Cari Missionari

 

Ricordando P. Gianni Basso

Cari amici,

non siamo propriamente più ragazzi, la nostra età media
si aggira sui 50 anni e più, ma è ancora forte in noi il ricordo degli anni
della formazione. Siamo cresciuti nella parrocchia Regina delle Missioni di
Torino a pochi passi dalla Casa Madre di corso Ferrucci, e i missionari e le
missioni sono stati da sempre una presenza costante nei nostri pensieri e nel
nostro cuore. Ma c’è un motivo in più. Proprio nel momento più significativo
della nostra vita, l’adolescenza, abbiamo avuto la fortuna di avere come
viceparroco e quindi come nostro principale formatore un missionario davvero
speciale, padre Gianni Basso.

Padre Gianni, nato a Quinto di Treviso nel 1946, prima da
seminarista e poi come viceparroco, è stato con noi alcuni anni, presenza
fortissima e insieme riservata. Era lì e ci accoglieva sorridendo, con una
battuta o una frase scherzosa. Sembrava svagato, e invece era sempre tutto per
noi, ci vedeva «dentro», come eravamo davvero oltre l’esteriorità. Di ciascuno
di noi ricordava tutto: vicende, aspirazioni, problemi, ma anche la data del
compleanno, le ricorrenze che si sono via via aggiunte con gli anni.

Padre Gianni c’era, ma era ugualmente pronto a «sparire»,
a tirarsi indietro, a farsi da parte per quanto era umile e schivo. Un merito,
un successo non se lo prendeva mai, ma lo attribuiva agli altri, sempre pronto
invece a chiedere scusa, a camminare in punta di piedi per non disturbare…

Poi il disegno di Dio l’ha portato lontano, in Brasile,
noi sapevamo quanto lui desiderasse andare in missione e, pur immaginando che
ci sarebbe mancato, siamo stati contenti che il suo sogno si realizzasse.

Non sappiamo che cosa abbia rappresentato per le persone
che ha incontrato nei molti anni di Brasile, possiamo immaginarlo a partire
dalla nostra esperienza. Ma sappiamo che, quando ci parlava di loro, emergeva
un insieme di persone vive, concrete a cui padre Gianni aveva voluto bene nello
stesso modo in cui aveva amato noi: singolarmente, a uno a uno come persone,
ciascuna importantissima ai suoi occhi e nel suo cuore.

E siamo convinti di una cosa: è stato proprio questo suo
modo di volerci bene che ha fatto sperimentare a tutti e a ciascuno la
profondità e la concretezza dell’Amore di Dio su di noi.

Quando, due anni fa, ci ha raggiunti la notizia della sua
morte, ci siamo ritrovati dove eravamo sempre stati con lui, nella parrocchia
di Regina delle Missioni, per ricordarlo nella preghiera, con i suoi confratelli
(nella foto qui sotto).

E, piano piano, è nata l’idea di ricordare padre Gianni
anche in un altro modo, aiutando altri missionari che oggi, in giro per il
mondo, continuano a portare avanti i suoi stessi ideali, in particolare quelli
relativi alla formazione dei più giovani. Ed eccoci qui, con una nostra piccola
offerta che vorremmo farvi giungere, umilmente, nel suo nome e nel suo ricordo…

amici
di padre Gianni
17/04/2015


Il fascino di Gesù
Cristo

Una sola piccola rettifica all’articolo sull’India,
relativa al Kumbh Mela (MC 4/2015, p. 53). Questo grande pellegrinaggio
si svolge ogni tre anni (il periodo dipende dalla posizione di Giove e del
Sole) alternandosi nelle quattro località precisate nell’articolo. È il Maha
(Grande) Kumbh Mela che si svolge ogni 12 anni a conclusione del ciclo di
quattro Pua Kumbh Mela. L’ultimo, nel 2013 a Allahabad (già Prayag), ha fatto
registrare una presenza stimata di 80-100 milioni di pellegrini, con un picco
di qualche decina di milioni nella notte fra il 9 e il 10 febbraio. Il prossimo
Kumbh Mela, come precisato nell’articolo, si svolgerà a Nashik e inizierà il 14
luglio 2015, quando Giove e Sole saranno nel segno del Leone (precedente in
quella località 2003).

Ciò che mi ha colpito invece e che mi ha spinto a scrivervi è la descrizione perfetta di Gesù
Cristo, a pagina 19 dello stesso numero. Gesù Cristo, come dice spesso anche
papa Francesco, era l’uomo dei diseredati, dei più deboli, dei meno fortunati,
di coloro che sono nel mirino dei benpensanti, di coloro che vivono ai margini,
di coloro che sono considerati rifiuti, ecc.

Esempio che tanti personaggi che ho avuto la fortuna di
conoscere in terre di missione, nella stragrande maggioranza pochissimo
conosciuti dal grande pubblico, hanno cercato o cercano di imitare. Madre
Teresa è stata grande, ma voi potete testimoniare che di Madri Teresa, nel
mondo, ce ne sono state e ce ne sono parecchie. Sia al femminile, che al
maschile.

Ora che l’età e gli acciacchi mi impediscono di tornare
nelle mie zone preferite (Asia e Africa in particolare), proprio in virtù delle
significative esperienze fatte in molte zone dove la vita è realmente
difficile, sono spesso chiamato da scuole medie per parlare ai ragazzi di altri
loro coetanei meno fortunati, di «infanzia negata», della difficoltà di essere
bambini dove è già difficile vivere: bambini soldato, bambini di strada,
bambini abbandonati, bambini sfruttati, ecc. Il tutto documentato con immagini
scattate da me e quindi molto più credibili agli occhi dei ragazzi.

Sempre più spesso si tratta di scuole ormai
multireligiose (presenze musulmane, induiste, buddiste), ma per evidenziare
maggiormente il coraggio di molti di questi bambini e ragazzi meno fortunati
che hanno saputo reagire, inizio sempre con la figura di Gesù Cristo: «Possiamo
anche non essere tutti d’accordo che Gesù fosse realmente il Figlio di Dio, ma
non possiamo mettere in dubbio la sua esistenza. Non possiamo negare che, fin
da ragazzino, fosse un personaggio scomodo dotato di grande coraggio». Cito
alcuni suoi comportamenti e prese di posizione che lo portarono a essere
crocefisso come i peggiori criminali. Devo dire che funziona. Le risposte che
ottengo alla fine in termine di partecipazione attiva, sono sempre
gratificanti. Grande attenzione e domande a raffica non mancano mai. Cordiali
saluti,

Mario
Beltrami
Sesto San Giovanni (MI)
04/04/2015


Una strada per padre  Antonio Giannelli

Il giorno 07 marzo 2015 è stata inaugurata una strada
della nostra città di Parabita (Lecce), intitolata a padre Antonio Giannelli
(1923-2001), missionario in Kenya per oltre 50 anni. Alla cerimonia,
presenziata dal sindaco Avv. Alfredo Cacciapaglia, da familiari, amici ed
esponenti della cultura, era presente anche padre Efrem Baldasso (alla
sinistra del sindaco nella foto
), missionario della Consolata e superiore
nella sede di Galatina. Per noi ha tracciato un breve profilo di padre Antonio
e delle opere da lui compiute in Kenya: dalle tante cappelle sparse nel
territorio, ai laboratori artigianali, alle case per i poveri. Due opere
eccellono: la scuola per ragazzi portatori di handicap mentali e la chiesa
parrocchiale di Wamagana dedicata alla Madonna della Coltura di Parabita, sua
città natale, all’ombra della quale è nata la sua vocazione per le missioni.

amici
di Parabita
23/03/2015

Risponde il Direttore




Cari Missionari

 

Franchezza sulla Chiesa

Sono un lettore della vostra rivista di cui apprezzo la
franchezza generosa, e desueta, con cui parla dei popoli e delle nazioni del
mondo, e sono stato sorpreso anche del coraggio con cui, parlando del Ce nel
numero di dicembre, P. Pescali riconosce che la scienza è riuscita ad unificare
gli uomini più delle religioni; un riconoscimento certo non facile per una
rivista  religiosa, e neppure del tutto
vero per quanto riguarda la stessa scienza, di cui conosciamo le manipolazioni
passate e della cui onestà di ricerca non siamo sicuri neppure per l’avvenire.
Con la stessa franchezza vi dico che mi sembra inutile l’allegato
sull’Allamano, troppo acriticamente agiografico, così come non trovo lo stesso
coraggio quando affrontate i problemi della Chiesa, soprattutto della sua
gerarchia. Capisco che non si può parlare di corda in casa dell’impiccato, ma
credo che una maggiore schiettezza non danneggerebbe ne voi né la Chiesa
stessa; ricordate Rosmini.

La pratica
liturgica

In un inserto di qualche mese fa, curato da p. A.
Rovelli (di cui sono compaesano, così come lo sono di p. G. Rigamonti), il
problema della crisi della Chiesa è stato affrontato con onestà, ma, a mio
giudizio, tacendo su un fenomeno che la caratterizza da sempre e che reputo uno
degli elementi insieme più limitanti e più da rivedere: intendo il peso che ha
in essa la pratica liturgica e cultuale. Che è centrale nella Chiesa
contemporanea, come nella Chiesa da sempre, almeno dalla sciagurata età
costantiniana in poi, ma che non trova fondamento nel Nuovo Testamento (e qui
mi potrebbe essere d’aiuto p. Farinella, di cui auspico ed attendo il ritorno
sulle vostre colonne). Non ci sono nei vangeli e nell’intero corpus
neo-testamentario esortazioni a funzioni religiose, anzi per lo più se ne parla
in senso molto critico: vedi la parabola del fariseo e del pubblicano,
l’esortazione ad abbandonare il sacrificio per conciliarsi con il fratello, la
stessa preghiera del Padre nostro, che sembra letteralmente strappata a Gesù
dai suoi discepoli. L’unico caso che sembrerebbe smentirlo è l’istituzione
dell’eucaristia, ma il fatto che già ne parli Paolo (I Cor. 11, 23-26) e con
gli stessi accenti che troviamo nei sinottici – e Paolo non ha avuto nessuna
conoscenza diretta del Cristo – fa capire che il memoriale appartiene già alla
prima comunità cristiana come momento di consapevolezza di sé più che alla
verità storica dell’evento. E questo si inserisce perfettamente nella
predicazione del Cristo, che non intende sostituire i vecchi sacrifici e le
vecchie liturgie, ma si propone di creare una mentalità ed un’etica nuova, un
uomo «altro» sia rispetto al modello dell’ebreo che del pagano.

Certo mi direte che la liturgia non fa male a nessuno,
ed in fondo raccoglie la comunità dei credenti in un atto di riaffermazione di
identità e di comunanza di fede. Ma è proprio l’avere puntato soprattutto sulla
liturgia che ha reso marginale l’elemento dirompente dell’annuncio cristiano,
ovvero l’uomo nuovo e l’etica nuova. D’altra parte, a memoria, le esortazioni
che sento e che sentivo sono sempre quelle, riduttive: «sei andato a messa?», «hai
fatto la comunione?», «hai fatto Pasqua?», proprio le domande che Cristo non
rivolge mai ai discepoli. Forse il rispetto della liturgia si accompagna a una
vita scellerata, o anche semplicemente immemore dei suoi doveri o finalizzata
al guadagno senza moralità; l’una e l’altra possono convivere senza lacerazioni
proprio perché il primato della liturgia è neutro; esso assolve la coscienza ed
insieme non impegna, non mette in crisi il proprio modo di vivere.

Due esempi

Mi limito a citare due casi che ne mettono in evidenza
la contraddittorietà. Il momento della cresima, che dovrebbe essere quello
dell’acquisizione della consapevolezza matura di essere cristiano, rappresenta
per lo più un «rompete le righe», il momento in cui finalmente ci si è liberati
del catechismo (per tacer del fatto che la stessa funzione religiosa viene
regolata sugli orari dei ristoranti). Se questa è la reazione più diffusa è
evidente che c’è qualcosa che non funziona nel processo di formazione; nella
maggior parte dei casi quel tempo è stato sprecato e quel seme è andato
perduto. Non si può arrivare alla celebrazione come se questa fosse il tutto;
essa non ne è neppure una parte.

Un altro fatto riguarda la messa: la predica deve essere
ascoltata nel più assoluto silenzio (ho sentito rimproveri alle madri con
bambini molto piccoli o turbolenti; e dove li lasciano?), ma la raccolta delle
offerte è fatta durante la recita del Credo (che dovrebbe essere il momento di
identificazione comunitaria per eccellenza), e se i partecipanti sono numerosi
e il sagrestano è solo si rischia di portare tale raccolta fino al Padre
nostro; è possibile un simile sovvertimento di valori? L’omelia, la parte più
umana, discutibile, spesso la più stantia deve essere privilegiata rispetto ai
momenti più definenti e caratterizzanti? Senza contare (e anche qui don
Farinella mi potrebbe essere d’aiuto) che ecclesia significa comunità, e
soprattutto comunità non organizzata gerarchicamente, e omelia
significava dialogo, confronto, non ascolto supino, spesso volte distratto o
annoiato; e questo dipende anche dal predicatore.

Riempire le
anime

È certo difficile fare proposte: le chiese luterane e
calviniste, che sono da sempre più attente alla Parola, conoscono una crisi
forse ancora superiore a quella della chiesa cattolica. Ma è comunque evidente
che su questa via non si creano né buoni cristiani, né semplicemente persone
messe in crisi dalla loro professione di cristianesimo. Sono consapevole, e
qualcuno me l’ha ricordato, che le celebrazioni liturgiche finiscono con
l’essere l’ultima difesa alla prospettiva di una totale assenza del
cristianesimo nella società contemporanea. Ma non mi pare che si ponga la
stessa cura nella formazione. La conoscenza della storia della cristianità
tutta, la lettura critica dei testi, anche di quelli basilari, la
frequentazione dei numerosi autori cristiani soprattutto delle origini la si
trova più in alcuni laici che non negli stessi uomini di chiesa, che spesso ne
propongono una lettura rapida ed annoiata. Senza dimenticare il monito di
Pascal nella sua polemica contro i gesuiti: vi interessa solo riempire le
vostre chiese, non le anime dei vostri fedeli. Penso che il problema principale
sia innanzitutto uscire da questa condizione che crea fedeli inerti, per
formare cristiani che possono sì sbagliare anche più di quelli che vivono
secondo il modello corrente, ma per vitalità, per passioni, per principi etici.
Se è vero che la conoscenza (purtroppo!) non è tutto e non garantisce, è
altrettanto vero che l’approssimazione non creerà un cristiano autentico. E la
via della liturgia non educa, non forma, non fa crescere.

Per ragioni di correttezza voglio puntualizzare che chi
vi scrive è un agnostico, che tuttavia interessi storici hanno portato allo
studio del cristianesimo delle origini; e ritiene che il cristianesimo abbia
ancora, in questa stagione priva di ideologie e freddamente fondata su principi
economici (non si possono far fallire le banche, ma si può portare alla
disperazione un popolo, vedi la Grecia!), un grande ruolo da svolgere nella
coscienza contemporanea, ma deve cercare modi nuovi e non usuali per parlare
all’uomo. In fondo quegli antichi cristiani lo trovarono: senza chiese, intese
come edifici, e con un culto scao; forse è necessario riesaminare nel profondo
i caratteri delle origini; certo la consapevolezza e l’etica, ma anche la
conoscenza, erano superiori. E, lo ripeto ancora una volta, la comunità non era
fondata sul culto.

Mi scuso del disturbo, e con i più sinceri auguri che la
vostra rivista sopravviva.

Giuseppe
Corti
Barzago (LC), 16/02/2015

Grazie
sig. Giuseppe di questa lunga e interessante email. La sua disamina circa la
liturgia, tocca punti sostanziali della vita delle nostre comunità cristiane e
denuncia una situazione che certamente è una delle sfide più impegnative che la
Chiesa sta vivendo oggi.


Per
chi, come un missionario, rientra da paesi dove la liturgia è viva e celebrata,
il ritrovarsi in chiese dove la prima regola è «sii breve» perché la gente ha
fretta e ha tanto altro più importante da fare, lascia davvero sconsolati e
confusi.


«Si
ha spesso l’impressione che oggi nella chiesa la liturgia sia percepita più
come un problema da risolvere che una risorsa alla quale attingere. Eppure il
futuro del cristianesimo in occidente dipende in larga misura dalla capacità
che la Chiesa avrà di fare della sua liturgia la fonte della vita spirituale
dei credenti. Per questo la liturgia è una responsabilità per la chiesa di oggi».
Così scrive Goffredo Boselli, monaco di Bose.


Che
i cristiani italiani abbiano spesso ridotto la liturgia a un culto fatto di
pratiche esteriori, riti folkloristici, obblighi assolti, precetti e devozioni,
è un fatto. Senza entrare poi in merito a funerali a partecipazione zero e
matrimoni ridotti a spettacolo. Se poi si aggiungono le processioni in odore di
mafia e la difficoltà di trovare padrini e madrine «in regola» per battesimi e
cresime, il quadro è davvero preoccupante. La liturgia che la Chiesa sogna e
tutt’altra cosa. Per questo non posso concordare con lei quando dice che «la
via della liturgia non educa, non forma, non fa crescere».


Il
Concilio Vaticano II ha scritto che «la liturgia è il culmine verso cui tende
l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù» (Sacrosantum Concilium n. 10). Culmine e
fonte: due parole molto significative. Tutta la vita della comunità cristiana
dovrebbe trovare la sintesi nella liturgia e dalla liturgia attingere poi
l’energia per dare senso alla vita.


I
Cristiani dovrebbero poter dire «Senza la Domenica non possiamo vivere»,
insieme ai 49 martiri di Abitene (Tunisia) che nel 304 preferirono morire
durante la persecuzione di Domiziano piuttosto che rinunciare a celebrare
settimanalmente il memoriale della Pasqua del Signore.


Certo,
se quel che si celebra comincia in chiesa e in chiesa finisce, allora lei ha
pienamente ragione.

Non demordete

Da anni sono un’assidua lettrice della vostra rivista, e
dopo averla letta e apprezzata e meditata cerco di diffonderla, di «farla
girare» anche presso persone non completamente «cristiane ortodosse». È oggetto
ogni volta di discussioni costruttive. Trovo che riuscite sempre a essere
obiettivi, anche se trattate argomenti sociali, ambientali o politici.

È logico che quello che anima il vostro «andare a chi ha
avuto di meno» è animato dalla carità di Cristo, anche quando non viene
espressamente detto negli articoli: «non quando dite Signore, Signore siete
fedeli osservanti, ma quando fate la volontà del Padre mio» (cito a memoria
[cfr. Mt 7,21 ndr])… e qual è questa volontà di Dio se non dare la
vita per il progresso sia spirituale che umano dei nostri fratelli, spartendo
la nostra esperienza di Dio e, a volte, anche imparando da chi, a prima vista
giudichiamo «lontani».

Lo Spirito soffia dove vuole e non viene meno l’amore
alla nostra identità di Cristiani, se non ci mettiamo sempre sul pulpito,
credendoci gli unici detentori della Verità. D’altronde (dico un’eresia), il
Figlio di Dio avrebbe potuto starsene tranquillo col Padre e il Santo Spirito,
invece, per puro amore ha voluto scendere a «sporcarsi le mani» con le povere
faccende di noi umani, condividendo con noi giornie e dolori, e «ci ha pure
rimesso le piume» per aver denunciato le ingiustizie dei poteri del suo tempo.

Scusate le imprecisioni e le inesattezze nell’esporre
quel che penso (non ho studiato e sono vicina agli ottanta), ma quando ho letto
lo scritto del signor Alfredo di Genova (MC 03/2015, p. 7) non ho potuto far a
meno di mandarvi il mio incoraggiamento nel proseguire lo stile della vostra
rivista. Grazie del bene che fate a me, che fate a tutti quelli che vi leggono
e… non demordete: il Cristo è con voi!

Mira
Mondo,
Condove (TO), 08/03/2015

Caro Padre Gigi,

ho iniziato a ricevere e a leggere la vostra rivista
casualmente, e ora l’attendo con impazienza tutti i mesi; le scrivo per
condividere con lei alcune riflessioni (un po’ tardive, mi perdoni!) sulla
lettera molto bella e molto profonda del signor Garianol sullo stravolgimento
della figura del missionario.

Insegno storia e geografia ai licei e sono cattolica,
credente ma non strettamente osservante, anzi spesso lacerata da dubbi
interiori in merito ad alcune posizioni della Chiesa: ritengo doverosa questa
premessa perché la mia formazione culturale mi porta a guardare le cose da osservatrice
estea, cercando di comprendere le ragioni degli uni e degli altri, di essere
imparziale e oggettiva (esercizio faticoso e difficile).

Per questo motivo ho trovato gli articoli della vostra
rivista interessanti al punto da leggerli regolarmente in classe, e vi
considero un prezioso punto di riferimento: nelle vostre pagine si parla di
umanità – vicina e lontana – che spesso non riceve dai media l’attenzione che
meriterebbe, oppure la riceve distorta, condizionata da interessi di parte ed
appartenenze politiche. Un esempio per tutti: siete stati gli unici a suo
tempo, ad esporre in modo chiaro, equilibrato ed esauriente in che cosa
consista la protesta dei No Tav. Non ho mai trovato niente di equiparabile in
nessun articolo o rivista di geopolitica, tanto meno sui quotidiani.

Quindi la vostra testimonianza è importantissima, e così
come avete scelto di presentarla rispecchia – a parer mio – l’intenzione di
essere al passo con tempi e con il mondo che si evolve: la creazione di pozzi,
di strutture, l’attenzione alla figura femminile, alla gioventù e all’ambiente
ritengo siano gli strumenti ineludibili per una evangelizzazione consapevole e «matura».

Ma il messaggio cristiano c’è eccome: io lo vedo ovunque,
fra le righe e non. Ed è proprio questa la vostra forza: coniugare il messaggio
di Gesù con le urgenze del nostro mondo e del nostro tempo, con serenità ed
apertura verso l’altro. Inoltre la vostra preoccupazione di voler essere letti
da tutti – come lei afferma nella risposta – mi sembra non una debolezza, ma un
saggio modo per avvicinare alla lettura e alla riflessione il maggior numero di
persone.

Con gratitudine

Anna
Patrone
email, 14/03/2015

Il papa
stile Consolata

Cari fratelli e sorelle missionari della Consolata, con
gioia mi sto rendendo conto che c’è un grande parallelismo tra quello che il
nostro papa sta insegnando e gli insegnamenti del nostro padre fondatore, il
beato Giuseppe Allamano. Dall’anno della vita consacrata all’anno della
misericodia, è tutta gioia di consolazione che ci porta Gesù, la vera
consolazione. Noi come missionari della Consolata, credo che siamo chiamati a
questa testimonianza. Con papa Francesco giochiamo in casa.

Nel libretto Rallegratevi, prima lettera
circolare ai consacrati e alle consacrate (basata su citazioni dal magistero di
papa Francesco), il papa lancia il tema della gioia dicendo: «La gioia del
Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù».
Il papa cita poi il profeta Isaia: «Consolate, consolate il mio popolo, dice il
vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme» (Isaia 40,1-2). Il parlare al
cuore è proprio la nostra chiamata. Il papa ci dà poi uno spunto importante: «Si
tratta perciò di un linguaggio da interpretare nell’orizzonte dell’amore, non
in quello dell’incoraggiamento: quindi azione e parole insieme, delicate e
incoraggianti, ma che richiamano i legami affettivi intensi di Dio “sposo” di
Israele». Continua poi: «La consolazione deve essere epifania di una reciproca
appartenenza, gioco di empatia intensa, di commozione e legame vitale». In
quest’ultima frase trovo in nostro fondatore quando manda i missionari dicendo
che dobbiamo amare la gente, imparae la lingua e stare con loro. Imparare la
lingua credo non sia solo questione di grammatica, ma richieda entrare in
gioco, sapere la lingua comune, la lingua dei giovani e la lingua degli
anziani. Da tanzaniano dico che non basta saper lo swahili occorre imparare a
parlare al cuore della gente. Il padre fondatore diceva che dobbiamo «elevare»
la gente (cfr. MC 06/2014, p. 32), questo è parlare al cuore.

Il papa scrive ancora: «La gente oggi ha bisogno
certamente delle parole, ma soprattutto ha bisogno che noi testimoniamo la
misericordia, la tenerezza del Signore che scalda il cuore, che risveglia la
speranza, che attira verso il bene. La gioia di portare la consolazione di Dio!».
«Gli uomini e le donne del nostro tempo aspettano parole di consolazione, di
prossimità, di perdono e di gioia vera. Siamo chiamati a portare a tutti
l’abbraccio di Dio, che si china con la tenerezza di una madre verso di noi». È
un richiamo al chinarci, al cercare di farci «tutto a tutti, per salvare ad
ogni costo qualcuno» (1 Cor 9,22).

La domanda è: come? La risposta del papa è che tocca a
noi curare l’amicizia tra di noi umanizzando le nostre comunità. Dobbiamo
curare la vita della comunità, perché diventi come una famiglia. Lì lo Spirito
Santo è nella comunità. Sempre con un cuore grande. Lasciar passare, non
vantarsi, sopportare tutto, sorridere dal cuore. È il segno della gioia. Non è
per caso che il nostro padre fondatore ci volesse famiglia. Noi lo siamo. Il
papa ci invita a non privatizzare l’amore. Padre Allamano ci voleva fratelli e
sorelle.

Quando il papa annuncia la gioia di un anno giubilare
della misericordia, mi lascia senza parole. Il papa spera che «tutta la chiesa
possa ritrovare in questo Giubileo la gioia per riscoprire e mantenere feconda
la misericordia di Dio, con la quale, siamo chiamati a dare consolazione ad
ogni uomo e ad ogni donna del nostro tempo».

Noi riusciremo a dare questa testimonianza della misericordia
o della consolazione sapendo che Dio ci ha consolati per primo. Il papa trova
il coraggio di annunciare l’anno della misericordia perché «Ecco, questo sono
io, un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi». Soltanto colui
che è stato perdonato sa perdonare, uno sa amare se è stato amato, e uno è misericordioso
perché trova la misericordia di Dio.

Danstan
Mushobolozi,
Martina Franca, 17/03/2015

Risponde il Direttore




Cari Missionari

Bufala

Sono un estimatore della vostra rivista perché tratta
sovente articoli di politica ed economia internazionale con grande profondità
ed originalità (es. gli articoli sul mobile money).

Per questo mi ha un po’ colpito che Angela Lano, che
stimo, si sia lasciata ingannare da una bufala che corre su internet da
quest’estate, secondo la quale il proclamato califfo dello stato islamico di
Iraq e Siria, al-Baghdadi, è un agente del Mossad figlio di genitori ebrei
(cfr. articolo sul numero di gennaio-febbraio).

La notizia, non firmata ma probabilmente vergata dal
direttore Gordon Duff, è stata lanciata dal sito neonazista Veterans Today
e ripresa in Italia solo dal sito altrettanto ultraconservatore Apostatisidiventa.
Giova ricordare quanto sia attendibile il sito statunitense, che nel settembre
del 2012 ci informava che la Marina Usa ci stava difendendo segretamente da un
attacco alieno. La fantascienza è un argomento molto usato da Gordon Duff,
secondo cui la cometa Ison era formata da un gruppo di navicelle spaziali
(settembre 2013); d’altronde per sua stessa ammissione, il 40% di quanto
pubblica sulla sua rivista è falso.

Un saluto

Paolo
Macina
Torino, 24/01/2015

Il
riferimento all’ipotesi di al-Baghdadi come agente del Mossad è stato fatto
nell’ambito delle tante e diverse teorie – in una lettura attenta lo si evince
bene -, e dunque non mi sono fatta ingannare da nessuno. Come studiosa e
giornalista ho il dovere di citare tutte le teorie e fonti. Infatti, tra le fonti
non c’è solo Veterans Today, ma anche altri due siti come citato nella
nota n. 10.

Angela Lano
05/02/2015

Nonchalance
Gent.mo Direttore,

sono un abbonato da anni della rivista Missioni
Consolata; ho ritrovato solo oggi la copia del dicembre 2013 che avevo tenuto «troppo»
da parte per scriverle, cosa che faccio solo ora, in merito alla sua risposta
alla lettera «Scriveteci» pubblicata a pag. 5. Il punto interessato, a circa metà pagina di colonna 4,
recitava così: «Che poi ci siano dei missionari che abbiano amato una donna,
generando anche dei figli, non dovrebbe stupire nessuno, eccetto coloro che li
ritengono degli automi programmati e non degli uomini in carne e ossa». Ebbene, io mi ritengo proprio tra coloro che invece si
sono stupiti leggendo questa sua parte di risposta, non ovviamente (riguardo)
all’amare una donna, ma al generare dei figli. Ma ciò che più ancora mi ha
stupito, è la nonchalance con cui è stato scritto, quasi questa
eventualità fosse una normalità e una giustificazione più che doverosamente da
accettare. Per carità, non mi permetterei assolutamente di giudicare nessuno,
sono io il più peccatore di tutti, ma mi ha lasciato molto perplesso quanto ho
letto.
Grato comunque per il lavoro che fanno i missionari nel
mondo e per il suo/vostro lavoro redazionale, porgo distinti saluti.

Elio
Gatti
Trinità CN, 03/02/2015

No,
da parte mia non c’era giustificazione, ma solo comprensione di una realtà
umana molto complessa. In quasi quaranta anni di vita missionaria, ho visto più
di uno dei miei amici – persone anche migliori di me – lasciare il sacerdozio e
la missione per amore di una donna o per senso di responsabilità verso il
figlio da loro concepito. Sono sempre state storie di sofferenza e lacrime,
vissute spesso in solitudine. Solitudine oggettiva, quella fisica data da
ambienti geograficamente e culturalmente isolati dal mondo, e quella
spirituale, causata dalla lontananza dagli amici e dal dito accusatore di
confratelli poco fratelli. In certi casi c’è stata della leggerezza, in altri
solo un momento di debolezza, spesso riscattato dalla scelta responsabile di
dare un padre al nascituro rifiutando soluzioni che sarebbero state più
semplici in accordo con le tradizioni locali.

Il dossier  sull’Isis
Signor Direttore,

abito a Bruxelles, in Belgio, e collaboro gratuitamente
con una rivista francese di dibattito ecclesiale, «Golias», con sede a Lione (http://golias-editions.fr).
Il direttore, Christian Terras, trova che il vostro articolo «Nessuna
compassione per gli “infedeli”» è particolarmente illuminante per evitare
discorsi all’ingrosso, soprattutto dopo gli attentati del 7 e 9 gennaio a
Parigi. Non mancano evidentemente studi francesi sull’Islam, ma Golias
ritiene che il punto di vista del vostro articolo è abbastanza originale (e in
un certo senso profetico, visto che è stato redatto ben prima dei noti
fatti di sangue) rispetto alla valanga di tante altre opinioni espresse in
questo mese di gennaio nella stampa francese.
Per queste ragioni vi chiediamo l’autorizzazione per
pubblicarlo. Contando sulla vostra simpatia, vi ringraziamo anticipatamente.
Cordiali saluti,

Carmine
Casarin
Bruxelles, 29/01/2015

Cibo e violenza

Abbiamo iniziato lunedì 9 febbraio 2015, a leggere nella
celebrazione della messa il libro della Genesi. Il passo di oggi descrive il
quinto, sesto e settimo giorno della creazione (Gn 1,20-2,4a). Secondo il primo
libro della Bibbia il cibo dell’uomo è esclusivamente vegetale (cfr. Gn 1,29);
così pure per gli animali (cfr. Gn 1,30). Dopo il diluvio ci fu la concessione
del cibo carneo a esclusione del sangue animale, poiché il sangue è simbolo di
vita. Gli animali si dividono in: caivori – onnivori – erbivori – scimmie
antropoidi. L’uomo non rientra fisiologicamente e anatomicamente nei  primi
tre grandi insiemi. Egli è assai simile alle scimmie antropoidi il cui cibo
elettivo è: frutta – grani – semi. Un comandamento del decalogo comanda di «non
uccidere»: nel testo è riferito all’uomo. Ma se «Dio è amore» (1Gv 4,8.16) come
mai la violenza dell’uccisione di un animale da parte di un altro animale è
permessa? La scrittrice Annamaria Manzoni, rispondendo al mio interrogativo,
affermò categorica-
mente che nell’uomo c’è libertà (ovvero possibilità di scegliere), mentre
l’animale non umano agisce per istinto. Ma rimango nell’interrogativo del perché
l’esistenza della violenza. La mia risposta: «La vita è un mistero». Come
sostiene il teologo Luigi Lorenzetti, non è indifferente la scelta del cibo da
parte dell’essere umano: mangiare cibi vegetali è certamente meno violento che
consumare cibi frutto di prevaricazione. E gli alimenti vegetali sono
sicuramente portatori di maggiore serenità: tanti uomini illustri come il
Mahatma Gandhi sono stati vegetariani e pacifici. La Bibbia non è certo un
libro di cucina o nutrizione: consumare un alimento o l’altro è frutto di una
scelta, che dovrà essere razionale e responsabile. Per non parlare
dell’abbigliamento: fa freddo; è poi indispensabile coprirsi con pellicce e
montoni? E se il cane è il miglior amico dell’uomo, gli altri animali possono essere
uccisi senza scrupoli?

Stefano
Severoni
Roma, 10/02/2015

Grazie
della sua condivisione con noi. Mi permetto di sottolineare solo due punti.
La
Bibbia è una raccolta di libri molto diversi tra loro che raccontano anzitutto
un’esperienza religiosa. Se è vero che si trovano frasi come quelle da lei
citate a sostegno del vegetarianismo, è anche vero che ce ne sono molte altre
che danno per scontato il consumo di carne. Tutta la struttura dei sacrifici,
dall’agnello pasquale agli olocausti, presuppone che i partecipanti al rito
consumino carne. Come lei giustamente sottolinea, «la Bibbia non è certo un
libro di cucina o nutrizione». E nemmeno un libro di sartoria. A proposito
delle pelli, posso dire di aver visto delle popolazioni che le indossavano
quotidianamente. Era una scelta di necessità causata dall’ambiente difficile,
dallo stile di vita e dall’isolamento. Oggi quella stessa gente usa gli abiti
di pelle solo in occasioni cerimoniali o folkloristiche, mentre normalmente
veste abiti di stoffa (magari usati), ormai venduti anche negli angoli più
remoti. Con gran beneficio dei denti delle loro donne, che un tempo dovevano
masticare le pelli per conciarle.

Quanto
alla violenza, la Bibbia ci dice che è entrata nel mondo con il peccato. È il
mistero della libertà. L’uomo sceglie di fare a meno di Dio. Quando l’uomo (l’adam,
uomo e donna uniti) rifiuta Dio come baricentro delle sue relazioni e pone se
stesso al centro, l’equilibrio delle relazioni salta ed esplode la violenza.
Nel mondo riconciliato nella croce e resurrezione di Gesù, la violenza non
dovrebbe aver più spazio. La comunità cristiana (popolo di Dio, Chiesa)
dovrebbe essere profezia di un mondo riconciliato e in pace. Ecco perché negli
ordini monastici antichi frateità e pace, povertà e vegetarianismo,
contemplazione e obbedienza a Dio viaggiavano insieme.

Parrocchie accorpate

Con la presente Vi preghiamo voler annullare invio della
rivista alle seguenti parrocchie… (ben quattro, ndr). Certi che
comprenderete nella giusta luce quanto richiesto, porgiamo cordiali saluti

La
segreteria (delle 4) Parrocchie
email, 09/01/2015

Questa
email non era per la pubblicazione. Per questo ogni riferimento specifico è
stato omesso. Ho pensato di farla conoscere ai nostri lettori per condividere
alcune considerazioni, poiché ci è chiesto di comprendere «nella giusta luce
quanto richiesto».
Ovviamente
comprendo benissimo la dura realtà dell’accorpamento di parrocchie, risultato
della crisi in atto nella Chiesa italiana (ed europea) che si trova con un
clero in costante diminuzione e sempre più anziano. È la stessa crisi che sta
decimando i missionari italiani nel mondo.
Ma
mi è difficile capire perché cancellare tutte le quattro copie in questione. La
mia illusione è che una rivista mandata a una parrocchia non debba essere solo
per il sacerdote, ma per i fedeli, per il gruppo missionario, per chi ha a
cuore la missione della Chiesa. Senza sacerdote, i laici di quella comunità
dovrebbero sentirsi ancora più missionari e responsabili dell’annuncio del
Vangelo. Una apertura alla missione universale non dovrebbe essere vista come
un rubare forze all’impegno locale di evangelizzazione, ma come un
incoraggiamento.
L’interesse
per la missione universale (quella detta ad gentes) non è un furto di risorse,
una fuga dai problemi o una scusa per non impegnarsi «qui e ora». Da sempre la
Chiesa sa di essere missionaria per sua natura e non invia missionari solo
perché è nell’abbondanza, ma perché sa bene che se non esce da se stessa muore.
La sua fede si mantiene solo donandola, condividendola nell’amore. Papa
Francesco ci ricorda tutto questo con grande forza. Niente di nuovo. Lo ha già
detto il Concilio Vaticano II, cinquant’anni fa. E neanche allora era una novità,
solo una realtà un po’ dimenticata.

Faccia a faccia

Gent.mo Padre,
solo recentemente mi sono accorto della sua risposta alla mia lettera apparsa
sulla rivista di novembre. Mi sono veramente commosso, perché non l’aspettavo
più. Attendevo una risposta per corrispondenza. Nella sua risposta ho notato
una ripetizione nei riguardi di Dio. La prima è quando dice: «Ha preparato i
suoi figli all’incontro: faccia a faccia con Dio». La seconda quando dice: «Dal
momento che la morte è l’ingresso nella visione di Dio, faccia a faccia».

Questi due passaggi io non li condivido, perché:

Giovanni 5,37 recita: «Voi non avete mai sentito la Sua
voce, né visto mai il Suo volto».
Giovanni 1,18: «Nessuno ha mai veduto Dio, l’unigenito
figlio, che è nel seno del Padre, egli stesso (Cristo) ce lo ha fatto conoscere».
Colossesi 1,15: «Egli (Cristo) è l’immagine
dell’invisibile Dio».

Genesi 1,26 (nota in fondo pagina), «Dio non ha corpo».

Complimenti per l’articolo «Una voce in meno» rivista n.
11. Condivido tutto quello che ha scritto. Complimenti. In chiesa vedo un vuoto
dei giovani. Alla messa festiva, ove presenziano circa 200 persone, mancano i
fedeli di età inferiore ai 30-40 anni e di conseguenza ci sono i bambini. «È
triste», le persone assistono alla Messa in modo superficiale. Giunga a lei, a
don Farinella e ai suoi collaboratori, un cordiale e sincero saluto.

Guido
Dal Toso,
lettera da Somma Lombardo (VA), 23/01/2015

Caro
Sig. Guido,
pubblico con piacere la sua seconda lettera, scritta a mano in un bel corsivo
che ormai si vede sempre più raramente. Mi scusi se ho tagliato molte delle
cose che mi ha raccontato e non le ho risposto personalmente. Le lettere che
riceviamo sono normalmente considerate per queste pagine.
Riguardo
al «faccia a faccia» è certamente un’espressione inadeguata per esprimere un
mistero, ma il bello della Sacra Scrittura è che Dio ha scelto di parlare agli
uomini di sé usando il nostro limitato linguaggio, pur senza lasciarsi esaurire
dallo stesso. «Quando vedrò il tuo volto?», supplica l’orante nel salmo 41.
Certamente con la morte, non più limitati da questa corporeità, potremo «vedere
Dio faccia a faccia», godere cioè della sua conoscenza (amore) pieno, totale e
senza veli. È un linguaggio umano, è vero, ma noi non sappiamo esprimerci in
altro modo. Per questo Dio si è «abbassato» al nostro livello, mandando il suo
Figlio prediletto per rivelarci il suo vero volto di Amore.

Caselli

Gentili Direttore e Collaboratori vari della bella
rivista MC,
da tanti anni la leggo – ora un po’ meno – con i miei 80
anni. (Quello che) desidero ancora è vedere il carcere, incontrare i detenuti e
tutto quanto compete. È diventato la mia casa, la mia grande famiglia, è un
momento di relazioni e incontri con tanti detenuti e i loro cari, quando è
possibile.

Vado due volte alla settimana per i colloqui personali
con i detenuti ed alle ore 16,00 per la messa. Prego ed offro la mia vita con
tutti i miei limiti. Prego, ma soprattutto ci sono tante persone che pregano
per me, per il carcere di Cuneo. Sono, siamo in comunicazione di amicizia con
cinque monasteri di clausura e con le mie consorelle e tante persone buone.
L’anno scorso ho incontrato circa 350 diverse persone, ho fatto oltre 1.300
colloqui. Le manderò una relazione annuale e qualcosa di relativo a questo
campo. Preghi anche per me e quanti incontro. Grazie. Lascio una lettera per il
Procuratore Caselli Giancarlo. Lo conosco da 16 anni, sempre per carcere e
dintorni. Non ho un recapito, ora che non è più in Procura. Grazie tanto.

Suor
Elsa Caterina,
Cuneo, 08/01/2015

I dannati di
Atene,

gli eroi del
Lussemburgo e l’eroina di Berlino

Spero che il giudice Caselli scriva ancora tanti articoli
su MC perché quello della legalità è un concetto che va approfondito.

Per me che sono credente legalità significa innanzitutto
rispetto della legge naturale, quella del Vangelo, quella della Bibbia, quella
della Chiesa, quella di Papa Francesco, ma siccome sono anche italiano
significa anche rispetto della Costituzione della Repubblica Italiana.

Ora certe leggi, certe regole, certi patti, certi
impegni, dai quali i nostri governanti dicono di non poter assolutamente
derogare mal si conciliano con la nostra Costituzione.

Non passa giorno che la Commissione Europea non minacci
sanzioni contro i paesi come l’Italia, non passa giorno che i nostri politici
non discutano di riforme, non passa giorno che non si parli di spread con i
bund tedeschi, di crescita, di rispetto dei parametri di Maastricht, di Grecia
sull’orlo del disastro. Dopo la vittoria di Tsipras, dopo la sua decisione di
riassumere una parte di coloro che erano stati licenziati, di ridare la
tredicesima ai pensionati che se l’erano vista sottrarre dalle riforme di
Samaras, di innalzare le pensioni minime, il Presidente della Commissione
Europea J.C. Juncker, in perfetta sintonia con la signora Merkel, Schaeuble,
Weidmann, Katainen & C, ha subito minacciato: «Tsipras ci rispetti, la
Grecia non può derogare dagli impegni presi».

Neanche due mesi prima però lo stesso Juncker, che è
stato Primo Ministro del Lussemburgo per ben 18 anni, a chi gli faceva notare
che nel suo paese le multinazionali avevano pagato e continuavano a pagare solo
l’1% di tasse sui profitti d’impresa rispondeva: «Tutto regolare, tutto legale,
non c’è evasione».

La domanda che faccio al giudice Caselli è questa: c’è
una relazione tra il + 40% di mortalità infantile e + 90% di suicidi in Grecia
e l’1% di tasse sui profitti dei nababbi in paradisi fiscali legali come il
Lussemburgo?

Arriverà un giorno in cui i nostri giudici costituzionali
riconosceranno l’incompatibilità di certe leggi come quelle che impongono il
pagamento di tasse sulla casa e su tutti gli ambienti in cui si vive
onestamente, si lavora onestamente, si produce ricchezza pulita (materiale e
non…), con gli articoli 1 e 53 della nostra Costituzione?

C’è una relazione tra le immani difficoltà e le tremende
vessazioni fiscali che coloro che svolgono lavori umili (lavoro dei campi,
lavoro casalingo, lavoro mal retribuito, e, checché ne dica Renzi, a tutele
decrescenti) e il lavoro dorato a cui si sono abituati i cittadini del
Lussemburgo (dove 1 abitante su 19 è banchiere o bancario)?

Come mai invece di parlare di riforme in generale gli
eurovertici non dicono chiaro e tondo ai governanti e ai magistrati greci di
intervenire con mano ferma nei riguardi dei loro connazionali armatori? Come
mai non fanno nulla contro l’evasione fiscale degli armatori in generale che,
sulle loro navi, grandi e piccole, anziché la bandiera del proprio paese, fanno
sventolare quella liberiana e panamense?

Distinti saluti

Luciano
Montenigri
Fano, 04/02/2015

La
rubrica di Giancarlo Caselli è appena cominciata e già suscita aspettative.
Bello. In verità gli abbiamo dato mano libera nella scelta degli argomenti,
pregandolo di non chiudersi solo nelle problematiche italiane o europee, ma di
avere a cuore il mondo, soprattutto i poveri e le vittime dell’ingiustizia
globale.

risponde il Direttore




Cari Missionari

Calendario di Suor Irene

Caro padre,
scrivo da Roraima, in Brasile. Complimenti a te e a tutti per Missioni
Consolata N. 11. Tutto molto, molto «buonissimo»! Ma per quel calendario di
suor Irene non basta il 10 e lode! Fantastico per le foto e per le
sottolineature dei temi. Anche il tuo editoriale, Una voce in meno, la
dice lunga sulla solidarietà che ha un sapore ben diverso dalla competizione!
Che ne dici: non c’è posto per tutti in questo mondo? Buone le domande, le
statistiche, gli interrogativi che fanno pensare… Non mollate. Un giornale è
sempre un’opera d’arte.

Leta
Botta, missionaria della Consolata
Roraima, 15/12/2014

San Domenico Savio

Spettabile Redazione,
sono un lettore – magari un po’ discontinuo – della vostra rivista. Noto con
piacere che davvero non vi mancano notizie, messaggi, riflessioni utili; ciò è
dimostrato anche dal carattere piuttosto piccolo che prevale nelle pagine della
vostra MC.

Nel Congresso Eucaristico Diocesano che si è svolto a
Castelnuovo Don Bosco circa mezzo secolo fa, ho cantato anch’io l’inno: «Ritorna,
o Signore, è questa la terra da te prediletta, la terra dei Santi (…). In
mezzo a noi, Signor, scegli i tuoi Santi; scegli i tuoi Santi ancor, in mezzo a
noi, Signor!» (Parole di José Cottino e musica di Camillo Milano).

Nell’articolo di pagina 32, a metà della seconda colonna,
leggo: «… anche se dovrebbe essere battezzato Castelnuovo dei Santi perché
ben quattro (va aggiunto infatti anche Domenico Savio) sono i santi che lì
hanno avuto i loro natali…». Condivido con voi tutto il contenuto
dell’articolo, ma vorrei precisare che Domenico Savio è nato a Riva presso
Chieri e non a Castelnuovo. È però verissimo che ha vissuto la massima parte
della sua vita nel comune di Castelnuovo.

Il Signore vi aiuti a fare sempre del bene, soprattutto
nei «luoghi di frontiera», nei quali vi siete già distinti in molte occasioni.
Grazie di tutto! Cordiali saluti ed auguri di ogni bene da

Antonio
Caron
email, 06/12/2014

Ridateci i libri

Ricevo
la bella rivista da un cinquantennio e prima ancora la stessa era presente
nella mia famiglia di origine. Il suo arrivo è sempre una gioia per ricchezza
di contenuti, profondità degli argomenti trattati e pregevolezza della veste
editoriale. Mi permetto di proporre alla redazione il ripristino di due
antiche, per me e penso per altri lettori, utili e interessanti rubriche: la
presentazione bibliografica di nuovi libri e la rubrica filatelica che fu
presente per moltissimi anni. Due arricchimenti certamente utili specie per i
lettori più anziani o per chi risiede in luoghi decentrati.

Ringrazio per l’attenzione e unisco, per tutti i
missionari, un cordialissimo saluto.

Luigi
Bisignano
15/12/2014

Grazie di averci scritto. La rubrica dedicata
ai libri, rinnovata, torna proprio in questo numero, a pag. 2, mentre per
quella filatelica… non potrà più essere come una volta. Dovesse ritornare,
son sicuro che rimarrà piacevolmente sorpreso. Ogni bene a lei.

Batik

Ho avuto l’occasione di visitare la mostra missionaria
dell’Immacolata a Torino in favore dell’ospedale di Neisu in Congo e vi ho
potuto ammirare e acquistare alcuni batik provenienti dal Kenya. Confesso la
mia
ignoranza in materia e pertanto mi permetto di suggerire per la vostra rivista
di dedicare un articolo a questa forma artistica. Non mi pare, salvo
distrazioni, di ricordae sull’argomento. Potrebbe anche essere una buona
pubblicità per suscitare interesse a decorare la propria casa in questa forma.
Se ci fosse sufficiente varietà potreste anche pensare ad esporli
fotograficamente sul vostro sito web. Magari lo avete già fatto!

Claudio
Solavagione
email, 19/12/2014

DI bambini e missionari

Caro Padre Gigi,
ancora una volta ringrazio per l’editoriale,
oltre che per tutti i contenuti del mensile. Mi riferisco a Un sogno da
bambini
. Ringrazia per me la scuola dell’infanzia che ha organizzato il
presepio vivente descritto perché le insegnanti, nonostante l’impegno
richiesto, hanno affrontato tale evento per far vivere a piccoli e grandi «qualche
cosa» del mistero del S. Natale. Mi permetto di sottolineare, come pedagogista,
che non si tratta né di una recita e né di un teatrino. Se non c’è l’assillo
della parola esatta o del gesto perfetto o del movimento sempre identico, i
bambini interpretano i ruoli in modo spontaneo e giornioso, così come sono stati
descritti, e fanno sul serio, non recitano, sono veri nelle loro espressioni!

Quanto all’affermazione conclusiva dell’articolo citato e
pubblicato su La Stampa del 23 ottobre dell’anno scorso, che cosa dire?
Purtroppo l’ignoranza è molto diffusa ed è trasversale. Non c’è conoscenza
relativa al tipo di lavoro, agli obiettivi e grado di impegno dei missionari,
per cui chi ha scritto non si è reso conto della contraddizione in cui è
incappato. Se in
Africa c’è bisogno della giustizia sociale, in Italia c’è bisogno sia della
stessa che della cultura, oltre che della formazione e dell’educazione.

Auguro che Missioni Consolata trovi, nel 2015, sempre più
lettori e lettori critici e propositivi!

Milva
Capoia
Collegno, 02/01/2015

Bambini Salvadoregni, E
adozioni illegali

Dopo aver letto il dossier di MC di luglio 2014 ci
permettiamo di scrivere su questo importante argomento.

Quanti bambini salvadoregni sono stati adottati in Italia
negli anni ’80?

È una domanda senza risposta. La
sparizione di persone fu una pratica sistematica durante il conflitto armato
nel Salvador fra il 1980 e il 1992. Di più: infame fu la sparizione di bambine
e bambini, una pratica impiegata come strategia militare controrivoluzionaria.

Nei suoi 20 anni di esistenza, Pro Búsqueda ha
registrato 934 casi di separazione forzata di bambini dai loro genitori durante
la guerra del Salvador. A tutt’oggi è riuscita a trovare 392 di loro. Il lavoro
di
Pro Búsqueda si riferisce a quei bambini che furono fatti sparire dalle
loro famiglie, rivendicando i loro diritti violati e servendo da tramite fra le
famiglie biologiche e quelle adottive.

I bambini furono considerati un bottino di guerra che
generò sostanziosi benefici economici a favore di coloro che ne fecero motivo
di commercio. Durante la guerra del Salvador si creò una rete di adozioni
illegali con la complicità di militari, funzionari pubblici, avvocati,
responsabili di orfanotrofi e addirittura di volontarie della Croce Rossa del
Salvador.

Il nostro paese fu tra quelli che realizzarono più
adozioni inteazionali negli anni ’80. In quel periodo gli Stati Uniti emisero
più di 2.300 visti di adozioni per bambini del Salvador. Furono adottati
numerosi bambini anche in Europa, specialmente in Italia.

Pro Búsqueda
non possiede dati esatti sul numero di adozioni di bambini salvadoregni in
Italia durante la decade degli anni ’80. Tuttavia in Italia sono stati risolti
già 39 casi. La collaborazione delle autorità italiane per conoscere il numero
esatto di adozioni nel paese sarebbe di vitale importanza per capire la
dimensione del fenomeno dell’infanzia scomparsa in El Salvador.

La sparizione di questi bambini e la loro successiva
adozione fraudolenta ha violato i loro diritti fondamentali e anche quelli dei
loro genitori biologici e adottivi. Si è strappato ai genitori biologici la
cosa più preziosa della loro vita e ai bambini si è negato il diritto alla loro
identità, a rimanere con la loro famiglia e, oggi, a sapere quali sono le loro
origini. Si è abusato anche della fiducia e della buona volontà di molti
genitori adottivi che non erano a conoscenza delle irregolarità che venivano
commesse in El Salvador.

L’aiuto delle autorità italiane permetterebbe di avanzare
nella risoluzione di molti casi che rimangono irrisolti. Non sarebbe solo un
gesto di umanità verso le vittime salvadoregne di questo orribile crimine, ma
anche di responsabilità verso i suoi obblighi inteazionali, come quelli
contenuti nella Convenzione Internazionale sui Diritti del Bambino, ratificata
dall’Italia e da El Salvador.

Inoltre sarebbe un sanare un debito verso tutti quei
cittadini italiani di origine salvadoregna che vogliono ricostruire il loro
passato e la loro identità. E diventerebbe meno pesante il fardello di tutti
quei genitori che continuano a cercare i loro figli scomparsi.

Asociación
Pro Búsqueda de niñas y niños
 desaparecidos
www.probusqueda.org.sv
email, 21/11/2014

CHE senso ha la Missione, oggi?

(N.B.:
i titoletti nel testo sono redazionali)

Rev. Padre,
lasci che un quasi settantenne utilizzi ancora anche lui una lettera cartacea
vista la mia poca dimestichezza con il computer (che, tuttavia, sia chiaro, non
demonizzo!). Scrivo in merito al suo editoriale apparso sul numero di novembre
del 2014, che un mio caro riceve e che poi mi passa. Concordo circa il dolore
nell’apprendere della cessazione di una pubblicazione missionaria, né è mia
intenzione fare analisi socio-economiche sul continuo decrescere dell’amore
alla lettura o – quanto meno – nei confronti della carta stampata.

Mi conceda alcune riflessioni in cui, le assicuro, non vi
è la più piccola parte di polemica.

La missione, un tempo

Quando ero giovane, e anche desideroso di farmi
missionario, lo scopo delle missioni e della vocazione missionaria, era
chiarissimo a tutti: portare il cristianesimo (il cattolicesimo) a popoli che
ancora non avevano avuto la gioia di conoscerlo. In parole povere, anche se
oggi il termine non è politically correct: convertire. Alle foto di
allora, con il padre missionario con la sua veste bianca, il casco coloniale,
una bella lunga barba, facevano seguito resoconti del tipo, quanti villaggi
visitati, quante cappelle aperte, quanti battesimi celebrati, quanti matrimoni.
In altri termini tutta una relazione circa l’apostolato del convertire. Forse,
anzi, toglierei anche il forse, in quelle relazioni emergeva una dose di
trionfalismo, ma il lettore almeno aveva le idee chiare, forse troppo semplicistiche,
ma chiare.

La missione oggi

Poi venne il Vaticano II (e qui, prima di andare avanti
vorrei precisare che considero quel concilio un vero dono di Dio) e le grandi
attese: seminari pieni e vocazioni a valanga. Ma per motivi che non so
spiegarmi, poco per volta avvenne l’esatto contrario.

Too all’aspetto delle missioni e dei missionari. Si
cominciò col dire che lo scopo delle missioni non era quello di convertire,
bensì «testimoniare», e qui la chiarezza dei concetti incominciò ad
annebbiarsi. Poi un sempre e crescente impegno del missionario nel creare
pozzi, forme nuove di agricoltura, sviluppare artigianato, occuparsi della
promozione della donna, prendersi cura della gioventù e tante altre belle cose
che sicuramente ogni missionario curava anche prima, ma che erano secondarie
all’evangelizzazione.

Poi tutta un’altra serie di messaggi belli, sì, ma forse
non ben spiegati al popolo cristiano. Anch’io mi sono commosso a vedere le foto
delle grandi preghiere ecumeniche ad Assisi, ma il messaggio che è giunto è
stato che tutte le religioni sono nobili e degne allo stesso modo, e che ognuna
è una strada per giungere a Dio.

A questo punto diventava ineludibile la domanda: e
allora, se Dio ha dato a quei popoli una loro forma di espressione religiosa,
dato che Dio non lascia orfano nessun popolo, in base a quale principio io devo
andare là per convincerlo a lasciare i suoi culti e divenire cattolico?

Mi ricordo che in un’intervista letta anni or sono, ad un
certo punto, il giovane missionario che partiva, alla domanda se andava per
convertire, rispose: «No, vado per essere convertito». Probabilmente intendeva
dire che quanto di buono avrebbe trovato in terra di missione lo avrebbe
spronato a diventare un miglior cattolico, ma letta così, tout court, la
frase spiazzava.

Siamo giunti a tal punto che oggi il missionario per
eccellenza è quello che è stato a Korogocho (pron. Corogocio, ndr)
e che guida cortei per la tutela dell’acqua
pubblica.

Qual è l’essenza della missione

Belle e sante cose, ma torniamo alla base: qual è l’essenza dell’essere missionario? E a questa domanda ne
segue un’altra. Tutte le riviste missionarie, compresa la sua, non fanno altro
che riportare inchieste interessantissime e quasi sempre molto equilibrate,
inchieste sociali, politiche, storiche, il
tutto – ripeto – molto bello. Ma quante volte compare il nome di Gesù Cristo? È tutto un resoconto di sopraffazioni di stati su
stati, di etnie su etnie, di caste su altre caste. Ma cosa serve studiare
teologia e tutte le materie a essa connesse se poi offrite un prodotto per il
quale sarebbe sufficiente un esperto di politica internazionale o uno storico
equilibrato?

Se prima, a mio parere, l’essenza della missione era
quella di predicare il cristianesimo a popolazioni che avevano altre forme
religiose a nostro avviso belle, nobili, ovviamente da rispettare, per certi
aspetti anche da prendere ad esempio, ma comunque non equiparabili al messaggio
di Cristo, oggi quale è questa essenza?

Avviene quello che succede ad ogni aggregazione umana, ad
esempio tra partiti politici che si fondono: la perdita della propria identità
e specificità annulla anche il movente interiore, lo stimolo che prima c’era a
voler partire missionari.

Se un giovane che dovesse avere la vocazione riflette un
po’, se va per costruire pozzi, case, ponti, impiantare aziende, creare
movimenti di sindacalizzazione, creare scuole (tutte cose bellissime, sia
chiaro) non gli basterebbe essere un buon geometra, un buon ingegnere, un buon
manager, un buon professore? Poi, se è anche un buon cristiano, meglio ancora!

Concludendo
Due questioni aperte.

1. Un tempo il missionario portava Cristo e il Vangelo,
di conseguenza tutta la sua azione si completava anche, visto che l’uomo è
corpo e anima, con opere umane di promozione sociale dei popoli ai quali era
inviato. Ma l’essenziale era ben distinto dal secondario. Oggi il secondario ha
preso il posto di ciò che prima era ritenuto essere l’essenziale della
missione. Capovolgendo i valori la missione non poteva che soffrie.

2. Il secondo punto è la necessità di spiegare con
chiarezza il significato di certi gesti in sé bellissimi, compiuti ad esempio
dai papi, ma che possono prestarsi a equivoci o a volute distorsioni da parte
della stampa laicista. Lo si è visto con la frase di papa Francesco «Chi sono
io per giudicare» che, sulla stampa nazionale è diventata una sorta di
sdoganamento dell’omosessualità. Anche recentemente, l’inchino verso il primate
degli ortodossi, la preghiera nella moschea rivolto alla Mecca. Se tutto ciò
non viene spiegato, altro non porta che alla solita conclusione. Ogni religione
è strada verso Dio, di conseguenza una forma missionaria della chiesa cattolica
altro non può essere vista che come una forma di sopraffazione nei confronti di
altri culti.

La saluto con stima e affetto, spero di essere stato
sufficientemente chiaro nell’esposizione dei miei pensieri, cordialmente suo,

Alfredo
Garianol
Genova, 16/12/2014

Caro
Sig. Alfredo,

è stato più che chiaro. Sull’ultimo punto, avesse scritto dopo il viaggio del
Papa in Sri Lanka, avrebbe potuto aggiungere altri argomenti al dibattito. La
ringrazio della sua lettera che tocca il tema scottante della missione della
Chiesa oggi. Non ho una risposta precisa da darle. Le assicuro che quanto lei
ha esposto costituisce il cuore del dibattito sulla missione e la nuova
evangelizzazione.

È vero, in
questi anni, per noi giornalisti missionari è stato più facile raccontare di
sviluppo, di giustizia e di pace che dell’esperienza di fede che vivono i
missionari. Questi ultimi spesso hanno pudore a raccontare della vera forza che
li anima dentro, l’amore per Gesù Cristo. In più anche noi abbiamo forse
un’eccessiva preoccupazione di voler essere accettati/letti da tutti senza
apparire integralisti o impegnati a fare proselitismo.

Ricordo
che io stesso ho criticato con forza la redazione di MC nel 2002, quando, in
occasione del centenario dell’arrivo dei missionari della Consolata in Kenya,
aveva preparato un bellissimo numero speciale dove però si era scritto di
tutto, eccetto che degli incredibili risultati di cento anni di
evangelizzazione: una comunità cristiana vibrante, una Chiesa locale quasi
autosufficiente e soprattutto una Chiesa diventata missionaria.

Noi
siamo profondamente convinti che l’unica ragione della missione è Gesù Cristo e
l’annuncio della Buona Notizia (Vangelo) che è Lui. È Lui che dà la forza ai
missionari di resistere anche nelle situazioni più dure, fino a dare la vita.
Papa Francesco, nonostante possa confondere qualcuno con i suoi gesti di
apertura, dialogo e rispetto per le altre religioni, è molto chiaro in questo.
La sua Evangelii gaudium non lascia dubbi.

Il
problema per noi di MC si presenta di mese in mese quando veniamo alla scelta
concreta degli articoli. Non sempre riusciamo ad avere materiale che ci
permetta un buon bilanciamento dei testi, ce ne rendiamo conto. Corriamo così
il rischio di dare prevalenza ad articoli che potrebbero apparire benissimo in
riviste di socio-politica ed economia internazionale.

Le
assicuriamo comunque che, come è stato detto al Convegno missionario di
Sacrofano (cfr pag. 10), è nostro grande desiderio «Rimettere Cristo al
centro», perché è solo in Lui che, come persone e come cristiani, troviamo le
motivazioni vere per dare la vita per un mondo nuovo, giusto, fraterno, a norma
«divina».

risponde il Direttore




Cari Missionari

Pagare le tasse

Caro Direttore,
lo spirito critico credo sia fondamentale per non accettare supinamente le
varie sfaccettature di un pensiero che è sempre molto personale nel vissuto
esistenziale di un cristiano o laico, in una società piena di contraddizioni.

Non ho nulla che mi divida nella risposta che hai voluto
dedicare al mio più che amichevole intervento (cf. MC 4/2014, pag. 7). Io,
politico e amministratore sindaco per 10 anni, e, per altri 5, consigliere
provinciale a Como, tante volte mi espongo a giudizi e valutazioni molto
settoriali di pensiero anche se supportati da esperienze di vita. D’altronde,
se il pensiero sul come e sul perché non avesse sbocchi verso i nostri
fratelli, ci renderemmo colpevoli di un grave furto culturale e di crescita
consapevole. È per questo che cerco di leggere e documentarmi su pensieri molte
volte contradditori di Martini, Biffi, Tettamanzi, Kung, Augias e Mancuso,
riviste come Civiltà cattolica, Il Regno e tante altre, come la vostra, sempre
gradita.

Mercoledì 2 Aprile, su La Stampa di Torino, nel «Buongiorno:
Palpeggia e Patteggia» del giornalista Massimo Gramellini (che apprezzo molto),
ho avuto modo di condividere senza soluzione di dubbio quanto la società
attuale sia consapevolmente e coscientemente peggiorata facendo affogare (col
vil danaro) i principi che ogni cristiano dovrebbe difendere, anche con le
unghie, contro una società sempre più laica e insensibile alla povertà che come
la peste si espande nei paesi cosiddetti ricchi. Nella nostra Italia un
cittadino su tre ha bisogno di sostegno.

Il nostro impegno nel combattere queste emergenze sociali
si fa di giorno in giorno sempre più difficile e improbo, nella speranza che il
futuro, senza scomodare il medioevo e il rinascimento, ci porti nella
consapevolezza di credere nell’amicizia, nella carità e nell’amore verso il
creato.

Il mio sogno nei confronti della Chiesa?

Che un confessore non chieda più dei peccati di sesso, ma
che faccia una domanda secca: «Paghi le tasse oppure frodi?».

Il motivo di questa richiesta evangelica è molto semplice
per un cristiano credente. Nel primo caso (dei «peccati di sesso», ndr) è
lui stesso il soggetto implicato, con la sua coscienza, la sua morale e, se
vogliamo, una ristretta cerchia di persone.

Nel secondo caso, «frode all’erario» (vedi gli scritti
evangelici «date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio»),
è tutta una società che viene coinvolta in un processo che ci rende colpevoli
della povertà di tanti nostri fratelli, responsabilità inaudita.

La Chiesa è fratea, la Chiesa è amore, la Chiesa è
perdono, etc. La Chiesa, come principio fondamentale, dovrebbe insegnare anche
la strada della rettitudine e non del contagio come spesso viene ripetuto da
tanti cristiani «con i soldi compri anche il Paradiso». È spiacevolissimo.

Giovanni
Besana
18/04/2014

Caro Giovanni,
grazie del commento. Don Paolo Farinella ha dedicato pagine illuminanti su
questa rivista a quel «date a Cesare» (vedi la serie di otto articoli
pubblicati da marzo a novembre 2013). La Chiesa nel suo insegnamento non ha mai
condonato la frode, anche fiscale, benché senza la forza applicata ad altri
peccati. Il Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato nel 1992, non ha un
capitolo specifico sul tema, ma usa comunque parole forti e chiare in due brevi
interventi. Nel primo, spiegando il quarto comandamento «onora il padre e la
madre», al numero 2240 è scritto: «La sottomissione all’autorità e la
corresponsabilità nel bene comune comportano l’esigenza morale del versamento
delle imposte, dell’esercizio del diritto di voto, della difesa del paese:
Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo il tributo; a chi le
tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto, il rispetto (Rm
13,7 )».

Il secondo intervento
è nel contesto del settimo comandamento «non rubare», al numero 2409:  «Ogni modo di prendere e di tenere
ingiustamente i beni del prossimo, anche se non è in contrasto con le
disposizioni della legge civile, è contrario al settimo comandamento. Così,
tenere deliberatamente cose avute in prestito o oggetti smarriti; commettere
frode nel commercio; pagare salari ingiusti; alzare i prezzi, speculando
sull’ignoranza o sul bisogno altrui. Sono pure moralmente illeciti: la
speculazione, con la quale si agisce per far artificiosamente variare la stima
dei beni, in vista di trae un vantaggio a danno di altri; la corruzione, con
la quale si svia il giudizio di coloro che devono prendere decisioni in base al
diritto; l’appropriazione e l’uso privato dei beni sociali di un’impresa; i
lavori eseguiti male, la frode fiscale, la contraffazione di assegni e di
fatture, le spese eccessive, lo sperpero. Arrecare volontariamente un danno
alle proprietà private o pubbliche è contrario alla legge morale ed esige il
risarcimento».

C’è di che riflettere
e agire, anche in questa nostra bella Italia.


Sesta volta in Etiopia

Un nuovo viaggio all’insegna del volontariato (il sesto),
l’ho realizzato nel mese di marzo 2014, presso la missione di Modjo, gestita
dal missionario della Consolata padre Paolo Angheben, da 36 anni uomo di Dio in
terra di Etiopia. Ciò che ho visto e vissuto è stato per l’ennesima volta una
catarsi umana, cristiana e psicologica. A Modjo, grazie all’Associazione «Altri
Orizzonti» di cui sono vicepresidente, è stata realizzata e inaugurata la sala
mensa e dormitorio della scuola matea che servirà per 180 bambini. Con
l’aiuto di tutta la nostra comunità di Borgo Valsugana (Tn) e del territorio,
in questi anni sono state realizzate molte opere: la scuola di Daka Bora, il
ponte «Della Stella, della Speranza, della Solidarietà» nel villaggio di Minne,
la costruzione di una biblioteca a Debre Selam, ove 5.000 ragazzi possono
studiare, scambiarsi libri e imparare l’uso del computer e di Inteet, la
chiesetta intitolata all’Emmanuele, la realizzazione del campo sportivo di
metri 90 x 40. I fondi raccolti sono serviti anche per pagare gli stipendi dei
40 maestri per 1400 bambini delle scuole dei villaggi di Weragu e Minne. La
riconoscenza delle comunità locali è grande. L’ho sperimentata negli incontri
quotidiani e nella gioia dei bambini.

Ho fatto una nuova e interessante esperienza con venti
giovani cattolici della missione, di cui nove ragazze. Alcuni lavorano come
catechisti o infermieri. Assieme a fratel Vincenzo Clerici ci siamo recati
presso la casa di accoglienza ad Addis Abeba retta da tre suore missionarie del
Movimento Contemplativo Padre De Foucauld di Cuneo, che ospita dai 15 ai 20
rifiutati dalla società. Quanto amore, dedizione, generosità, professionalità
da parte di queste suore. Queste persone si sentono amate, protette e, malgrado
la grande sofferenza, sorridono sempre. Unitamente a padre Paolo sono ritornato
a visitare il vicariato di Meki retto da un Vescovo etiope e ho rivisto con
piacere padre Giovanni Monti.  Anche in
quell’occasione hanno ricordato la figura sublime del compianto cugino
missionario padre De Marchi Giovanni. Sono ritornato per alcuni giorni assieme
al Fratel Vincenzo, (che ringrazio sentitamente per i viaggi effettuati) nel
villaggio di Weragu dove ho lasciato il mio cuore e la mia mente. Ringrazio il
padre Denys Revello, da Cuneo, per la sua ospitalità e gentilezza. Ho rivisto
con estremo piacere quei luoghi a me cari, specialmente i bambini con cui ho
sempre avuto un rapporto speciale. Il nuovo progetto dell’instancabile padre
Paolo è la costruzione di un Centro multifunzionale nel Villaggio di Alemtena
(regione Wereda). Una zona semidesertica senza strade, elettricità, mezzi di
trasporto e acqua potabile. La regione è il deserto per la sanità: vi sono solo
due piccoli centri con una sola infermiera ciascuno, per servire una
popolazione di 450.000 persone.

A nome dei missionari e della gente incontrata in
Etiopia, ancora un grazie a tutti coloro che ci hanno aiutato fino a ora.
Grazie di cuore anche a tutti coloro che vorranno continuare a sostenerci in
questa avventura per aiutare donne, uomini a bambini a vivere con più dignità.
Il Signore e la Madonna vi proteggano sempre.

Giovanni De Marchi
Borgo Valsugana (Tn)

risponde il Direttore




Cari Missionari

Ancora tasse

Precedenti
puntate:
MC 7/2014 pag. 5 e
MC 10/2014 pag. 6.

1. Mi
riferisco al «pagare le tasse» del mese di luglio per una brevissima
osservazione. Il Vangelo riporta «Date a Cesare quello che è di Cesare» e non
(tutto) quello che egli pretende! Questo perché poi mi chiedo: «Come vengono
impiegati i nostri soldi?».

Saverio
Compostella
email, 18/07/2014

2. Ritengo che
un’ottima replica ai mugugni di Giovanni Besana sia la prolusione letta dal
cardinal Angelo Bagnasco, in qualità di Presidente della Conferenza Episcopale
Italiana, lo scorso 22 settembre al Consiglio permanente della Conferenza
stessa.

«L’occupazione difficile e il fisco predatorio, la
burocrazia asfissiante e la paura di fare passi sbagliati, tutto concorre a non
creare lavoro nei vari settori del pubblico e del privato, non stimola
l’inventiva, non trattiene i giovani nel paese».

Ritengo che l’aggettivo usato dal Cardinale, cioè «predatorio»,
calzi a pennello per il fisco locale, a cominciare da quello che riscuote tasse
come la Tasi sulla prima casa: questa nuova imposta infatti ha confermato il
peggio dell’Ici di Amato e dell’Imu di
Monti, togliendo in più quel pochissimo di buono che avevano, ossia la
detrazione, che consentiva almeno ai possessori di case più modeste – ovvero
quelle dalla rendita catastale più bassa – e a chi ha figli a carico, di
limitare e, in non pochi casi, di annullare l’importo dovuto al Comune di
residenza.

Consapevoli della porcheria fatta dal Goveo nazionale,
alcuni sindaci (i primi sono stati quelli di Ragusa, Positano e Olbia…) hanno
deciso l’azzeramento totale della Tasi sulla prima casa. Spero che, magari dopo
aver letto le parole del Presidente dei Vescovi Italiani – che certo non è un
estremista né uno che ha mai incitato chicchessia alla rivolta fiscale – gli
altri sindaci optino per questa soluzione invece di continuare a fare i Robin
Hood alla rovescia (togliere a chi ha di meno per dare a chi ha già tanto…).

Grazie per l’attenzione.

Mario
Pace
email, 26/09/2014

3.Caro padre
Gigi,
noto che la mia provocazione produce riflessioni condivise oppure critiche e mi
fa un immenso piacere.

L’affermazione era: «Il confessore non chieda più dei
peccati di sesso, ma che faccia una domanda secca: “paghi le tasse oppure
frodi?”» e mi è venuta dopo aver affrontato con un prete il discorso della
confessione. La sua tesi è stata: «Caro Giovanni, nella tua Brianza non c’è
nessun penitente che confessi un peccato di sesso e tanto meno di altre cose
molto importanti, tipo sul come si fanno i soldi; siamo tornati al punto delle
prime confessioni: “Ho rubato la marmellata alla mamma”». Questa è una cosa
molto seria che tutta la Chiesa deve approfondire.

Non mi sono permesso di affermare che la coscienza del
penitente debba rifiutare e non confessare i suoi pruriti sessuali, ma che è il
confessore oppure il padre spirituale che deve far capire l’importanza per un
cristiano della lealtà nei confronti dello stato e non nascondersi in
dietrologie senza costrutto in difesa dei propri egoismi. Mi sembra che se si
approfondissero seriamente questi concetti non avrei da rimproverarmi nessuna
deficienza al mio pensiero verso i più bisognosi delle nostre comunità
credenti.

Chi si appella alla Chiesa dando del «ladro» a chi è impegnato
sacrificando tempo e denaro per una società più giusta, con quale «misericordia»
si approccia al suo essere cristiano? Non tutti (quelli che si impegnano
nella politica
) hanno le mani nel sacco. Questi sono discorsi da bar.

Se ci sono tanti, troppi poveri nella nostra bella Italia
e nel mondo, la colpa non può essere data solo ai 150mila super ricchi che
detengono un patrimonio che equivale a quanto possiede la restante popolazione
mondiale. Ciascuno si deve prendere le sue responsabilità. Sono le nostre
azioni che ci renderanno colpevoli al di là di ogni giustificazione. Contano i
nostri comportamenti: dobbiamo saldare un debito e non ci facciamo fare la
fattura e paghiamo in nero perché soltanto così possiamo avere uno sconto e non
pagare l’Iva… Succede con il dentista, l’imbianchino, l’idraulico, il
carrozziere, il garagista e tanti altri professionisti e artigiani, che ci
prestiamo ad arricchire, pur di risparmiare.

E allora tutti siamo colpevoli! Essere cristiani è, come
dice Papa Francesco, credere al «valore della povertà», il che certamente non è
facile come non è facile accettare la frase evangelica: «è più facile che un cammello entri
nella cruna di un ago che un ricco in paradiso». Chi ha orecchi da intendere,
intenda.

Un caro saluto,

Giovanni
Besana
email, 4/10/2014

4.Alla luce
dei nuovi interventi letti sulla rivista di ottobre sottolineo che si tratta di
quanto chiede Cesare, non se ha diritto di chiedere. Anche gli schiavi davano
il lavoro a Cesare, ma molti hanno pensato che fosse troppo! Ultima
osservazione: quando vengono scoperti i grandi evasori (cantanti, corridori,
industriali…) lo stato si accorda sul 20% del dovuto. Che sia questo quanto
lo stesso stato pensa sia il giusto da pagare? Grazie dell’attenzione e
cordiali saluti.

Saverio
Compostella
email, 15/10/2014

Cari
amici,
credo che potremmo continuare all’infinito a parlare di tasse, ciascuno con le
sue buone ragioni, perché la situazione italiana è davvero complicata, con
situazioni di palese ingiustizia e corruzione diffusa. Non entro nei
particolari, penso basti già quanto ricordato dai nostri lettori. Due punti
vanno però salvati: non tutti gli italiani sono evasori, anche se la tentazione
di farlo è grande; e non tutti gli amministratori pubblici o i politici sono
dei corrotti o corruttori. La complessità della situazione, e i perversi
meccanismi economici nazionali e inteazionali, non aiutano certo. Secondo
fonti autorevoli, la prima causa d’ingiustizia (e quindi della grande
tassazione) è il debito pubblico, diventato ingestibile non per l’ammontare dei
soldi effettivamente usati, ma per il diabolico sistema di calcolo degli
interessi manovrati da grandi speculatori fuori da ogni controllo. Fino a
quando tutta la politica non si darà una mossa per riportare la finanza sotto
il controllo dei governi, i governi stessi (e le nazioni che rappresentano)
resteranno alla mercé di questi sistemi economici ormai sovranazionali, mentre
i normali cittadini saranno dissanguati dalle tasse. Gli stessi politici, poi,
devono smetterla di legiferare tenendo più conto degli indici di gradimento che
del vero bene comune, soprattutto dei giovani e di chi (troppi!) ormai vive
sotto il livello di povertà.

Grazie
per la partecipazione a questo dibattito, che, per ora, finisce qui.

 
Prostata

Posso dire la mia? Sono un lettore antico di MC, da
trent’anni con l’Associazione «S.O.S. Tanzania» che riunisce un centinaio di
famiglie e offre qualche aiuto con l’invio di farmaci e prodotti medicali
all’ospedale di Ikonda ed alla missione di Iringa. Fatta questa premessa che
nulla ha a che vedere con il tema in oggetto vorrei innanzi tutto
complimentarmi con la D.sa Rosanna Novara Topino per la professionalità, la
dotta, sintetica e chiara esposizione nel trattare la patologia in questione.

Sono anche il responsabile dell’Associazione «Missione
Vita» che opera presso l’Ospedale di Rivoli nel reparto di urologia diretto dal
Dott. Maurizio Bellina. Offriamo sostegno umano e psicologico, coadiuvati dalla
psicologa D.sa Piera Rosso, ai pazienti che, colpiti da neoplasia, sono
sottoposti a prostatectomia radicale. Sento in modo particolare il tema della
sofferenza e nel caso specifico il problema della prevenzione.

Quanti sono abbonati e leggono le riviste di medicina? Le
nostre Asl quanto investono nella prevenzione?

Ho la profonda convinzione che ogni atto, ogni mezzo
d’informazione, ogni pubblicazione laica o cattolica che abbia come obiettivo
la salute delle persone sia legittimo e non deve scandalizzare nessuno.

Mi pare di ricordare che Gesù proprio attraverso le
guarigioni del corpo arrivava a convertire i cuori. Forse che il primo pensiero
dei nostri missionari è limitato alla sola Parola di Dio? Non mi risulta. Per
quel poco che conosco, li ho visti impegnati a curare e alleviare prima di ogni
cosa le sofferenze umane. Lasciamo quindi che questa nostra rivista, letta da
migliaia di persone, offra questa opportunità e se qualche lettore è in
disaccordo pazienza, sicuramente ci saranno molti consensi a partire dal
sottoscritto.

Vincenzo
Misitano
email, 13/10/2014

La risposta alla lettera riguardo il servizio sulla
Prostata pubblicata sulla rivista Missioni Consolata di ottobre 2014 a pag. 5
mi induce al seguente commento: «Caro Direttore, la Sua risposta è
assolutamente condivisibile e azzeccata. Complimenti!».

Egizia
Angheben
email, 17/10/2014

Unità dei Cristiani

(Che onore) ricevere una risposta ampia e articolata da
un dotto biblista, che, in base allo stile, potrebbe addirittura essere il
mitico Don Farinella (vedi MC 8-9/2014, p. 5, L’eterno riposo). Allora,
siccome l’appetito vien mangiando, mi permetto di sottoporre altri due dubbi da
dilettante, senza alcuna fretta per la risposta.

Unità dei cristiani: il processo, più che lento, mi sembra cerimoniale, perché
obiettivamente penso sia dura parlare di unità con chi, in via preventiva, si è
proclamato infallibile. E poi, è sacrosanto chiedere il reciproco rispetto dove
si convive da secoli, superando rapporti tempestosi (per esempio Calvino a
Ginevra non era tenero né coi cattolici né con gli altri protestanti, e aveva
sempre il fiammifero in mano, che neanche l’inquisizione…). Mi sembra poco
gentile lanciarsi in «missioni» in terre dove non ci sono cattolici ma ci sono
chiese di cui accettiamo i sacramenti, come quella ortodossa. Insomma, Giovanni
Paolo II, lanciando la missione in Russia, mi è sembrato più polacco che
papa…

Un dubbio fantascientifico: guardando il cielo stellato, uno dubita che sia un po’
presuntuoso pensare che tutta questa meraviglia sia stata creata per dare un
panorama ai rissosi abitanti di un piccolo pianeta, e che da qualche parte
dovrebbero esserci degli altri esseri raziocinanti. Se è così, anche loro hanno
fatto la trafila del peccato originale? E hanno avuto un Salvatore? E come la
mettiamo con la Trinità e l’unigenito figlio di Dio del nostro Credo?

Claudio
Bellavista
email, 20/08/2014

Onorato
di essere paragonato all’impareggiabile Don Farinella. Per la breve risposta è
bastato l’aiuto di un solido dizionario biblico. Quanto alle altre due
questioni, provo solo ad accennare dei punti di riflessione.

Unità dei cristiani

L’esperienza
della divisione è antica quanto la Chiesa, come documentano le lettere di s.
Paolo e i testi attribuiti a s. Giovanni. Probabilmente il capitolo 17 del
Vangelo di Giovanni, dove Gesù prega per l’unità, è già una rilettura che la
Chiesa, ferita dalle divisioni che esistevano nel suo seno verso la fine del
primo secolo, ha fatto della Parola del Signore per ricordarsi che l’unità non è
frutto semplicemente degli sforzi umani ma è dono di Dio e risposta a una
precisa volontà del Signore.

Nella
situazione attuale la preghiera per l’unità non è fatta perché tutti entrino a
far parte della Chiesa cattolica e le altre Chiese spariscano. Si prega invece
perché tutti ci si converta al progetto di unità come è voluto da Dio.

Non
c’è qualcuno che sia a posto e qualcun altro che debba tornare nell’ovile
(gestito da chi si sente nel giusto). Bene o male un po’ tutti siamo ancora
fuori dell’ovile di Cristo o siamo in viaggio per raggiungerlo in modo definitivo.
L’unità, che è dono di Gesù, è molto di più di quanto si possa realizzare in
questo mondo e richiede conversione da tutti, noi cattolici compresi.

Allo
stesso tempo è importante già qui e ora che tutte le Chiese compiano passi
insieme verso l’unità. Benvenute allora tutte le iniziative di preghiera, di
dialogo e di collaborazione che aiutano a conoscersi meglio, a chiarire vecchi
pregiudizi, ad abbattere incomprensioni accumulate negli anni, ad aumentare il
rispetto reciproco, a lottare insieme per un mondo più giusto, per la pace e la
riconciliazione, e a testimoniare con più verità e umiltà il Vangelo.

L’unità
non è unificazione e appiattimento, ma conversione a Dio, apertura al suo
Regno. Grazie a Dio, nessuna Chiesa, neanche la nostra Cattolica, può dire di
essere al 100% la perfetta realizzazione in terra del progetto di Dio. In
questo cammino ha senso il rispetto e l’accoglienza reciproca delle varie
Chiese anche nelle nazioni dove una Chiesa per secoli ha creduto di avere un
quasi-monopolio. Nessuna Chiesa dovrebbe dire: «Questo pezzo di mondo
appartiene in esclusiva a me». Come in
Italia la Chiesa cattolica accoglie oggi – grazie al nuovo spirito del Concilio
Vaticano II – la presenza della Chiesa ortodossa russa o di altre Chiese, così
anche in Russia c’è ampio spazio per l’azione pastorale e missionaria dei
Cattolici. Questo perché ci sono significative minoranze cattoliche nel paese,
e poi non tutti i russi sono Ortodossi e l’eredità di quasi un secolo di
ateismo comunista ha lasciato ampio spazio per l’annuncio missionario.

Extraterrestri

Dubbio
fantascientifico o fantareligioso. A dir la verità mi sono trovato anch’io a
riflettere su quello che lei scrive, vista l’immensità dell’universo, il numero
delle galassie e la possibilità di tantissimi altri pianeti abitabili come la
Terra (secondo la Nasa sarebbero almeno 40 miliardi solo nella nostra
galassia). Ma, considerate le distanze in milioni di anni luce, dubito che
avremo mai la possibilità di verificare se esistano o meno altri «uomini» o
esseri «razionali». Il mio fantasticare mi ha fatto considerare che, se
esistono, devono essere anche loro «a immagine e somiglianza» di Dio, se
davvero si accetta che Dio è creatore dell’universo. Dovrebbero quindi avere
delle caratteristiche molto simili alle nostre, se non dal punto di vista
fisico, almeno dal punto di vista spirituale: capaci di intendere e volere, di
pensare e creare, di amare e fare scelte nella libertà, di gustare la bellezza
e di giornire, ridere e stare insieme. In ogni caso, non potrebbero essere più «mostri»
di quanto non siamo già noi con i nostri simili! Se poi abbiano fatto o no
l’esperienza del peccato come ribellione a Dio e quella della redenzione per
tornare a Lui… è davvero una pura speculazione che non porta da alcuna parte.

Probabilmente
la risposta a queste domande sarà
una delle sorprese che ci attendono in Paradiso.

Dio e Mammona

Mi permetto una domanda su cui forse avrà già detto,
ridetto e stradetto: «Ma la Chiesa nel corso dei secoli non si è resa complice
di un sistema immorale d’economia, mentre Cristo aveva detto “o Dio o mammona”?».
Probabilmente un san Francesco resta un mito che in pochi sono in grado di
imitare. Anche ai suoi tempi c’è stato chi nella Chiesa ha preferito stare con
il mondo.

Emanuela
email, 15/08/2014

Provo
a essere telegrafico. Molti uomini e donne che si dicono «di chiesa», e anche
ecclesiastici, si sono lasciati corrompere dal denaro nei secoli, a cominciare
dal famoso
Anania degli Atti degli Apostoli (5,1-11). Anche oggi ci sono Cristiani solo di
battesimo che in realtà sono servi del denaro e della ricchezza. Un esempio per
tutti, visto che lo citiamo più avanti (p. 78), è il re Leopoldo II del Belgio,
«buon cattolico», che non si fece scrupolo di sfruttare ignobilmente i
Congolesi. Non è raro poi che uomini di Chiesa, religiosi, preti e vescovi,
siano coinvolti in scandali economici. Il punto è: cosa si intende per Chiesa?
Mi pare troppo facile dire Chiesa e intendere Vaticano o Gerarchia (vescovi),
come se tutti i mali venissero da là, dimenticando che la Chiesa siamo tutti
noi, uomini e donne battezzati. Noi che con le nostre mille contraddizioni,
peccati e fatiche cerchiamo di camminare verso il Cielo, più o meno coscienti
di aver continuamente bisogno di conversione e spesso incapaci di vincere la
tentazione del denaro.

Risponde il Direttore




Cari Missionari

Ogni promessa è
debito

Sono
Paolo Farinella, il prete di Genova che in questi anni ha tenuto la rubrica
biblica «Così sta scritto» e che i lettori hanno avuto la pazienza di seguire,
mi pare con qualche profitto. Vi avevo promesso di riprendere in primavera, ma
non sono in grado di mantenere la parola. Ho qualche problema di salute che mi
porta via molto tempo in giro per ospedali e non riesco più, per ora, a seguire
gli impegni di scrittura che esigono calma, meditazione, ricerca e studio.
Chiedo ai lettori di MC di avere ancora un po’di pazienza che non sarà delusa,
se Dio lo concederà. Per la città di Genova, infatti, sto preparando un «corso
biblico» sulla formazione della Bibbia (storia del testo) con lettura ed
esegesi delle parti più importanti. Se la Direzione di MC è d’accordo, vorrei
condividere il lavoro con i lettori. Penso che si possa partire con questo
nuovo progetto dal mese di gennaio del 2015, come dire dopo domani. Prima non è
possibile. Chiedo scusa, ma penso che sia meglio un tempo di silenzio e di
fatica, e fare bene ciò deve essere fatto, piuttosto che fare in fretta e
abborracciare. In attesa di rivederci presto su queste pagine, un caro e
affettuoso abbraccio a tutte le lettrici e a tutti i lettori, ovunque essi
siano. Con affetto,

Paolo Farinella, prete
10/4/2014

I non cristiani si
salvano? (2)

Ho
letto la sua risposta (MC aprile 2014, p. 6) e non la condivido tanto.
Probabilmente ho bisogno di più umiltà nell’accettare la realtà e il mistero.
Ma non riesco a far combaciare le diverse verità sull’argomento inferno. Forse
sono vittima d’insegnamenti sbagliati, di retaggi duri a morire nei fedeli, ma
le dirò che il racconto di un esorcismo (da un libro che racconta di fatti
del 1978
), dove un’anima dannata sotto comando risponde che «tante anime
vanno all’inferno perché fanno svogliatamente il loro dovere, si intiepidiscono
e poi…», mi ha colpito.

Poi
sono andata a leggere le indicazioni della Lumen Gentium, al n.14 che
lei non ha citato. Lì, a proposito dei «fedeli cattolici», è scritto che: «Perciò
non possono salvarsi quegli uomini, i quali, pur non ignorando che la Chiesa
cattolica è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù Cristo come necessaria, non
vorranno entrare in essa o in essa perseverare. […] Non si salva, però, anche
se incorporato alla Chiesa, colui che, non perseverando nella carità, rimane sì
in seno alla Chiesa col “corpo”, ma non col “cuore”. Si ricordino bene tutti i
figli della Chiesa che la loro privilegiata condizione non va ascritta ai loro
meriti, ma a una speciale grazia di Cristo; per cui, se non vi corrispondono
col pensiero, con le parole e con le opere, non solo non si salveranno, ma anzi
saranno più severamente giudicati». Buona Santa Pasqua

Piccola figlia della Luce
11/4/2014

Premetto che con la
lettrice abbiamo scambiato diverse email, e in questa pagina è stato
sintetizzato in poche righe (lo spazio è tiranno) il punto essenziale del nostro
dialogo. Rimane aperto un secondo punto,
su cui toeremo nel prossimo numero, a Dio piacendo.

Ho anche omesso il
titolo del libro da cui la lettrice ha tratto la testimonianza di un’anima
dannata, non perché il sottoscritto non creda all’esistenza del diavolo, ma
perché, a mio parere, molte di queste storie – su cui speculano quel tipo di
pubblicazioni – non riflettono il sano insegnamento della Chiesa e fanno
sensazionalismo e terrorismo spirituale. Forse qualcuno pensa che si debba
essere cristiani per paura. Io preferisco pensare che lo siamo per amore.

Nella mia risposta
precedente sottolineavo due punti: 1. Tutti gli uomini sono salvi per volere di
Dio, che ha mandato il suo Figlio Gesù proprio per questo. 2. Ogni uomo è
immagine di Dio e risponde a questo dono nella misura in cui vive una vita
retta secondo coscienza (anche se non conosce il messaggio cristiano).

Con questo non ho
voluto dire che «nessuno va all’inferno» e non sono entrato in merito alla vita
di chi si dichiara cristiano, ma da cristiano non vive. Neppure ho toccato
l’argomento dei non cristiani che, pur conoscendolo, rifiutano apertamente e
coscientemente il Vangelo. Concordo pienamente con il testo della Lumen Gentium
al n. 14. L’essere cristiano non è una questione di etichetta e il battesimo
non è un’assicurazione. È invece una vita vissuta nella libera accettazione e
pratica di un dono di amore.

Come già detto, anche
chi non ha mai conosciuto Gesù ha la capacità «umana» di relazionarsi con Dio e
vivere una vita degna del suo Creatore.

La situazione,
invece, è ben diversa per chi, pur sapendo, rifiuta, si oppone o addirittura
combatte sia Gesù che la comunità dei suoi discepoli e testimoni (vedi
l’articolo di pag. 63 dove si distingue bene tra religione e fondamentalismo).
Lo stesso vale per chi, pur dichiarandosi cristiano, non pratica affatto e vive
un cristianesimo di forma e facciata, ma non di sostanza.

È vero: «Tutti sono
salvati in Cristo», ma non tutti si salvano. Si è salvati, sì, ma il vivere da
salvati è una scelta, una risposta libera a un atto di amore. È entrare in
relazione e accettare l’incontro con Dio in Gesù Cristo con una risposta libera
e responsabile, non di un momento, ma di una vita. Chi coscientemente non
accetta o rifiuta Gesù, si autoesclude.

Però non si può
essere cristiani per paura. Gesù ci ha rivelato Dio come Amore, gioia e vita;
un Dio che si interessa dell’uomo, che lo cerca, che è misericordia e
tenerezza; un Dio che si commuove come una madre e ci ha dato un solo
comandamento: «Amate Dio e amatevi come io vi ho amato». Questo è il vero culto
che onora Dio, l’amore vicendevole. E dove c’è Amore non c’è posto per la
paura.

Ospedale di Sololo

Le scrivo a nome del gruppo missionario di Manta, diocesi
di Saluzzo (Cuneo), che da anni ha come attività principale quella di sostenere
l’ospedale di Sololo nel Nord del Kenya ai confini con l’Etiopia. Cerchiamo di
essere utili operando su più fronti. Da un lato, organizziamo interventi
tecnici, che hanno lo scopo di rendere più funzionale l’ospedale, riducendone
contemporaneamente i costi di gestione, dall’altra ci impegniamo, in
particolare nella zona del saluzzese, a raccogliere fondi che poi inviamo alla
Diocesi di Marsabit come aiuto alla ristrutturazione dell’ospedale e alle spese
della pediatria e della mateità. In questo periodo, i missionari di Sololo
sono un giovane sacerdote fidei donum rumeno e tre suore keniane,
dell’ordine francescano di San Giuseppe. Oltre a loro, c’è un chirurgo, di
origine burundese ma cittadino italiano, unico medico dell’ospedale che conta
circa 90 posti letto.

Quest’anno la diocesi di Marsabit (Kenya) compie
cinquant’anni. Mezzo secolo speso con e per la gente, dai Samburu ai Borana,
dai Rendille ai Gabbra, dai Turkana a tutti gli altri. Un anno dopo, nel 1965,
nasceva la missione di Sololo voluta dal vescovo di allora monsignor Carlo
Cavallera (missionario della Consolata di Centallo).
I primi missionari vivevano sotto una tenda. Piano piano, la missione si
ingrandì e con esso il piccolo dispensario costruito dal vescovo.

Grazie anche al lavoro di preti e suore Comboniani, che
succedettero ai missionari della Consolata, furono costruiti la General Ward,
la mateità con la sala operatoria, l’isolamento, gli ambulatori e il
laboratorio analisi, la farmacia, e anche la cucina, l’officina e la
falegnameria.

Lentamente, l’ospedale St. Anthony of Padua è
diventato il miglior ospedale della zona, una delle più povere a cerniera tra
il Nord Kenya e il Sud dell’Etiopia. Amministrato dal 2012 dalla suora
francescana, sister Judith Bomett, l’ospedale ha 90 posti letto, un medico
chirurgo e circa 35 dipendenti.

Due anni fa, grazie alla Quaresima di Frateità,
l’ospedale poté dare avvio all’iniziativa «Madre Maria», per pagare le cure
alle donne in gravidanza e alle partorienti. Da allora il numero delle nascite
in ospedale è in continua crescita.

Da amministratrice attenta, ma soprattutto da missionaria
che dedica tutta se stessa ai poveri, sister Judith si è resa conto da subito
della necessità di porre mano alla ristrutturazione dell’ospedale, che mostra i
suoi anni. Partiti tre anni con la mateità, abbaimo poi aiutato la
ristrutturazione del reparto di medicina generale con pediatria e chirurgia. In
questo 2014 vogliamo sostenere il rinnovamento del reparto accettazione e
pronto soccorso e attrezzarlo con il laboratorio analisi per offrire un
supporto diagnostico al medico. La richiesta della suora, accettata
dall’Ufficio Missionario Diocesano di Saluzzo su suggerimento del nostro
gruppo, è stata proposta a tutta la diocesi nella terza settimana della
Quaresima di Frateità 2014.

Grazie a nome del gruppo missionario.

Ines Mussetto
Manta (Cn)
www.gruppomissionariosololohospital.it

risponde il Direttore




Cari Missionari

Beato l’uomo castigato?

Il dossier «Giustizia riparativa», per quanto lungo e
articolato non dice alcune cose che a mio modesto avviso sarebbe stato meglio
dire.

1 – Ammesso che i carcerati
«effettivamente pericolosi» siano il 20% del totale non mi pare opportuno
definire «piccola» una percentuale così. Un conto è chiarire che la gran parte
della popolazione carceraria è costituita da persone che meritano più rispetto,
più credito, più fiducia, un altro è dire che la minoranza è esigua.

2 – Nella Bibbia punizione,
castigo, espiazione e giudizio non sono parolacce. Il Dio che castiga non è in
contraddizione col Dio che ama, che perdona, che salva: «Beato l’uomo che tu
castighi Signore», recita il Salmo 93, che può essere tradotto anche con «Beato
l’uomo che tu istruisci Signore». Qual è la traduzione giusta? Sono giuste
entrambe, perché l’originale greco paideuo può essere tradotto con
castigo, punisco, ma anche con: educo, ammaestro, istruisco, addestro. […] Come
facciamo a dire che nella Bibbia Dio non punisce? Se Dio vuole castigare,
purificare, decontaminare, […] chi siamo noi per contestarglielo? […] Chi siamo
noi per dire che «non sappiamo cos’è la giustizia», come se la Parola di Dio
fosse incomprensibile, come se l’insegnamento della Chiesa fosse roba alla
portata di una piccola élite? […].

3 – Gesù nel Vangelo non
parla mai del castigo e del giudizio di Dio come di sovrastrutture create dagli
uomini, ma come di atti di giustizia, di amore e di solidarietà con chi è stato
angariato, ferito, umiliato. E, quando parla di pentimento, di contrizione, di
cilicio (cfr. Matteo 11, 21-26), non ne parla mai come di optional e
neppure come di residui di religiosità gretta e antiquata. I castighi di Dio
sono sempre retti, equi, perfetti, ineccepibili. Se gli uomini non li
riconoscono come tali vuol dire che sono ancora prigionieri del loro orgoglio,
della loro arroganza, della loro superbia.

4 – Se non è bello fare di
tutta l’erba un fascio con i carcerati, non è giusto farlo per i luoghi di
detenzione. […] ci sono esempi di professionalità, di abnegazione, di
eccellenza. […] Che senso ha dunque dire che il carcere non serve e bisogna
abolirlo? Bisogna fare in modo invece che tutti i luoghi di rieducazione […]
raggiungano i livelli di eccellenza che finora solo alcuni hanno raggiunto […].

5 – Ormai del ritornello «ce
lo chiede l’Europa» ne abbiamo fin sopra i capelli, chi vuol fare
europersuasione deve specificare nome e cognome di chi brontola, minaccia,
tuona e sanziona. Dopo quello che è accaduto in questi ultimi anni solo una
persona molto disattenta, molto disinformata o molto in malafede può continuare
a equivocare tra la sacrosanta aspirazione a un’Europa pacificata, unita, equa,
solidale e l’Europa delle grandi speculazioni bancarie camuffate sotto le
spoglie del rigore, del risanamento, dell’efficienza, del consolidamento
dell’Euro. Non basta lamentare che 29 miliardi di euro in dieci anni sono
troppi per un sistema penitenziario come il nostro, bisogna intervenire laddove
vi sono stati abusi, sprechi, malaffare, clientelismo e corruzione. […]

Francesco Rondina
Email, 21/02/2014
Caro sig. Rondina,

la ringraziamo per la
sua lettera e ci scusiamo per averla dovuta tagliare. Speriamo di aver lasciato
le parti sostanziali delle sue obiezioni, alle quali è impossibile rispondere
se non rimandando a una rilettura del dossier e ai libri lì citati. Qui
abbozziamo solo qualche spunto di riflessione seguendo la numerazione da lei
usata.

1- L’aggettivo
«piccola» nasce da una reazione al pensiero che il corrispettivo 80% di
detenuti non pericolosi, circa 50mila persone tenute in carcere, senza una
reale necessità, in condizioni disumanizzanti, sia una quantità decisamente
«grande». Non diciamo che gran parte dei carcerati meritino più rispetto,
diciamo di più: che tutti i carcerati ne hanno diritto (il diritto non si
merita, si ha per il solo fatto di esistere), a prescindere dai loro delitti.

2 e 3- Non è il luogo
questo per una «disputa biblica». Ciascuno può citare versetti o capitoli
interi della Scrittura per avvalorare la propria posizione (addirittura Satana
lo fa in Lc 4). Noi facciamo solo due brevi esempi (sperando di non fare come
Satana). Gesù in Mt 5,38 dice: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e
dente per dente”; ma io vi dico di non oppporvi al malvagio; anzi…»; e in Lc
23,34: «Padre, perdonali». Inoltre, se volessimo credere a un Dio che punisce,
sarebbe Lui a farlo, non l’uomo. Il «pentimento» – o per lo meno la libera
disponibilità a rimettersi in gioco – da parte del reo è necessario per l’avvio
di una pratica di giustizia riparativa. Il pentimento quindi non è escluso,
anzi, la giustizia riparativa promuove la possibilità di un pentimento
autentico, che sia un atto libero e responsabile, non un atto indotto dalla
costrizione, dalla paura della punizione, o dal premio sperato (come è tipico
della giustizia retributiva-punitiva).

4- Nel dossier non si
dice che il carcere non serve e che va abolito, anzi, a pagina 39 viene
affermato: «Chi è pericoloso deve essere separato», aggiungendo poi che «la
separazione dovrebbe essere mirata a prevenire l’effettiva pericolosità. Non è
logico, né utile, ricorrere al carcere anche per chi non lo è. Nei confronti di
chi è pericoloso, la limitazione della libertà di movimento deve però essere
modellata caso per caso, e non deve essere accompagnata dalla limitazione, o
addirittura esclusione, delle altre libertà fondamentali che non comportino
pericoli per la società: il diritto allo spazio vitale, alla salute,
all’affettività, all’informazione, al lavoro, all’istruzione».

5- La corte di
Strasburgo, cui probabilmente si riferisce, e della cui condanna parliamo a
pagina 34 del dossier, è un organo del Consiglio d’Europa – e non dell’Unione
Europea – che vigila sui diritti umani. Ogni istituzione o organizzazione, e
ogni loro atto, sono ovviamente contestabili. Alcune volte però possono offrire
un’occasione per crescere nel rispetto della dignità umana.

Luca Lorusso


Leggibilità

Finalmente! Avete dunque capito dopo anni che tutte
quelle lettere piccole e i terribili sfondi colorati rendevano illeggibile la
bella rivista! Alla buon ora, hurrà! Poi via con gli sfondi che rendono
difficile la lettura. Ma perché non si può fare sempre i bei leggibili sfondi
bianchi? Che mistero c’è? Economico? Artistico? Voglia di non fare i normali ed
essere per forza creativi? Semplicità è bellezza. Corpo 11 e sfondo bianco. Un
vostro «vecchio» lettore ed ammiratore

Alfio
Tassinari
email 28/02/2014

Caro Direttore,

congratulazioni per il vostro sforzo per ingrandire il
corpo del testo della pregiata Rivista. Mi azzardo a darle la mia in tre punti:

1. Missioni Consolata è «rivista missionaria della
famiglia» come dice il sottotitolo. Ora nelle nostre famiglie chi legge la
rivista sono quelli che abbisognano di inforcare gli occhiali, per cui un corpo
leggermente più grande nel testo sarà molto apprezzato.

2. Gli articoli di Missioni Consolata sono in gran parte,
e giustamente, ad argomento unico di poche pagine, eccetto il Dossier, per cui
caratteri diversi e corpo diverso non tolgono nulla all’unità del tema, «la
missione», della rivista, anzi possono enfatizzae l’argomento.

3. Ho notato che nel n. 3/14 della rivista compare un
articolo sulla cerimonia di nozze in Corea del Sud in cui, forse per la prima
volta da tanti anni, la rivista sacrifica il testo per le foto. Forse è questa
una gradita risposta alla sincera e benevola curiosità dei lettori.

Mi permetto di dirle che questo numero 3/14 l’ho letto di
un fiato, mentre trovavo fatica a leggere i numeri precedenti, e di porgere a
lei e tutti i suoi collaboratori le più belle felicitazioni di buon lavoro,
conscio che portare avanti una rivista prettamente missionaria e renderla di
interesse a lettori, che possono spigolare per mezzo di Inteet su tutti i
campi, non è facile. Ma pure rimane in tutti la soddisfazione di leggere
qualcosa che si ha tra mano e che si sente più consono di tutto quello che si
può trovare «on line».

P.
A. Giordano
email 25/02/2014

Il corpo 11 va decisamente bene: si legge con facilità,
non si perde tempo a decifrare, volendo si legge «a colpo d’occhio». Ho dimenticato di premettere che ho 15 lustri, ma che
comunque con gli occhiali e in buona luce ci vedo benissimo! E che comunque gli esperti siete voi. Grazie e buon
lavoro a tutti!

Paola
Andolfi
email 14/03/2014

Diversi lettori ci hanno scritto rispondendo
alla domanda circa il carattere da usare nella rivista. Qui ne riportiamo solo
alcuni. Il consenso sui caratteri più leggibili è unanime e ci incoraggia a
continuare nel miglioramento della qualità delle rivista, e non solo dal punto
di vista grafico. Grazie a tutti voi.

Eritrea
Caro padre Gigi,
ho letto con piacere e interesse la serie di articoli
apparsi sulla tua bellissima rivista che parlano dell’Eritrea. Forse non sai
che mia moglie ed io siamo nati in Eritrea, lei ad Asmara e io a Massaua. Solo
dopo la guerra siamo andati a vivere in Kenya dove ci siamo conosciuti. Ed è
anche per questo che seguo con attenzione ciò che succede in quel paese ora
sconvolto dalla follia di un dittatore. Speriamo che un giorno la situazione
possa cambiare in meglio e che il popolo eritreo possa avere una vita
tranquilla e serena.
La speranza, purtroppo, è un po’ debole perché nessuno ha
interesse ad aiutare il popolo eritreo, così come sta succedendo per altre
parti dell’Africa. Basta vedere la guerra full scale che si sta
consumando tra vari paesi che ben conosciamo: Uganda, Ruanda, Congo, Zaire,
Zambia. Burundi, ecc. Se ne parla pochissimo!
Kenya Juu
(W
il Kenya)!

Augusto
Vezzaro
email 10/3/2014

Un grazie e una
poesia

Caro padre,

pur con ritardo desidero ringraziare per le tre parole
augurali per il 2014: gioia, bellezza, audacia. Non è semplice
attivarle, viverle e onorarle perché la quotidianità presenta tanti intoppi e
tante sofferenze, ma ci provo. A tale proposito ho dedicato la composizione che
allego a Matteo, figlio di un amico, che il 2 marzo compirà il suo primo anno
di esistenza; c’è la felicità per una nuova vita, c’è la celebrazione del gioco
come forma d’intesa interpersonale e di scoperta della realtà, e c’è l’invito a
vivere relazioni in cui si è orgogliosi l’uno dell’altro. Trovo tante analogie
con l’impegno dei missionari per tutelare e valorizzare la vita, impegno che, a
mio parere, rappresenta una delle espressioni del cristianesimo. Mi farebbe
piacere che il testo fosse pubblicato per onorare tutti coloro che, a partire
dai missionari, cercano di difendere il grande valore della vita.

A Matteo

Auguri a te, Matteo,
stupenda creatura,
in occasione del tuo primo compleanno!

La tua presenza ci dà gioia e felicità,
moltiplica le energie,
rende lievi le fatiche,
ci interpella sul cammino, mai concluso,
dell’essere
pienamente uomini.

Quando giochiamo insieme,
è come se ci trovassimo
per “strada”
e celebrassimo
il nostro incontro:
quel che tu sei
e quel che siamo noi
si compongono
come accordo di una sonata
e rifulgono
come una goccia di rugiada.

Quando ci rallegriamo
l’un l’altro
è come se ci
comprendessimo
misteriosamente
e per magia
diventassimo leggeri
come acrobati sul trapezio.

Ci libriamo nel cielo
e ci immergiamo
nelle profondità degli
abissi marini
per scoprire tanti mondi,
così siamo orgogliosi,
a vicenda,
delle nostre magnifiche
vite.

Milva Capoia
Torino 23/02/2014

Risponde il Direttore




Cari Missionari

IL SEGNO DEI CRISTIANI

Egregio Padre,
sovente mi chiedo perché il segno dei cristiani debba ricordare la croce e non
la risurrezione, visto che, come dice Paolo di Tarso, «se Cristo non è
risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra
fede» (1Cor 15,14); non solo, ma la risurrezione include in ogni caso anche la
morte. Dopo due millenni di cristianesimo possibile che non si sia affrontato
l’argomento, al di là delle speculazioni sui primi cristiani? Da un po’ di
tempo quando entro in chiesa mi segno dicendo: «Nel nome del Padre che ha
risuscitato il Figlio per mezzo dello Spirito Santo. Amen». Gradirei un suo
parere in proposito. Grazie.

Vincenzo
Palumbo
Moncalieri (TO)

Caro
Vincenzo,
trovo molto interessante la sua domanda. Credo che la risposta non stia tanto
nella modifica delle parole quanto nella comprensione dei significati nascosti
in quell’umile segno cui siamo così abituati. Due i livelli da considerare: le
parole e il segno.

Le parole.
L’espressione si trova in Mt 28,19: «Battezzandoli nel nome del Padre del
Figlio e dello Spirito Santo». È messa in bocca a Gesù stesso e riflette
certamente il modo di battezzare della comunità cristiana primitiva. Le parole «nel
nome» indicano un rapporto personale, una relazione con qualcuno vivo. Nella
Bibbia il nome è la persona. E certo ricorda la scena di Mosè che chiede a Dio
il suo nome (Es 3,13-14). Conoscere il nome di qualcuno o dare il nome è molto
più della banalizzazione burocratica a cui siamo abituati oggi, quando il nome
diventa una cifra in un computer. È invece entrare in un rapporto personale di
amicizia e di famigliarità. In questo caso è entrare nella comunità trinitaria,
Padre, Figlio e Spirito. Pronunciare quindi queste parole ha una doppia
valenza: è un atto di fede nel Dio Uno e Trino, ma è anche riconoscere con
meraviglia e timore che Dio mi ama e mi accoglie, mi rende parte del calore
della sua famiglia.

Il segno.
Ricorda la croce di Cristo: palo del patibolo, albero della vita, trono della
gloria dal quale Gesù attrae tutti a sé, scala che congiunge cielo e terra,
fontana e sorgente del fiume di acqua viva che rigenera l’umanità nuova,
torchio del vino nuovo. Le citazioni bibliche e patristiche in proposito sono
innumerevoli. Basti ricordare come Giovanni racconta la crocifissione (cfr. Gv
12,32; 3,14; 8,28; 19,16-37). Nella comprensione della fede, la croce non è mai
solo morte, ma è il segno rivelatore del trionfo dell’amore di Dio che nel dono
totale di sé vince una volta per tutte la morte e il peccato. In più questo
segno è carico di altri significati:
– toccandoci la testa, il petto e le braccia ricordiamo l’espressione «amare
Dio (e il prossimo) con tutto il cuore, con tutta la mente e tutte le forze»
(Dt 6,4-5; Mc 12,29-31) e rinnoviamo quindi il nostro impegno di coinvolgere la
totalità della nostra persona – pensieri, affetti e opere (e cose possedute) –
per «fare bene il bene» (Allamano), affinché «vedendo le vostre opere belle
rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16);


il braccio verticale della croce ci ricorda che nel Crocefisso è ristabilito il
legame, la comunicazione tra cielo e terra, già spezzato col peccato presso il
primo albero (Gn 3,1-6); la croce ci rimette in comunione con Dio;

– il braccio orizzontale ci richiama alla
comunione con gli altri, l’abbraccio di Gesù per tutta l’umanità e per ciascuno
di noi; la croce ci permette di costruire relazioni nuove con tutti gli uomini;

– è
anche scudo di protezione contro la tentazione, contro il male;

– è
segno di speranza perché proclama la vittoria della vita sulla morte, della
luce sulle tenebre, dell’amore sull’odio, della gratuità sull’utilitarismo e il
calcolo.

MC, troppo polemica?

Rev. padre,
da tempo mi porto nel cuore una obiezione che trattenevo per timidezza. Preciso
che nel 1973 fui in contatto con voi per verificare se la vita missionaria
fosse adatta per me […] e così conobbi alcuni dei vostri missionari come p.
Mura Salvatore e p. Vincenzo Pellegrino. La vostra rivista, mi perdoni, è
troppo polemica (virtù che ascrivo ai torinesi e a pochi altri in Italia) in
religione, in politica, in tutto. Si narra che Madre Teresa di Calcutta
dicesse: «Chiedo di lavorare in carità, non guardo i governi». Conosco anche
altre comunità missionarie e nessuno parla di politica. Accetto volentieri una
sua, ma la penso così da decenni.

Lorenzo B.
email, 19/01/2014

Caro
amico,
anzitutto grazie di averci scritto. «La virtù della polemica è da ascriversi ai
torinesi», scrive lei. Vorrebbe proprio dire che in redazione ci siamo
inculturati bene, perché di torinesi veri e propri qui non ce ne sono: tutti
acquisiti! Facezie a parte, mi preme precisare che i missionari della
Consolata, nella loro storia, non hanno mai fatto delle scelte di campo in base
all’approvazione o disapprovazione di un governo o un regime. Hanno sempre
scelto in obbedienza a direttive specifiche di Propaganda Fide o secondo
una lettura dei bisogni oggettivi di un paese alla luce del Vangelo. Con una
scelta preferenziale: i posti più difficili, più poveri, più impegnativi. Basti
pensare all’impegno nel Nord del Congo. Con questo non legittimano situazioni
politiche discutibili, piuttosto vivono il principio che il missionario non è
un agente politico ma un servo del Vangelo.

Il
che non significa che un missionario non faccia politica, perché con le sue
scelte in favore dei poveri, degli esclusi, dei popoli minoritari e delle
periferie, di fatto fa politica. E diventa una spina nel fianco di poteri
ingiusti, illiberali e diseguali, ma anche di quei poteri che in nome della
democrazia in realtà sfruttano e schiavizzano intere popolazioni. Volente o
nolente il missionario fa politica anche quando semplicemente propone la pace
invece della guerra, il perdono invece della vendetta, la gratuità invece del
profitto, il rispetto della diversità invece dell’omologazione, la difesa della
vita per quello che è invece che per quello che rende, la giustizia invece dei
privilegi.

Come
rivista cerchiamo di essere prudenti per non danneggiare chi vive sul terreno e
potrebbe pagare per nostre espressioni troppo esplicite. Preferiamo far parlare
la Chiesa locale, evitando nostre opinioni personali e usando invece documenti
o interviste di religiosi e vescovi dei diversi paesi di cui scriviamo.

Troppo polemici? Non è
nostra intenzione. Cerchiamo il più possibile di offrire un’informazione onesta
e documentata. Riteniamo però alienante parlare di poveri senza affrontare le
cause della povertà, di orfani senza approfondire il perché del loro abbandono,
di malati senza capire perché non hanno cure, di guerre e violenze senza
analizzae le cause immediate e remote. Ci sembra un nostro dovere, scrivendo
su una rivista mensile, fornire un’informazione approfondita e non edulcorata
sulla realtà del mondo.

I non cristiani si salvano?

Mia nipote mi ha posto alcune domande partendo dal fatto
che ha un ragazzo albanese di famiglia musulmana.

La prima domanda è: chi è nato in una nazione non
cristiana e pertanto assume per default la religione del posto,
qualunque essa sia, sarà convinto della sua verità e del suo Dio. Se Dio si
presenta loro in punto di morte e loro non possono accettarlo avendone sempre
avuto un altro, sono tutti destinati all’Infeo? O in un altro caso,
ammettendo che alcuni di loro decidano di accettarlo e questo sia sufficiente
per la salvezza, perché mai noi dovremmo fare tanta fatica per tutta una vita
se poi basta sinceramente pentirsi alla fine?

La seconda domanda è: come sai che qualsiasi libro che
sia stato scritto in materia, Bibbia inclusa, non contenga in parte o in
totalità delle cose non vere visto che non esiste possibilità di verifica?

Figlia della luce
20/12/2013

Cara
lettrice,
noi (cristiani) crediamo che Dio è uno solo: ieri, oggi e sempre, anche quando è
conosciuto sotto nomi differenti. E questo Dio «vuole che tutti gli uomini
siano salvi e giungano alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,3-4). E gli uomini
sono fatti per conoscere e amare Dio perché portiamo il suo imprint:
sono fatti a sua immagine e somiglianza. Da sempre nella storia dell’umanità la
fede nell’esistenza di Dio è una dimensione fondamentale di ogni cultura. È
solo negli ultimissimi secoli, e nella nostra cultura occidentale che degli
uomini si sono ufficialmente dichiarati agnostici o atei e sostengono che Dio
non esista e sia solo un’invenzione.

Attraverso
i secoli e i continenti, popoli diversi hanno imparato a conoscere Dio a
tentoni (At 17,24-28) e ciascuno l’ha chiamato secondo la propria lingua,
celebrato con i propri riti e capito secondo la propria teologia. Dalla
comprensione di Dio e dall’esperienza quotidiana, ogni popolo si è dato regole
di vita in base alle quali una persona è considerata giusta, buona e
rispettabile. Parafrasando le parole di s. Paolo nel testo sopra citato,
possiamo dire che seguendo il meglio delle proprie tradizioni umane e religiose
ogni uomo ha potuto realizzare la sua vocazione fondamentale: quella di essere
immagine («stirpe») di Dio (cfr. Gn 1,26).

È
vero che nella storia della Chiesa questa visione è stata spesso dimenticata ed
è prevalsa l’idea che tutti i non battezzati fossero destinati alla dannazione
eterna, con conseguenze anche gravi, come il battesimo forzato dei popoli
latino-americani. Ma il Concilio Vaticano II (1962-1965) ha avuto il merito di
purificare la Chiesa da queste visioni non evangeliche della storia della
salvezza. Basti per questo la costituzione Gaudium et Spes: n.16, sulla
coscienza retta; n.17 sulla libertà; n.58, su Vangelo e culture; oppure Lumen
Gentium
: n.16 sui non cristiani; o la brevissima dichiarazione Nostra
Aetate
firmata da Paolo VI.

Così,
circa la prima domanda, questo è ciò
che si pensa oggi nella Chiesa. Ogni uomo ha una capacità naturale di
relazionarsi con Dio, perché creato da Dio. Ognuno è chiamato a vivere una vita
retta in base alla sua cultura e alla sua coscienza; su questo sarà valutato
e  non su quello che non conosce. Gesù è
morto e risorto per salvare tutti gli uomini di ogni epoca e di ogni angolo del
mondo, non solo chi espressamente lo riconosce e aderisce a lui liberamente e
coscientemente con un atto di fede e col battesimo. La «condanna» è per chi
coscientemente non vive secondo gli standard migliori della sua cultura. Non si
tratta quindi di una decisione all’ultimo minuto per il Dio dei cristiani, ma
di un modo continuo di essere persona degna, onorata e giusta, secondo una
coscienza retta. Ciascuno è chiamato a rispondere per quello che sa, non quello
che ignora senza colpa. Questo vale per il non-cristiano quanto per il
cristiano. Non c’è illuminazione dell’ultimo minuto.

La
seconda domanda: «Chi ci assicura che la Bibbia non contenga
sbagli?».
Nessuno. La Bibbia contiene sbagli scientifici, geografici e storici
perché non è né un libro di storia né di geografia né di scienze. Scritta
nell’arco di oltre 1000 anni, la biblioteca della Bibbia è condizionata dalle
conoscenze degli uomini contemporanei a ciascuno dei suoi libri. Anche dal
punto di vista religioso la Bibbia contiene una progressione tra le idee ed le
esperienze raccontate nei suoi libri più antichi e quelle contenute nei libri
conclusivi come quelli del Nuovo Testamento. Questo perché  non è un unico libro «di religione» scritto
da un solo autore che ne ha poi revisionato attentamente ogni parte per una
perfetta armonizzazione di tutto e l’eliminazione delle contraddizioni o degli
elementi sfavorevoli. La Bibbia riflette il cammino di fede di un popolo che a
fatica è cresciuto nella sua comprensione delle cose di Dio e si racconta,
offrendo ai lettori una testimonianza del proprio cammino spesso faticoso. Fino
alla testimonianza di Gesù Cristo, figlio dell’uomo e figlio di Dio.
Testimonianza ancora una volta affidata alla fragilità di altri uomini.

Come possiamo
verificare allora che la Bibbia dice parole vere su Dio? Prima che un libro di
idee e di dogmi, la Bibbia è un libro di persone che hanno creduto e offrono
liberamente la loro testimonianza su quello che hanno visto, toccato, udito,
incontrato e amato (cfr. 1 Gv 1,1-4), su quello che ha dato senso alla loro
vita. La verità si scopre solo accettando di entrare in relazione con dei
testimoni e attraverso loro con Colui che loro hanno conosciuto e amato.

 

Non sono d’accordo

Carissimo direttore.
Sono un fedelissimo della vostra rivista missionaria e apprezzo sempre leggere
gli articoli sui/dei missionari della Consolata […]. Vorrei farle notare, per
la mia esperienza di missionarietà acquisita sul campo a fianco di padre Noè
(Cereda) nell’isola dei lemuri (Madagascar), che non sono per niente d’accordo
sull’introduzione del suo editoriale «Santa audacia» (gen. 2014) quando
confonde il potere temporale della Chiesa con la vera storia della nostra
cristianità , «con la nostra fede che ha perso sapore per non essere più in
grado di creare Chiese di bellezze straordinaria» … (sic!).

Personalmente credo che Papa Francesco nel suo dire si
riferisca ad altre giornie, ad altre bellezze e ad altra audacia. è un richiamo a essere meno succubi
alle realtà dorate di questo millennio. È il denaro, la ricchezza e la fame di
vanagloria che la nostra società ci presenta come l‘inizio di una felicità
eterna. Riuscire a non farci trascinare nel «così fan tutti» e superare le
barriere di chi sposa il faceto e le tendenze dell’egoismo più sfrenato è
sicuramente l’audacia che ci chiede Papa Francesco. Una frase che ha detto ai
cristiani è sulla bocca di tutti: «I fondatori della chiesa Cattolica non
avevano il libretto degli assegni».

Nel mio piccolo ritengo, senza supponenza, che ne passa
di acqua nella storia fra scelte condivise e oppressioni tipiche del medioevo
verso i più deboli, depredati dai pochi ricchi che avevano anche i privilegi
dello ius primae noctis.

In terra di missione è la fede della gente che fa la
differenza, e non certamente le chiese gotiche che da ai nuovi cristiani la
gioia di amare, la bellezza della loro anima e l’audacia di professarsi
cristiani e distinguersi nel sacrificio verso i propri fratelli a scapito della
loro vita. Da noi è l’egoismo che impera nella società, è l’indifferenza di
tanti nuclei famigliari che davanti a tanti fratelli meno fortunati si chiudono
in «chi se ne frega». L’importante è che a noi non
manchi nulla. Non si può certo fare di ogni erba un fascio dimenticando che per
chi vuol essere «credente» la carità è la massima espressione del cristianesimo
sia nelle parrocchie che nelle missioni sparse in tutto il mondo, una carità
che parte dal cuore e irradia l’universo di gioia, di bellezza e di audacia
senza se e senza ma come tantissime persone impegnate in associazioni che
sacrificano per un messaggio solidale la loro vita per i propri fratelli.

Per chiudere l’argomento credo che le chiese debbano
essere dignitose in ogni parte del mondo, con un imperativo: «Non essere
bellissime scatole, ma senza fedeli». Vuote.

Giovanni
Besana
Missaglia (Lc), 30/01/2014

Caro
Sig. Giovanni,
grazie del suo interessante commento. Mi permetto solo di precisare che la mia
frase è leggermente diversa da come lei l’ha riportata. Scrivevo: «Basti
pensare a molte delle chiese costruite alla fine del secolo scorso, spesso
livellate da un’architettura populista incolore che non ha più neppure l’eco
della giorniosa bellezza e dello slancio audace delle chiese gotiche. Specchio di
una fede che ha perso il sapore, che non osa più». Con quello non intendevo
certo esaltare il potere temporale della Chiesa, ma mi riferivo a un periodo
della nostra storia, il Medioevo, su cui abbiamo delle opinioni diverse. Le
chiese gotiche non sono frutto di un periodo cupo e triste della nostra storia
ma espressione di un mondo pieno di luce, colore, slancio e speranza. Le
comunità cittadine che costruirono tali cattedrali vivevano tempi d’intensa
vitalità economica e culturale e di relativa pace, nei quali, accanto a mura e
castelli, era anche possibile costruire, con il lavoro di tutti, la casa della
comunità, in cui celebrare le feste, dare rifugio ai pellegrini e viandanti,
trovare asilo in tempi di calamità e di abusi da parte dei poteri politici.

Quanto
alle oppressioni verso i deboli da parte di pochi ricchi predatori, credo
proprio che noi oggi abbiamo ben poco da insegnare a riguardo, giacché,
nonostante la crisi economica tocchi tutto il mondo, i ricchi diventano sempre
più ricchi, i poveri impoveriscono sempre di più e la classe media scompare.
Storia di oggi, non del Medioevo. E lo «jus primae noctis» lasciamolo al mondo
delle bufale rinascimentali cui appartiene, come tanti altri luoghi comuni sul
Medioevo come scrive Alessandro Barbero (vedi l’articolo su La Stampa del
28.8.2013, pag. 30-31 e l’intervista su Zenit.org del 16.9.2013). «Tutti quelli
che ne parlano, dalla fine del Medioevo in poi, la associano a un’alterità
barbarica, all’esotismo dei nuovi mondi, o a quell’altro esotismo, di gran
fascino, che è l’esotismo del passato. Ed è il motivo per cui da queste
leggende è così difficile liberarsi. Non importa se da cento anni nessuno
storico serio le ripete più, e se grandi studiosi come Jacques Le Goff hanno
insistito tutta la vita a parlare della luce del Medioevo. Nel nostro
immaginario è troppo forte il piacere di credere che in passato c’è stata
un’epoca tenebrosa, ma che noi ne siamo usciti, e siamo migliori di quelli che
vivevano allora».

La
realtà è che nella storia la costruzione di una cattedrale non ha mai portato
alcuna città alla bancarotta, mentre, ad esempio, certe faraoniche costruzioni
olimpiche hanno invece rovinato delle nazioni.

Rirsponde il Direttore




Cari Missionari

Esistono orfani in Africa?

Ho l’impressione
che si dicano un sacco di esagerazioni sulla vicenda degli orfani che non
vengono fatti partire dal Congo insieme ai genitori adottivi italiani. Per quel
che ne so, non esistono orfani nell’Africa nera, in quanto quando muore il
padre, oppure quando muoiono ambedue i genitori, i bambini non sono
abbandonati, ma vengono adottati dallo «zio», e pure da tutto il clan. Nel 1966
volevo adottare una bambina orfana di tre anni, Hélène, ma lo «zio» si oppose,
pur ringraziando, poiché in Congo non esistevano gli orfani. Ciò è stato
confermato sere fa in un dibattito pubblico a Corridonia da un missionario
della Consolata, da anni in Congo a Kinshasa.

Se le
autorità congolesi si oppongono, oppure ci vanno caute, è perché americani e
canadesi si stanno portando via i bambini congolesi senza alcun controllo. Ciò
sempre secondo quel missionario. Esiste, allora, una «tratta» dei bambini
congolesi, fatti passare per «orfani» da una organizzazione missionaria o
laica, o da burocrati governativi? Quanto è costato ai futuri genitori italiani
adottare un bambino congolese?

I bambini sono una ricchezza per l’Africa nera e in tale
maniera vengono considerati da quelle popolazioni. In questo caso gli Africani
si dimostrano più civili e umani di noi Occidentali.

Certe cose il ministro Kyenge dovrebbe
conoscerle; a meno che, stando nel mondo civilizzato, abbia dimenticato come la
pensano dalle sue parti.

Giorgio Rapanelli
Corridonia (Mc), 1/1/2014

Premesso che provo grande empatia e dispiacere per le coppie che si
trovano bloccate con le loro     
adozioni in Congo, anche perché ho avuto modo di vederle e sentire la
loro situazione. E che nell’incontro tenutosi a Corridonia, a cui fa
riferimento l’amico Giorgio, si è parlato di altri temi, e solo di sfuggita di
adozioni. Voglio qui condividere alcuni punti che ritengo importanti come
contributo alla riflessione:

1. È vero, almeno secondo la mia esperienza, che nella cultura africana è
inconcepibile affidare un bambino orfano a estranei, perché esiste la realtà
della famiglia
allargata, per cui
anche il parente più lontano ha una serie di diritti/doveri sul bambino, tanto
da rendere praticamente impossibile, per qualsiasi tribunale, dichiarare
l’adottabilità di un minore senza suscitare forte malcontento nella famiglia.
Purtroppo, a causa della povertà e delle guerre che assediano l’Africa, oggi
assistiamo anche a delle degenerazioni della questione, per cui c’è il caso, ad
esempio, degli orfani di guerra e dei bambini-stregoni. In quest’ultimo caso
essi sono considerati dei veri e propri rifiuti da parte delle famiglie che
addossano ai bambini tutte le colpe della loro triste situazione.

2. Le adozioni inteazionali sono disciplinate dalla Convenzione dell’Aja, cui hanno aderito quasi tutti gli stati
del mondo tranne quelli africani e musulmani. Anche il Congo non ha
sottoscritto tale convenzione e non ha neppure un trattato bilaterale con
l’Italia in merito. Perciò le poche pratiche che si fanno in Congo dipendono
dai giudici locali che cercano più di spillare soldi che di aiutare e sistemare
i bambini. L’ideale sarebbe sempre che uno possa fiorire dove è stato seminato.
Anche la Convenzione
dell’Aja vede
l’adozione come una scelta estrema e sostiene la volontà di garantire al
bambino la possibilità di rimanere nel suo mondo culturale. Un’associazione che
coinvolga una coppia nell’adozione di un bambino in uno stato che non abbia
aderito alla Convenzione
dell’Aja o che
non abbia sottoscritto un trattato bilaterale compie un atto temerario, assai
rischioso sia per i bambini che per gli aspiranti genitori. Non ci si dovrebbe
fidare facilmente.

3. Inoltre, per finire, l’intervento del governo Congolese, non è
direttamente contro le coppie italiane. è
dovuto al fatto che vogliono vederci chiaro su una situazione critica da anni
che ha favorito il commercio dei bambini da parte di funzionari, compagnie e
associazioni senza scrupoli. Per una volta che un governo si assume le sue
responsabilità lo facciamo passare come antiumano e crudele.

Grazie, auguri e buona riflessione! Coraggio e avanti in Domino!

P. Stefano
Camerlengo
Roma 09/01/2014

 

Caro Signor Giorgio,
ho scomodato il nostro padre generale per questa risposta, perché ha avuto una
lunga esperienza in Congo ed è anche suo compaesano. Da parte mia posso solo
aggiungere che la situazione degli orfani in Africa si è aggravata, oltre che
per le ragioni sopra riportate – povertà, guerre e malattie -, paradossalmente
anche grazie agli effetti positivi di quello che impropriamente chiamiamo
sviluppo: miglioramento degli standard di vita, diminuzione della mortalità
infantile e scolarizzazione. Un tempo, nella società pastorale o agricola, un
orfano era sì una bocca in più da sfamare, ma ben presto diventava anche un
soggetto che poteva contribuire alla vita della famiglia e del clan attraverso
il lavoro nei campi o nella cura del bestiame. Ora invece moltissime famiglie
sono impoverite, vivono nelle periferie delle grandi città senza campi né
bestiame; in più i bambini devono essere mandati a scuola. E la scuola non è
gratuita, ma costa, e tanto. E in città il cibo è caro, non si raccoglie nel
campo, si compra. E non bastano più le medicine tradizionali quando uno è
malato, le medicine si pagano. Per questo, nonostante la grande solidità della
famiglia allargata africana, gli orfani aumentano.

Oltre all’adozione vera e propria, che è una delle
risposte a questi problemi, c’è anche un altro modo di aiutare: l’adozione (o,
meglio, il sostegno) a distanza o a progetto, che permette ai bambini di
restare nel loro ambiente e aiuta una comunità a prendersi cura dei propri
figli.

Noi come missionari, da oltre un secolo stiamo seguendo
questa strada, per altro proposta oggi da tantissime organizzazioni, alcune
molto serie, altre anche fraudolente. Il dramma degli orfani è così grave da
esigere la collaborazione di tutti, senza sterili polemiche.

 
Verità sulla Siria

Se Natale è la festa della luce che scaccia le tenebre e
della verità che sconfigge la menzogna, quindi anche la cattiva informazione,
un regalo migliore dell’articolo sulla Siria, pubblicato proprio nel mese di
dicembre, non potevate farcelo.

Mi sembra superfluo aggiungere che condivido le critiche
da voi fatte ai grandi mezzi di comunicazione. Anche la nostra Rai, che molti
definiscono la maggiore industria culturale italiana, con pochissimi eguali in
Europa, poteva fare di più e di meglio: quella che ci ha raccontato finora
sulla Siria è una storia che lascia un po’ a desiderare. Eppure proprio la Rai,
con l’enfasi data a certi grandi eventi come la Fiera Aeronautica di Dubai di
metà novembre, ha confermato quanto pesino Arabia Saudita, Emirati Arabi e
Qatar nello scacchiere globale e quali ripercussioni abbiano le loro mosse
sull’economia, sulla finanza e, di riflesso, sulla politica.

Sono proprio i paesi arabi del Golfo, quegli stessi che
voi giustamente avete indicato come responsabili della catastrofe siriana, a
comprare le grandi società di calcio, a dare lavoro alle grandi imprese
dell’edilizia e dell’arredo, a ospitare i Gran Premi di Formula Uno, ad
acquistare compagnie aeree o parti di esse, e soprattutto a dare sbocchi di
mercato altrimenti introvabili ai grandi e costosissimi (anche in termini di
impronta ecologica e impatto ambientale…) consorzi dell’industria aeronautica
– l’americano Boeing e l’europeo Airbus -, dei quali è partner, specie per quel
che riguarda la realizzazione delle fusoliere, la nostra Alenia Aeronautica.

Quando, in appena due giorni, tre compagnie aeree arabe
riescono, da sole, ad acquistare duecento grandi aerei, tra cui i Boeing 787
Dreamliner («aereo dei sogni»…) e Airbus 380, facendo finire nelle casse di
Seattle, Tolosa, Amburgo, Londra, Madrid, Grottaglie e Nola la bellezza di
cento miliardi di dollari, possiamo farci un’idea di quale sia il potere
contrattuale degli Arabi e del grado di dipendenza del Pil mondiale dallo
shopping degli sceicchi. Possiamo farci un’idea però anche di quanto sia
urgente procedere a una drastica correzione dell’attuale modello di sviluppo,
affinché quello con gli Arabi non diventi un abbraccio mortale, per noi e per
loro.

La pace non può non essere il primo degli obbiettivi e il
primo dei sogni di paesi che si dicono civili, democratici, evoluti,
progrediti: pazienza se questo significherà qualche affare in meno con i
nababbi del Golfo Persico, pazienza se ci sarà qualche punto di Pil in meno e
qualche mugugno in più di industriali e sindacati.

Se poi anche Papa Francesco dice che «la pace è
artigianale» e quindi né industriale, né petrolchimica, né avionica, né
imprenditorial-finanziaria, né agrobusiness… Buon Natale e Buon Anno.

Francesco Rondina
Fano, 25/12/2013

L’età di Gesù

Alle pagine 30-32 della rivista del dicembre scorso ho
letto con grande interesse l’articolo di don Paolo Farinella. Ho una domanda:
che età poteva avere il Cristo quando è morto? Là trovo scritto 36 anni circa,
mentre ci hanno sempre insegnato che ne aveva 33. Posso contare su una risposta
sia pur telegrafica? Grazie

cav. Sergio
Gentilini
Roveredo in Piano (Pn)

A che età è
morto Gesù? A 33 anni o a 36? La questione è dibattuta da due mila anni e ancor
a oggi non ne veniamo a capo. Si possono solo fare ipotesi con i pochi dati che
abbiamo a disposizione. Non sappiamo quando Gesù sia nato perché la data del 25
dicembre è puramente convenzionale, come spiegammo nel numero di MC di
dicembre. Sappiamo che nel redigere un computo temporale Dionigi l’Aeropagita
fece un errore di calcolo, in base al quale considerò l’«anno 0» come data di
nascita, mentre oggi sappiamo, e tutti gli studi lo confermano, che Gesù nacque
tra il 7 e il 5 a.C. Ma cambiare il calendario, spostandolo indietro sarebbe
un’impresa ormai impossibile. Le notizie che abbiamo dai Vangeli e da altre
fonti non sono decisive a riguardo. I Vangeli affermano che Gesù morì un venerdì
sera antecedente la Pasqua ebraica, la quale cade nel mese di Nisan,
corrispondente al nostro metà marzo, metà aprile (dipende dalla luna). Per gli
Ebrei, il giorno comincia al tramonto del sole del giorno prima, quindi venerdì
sera, dopo il tramonto è già il giorno Sabato. Per Mc, Mt e Lc (Vangeli
sinottici), infatti, Gesù morì il giorno di Pasqua (Pesach, il sabato 15 del
mese di Nisan), mentre per Giovanni la morte sarebbe avvenuta la vigilia del
Sabato, cioè prima del tramonto. Lo scopo di Giovanni è fare coincidere la
morte di Gesù con l’ora (le ore 16,00) del sacrificio nel tempio di Gerusalemme
per presentare Gesù come «Agnello di Dio» sgozzato sulla croce.

Da tutta una serie di computi, confronti e studi, le date possibili
sono tre: il 7 aprile dell’anno 30, oppure il 27 aprile dell’anno successivo o
il 3 aprile dell’anno 33. Sia i Vangeli che lo storico ebreo Giuseppe Flavio ci
dicono che Gesù morì durante l’amministrazione del procuratore romano Ponzio
Pilato che gli studiosi fissano tra il 26 e il 36 dC. I Vangeli dal canto loro
aggiungono che Gesù fu condannato a morte durante il sommo sacerdozio di Caifa,
che era manovrato dal suocero Anna (a sua volta ex sommo sacerdote). Il
pontificato di Caifa si colloca tra l’anno 18 e il 36 dC, in concomitanza con
il procuratore Ponzio Pilato. Secondo Lc, Pilato per un atto politico inviò Gesù
a Erode Antipa che regnò per conto dei Romani sulla Galilea tra il 4 aC e il 39
dC. Da tutta questa ubriacatura di date, di anni e di nomi, la conclusione è
che la morte di Gesù deve essere avvenuta tra il 26 e il 36, logicamente dC. Se
fosse stato l’anno 26, tenuto conto che è nato circa 6 anni prima di quanto
crediamo noi, sarebbe morto all’età di 32/33 anni circa; se invece fosse stato
l’anno 36, tenuto conto dello stesso motivo, Gesù sarebbe morto dieci anni
dopo.

Come si vede
non possiamo chiedere ai Vangeli una «precisione» cronologica che non possono
darci, perché il loro scopo è catechetico e teologico, non storico (come
intendiamo noi questa valenza). Noi sappiamo che i primi cristiani hanno identificato
Gesù con Isacco, il figlio di Abramo che stava per essere sacrificato dal padre
sul monte Moria. Secondo la tradizione ebraica, Isacco incitava il padre a
compiere fino in fondo il suo dovere di obbedienza a Dio e quindi si offrì
liberamente al sacrificio. La stessa tradizione parla di Isacco «legato» alla
legna come Gesù fu «legato/inchiodato» alla croce. Poiché si suppone che
l’episodio del sacrificio d’Isacco sia avvenuto quando questi aveva 36 anni,
applicando a Gesù un’età simile, non si è lontani dalla realtà perché si resta
perfettamente tra i 32/33 anni e i 42/43. Ciò che conta per i Vangeli è che Gesù
nacque, visse e morì, offrendo la sua vita in dono e senza chiedere in cambio
nulla. Sì, tutta la sua vita fu un atto permanente di amore a perdere.

Paolo Farinella


Un brindisi
a padre Egidio (Crema)

In data 2 Gennaio 2014 padre Egidio Crema ha festeggiato
il suo 90esimo compleanno qui al Consolata Hospital di Ikonda dove si trova
ospitato. Vi inviamo due fotografie della cena conviviale a cui hanno
partecipato padre Sandro Nava, la dottoressa Manuela, la dottoressa Virginia
Quaresima, il dottor Gianpaolo Zara, il dottor Giuseppe Vasta e la sua badante
Rosy. Sarebbe bello che queste foto fossero pubblicate
per rendere onore a un missionario che dal
1950 ha lavorato in Tanzania e ora si è ritirato al Consolata Hospital che
funge anche da casa di riposo e cure per i missionari anziani e ammalati in
Tanzania.

Un saluto cordiale.

p. Sandro Nava e dott.ssa Manuela Buzzi
Ikonda, Tanzania

Risponde il Direttore