarimento. Vi saluto cordialmente in Cristo Gesù, con tanti auguri di pace e bene.

Mario Cayota
Ambasciatore dell’Uruguay
presso la Santa sede




Cari missionari

Politicamente
(s)corretto

Cari missionari,
anche se nel complesso ho apprezzato la pagina dedicata al Forum di Belem (M.C. n. 3/09 p. 66), le dichiarazioni della teologa Mary Hunt hanno suscitato in me molte perplessità. Bisogna stare molto attenti a non generalizzare quando si parla di «giustizia per le persone omosessuali»: le frasi pronunciate dalla Hunt, così come sono state riportate nella rubrica «Battitore Libero», somigliano molto agli slogan cari ai leader dei movimenti per i diritti degli omosessuali presenti anche in Italia, a cominciare da quelli che organizzano le giornate del cosiddetto orgoglio omosessuale, più note come gay pride.
Per me si tratta di posizioni che non solo non si conciliano assolutamente con la morale cristiana, ma i toni e modi usati per esprimerle sono di grave ostacolo a un dialogo degno di questo nome.
In un dialogo infatti ci si aspetta che gli interlocutori possano anche rivedere le posizioni di partenza, se non addirittura cambiare idea, mentre i leader dei gay pride la parola cambiamento la interpretano a senso unico, ossia non ammettono che un omosessuale smetta di riconoscersi e di comportarsi come tale e magari opti per l’eterosessualità.
Di ciò si è avuta un’inquietante conferma nello scorso mese di febbraio quando, al Festival di Sanremo, il noto cantante Povia – già vincitore del Festival – ha presentato la canzone «Luca era gay». L’imperfetto indicativo «era», contrapposto al presente indicativo «sta» nel ritornello «Luca era gay, adesso sta con lei», è stato subito liquidato dalla gran maggioranza degli opinionisti (e anchor man o maitre a penser, ognuno scelga l’espressione e lingua che più gli aggrada…) come non politicamente corretto, il presidene di Arcigay Aurelio Mancuso ha addirittura dichiarato che quelle di Povia sono «vaneggianti teorie, per cui si diventa gay a causa di genitori iperprotettivi o assenti, o perché si incontrano anziani pedofili; stupidità e luoghi comuni sostenuti da cantanti stile Povia e da integralisti cattolici…».
È evidente che chi usa epiteti come «stupido», «integralista», «clerico-fascista», «clerical-reazionario», «antiscientifico» (in realtà la situazione descritta nella canzone di Povia trova pieno riscontro nella letteratura medica, oltre che nelle teorie e nelle esperienze sul campo di celebrati psicologi, psicanalisti e psicoterapeuti…) non ha intenzione né di dialogare, né di creare un clima favorevole al superamento di certe forme di discriminazione le quali, a volte, sono patite da gay o presunti tali rispetto agli eterosessuali o ad altri gay diciamo… «eccellenti», big della politica, vip della finanza, star dello spettacolo, dello sport, ecc…), a volte, viceversa, sono patite proprio dai coniugati con figli rispetto ai gay, alle coppie gay e ai cosiddetti «conviventi»…
La Hunt, Mancuso, Grillini & C. hanno mai sentito parlare di magistrati e corti giudicanti che obbligano lo stato a indennizzare con centomila euro il gay che si è visto ritirare la patente da poliziotti «omofobi», mentre la mamma filippina del ragazzino di seconda media maltrattato, deriso, oltraggiato, bollato come «gay» e alla fine indotto al suicidio dai bulletti della sua scuola, non becca un centesimo di risarcimento perché «il fatto non costituisce reato»? Hanno mai sentito parlare di pedofili rilasciati dai giudici proprio perché i loro avvocati difensori sono riusciti a convincerli che quelli che, data la tenera età dei partner, sembravano atti di pedofilia, erano in realtà «normali rapporti omosessuali»? Hanno mai sentito parlare del forte legame che anche il mondo degli omosessuali ha col business del turismo sessuale?
Hanno mai sentito parlare di pederasti (sì, uso il vocabolo «pederasta» perché questo era il vero nome dei pedofili e dell’omosessuale orgoglioso e impenitente…) assassini che, dopo aver abusato, straziato, ucciso e riottenuto la libertà grazie ai soliti giudici politicamente corretti, abusano, straziano e uccidono ancora?
O, meno cruentemente, hanno mai sentito parlare di crediti agevolati da parte delle grandi banche in favore dei gay e di esenzioni dalle tasse sulla casa per chi esprime l’intenzione di metter in piedi una relazione omosessuale stabile?
Grazie per l’attenzione e che il Signore possa risanarci e rigenerarci.
Giovanni De Tigris
Urbino

Purtroppo viviamo in un mondo in cui per affermare i propri diritti si calpestano quelli degli altri. Abbiamo tutti bisogno di risanarci e rigenerarci per rispettare la dignità umana, di ogni persona, senza pregiudizi e senza estremismi, in dialogo per imparare ad accettarci così come siamo, come lo stesso Creatore ci accetta e ci ama.




Cari missionari

Ricordando
padre Bertaina

Carissimi missionari,
voglio esprimervi il mio cordoglio per la scomparsa del vostro confratello padre Giuseppe Bertaina, barbaramente trucidato a Nairobi lo scorso gennaio. Sono sicuro che il Signore lo ricompenserà per tutto il bene che ha fatto nei 30 anni trascorsi in Kenya; nello stesso tempo sono sbigottito al pensiero che in questo paese esistano persone che, anziché provare dei sentimenti di riconoscenza verso chi li ha tanto beneficiati, non trovino di meglio che organizzare simili nefandezze.
Quindi se da una parte spero che il nostro Signore Gesù Cristo tocchi il cuore di questi assassini e li porti sulla strada del ravvedimento, della conversione e della riparazione, per quanto è possibile del male fatto, dall’altra spero che le autorità kenyane vadano fino in fondo nelle indagini e dopo aver fatto piena luce sull’accaduto, infliggano ai colpevoli la giusta punizione. Cordialmente.
Francesco Rondina
Fano (PU)

Uno stato d’animo…
e conversione

Spettabile Direzione,
ho avuto modo di leggere, come faccio spesso, alcuni articoli del numero di aprile e mi sono convinto a scrivere questo messaggio. La ragione: cercare di mantenere un equilibrio nel mio modo di intendere la religione e le missioni.
Come si fa a essere missionario cattolico, critico verso i colonizzatori e poi avallare, per il Mozambico, praticamente quello che hanno fatto gli inglesi colonizzando l’Australia con deportati e prostitute, ovviamente contro la loro volontà (ma i casi della storia anche recente sono purtroppo numerosi), riconoscendo poi che è stato un errore perché, tra l’altro, si è «deportato» propri concittadini senza di che coprirsi o ripararsi e nutrirsi almeno nei primi tempi? Vedi «Pace sì, ma a modo nostro» (M.C. 4/2009, p. 22).
Perché sbilanciarsi tanto nel sottolineare l’ incontro di Belém, opponendolo a quello di Davos (sicuramente non frequentato da aspiranti santi), sottolineando la presenza di 4 capi di stato di cui 3 «populisti», che a quanto sembra non sono poi così diversi da altri capi di stato che operano anche pro domo loro e dei loro partiti. Non è il caso di comprendere le ragioni delle due organizzazioni o del potere che hanno preso i vari personaggi e di chiarire i pregi e i difetti delle loro decisioni, di non buttare nell’ immondizia tutto (vedi articolo «Pace sì»), quanto fatto da Ong, Bm ecc… non siamo tutti degni di conversione?
E poi la politica per un cattolico è il mezzo per cambiare il mondo o il mezzo è prioritariamente la testimonianza e l’azione positiva verso chi ne ha bisogno, sia povero che ricco.
Spero di aver ben rappresentato con poche parole il mio stato d’animo. Grazie per l’attenzione.
Pierangelo Giubasso
Via e-mail

Capiamo il suo stato d’animo, ma non ne afferriamo le ragioni. Nell’articolo citato, padre Couto dice semplicemente che il suo paese, il Mozambico, avrà stabilità e pace solo quando camminerà con le proprie gambe. Sul Forum sociale di Belém (ignorato dai media nostrani) non c’è alcun sbilanciamento: siamo anche noi convinti che «un mondo nuovo» (diverso da quello sostenuto a Davos) «è possibile e necessario». E per realizzarlo (siamo d’accordo con lei, signor Pierangelo), abbiamo tutti bisogno di conversione.

Buonismo
o cattivismo

Spettabile Redazione,
l’articolo di Ugo Pozzoli sul numero di marzo 2009 della vostra rivista M.C. è un preoccupante e chiaro messaggio della malafede buonista e della resa antipatriottica alle sciagure di una immigrazione voluta senza le necessarie regole. Se il termine cattivismo usato da Maroni può ritenersi infelice, non per questo deve essere pretesto per argomentazioni inaccettabili. Le opere di misericordia sono dei principi a cui tendere, ma chi governa deve essere efficiente e adeguato. Le lagne sempre a favore degli stranieri sono vomitevoli e non se ne può più.
Tra le affermazioni dell’articolo si enfatizzano le «risorse» che però pesano notevolmente sui bilanci di assistenza pubblici e volontaristico. Si afferma con palese malafede che la criminalità degli stranieri è pari a quella degli italiani, menzogna! Gli stranieri se sono il 10% della popolazione e producono il 40% della criminalità vuol dire che delinquono 6 volte più degli italiani che sono il 90% della popolazione.
Affermare che leggi diverse ecc. ecc. e rassegnarsi a un fenomeno «che nessuno può arrestare», come voi scrivete, è una vigliaccheria, per fortuna rara, che non ispira chi da italiano si batte per far funzionare al meglio per «tutti» (stranieri compresi) la nostra società.
Sono un vostro lettore da 50 anni, ma ultimamente non mi trovo d’accordo con i vostri orientamenti sociopolitici. Buon lavoro e cordiali saluti. Conto nella pubblicazione.
Giulio geom. Zinni
Bergamo

Prima di tutto ci congratuliamo, signor Zinni, per essere da 50 anni fedele lettore di Missioni Consolata. E speriamo che continui, nonostante la nostra «malafede bonista e antipatriottica». Nell’editoriale citato, come in tutti gli articoli pubblicati sulla nostra rivista, cerchiamo di leggere (e aiutare a leggere) la realtà alla luce del vangelo, schierandoci dalla parte dei poveri e degli oppressi, sull’esempio di Cristo Gesù e non di miopi ideologie politiche.
In fatto di «patriottismo», come cristiani, e ancora più come missionari, riteniamo che «ogni terra è nostra patria e ogni patria è terra straniera» (Lettera a Diogneto 5).
Circa la «malafede» sulla criminalità degli stranieri, la invitiamo a rileggere l’articolo citato: si dice chiaro che agli «immigrati clandestini sono attribuiti i 4/5 (quattro quinti) dei crimini commessi da stranieri presenti sul nostro territorio, mentre c’è quasi parità tra italiani e «stranieri che hanno regolato la loro posizione».

DESTRA E SINISTRA …PIANTATELA!

C ari missionari, la questione delle impronte digitali da prendere ai piccoli rom (cfr. M.C. 2/2009 p. 6) come quella dell’obbligo di denuncia dei clandestini da parte dei medici curanti, come quella dell’indulto, come quella delle «ronde», sta creando all’interno del mondo cattolico l’ennesima spaccatura e questo è un male perché, anche di fronte a questo tipo di problemi, i cattolici dovrebbero compattarsi non dividersi.
Non ce la sentiamo di sposare le tesi della dottoressa Benedetta Rossi di Bologna? D’accordo, ma qualche grossa responsabilità la cultura di «sinistra», della «tolleranza» o «progressista» ce l’ha, e io sono convinto che riconoscere questo sia nell’interesse della stessa sinistra.
A tutte le persone che hanno tuonato e continuano a tuonare contro le decisioni del governo Berlusconi in materia di immigrazione, sicurezza, lotta alla clandestinità e soprattutto lotta alle scarcerazioni facili, vorrei domandare: siete sicuri che sia di sinistra difendere a oltranza i giudici, anche quelli che sono manifestamente compiacenti verso mafia, camorra e n’drangheta, anche quelli che impiegano otto anni a scrivere una sentenza, anche quelli che concedono arresti domiciliari, libertà vigilata, affidamento ai servizi sociali agli stupratori, ai lanciatori di massi dai cavalcavia, ai serial killer, a chi brucia i clochard per «battere la noia», a chi si mette alla guida dopo aver tracannato alcol e droghe a più non posso, a chi non esita a fracassare le ossa alla vecchietta di novant’anni per mettere le mani su 400 euro di pensione?
Vi sentite davvero tanto «progressisti», tanto «aperti», tanto «democratici» quando gridate allo scandalo per le pene contenute inflitte al tabaccaio o al giornielliere che spara dopo essere stato minacciato, ricattato, percosso, rapinato, ridicolizzato per la seconda, quarta, ottava, sedicesima volta da delinquenti incalliti, pluripregiudicati e pluriscarcerati, e tacete, o addirittura cercate di screditare, chi rifiuta di tacere quando un giudice, in nome di una delirante concezione della laicità dello stato, esige la rimozione – altrimenti non ci metterà piede e non lavorerà, pur continuando a percepire il suo stipendio – non crocifisso dalle aule del tribunale?
Vi sentite veramente continuatori della tradizione del Movimento operaio e magari anche interpreti dello spirito del Concilio Vaticano II, quando vi trincerate dietro slogan come «il carcere non serve», «il carcere è inutile, anzi controproducente», «bisogna prevenire e integrare, non reprimere»? E se invece fosse proprio una giusta ed equilibrata azione repressiva ciò che manca per dare credibilità ed efficacia ai programmi di educazione e prevenzione del crimine? E poi, se alcuni luoghi di detenzione sono da tutti riconosciuti come «carceri-modello», perché non dovrebbero diventarlo anche gli altri?

E voi, cari amici di Pdl, della Lega Nord e della Nuova democrazia cristiana, se è vero come è vero che servono nuove carceri, costruitele e fate entrare in funzione quelle già costruite, ma non ancora operative a causa delle solite pastornie burocratiche.
Se ci sono dei giudici che continuano, con ripugnante disinvoltura, a lasciare o rimettere in libertà i più spietati tra i criminali – italiani e stranieri – provvedete alla loro immediata rimozione e fate in modo che a prendere il loro posto siano persone leali, corrette, responsabili che il loro posto se lo sono guadagnato onestamente, senza frodare, senza truffare, senza corrompere, senza ricattare.
Smettete di prendervela con il «disfattismo e l’immobilismo di sinistra» e contro lo «statalismo di stampo comunista», perché dopo gli ultimi responsi delle ue, queste scuse non tengono più. Se ci sono dei problemi all’interno della vostra coalizione, risolveteli, ma piantatela di dare la colpa dell’inefficienza del nostro sistema giudiziario, ai verdi, ai vetero marxisti, ai no global, perché queste forze sono state sfiduciate dall’elettorato, in Parlamento non hanno neppure un rappresentante, quindi non hanno alcuna possibilità di opporsi alle vostre decisioni o di ostacolare i vostri progetti.
Piantatela anche con la storia dei clandestini che devono essere «tutti espulsi», mentre chi viene a lavorare seriamente deve essere accolto a braccia aperte, perché non tutti i clandestini sono criminali e non tutti gli stranieri – come del resto gli italiani – con un regolare contratto di lavoro sono persone brave e oneste; al contrario, le cronache sempre più spesso ci presentano i casi di spacciatori, ladri, teppisti, stupratori, assassini, che nel posto di lavoro avevano sempre dato prova di serietà, competenza ed efficienza…
Vi ringrazio per l’attenzione.
Bartolomeo Ghigri
 Fano (PU)




Cari Missionari

«Inside Tanzania»
dossier… in concorso

Spettabile Redazione,
a Portopalo di Capo Passero (comune all’estremità sud-est della Sicilia) ogni anno viene assegnato il Premio nazionale giornalistico-letterario «più a sud di Tunisi», così denominato dalla posizione geografica di Portopalo, situata al di sotto del parallelo della capitale tunisina…
Tra i premiati delle passate edizioni si trovano Giulio Albanese, Alfio Caruso, Felice Cavallaro, Nino Milazzo, Vincenzo Grienti…
Le categorie sono due: Gioalismo (reportage, sociale, focus sul territorio) e Letture (saggistica, poesia…). Per l’edizione 2009 del Premio un nostro collaboratore ci ha segnalato il dossier «Inside Tanzania», pubblicato nel numero di gennaio 2009 della rivista Missioni Consolata. Entro il 20 agosto verranno comunicati i vincitori. La cerimonia di consegna del premio è in programma a metà settembre…
Segreteria Organizzativa

Caro Direttore,
sono Marta dell’associazione «Una proposta diversa onlus», cui mandate una copia della vostra interessante rivista, davvero ben fatta. Nel numero di gennaio c’è un dossier sulla Tanzania che ci riguarda da vicino, visto che da vari anni intratteniamo un rapporto di fattiva collaborazione con le suore di Ilamba e Iringa, ultimamente con il progetto «Tunafurahi kwenda shuleni» e con l’adozione a distanza di un gruppo di bambini, il «Tumaini». Al fine di fare ulteriore opera di informazione e sensibilizzazione, vi chiediamo di inviarci alcune copie…
Vi ringraziamo di quanto potrete fare. Cordiali saluti.
Marta
Padova

Congratulazioni con l’autrice del dossier e… in bocca al lupo per il concorso di Portopalo!

Un numero… a ruba
 
Cara Redazione,
sono un’abbonata e desidero chiedere se ci sono ancora due copie del numero monografico dedicato ai «Diritti umani» proclamati 60 anni fa. Tale numero l’ho portato a scuola, dove lavoro, ed è sparito; spero l’abbia preso qualcuno interessato all’argomento, apprezzandone la bellissima impostazione. Poichè lo stavo usando con i ragazzi avrei piacere di avee, se è possibile, un’altra copia o due….
Milva Capoia
Collegno (TO)

Siamo felici di sapere che «Diritti e rovesci», ultimo numero speciale della nostra rivista, vada… a ruba. Abbiamo ancora varie copie a disposizione per chi è interessato ad approfondire e far conoscere meglio l’argomento, tanto più che a 60 anni dalla sua Dichiarazione universale, i diritti umani continuano a subire troppi «rovesci».  
 

Senza… malizia

Caro Direttore,
leggendo la vostra rivista, mi fa piacere vedere lo sforzo che state facendo per diminuire la sofferenza  e la povertà e ammiro senz’altro il vostro apostolato, nel quale cercate di dare soluzioni ai problemi del mondo odierno.
Ma nell’edizione del numero di febbraio 2009 della vostra rivista ho avuto un grande dispiacere nel costatare la mancanza di sensibilità per aver messo in mostra le foto dei ragazzini nudi del Mozambico, nelle pagine 12 e 13 del numero sopraccitato.
È un fatto scontato che voi vi prendete cura dei poveri, ma potete aiutare anche senza annientare la dignità di quei ragazzi innocenti. È moralmente inaccettabile. Pensi un po’ se lei fosse uno di quei ragazzini, cosa avrebbe pensato vedendosi nudo così per tutto il mondo? O se loro fossero i suoi parenti quale sarebbe stata la sua reazione a tal proposito?
Appartengo alla chiesa e conosco bene le diverse imprese che la santa madre chiesa sta intraprendendo nei diversi ambiti della vita per la promozione della dignità dell’uomo, come tale non dobbiamo trascinare questa dignità nel fango comunque stiano le cose. Un bambino è una persona e deve essere rispettato anche quando è impoverito sia dalla natura sia dalla malattia; perché egli è «creatio imago Dei».
In tutto mi piacerebbe sentire la sua risposta a questa osservazione che ho fatto. Mi sono coinvolto perché c’è in gioco la dignità della persona.
In attesa della sua risposta. Grazie.
Vitus Mario C.U.
via e-mail

Scrivendo ai primi missionari della Consolata operanti tra gli africani, il nostro beato fondatore, Giuseppe Allamano, diceva: «Fateli prima uomini e poi cristiani». La promozione umana è sempre stata il primo scopo delle nostre attività e la nostra rivista non fa eccezione. Anche quando parliamo di miseria e degrado, cerchiamo di evitare rappresentazioni che possano dare un’immagine negativa dell’Africa, oltre a offendere la sensibilità e dignità umana.
Le immagini di bambini nudi nelle due pagine citate, non le riteniamo affatto offensive: sono state scattate con il consenso degli anziani e descrivono un momento importante della vita di quei ragazzi, come è di fatto l’iniziazione in tutte le culture subsahariane. Per cui non pensiamo che qualcuno di essi si senta offeso nel vedersi ritratto in quel modo.
Inoltre, bisogna tenere presente che, in generale, gli africani non guardano alla propria e altrui nudità con malizia, come invece avviene nella nostra cultura occidentale.

I TERMOVALORIZZATORI …INQUINANO

C ara redazione di Missioni Consolata                                siamo i collaboratori di MC, che curano la rubrica
«Nostra madre terra» per le tematiche che riguardano l’ambiente, e vi scriviamo per manifestare la nostra preoccupazione per l’atteggiamento generalizzato di media e politici nei confronti degli operatori sanitari, che segnalano i pericoli riguardanti la salute pubblica e la difesa dell’ambiente.
Uno degli argomenti frequentemente dibattuti in questi giorni è quello che riguarda il trattamento dei rifiuti; i dibattiti televisivi e giornalistici presentano come unica soluzione l’incenerimento in impianti con recupero energetico, impropriamente definiti «termovalorizzatori», che in realtà non valorizzano alcunché, perché è noto che si risparmia più petrolio riciclando materia di quanto non se ne risparmi con i rifiuti bruciati nei «termovalorizzatori», essendo necessario produrre nuovamente ciò che è stato bruciato.
La pratica dell’incenerimento è inaccettabile dal punto di vista della salute pubblica e della salvaguardia dell’ambiente e, se paragonato a metodi alternativi, non è vantaggioso né economicamente, né socialmente dal punto di vista della creazione di posti di lavoro. Inoltre, la «soluzione» dell’incenerimento si allontana dall’orientamento preso dalla Commissione europea, che considera le alternative all’incenerimento, come convenienti e pertanto prioritarie.

M algrado queste valutazioni, che trovano riscontri scientifici a livello internazionale, la politica e i media italiani perseverano nella presentazione dell’incenerimento come unica soluzione e censurano tutti i messaggi e le prese di posizione degli studiosi, che quasi mai vengono invitati ai dibattiti su questo argomento. Alcuni fatti recenti ci hanno spinti a scrivere a codesta redazione.
Il 12 marzo 2009, su Rai2 abbiamo assistito a una puntata di Annozero, dedicata principalmente alla presentazione della nuova sinistra rappresentata da Matteo Renzi, 35 anni, attuale presidente della provincia di Firenze, scelto come candidato sindaco del capoluogo. Anche se la puntata non era dedicata al problema dei rifiuti, la parola che abbiamo sentito più spesso durante la trasmissione è stata «termovalorizzatore», che è la ormai ben nota macchina, che brucia i rifiuti e causa gravi danni alla salute di chi abita nei paraggi.
Matteo Renzi (che recentemente ha usato toni ingiuriosi e sprezzanti nei confronti di una seria e stimata oncologa, la dottoressa Patrizia Gentilini) ha continuato a raccontare la solita storia dei termovalorizzatori europei che, a suo dire, non hanno mai causato alcun danno. I fatti sono ben altri e sono parecchi gli studi scientifici, che hanno riscontrato aumenti significativi di tumori nelle aree dove sono attivi questi pericolosi impianti di trattamento dei rifiuti.
Un avvocato, durante la suddetta trasmissione, ha cominciato a parlare del parere dei medici, ma il conduttore Santoro ha trovato il modo di cambiare subito discorso, mentre sarebbe stato giusto, a nostro modo di vedere, dedicare maggiore spazio ai contrasti che vedono medici e biologi da una parte e politici dall’altra, aiutati da giornali e televisione. Nell’edizione di Firenze de La Repubblica del 25 febbraio scorso è riportato l’articolo sull’apertura della causa civile per diffamazione, intentato dalla dottoressa Patrizia Gentilini nei confronti di Matteo Renzi.
Nel corso di una precedente trasmissione televisiva su questo tema, durante la quale è avvenuto il fatto che riguarda Renzi e Gentilini, è emerso tutto il livore dei politici, che, pur di difendere l’attuale gestione del problema rifiuti, poco si curano del notevole incremento di malattie, che potrebbero essere correlate con l’inquinamento ambientale: ci preoccupa, in particolare, il drammatico aumento (del 2% annuo, quindi più del 20% in 10 anni!) dei tumori infantili. La Gentilini ha lavorato nel campo dell’oncologia pubblica per circa 30 anni, a stretto contatto con i malati e i loro familiari, dimostrando una professionalità e una umanità indiscutibili. In ottemperanza all’art. 5 del Codice deontologico dell’Ordine dei medici, cui appartiene e di cui è referente per l’ambiente per l’Ordine di Forlì-Cesena, è da sempre impegnata per la Prevenzione primaria, che trova nella difesa dell’ambiente il punto cruciale della tutela della salute pubblica. Come oncologa, ha rivolto particolare attenzione all’incremento della patologia neoplastica, anche in ragione del fatto che la letteratura specialistica internazionale ha documentato negli ultimi anni un preoccupante incremento di quasi tutte le neoplasie, soprattutto nelle giovani età e nel sesso femminile.
Esistono dati allarmanti che riguardano non solo l’Italia, ma anche la Francia e l’Inghilterra, che dimostrano l’alta incidenza tumorale nelle aree intensamente industrializzate e in particolare anche in quelle prossime ad inceneritori. Su problemi tanto delicati, che riguardano la salute pubblica e l’avvenire di tutti i cittadini e dei nostri figli, si dovrebbe dimostrare sempre e dovunque la stessa attenzione da parte di tutti.

P ur riconoscendo che si possano avere pareri differenti sulle soluzioni da adottare, sarebbe opportuno che chiunque riveste ruoli istituzionali, prima di affrontare simili argomenti, si documentasse e imparasse a discuterne, specie in sedi pubbliche, con educazione, moderazione e senso di responsabilità, senza atteggiamenti arroganti che sembrano voler coprire gravi carenze culturali.
Vogliamo invitare tutte le persone per bene, la classe politica e i giornalisti a ricordare le accorate parole del compianto professor Renzo Tomatis, uno dei maggiori oncologi e ricercatori europei, direttore per oltre un decennio dell’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro di Lione (Iarc) e autore di numerosi saggi, il quale, a proposito della prassi irresponsabile di bruciare i rifiuti, ha dichiarato pubblicamente: «Le generazioni future non ce lo perdoneranno».
Tramite la redazione di MC rivolgiamo un invito a riflettere su questo preoccupante problema non solo ai suoi lettori, ma soprattutto ai politici e agli amministratori del nostro territorio, sempre più devastato da uno sviluppo vorace e inquinante. Crediamo utile porgere questo appello soprattutto a chi ricopre o si candida al ruolo di primo cittadino di una città, ricordandogli che tra i doveri specifici di un sindaco dovrebbe esserci quello di tutelare la salute dei propri concittadini, oltre a quello di ascoltarli sempre con attenzione e rispetto.
Ringraziamo e porgiamo distinti saluti.
Roberto Topino
Rosanna Novara




Cari missionari

A proposito di…«Nozze di Cana»

Caro Direttore,
sono un anziano sacerdote salesiano, faccio parte della Elledici, ho pubblicato e pubblico libri e articoli. Leggo con gioia ogni mese la vostra rivista Missioni Consolata e mi congratulo con voi. Ma ho una piccola osservazione da fare, e spero la accetti con carità.
L’articolo di Paolo Farinella sulle nozze di Cana mi ha lasciato perplesso. Egli lo include tra i midràsh, che definisce, nell’ultima riga del box, «racconti storici o leggendari edificanti…» (M.C. febbraio 2009, p.32).
È noto a tutti gli studiosi di bibbia che «Cana» e tutti i miracoli (segni) del vangelo di Giovanni sono considerati come allegorici da parte di illustri studiosi. Ma non è l’unica né la più sicura interpretazione. Benedetto xvi, in un recente intervento, ha detto che Giovanni è un testimone oculare, che riferisce fedelmente «ciò che ha visto». L’interpretazione di Farinella turberà chi sente e crede il papa.
Io credo sia opportuno (come facciamo nella nostra rivista Il mondo della bibbia) dare anche le interpretazioni più avanzate, ma darle come «possibili», non come uniche e normali, e affiancarle ad altre interpretazioni più in linea con la tradizione e con studi non meno seri di quelli che si prendono in considerazione per primi.
Se rilegge l’articolo del Farinella vedrà che c’è non solo un contenuto, ma anche un tono che turba un po’ chi non condivide le sue posizioni. E questo Farinella lo fa anche in altri articoli già pubblicati, a mio modestissimo parere.
Le domando scusa, e desidero tornare a esprimerle tutta la mia riconoscenza per il lavoro che fate per il Regno di Dio. Il Signore ci benedica.
Don Teresio Bosco
Torino

Ringrazio don Teresio della sua lettera che mi permette di chiarire. Ha ragione, io do spesso la sensazione di «sicurezza» nelle cose che scrivo e non mi attardo a «variazioni sul tema»; e il motivo sta nel fatto che sono sicuro delle cose che scrivo.
Il fatto che il papa nel suo libro Gesù di Nazaret identifica l’evangelista con l’apostolo (ne parla alle pp. 257-279, particolarmente 261) è la sua convinzione, abbandonata tra l’altro dalla maggior parte degli esegeti. Il papa stesso nel medesimo libro (p. 20) dice che tutti lo possono criticare perché il suo libro non ha valore magisteriale, ma è frutto della sua ricerca di studioso e si affida alla critica come qualsiasi altro studioso. Personalmente sono contrario al fatto che i papi scrivano libri, per evitare proprio l’intervento di don Teresio che attribuisce alle affermazioni del papa un valore «probativo» (magisteriale) che non hanno, anche su stessa richiesta del pontefice (anche il vecchio codice del 1917 lo proibiva).
Per quanto riguarda il fatto di dare come probabile affermazioni di studio e dare conto di tutte le posizioni, voglio solo dire che io scrivo su una rivista a larga diffusione e non strettamente scientifica. Se facessi una lezione di esegesi in un’aula di università, tranquillizzo don Teresio che chiederei conto agli studenti di tutte le posizioni ed esigerei un’analisi critica di ciascuna, con la scelta più vicina alla realtà (attraverso metodi che qui è lungo elencare).
Posso garantire che offro ai lettori il meglio degli studi: dietro ogni articolo c’è una ricerca che ormai data da oltre 30 anni. Sul midràsh mi riservo di intervenire a tempo e luogo e quindi chiedo un po’ di pazienza.
Paolo Farinella, prete
Genova

Ricordando padre Bertaina

Egregio Direttore,
volevo ricordare un grande missionario della Consolata che ho conosciuto nell’agosto del 2007, durante il viaggio in Kenya guidato da padre De Col.
Da sempre amo l’Africa e ancor più da quando, poco più che ventenne, ho cominciato a visitare i paesi di questo continente dai mille volti e dai mille contrasti, spesso meravigliosi, a volte angoscianti e tragici. Le mie visite non sono mai state superficiali o semplicemente turistiche, ma ho sempre privilegiato i viaggi che mi consentivano di approfondire tutti gli aspetti della vita di un paese, da quello paesaggistico, al culturale, al sociale, al religioso, non dimenticando il rapporto con le popolazioni locali che è, a mio avviso, una delle basi fondamentali per conoscere e capire un luogo.
Da nord a sud sono ormai più di 20 i paesi che ho visitato assieme a mia moglie Marika, anche lei innamorata dell’Africa, ma uno dei viaggi che più mi ha appassionato, coinvolto ed emozionato, è stato quello dell’estate 2007 in Kenya, organizzato dai missionari della Consolata di Torino. È stata una immersione totale nella realtà di questo grande paese, del quale tanto si è parlato e si parla per i problemi socio-politici, etnici ed economici che lo affliggono anche in tempi recentissimi.
Proprio a Nairobi, visitando una delle tante meravigliose opere realizzate dai missionari, ho conosciuto padre Giuseppe Bertaina, rettore del seminario e istituto filosofico nella capitale keniota. Ci spiegò con passione la sua attività di missionario in questo paese da oltre 57 anni e le realizzazioni in favore dei bambini, delle madri abbandonate, delle famiglie indigenti, degli ammalati di Aids e della convivenza tra le molte etnie.
Parlando con lui avevo avuto la certezza di una persona straordinaria e saggia con una grande passione condivisa per l’Africa, ma nello stesso tempo semplice e schiva; aveva 81 anni. E poche settimane fa la notizia del suo assassinio nella sede dell’amato istituto, mi ha colpito e addolorato. Quando si conosce e si apprezza una persona di questa levatura, non si può accettare che la sua esistenza venga cancellata da tanta inutile barbarie.
Certo, la perdita è grande per le missioni in Kenya, anche perché aveva detto, incontrando il nostro gruppo, che questi popoli non hanno bisogno di armi ma della «penna», cioè istruzione e cultura, e nello stesso tempo della religione; affermava infatti che non basta quella «tradizionale – naturale»; e questo è proprio quanto lui cercava di dare, e io alcuni risultati li ho visti, anche se, purtroppo, gli ultimi tragici eventi del 2007 e 2008 fanno pensare che ancora molta strada deve essere percorsa.
Addio padre Giuseppe, ti ricorderò assieme alla tua Africa.
Giancarlo De Blasio
via e-mail

Ringraziamo il signor De Blasio e i numerosi lettori che nei giorni passati ci hanno fatto pervenire, per posta e per telefono, i loro sentimenti di solidarietà, stima e ammirazione per il nostro carissimo confratello, padre Giuseppe Bertaina, scomparso così tragicamente. È certamente una grande perdita per il nostro Istituto e per il Kenya; tuttavia la fede ci assicura che dal cielo egli continua ad accompagnare la crescita del seme da lui gettato nel campo del Signore. E siamo anche certi che non mancherà di benedire quanti continuano a sostenere la sua opera.