Ricordando padre Antonio Bonanomi

La sera del 7 gennaio 2018 è andato a godere il riposo dei missionari padre Antonio Bonanomi, di Giovenzana, Colle Brianza (Lecco), nato il 29/11/1934 e ordinato sacerdote il 14/03/1959. Formatore ed educatore di aspiranti missionari fino al 1978, attivissimo nell’animazione missionaria in Italia, all’inizio del 1979 lo troviamo a Tocaima in Colombia, formatore nel seminario teologico della Consolata a Bogotà dal 1983 al 1988, dal 1988 diventa coordinatore delle équipe missionaria di Toribio, di cui è anche parroco. Toribio è in una zona abitata da indigeni Nasa.
Nel giugno 2005 diventa direttore del centro Centro “Misiòn y Culturas”, prolungamento naturale del suo impegno a favore dei popoli indigeni.
Obbligato a rientrare in Italia da problemi di salute, padre Bonanomi vive i suoi ultimi anni nella Casa Madre di Torino, impegnato in scritti, conferenze, esercizi spirituali e quanto altro la sua mente sempre vivacissima trovasse interessante e consono alla Missione.

Per ricordarlo:




FA COME DIO, DIVENTA UOMO!


Carissimi Missionari, Missionarie,
Laici Missionari/e, familiari, benefattori, amici,

[…] “Fa’ in modo che Dio sia grande in te” recita uno degli aforismi più noti del grande mistico tedesco Meister Eckhart.

Credo che la nostra vocazione, consista nel divenire sempre più umani, facendo crescere, lasciando spazio al divino in noi e attorno a noi. Proprio come Maria, che nella sua disponibilità permise a Dio di essere grande in Lei, tanto da renderlo presente nel mondo.

Cos’è per noi il Natale se non questa rinnovata consapevolezza di divenire sempre più un tutt’uno con la divinità che ci abita e quindi abilitati a rendere presente Dio nel mondo, a incarnare Dio? Può il Natale ridursi a un semplice ricordo di un evento accaduto venti secoli fa?

“Fa’ come Dio, diventa uomo!” (don Giovanni Giorgis). Celebrare il Natale significa ri-nascere, rivitalizzarsi, venire sempre più alla luce di noi stessi: “Mia madre mi ha messo al mondo una volta, certo. Ma io mi sono partorita di nuovo un milione di volte” (Sarah Levine). Significa diventare sempre più esseri umani completi, portare a compimento la nostra unica missione esistenziale: “in verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi i miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40).

E tutto ciò facendo in modo che Dio s’allarghi sempre maggiormente nel nostro essere più profondo.

Nel Magnificat, Maria esclama queste parole: «L’anima mia, letteralmente sarebbe “la mia vita”, si “espande/dilata”in Dio mio Salvatore», poiché il verbo usato significa magnificare, ma anche espandere, dilatare. È questo d’altra parte, il senso profondo di ‘salvezza’ nel contesto biblico: dilatare, compiere, aprire in avanti, concedere futuro.

“Fa’ in modo che Dio sia grande in te!”. Il Natale è consapevolezza sempre maggiore che Dio è all’opera in noi, che ci “possiede” nella misura in cui glielo permettiamo, sino ad arrivare a dire con Gesù: “Io e il Padre siamo una cosa sola”, e “Chi ha visto me ha visto il Padre”. (Gv 10, 30; cfr. Gv 17, 11.21.22), (Gv 14, 9).

Celebriamo il Natale nella misura in cui la nostra vita e la nostra missione diventano sacramento del Dio che s’è dilatato in noi, e dal momento in cui mettiamo in campo la vita scaturita da quest’unione. Celebriamo il Natale quando saremo capaci di trasmettere energie positive in grado di imbevere la storia, quando saremo luce capace di trasfigurare il presente con fiducia e con speranza, quando daremo consistenza alla nostra capacità di volere e di fare il bene.

Vivremo il Natale nella misura in cui, da persone trasfigurate dal Dio in noi, diveniamo missionari di giustizia e pace, quando contrasteremo il male col bene, quando rialzeremo chi è prostrato nella polvere, quando accoglieremo i reietti dai popoli, quando faremo dei limiti, delle fragilità e delle colpe degli altri non un pretesto di violenza e di separazione, bensì una possibilità di abbraccio, di perdono e un’occasione di rinascita.

Solo allora potremmo cantare nella santa notte “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà!”; pace in terra ai missionari che fanno come Dio, diventano uomini!!!

“Ci impegniamo anche noi a discendere…
Non per riordinare il mondo,
Non per rifarlo su misura, ma per amarlo;
Per amare
Anche quello che non possiamo accettare,
Anche quello che non è amabile,
Anche quello che pare rifiutarsi all’amore,
Poiché dietro ogni volto e sotto ogni cuore
C’è insieme a una grande sete d’amore,
Il volto e il cuore dell’amore.

Ci impegniamo
Perché noi crediamo all’amore,
La sola certezza che non teme confronti,
La sola che basta per impegnarci perpetuamente”.
(don Primo Mazzolari)

Auguri a tutti e a ognuno di un Santo Natale! Coraggio e avanti in Domino!

Stefano Camerlengo, IMC
Superiore Generale dei Missionari della Consolata
16 dicembre 2017




Vincitori del XXIV Premio del Volontariato Internazionale FOCSIV 2017


Il volontariato si tinge di rosa: tre donne e due Continenti, Europa e Africa, per il XXIV Premio del Volontariato Internazionale FOCSIV 2017.

Il volontariato per la XXIV edizione del Premio Volontariato Internazionale FOCSIV 2017 si tinge di colore rosa, assegnando il Premio Volontario Internazionale, quello per il Giovane Volontario Europeo e il Volontario del Sud a tre donne, legate tutte quante a due Continenti, l’Europa e l’Africa.

Pochi giorni prima del 5 dicembre, Giornata Mondiale del Volontariato, FOCSIV – Volontari nel mondo ha consegnato, nell’Aula Magna della John Cabot University a Roma,

  • a Anna Dedola, project manager COPE Iringa – Tanzania, il Premio Volontario Internazionale,

Tanzania, 10-11-2017. Villaggio di Nyololo. Anna Dedola, cooperatrice del COPE, vincitrice del Premio del Volontario Internazionale FOCSIV. Il centro per bambini Sisi Ni Kesho, gestito da Anna.

  • a Khadija Tirha, volontaria in Servizio Civile per LVIA Italia in Piemonte, il Premio Giovane Volontario Europeo

  • a Alganesc Fessaha, Presidente di Gandhi Charity candidata dal Centro Missionario di Trento, il Premio Volontario del Sud.

Tre donne, con radici culturali diverse alle spalle, che pongono al centro del proprio impegno quotidiano la persona, come portatore di necessità, cultura, speranza, diritti e la costruzione di ponti per il dialogo tra i popoli  e per un futuro di pace. Tre interventi in Tanzania, in Italia ed in alcuni paesi africani per la dignità, per i diritti umani, per lo sviluppo umano come sistema di crescita per le comunità ed i Paesi.

La cura e il diritto, fin dall’infanzia, a ricevere affetto ed un futuro sostenibile è il fulcro dell’impegno di Anna Dedola ad Iringa, in una delle regioni più povere e colpite dalla piaga dell’HIV di tutta la Tanzania, per i bambini orfani del Centro Sisi Ni Kesho dove sono accolti, nei primi anni della loro vita, e per i quali si garantisce una vita  il più possibile sana e la possibilità di ricongiungersi con le famiglie di origine o di andare in adozione. L’integrazione e l’inclusione come mezzi per costruire ponti tra le persone, questa la certezza che sostiene Khadija Tirha, cittadina attiva impegnata in Italia a realizzare una società coesa capace del rispetto reciproco e di una pacifica convivenza sociale tra culture e confessioni diverse. La dignità degli uomini, il loro diritto a una vita degna, la liberazione di uomini e donne, colpevoli solo di aver voluto cercare un futuro in altri luoghi lontani da quelli di origine, è la scelta di vita compiuta da Alganesc Fessaha da anni impegnata nel sostenere i profughi ed i rifugiati salvandoli da un destino che li condurrebbe alla morte e nel far conoscere il dramma vissuto da queste migliaia di persone in fuga.

A questi riconoscimenti si affiancano, come nelle scorse edizioni, le Menzioni speciali consegnate nelle mani del Sindaco di Catania, Enzo Bianco, come riconoscimento per il grande valore della solidarietà dimostrata dalla cittadinanza catanese verso i tanti migranti arrivati nel loro porto dal mare. A John Mpaliza, camminatore di pace, impegnato nel ricordare il dramma vissuto dalla povera popolazione della sua ricca terra di origine: la Repubblica Democratica del Congo ed al Venerabile Alessandro Nottegar, fondatore della Comunità Regina  Pacis a Verona, ritirata dalla figlia Chiara.

Al XXIV Premio Volontariato Internazionale FOCSIV 2017 è stata conferita la Medaglia del Presidente della Repubblica, è sotto l’alto Patrocinio del Parlamento Europeo ed ha ricevuto il Patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale, del Ministero del Lavoro e della Politiche Sociali, dell’Agenzia Nazionale per i Giovani e della Responsabilità Sociale RAI.

 “La vittoria di tre donne al Premio del Volontariato Internazionale sottolinea, ai miei occhi e a tanti di noi che da anni sono impegnati nel volontariato in Italia ed all’estero, come questo, nella maggioranza dei casi, sia un impegno, quando vissuto soprattutto in prima persona, al femminile. Tre età della vita, terre di origine lontane tra loro, culture diverse, ma un unico comun denominatore come scelta personale di un’intera esistenza: il garantire e tutelare il diritto alla dignità di esseri umani per tutti. – ha dichiarato Gianfranco Cattai, presidenteFOCSIV – È questo il valore profondo del volontariato che si adopera per l’altro, che si impegna nella crescita dei paesi di origine, che crede nei diritti umani, applicandoli ogni giorno in ciò che realizza. Sono i volontari le risorse preziose per la crescita culturale e sociale dei propri paesi, ma, soprattutto, sono portatori di un patrimonio di esperienze, valori e competenze capaci di generare un processo propositivo di inclusione ed integrazione nelle proprie comunità per il bene comune.”

Partner del Premio del Volontariato Internazionale 2017 sono: Fondazione Missio, Forum Nazionale Terzo Settore, CEI 8×1000 e Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) – Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo e John Cabot University. Media partner: Avvenire, Famiglia Cristiana, TV2000, Radio Vaticana, Redattore Sociale e Rete Sicomoro.

L’edizione di quest’anno, può sempre contare sulla presenza degli “Amici del Premio” che danno spazio ed eco all’iniziativa: Mondo e Missione, Missioni Consolata, Unimondo, Repubblica Mondo Solidale, Volontari per lo Sviluppo, Festival Ottobre Africano, Associazione Joint e On The Road TV.

Sponsor tecnico Raptim Humanitarian travel e con il contributo di UBI Banca. www.premiodelvolontariato.it #ViPremio2017

Ufficio Stampa FOCSIV – Volontari nel mondo

Giulia Pigliucci 335 6157253 ufficio.stampa@focsiv.it Valentina Citati comunicazione social 3495301102 Tel. 06 6877867 comunicazione@focsiv.it




Come sta il Centrafrica?


Notiziario dal Carmel di Bangui

n° 19 –16 Novembre 2017

Come sta il Centrafrica?

Il Centrafrica non sta per nulla bene. La guerra sembrava finita, ma purtroppo non è così o, almeno, non è dappertutto così. La situazione relativamente tranquilla di Bangui – dove comunque non sono mancati, anche recentemente, episodi di violenza – rischia di ingannare. Nelle zone interne del paese il quadro è ben diverso. Dal mese di maggio gruppi di ribelli – non sempre ben identificabili quanto ad origine e obiettivi – hanno provocato centinaia di morti, case bruciate e migliaia di profughi in diverse città e villaggi. Tale stato di cose si trascina ormai da troppo tempo. C’è come il rischio di abituarsi alla guerra, quasi fosse inevitabile.

Due dati inequivocabili esprimono, più di ogni altra analisi, la situazione drammatica in cui si trova il Centrafrica.

L’80% del territorio è, di fatto, ancora occupato, o comunque controllato, da gruppi di ribelli che dettano legge al posto dello Stato che fatica – e purtroppo quasi rinuncia – a far sentire la sua presenza. L’assenza dello Stato nelle zone lontane dalla capitale fu uno dei motivi che scatenarono la guerra nel 2013. Trascurarlo potrebbe non essere una buona strategia. L’elezione di un nuovo presidente, la presenza massiccia dell’ONU, l’interesse e gli aiuti copiosi da parte della comunità internazionale sembravano l’occasione propizia per voltare pagina, acchiappare finalmente il treno dello sviluppo e provare ad essere uno Stato per davvero. Ma, almeno per ora, così non è stato. I risultati hanno deluso le attese. Non siamo riusciti a fare passi in avanti. Anzi, forse ne abbiamo fatti addirittura indietro.

E vengo al secondo dato. Secondo l’ultimo rapporto dell’ONU il Centrafrica si colloca ormai al 188° posto su 188 paesi nell’Indice dello Sviluppo Umano. Siamo quindi il paese più povero del mondo. Il Centrafrica si trovava già in fondo alla classifica. Questi ultimi anni di guerra hanno consumato le poche risorse di cui disponeva.  E anche se le classifiche sono sempre un po’ antipatiche – e piacciono soltanto quando si occupano i primi posti –, questo dato resta un indicatore più che eloquente della reale situazione del paese.

Davanti ad un quadro così desolante non mancano le ragioni per essere pessimisti, scoraggiarsi e arrendersi. Ma da un punto così basso non si può che risalire. Ed è inutile continuare ad accusare un nemico, mai ben definito, o aspettare che qualcuno – quasi per magia – cambi la situazione perché ci siano le condizioni per iniziare a fare qualcosa. Forse è arrivato il momento di iniziare a fare qualcosa perché la situazione cambi. E la magia, o meglio, il miracolo sarebbe che questo qualcosa lo facessero i Centrafricani stessi, in un grande, collettivo e attesissimo sussulto di amore per la propria patria.

Dal Carmelo

Per fortuna il Carmelo sta un po’ meglio e le buone notizie non mancano. Settembre e ottobre sono stati mesi ricchi di avvenimenti. La mattina del 16 settembre sette giovani – due centrafricani e cinque camerunesi – hanno iniziato nel convento di st. Elie a Bouar l’anno di noviziato. Tra di loro c’era anche Aristide, il nostro infaticabile postulante-infermiere a servizio giorno e notte di malati, feriti e soprattutto partorienti del nostro campo profughi. Per fortuna che i profughi sono ormai partiti, altrimenti avremmo dovuto appendere, sul portone del Convento, un cartello con sopra scritto: “Siamo spiacenti, ma la maternità è chiusa perché Aristide non c’è più. In caso di parto è meglio che corriate subito all’ospedale più vicino”.

Nel pomeriggio dello stesso giorno altri tre giovani, due camerunesi e un centrafricano, al termine dell’anno di noviziato, hanno fatto la professione semplice. Due di loro fanno ormai parte della comunità del Carmel.

Il 21 Ottobre, nella nostra chiesa di Baoro, fra Christo ha fatto la professione solenne, entrando a far parte per sempre della famiglia carmelitana. Erano sette anni che non avevamo una professione solenne e quindi potete immaginare la nostra gioia. Il giorno seguente, nella grande cattedrale di Bouar, ci siamo ancora ritrovati per l’ordinazione diaconale di fra Christo e l’ordinazione presbiterale di fra Odilon. L’indomani, alla sera, nella chiesa del nostro seminario minore di Bouar-Yolé, eccoci ancora insieme per la celebrazione della prima Messa, un momento di grande commozione e fraternità per noi tutti. E di grande incoraggiamento per chi è ancora in cammino. […]

padre Federico Trinchero




Colombia: salviamo il bioma amazzonico e tutta la sua diversità


La «Minga» amazonica trifronteriza

La situazione

Il Vicariato Apostolico di Puerto Leuguizamo Solano, nella Colombia Sud orientale, si estende su una vasta regione con caratteristiche particolari: il suo territorio infatti è distribuito tra tre dipartimenti, Caquetá, Putumayo e Amazonas, e sta a ridosso delle frontiere con Perù ed Ecuador. In esso avviene il 2,5% delle relazioni commerciali, sociali, culturali e politiche tra i tre paesi latinoamericani. Infine si trova al centro del 6% dell’Amazzonia colombiana.

Queste caratteristiche rendono il Vicariato un luogo di particolare interesse per il mondo intero, non solo perché in esso si incontrano diversi popoli, ciascuno con la propria visione ancestrale del mondo, ma soprattutto perché è il cuore di una grande biodiversità, ricchezza di acqua e di potenziale energia. Allo stesso tempo il suo territorio, compreso tra i fiumi Caquetá, Putumayo e loro affluenti, è segnato da una grande vulnerabilità, perché isolato e generalmente trascurato dallo stato. Il fatto che le uniche vie di comunicazione tra la zona del Vicariato e il resto del paese siano fluviale o aerea, comporta diversi problemi: l’alto costo della vita famigliare, lo spostamento di molti in altre regioni, il non soddisfacimento dei bisogni di base della popolazione, come l’alloggio, l’istruzione, la sanità, l’occupazione, e la presenza di gruppi armati che si spostano liberamente tra i dipartimenti e, in certi momenti, tra Perù, Colombia ed Ecuador.

Ad aggravare la situazione concorre anche l’attività di estrazione, sfruttamento e traffico delle risorse naturali. L’estrazione del caucciù all’inizio del XX secolo, per esempio, ha prodotto gravi danni ambientali e socioculturali, come la schiavitù a cui è stata sottoposta la popolazione indigena della zona e addirittura l’estinzione di vari gruppi etnici.

La proposta: «Minga», lavoriamo insieme

In questo contesto, gli incaricati della pastorale sociale, educativa e indigena del Vicariato hanno organizzato un incontro di studio e lavoro a inizio novembre allo scopo di incrementare l’impegno per il territorio e di renderlo maggiormente visibile, di promuovere una riflessione che permetta agli operatori pastorali di appropriarsi del contesto sentendosi parte di un popolo multietnico e di crescere nella capacità di custodire la Casa comune, senza sempre aspettare iniziative o proposte che vengano da fuori. L’incontro si chiama «Minga», un termine indigeno che indica il lavoro fatto insieme per il bene comune. Da questo incontro è uscito il seguente documento programmatico.

Partecipantes a la Minga


Il Manifesto

Alla popolazione e a tutti coloro che servono l’Amazzonia e amano questa causa.

Convocati dal Vicariato Apostolico di Puerto Leguízamo – Solano, nel contesto della celebrazione del suo quinto anniversario, nei giorni 6-7-8 novembre 2017, i Vescovi e rappresentati delle equipe pastorali di Florencia, San Vicente del Caguán, Puerto Leguízamo – Solano (Colombia), San José del Amazonas (Perú) y San Miguel de Sucumbíos (Ecuador) insieme agli indigeni, contadini e alle istituzioni pubbliche e private per riflettere sulle opportunità e le sfide dell’Amazzonia nella tripla frontiera di Colombia/Ecuador e Perù.

Obispos partecipantes – I vescovi delle cinque circoscrizioni ecclesiastiche durante la Minga.

Come comunità di fede che offre il suo servizio nell’evangelizzazione dei popoli amazzonici, prendendosi cura della causa comune

Costatiamo:

  • Il forte impegno delle organizzazioni comunitarie per preservare, conservare e curare la vocazione di questo bioma amazzonico come regolatore del climatico mondiale
  • La crescente coscienza della responsabilità ambientale e sociale che ha portato alla conformazione di iniziative di grande impatto come la Rete ecclesiale pan-amazzonia (Repam)
  • L’assenza di politiche pubbliche a livello locale, regionale, nazionale e internazionale dirette alla cura, preservazione e conservazione dell’Amazzonia.
  • L’esistenza di progetti economici disarticolati, come lo sfruttamento petroliero, minerario, boschivo, le monoculture, l’allevamento estensivo e la pesca eccessiva, senza uno sguardo ecologico-ambientale e privi di responsabilità verso la preservazione della selva a medio e lungo termine.
  • La forte minaccia che mina la stabilità del sistema ecologico ambientale della nostra Amazzonia dovuta ad una deforestazione indiscriminata.
  • La contaminazione dei grandi fiumi e suoi affluenti che vengono convertiti in depositi di scarichi solidi, chimici e residuali, minacciando seriamente e irreversibilmente tutti gli organismi viventi.
  • L’impatto nocivo di agenti esterni sulla sopravvivenza e identità culturale delle comunità autoctone.
  • Il narcotraffico e le miniere illegali (che) diventano una fonte permanente di degrado e distruzione dell’ambiente e delle relazioni familiari e comunitarie.
  • La presenza insufficiente dello stato nei luoghi più isolati dell’Amazzonia che garantirebbe alla popolazione i suoi diritti fondamentali alla vita, educazione, salute e sicurezza.

Facciamo appello a

  • Le autorità nazionali e internazionali,
    1. affinché garantiscano la cura e la protezione del bioma amazzonico e tutta la sua diversità; i diritti dell’Amazzonia devono essere tutelati e garantiti da ogni singolo paese e dal sistema globale;
    2. garantiscano che vengano consultati anticipatamente popoli indigeni in qualsiasi progetto che si pretenda sviluppare, soprattutto quelli di carattere estrattivo o le opere civili, proteggendo i popoli, i loro usi e costumi.
  • Le autorità locali, affinché i loro piani di sviluppo abbiano uno sguardo veramente amazzonico, stabilendo alleanze che rafforzino le organizzazioni presenti nel territorio.
  • Le organizzazioni indigene, contadine, urbane e di afro-discendenti, affinché cerchino consensi e impegni effettivi che generino condizioni per una vita degna, giusta e rispettosa dell’ambiente.
  • Tutta la comunità,
    1. affinché si educhi ad un uso adeguato dei residui solidi contaminanti per diminuire l’impatto ambientale negativo.
    2. (si impegni) a sostituire l’uso dei pesticidi e di altri chimici agrari con pratiche agro-ecologiche che non colpiscano la flora e la fauna del territorio amazzonico
  • Il mondo accademico, perché si coinvolga con decisione nei processi di ricerca scientifica, formazione e divulgazione della nostra realtà amazzonica per il beneficio di tutti.
  • Gli agenti di pastorale, affinché assumano una voce più profetica e decisa nella difesa della pan-amazzonia.

Ci impegniamo a:

  • Sintonizzarci con la proposta del Sinodo per l’Amazzonia convocata dal Papa Francesco per il 2019, partecipando attivamente nella sua preparazione, realizzazione e implementazione.
  • Assumere, come discepoli missionari, uno stile di vita che metta in pratica la cura e la protezione della causa comune nelle nostre azioni quotidiane.
  • Integrare nei piani pastorali un’azione evangelizzatrice che promuove la cura della vita in tutte le sue manifestazioni, ispirati dalla teologia della creazione.
  • Stabilire in ogni chiesa locale un vincolo più stretto con la Repam
  • Accompagnare le Comunità nella costruzione ed esecuzione di progetti produttivi sostenibili e confacenti all’ambiente amazzonico circostante.
  • Dare vita ad azioni che si oppongano a tutto ciò che va contro la vita in Amazzonia.

Puerto Leguizamo, 8 novembre 2017

Arbol signo de la Amazonia – L’albero simbolo dell’Amazzonia




Suor Leonella Sgorbati riconosciuta martire, la beatificazione si avvicina


Nepi-Roma, 09 novembre 2017

Carissime Missionarie e carissimi Missionari,

con profonda commozione e intensa gioia veniamo ad annunciarvi un evento di grazia che ci tocca tutti e tutte!

Il giorno 08 novembre 2017 Il Santo Padre Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto sul martirio della
serva di Dio Sr. Leonella Sgorbati

nata a Rezzanello di Gazzola (Piacenza, Italia) il 19 dicembre 1940
e uccisa a Mogadiscio (Somalia) il 17 settembre 2006 .

Vogliamo esprimere tutta la nostra gratitudine al Signore che vuole farci dono del riconoscimento del martirio e della santità di un’altra delle sue figlie, Leonella! Ci rallegriamo della gioia umile e intensa che sprigiona il Vangelo, quella gioia dei piccoli ai quali al Signore piace rivelare i suoi misteri! Cantiamo assieme il Magnificat, ovunque siamo, sparsi e sparse per il nostro mondo missionario! Magnificat perché il Signore ha fatto grandi cose nella sua umile serva, Leonella, unendola strettamente a se stesso nello spargimento del sangue, per amore! Magnificat perché ce l’ha donata come sorella, come compagna di cammino verso la santità fatta di tanta carità vissuta con passione nel quotidiano, nel perdono, nelle situazioni più concrete e difficili, fino a dare la vita! Il martirio di Suor Leonella è un segno in linea con quel fiume di fuoco che percorre la nostra famiglia dagli inizi come capacità di dono fino alla fine, con la forza mite e feconda del seme che sa morire per dare vita. Il martirio è un sigillo che ci riporta alle sorgenti del Carisma, al cuore del Cristo, un cuore lacerato da cui sgorga sangue ed acqua di vita e di consolazione.

Desideriamo brevemente far memoria grata dell’itinerario della causa di beatificazione della nostra sorella.

  • Il X Capitolo generale MC, celebrato nel 2011, ha chiesto alla Direzione generale MC «di dar inizio alla procedura per il riconoscimento del martirio di Suor Leonella Sgorbati avvenuto a Mogadiscio il
  • 17 settembre 2006 perché diventi per tutte noi esempio di come vivere la missione, anche nel contesto dell’oggi» (X CAPITOLO GENERALE MC, Atti Capitolari, Nepi 2011, 4.2.2.).
  • Il 04 aprile 2012 la Direzione generale MC nominava Sr Renata Conti Postulatrice per la Causa di Canonizzazione di Suor Leonella Sgorbati. Il primo passo realizzato da Sr Renata fu di raccogliere e sistematizzare la documentazione che riguardava la Fama di Martirio e di Segni di cui godeva Suor Leonella.
  • Il giorno 25 Settembre 2012 Mons. Giorgio Bertin, Vescovo di Djibouti e Amministratore Apostolico di Mogadiscio, diede inizio ufficiale al percorso dell’Inchiesta Diocesana con la S. Messa celebrata nella cappella MC di Nepi, con la partecipazione numerosa di consorelle e confratelli e con un intervento di Mons. Romano Rossi, vescovo di Civita Castellana, che metteva in risalto la ‘forza trainante ed incisiva’ della testimonianza la quale, come grazia, scaturisce da una beatificazione in una comunità religiosa od ecclesiale.
  • Madre Simona Brambilla, Superiora generale, a nome dell’Istituto, e accompagnata dalla postulatrice Suor Renata Conti, lesse il Supplex libellum. Bertin rispose con il seguente messaggio: «Con immensa gioia e gratitudine verso Dio, accolgo la vostra domanda di dare inizio all’Inchiesta Diocesana per il riconoscimento del Martirio di Suor Leonella Sgorbati, uccisa nella mia Giurisdizione Ecclesiastica, in Somalia; la sua vita e il suo martirio nel segno del perdono ci sono di esempio e di motivo per dare inizio al cammino di verifica e di ricerca attraverso le testimonianze e lo studio dei documenti allegati al dossier. Possa lo Spirito di Dio illuminare e sostenere quanti saranno impegnati nel portare avanti l’Inchiesta Diocesana». In seguito, suor Renata Conti, presentò a Mons. Bertin, Vescovo competente, il Dossier con i documenti raccolti dal 2006 e contenenti la fama di martirio e di Segni necessari per dare inizio alla Causa del riconoscimento del martirio in ‘Odium Fidei’.
  • Da settembre 2012 a settembre 2013 Mons. Giorgio Bertin, in collaborazione con la Postulatrice, prepararono tutto ciò che concerneva l’organizzazione del tribunale per l’Inchiesta Diocesana.
  • Il 16 ottobre 2013 a Djibouti, sede della Diocesi di Djibouti e di Mogadiscio, si diede inizio alle sessioni di apertura dell’Inchiesta Diocesana che si concluse il 15 gennaio 2014.
  • Il 19 settembre 2014 è stato emanato dalla Congregazione delle Cause dei Santi il Decreto della Validità Giuridica dell’Inchiesta Diocesana.
  • Il 7 aprile 2016 la postulatrice ha consegnato la Positio alla Congregazione delle Cause dei Santi.
  • Il 6 aprile 2017 il Congresso dei Teologi ha dato il suo giudizio sul Martirio in ‘Odium fidei’ della Serva di Dio suor Leonella Sgorbati ottenendo la totalità dei voti favorevoli.
  • Il 17 ottobre 2017 il Congresso dei Cardinali e Vescovi ha dato il giudizio unanimemente positivo sul martirio in “Odium Fidei” di Suor Leonella.

Carissimi/e, oggi è il giorno del Grazie!

Grazie a Dio, alla Consolata, al Fondatore che ci donano la gioia di riconoscere in Sr. Leonella una sorella che ha vissuto in pienezza il nostro carisma, fino alla fine, nella testimonianza di una vita consegnata nel perdono!

Grazie a tutti coloro che hanno contribuito in diversi modi alla causa di beatificazione e al riconoscimento del martirio della nostra sorella!

Ci è gradito ricordare qui alcuni fratelli e sorelle che hanno accompagnato più da vicino la vicenda di Sr. Leonella: S.E.R. Mons. Giorgio Bertin, Vescovo di Djibouti e Amministratore Apostolico di Mogadiscio che ha da sempre perorato e tenacemente sostenuto il percorso per il riconoscimento del martirio; Padre Francesco Giuliani, IMC, Giudice delegato, Don Giovanni Tortalla, Promotore di giustizia, Suor Kathy Meier, MC, notaio attuario, che hanno collaborato nel processo canonico. Il P. Antonio Magnante, IMC, presidente della Commissione storica in collaborazione con S.E.R. Mons. Luigi Paiaro, Vescovo emerito della Diocesi di Nyahururu, Kenya, e Suor Chiara Piana, MC. I Censori Teologi per lo studio degli scritti nella persona di S.E.R. Mons. Carlo Ghidelli Vescovo emerito della Diocesi di Lanciano e P. German Arana SJ, dell’Università di Comillas, Spagna. Sr Renata Conti, MC, postulatrice zelante, solerte e appassionata, consorelle, confratelli che in molti modi hanno testimoniato il loro supporto alla causa e hanno coltivato con Sr. Leonella un rapporto di fiducia, di scambio spirituale, di amicizia nell’unico carisma. GRAZIE!!!

Appena possibile vi faremo conoscere i passi concreti verso la Beatificazione, i tempi e il luogo. Che l’itinerario che ci porterà ad essa possa diventare per noi tutti occasione di rinnovato slancio missionario, nella semplicità, nella carità fraterna, nella gioia evangelica, nella radicalità del dono di vita implicito nella nostra vocazione missionaria ad gentes!

In comunione, con gioia

Sr Simona Brambilla e padre Stefano Camerlengo
superiora generale e superiore generale




Diminuiscono gli ortodossi nel mondo


Nel 1910 un cristiano su cinque nel mondo era ortodosso, il 20%. Cento anni dopo solo uno su otto, il 12%. Mentre i cattolici e i protestanti sono quadruplicati, passando da 490 milioni complessivi nel 1910 a 1,9 miliardi nel 2010, gli ortodossi sono «soltanto» raddoppiati, da 125 milioni agli attuali 260.

Sono questi alcuni dei dati che si trovano nel rapporto «Orthodox Christianity in the 21st Century» (I cristiani ortodossi nel 21° secolo) pubblicato oggi dal Pew research center.

Ma da cosa dipende questa differenza tra il ramo ortodosso della cristianità e gli altri due? Il Pew Center risponde che il motivo principale è la crescita di cattolici e protestanti fuori dai confini dell’Europa, potremmo dire l’azione missionaria. Mentre, infatti, i cristiani ortodossi sono, ancora oggi, prevalentemente europei (il 77%) – nonostante il caso particolare dell’Etiopia che da sola ne conta 36 milioni, costituendo la fetta di ortodossi in maggiore crescita -, i cattolici e i protestanti attualmente sono in gran parte in America Latina, Africa Subsahariana e Asia, cioè i continenti con maggiore crescita demografica. In particolare, oggi si trova in Europa il 24% dei cattolici e il 12% dei protestanti. Nel 1910 la quota per entrambe le confessioni era del 50% circa.

Al «caso» degli ortodossi etiopi il Pew center dedica ampio spazio nella sua ricerca, soprattutto per sottolinearne la singolarità. La chiesa ortodossa etiope si distingue dalle altre, oltre che per la sua storia che affonda le radici nella predicazione di un viaggiatore di Tire (in Libano) chiamato Frumentius, nel quarto secolo dopo Cristo, per la grande osservanza dei suoi fedeli. La maggior parte degli ortodossi vive, infatti, in paesi ex sovietici che presentano livelli bassi di religiosità: in Russia, paese in cui risiede la più grande popolazione ortodossa al mondo (101 milioni), solo il 6% dei fedeli afferma di frequentare la chiesa almeno una volta alla settimana e solo il 15% dice che la religione è «molto importante» nella sua vita. In Etiopia va in chiesa almeno una volta alla settimana il 78% dei cristiani ortodossi, mentre afferma che la religione è «molto importante» nella sua vita il 98%.

Tra gli altri dati interessanti illustrati dal report c’è quello che riguarda l’opinione degli ortodossi circa l’omosessualità: la maggioranza (a eccezione degli ortodossi greci e statunitensi) sostiene che non dovrebbe essere accettata; quello che mostra un’opinione fortemente negativa a riguardo del sacerdozio femminile e quello che descrive un’apertura (sebbene non maggioritaria) nei confronti di una possibile comunione con la chiesa cattolica romana.

Luca Lorusso




SOLIDARIETÀ AI MISSIONARI E AL POPOLO DEL VENEZUELA


MESSAGGIO DELLA DIREZIONE GENERALE DEI MISSIONARI DELLA CONSOLATA

“Consolate, consolate il mio popolo!” Isaia 40,1

Un Paese alla fame e sull’orlo della guerra civile” quello raccontato dai nostri missionari dal Venezuela, ascoltando le storie di giovani, professionisti, anziani, studenti e di famiglie povere: “la tessera per il razionamento alimentare, la mancanza di medicine, l’iperinflazione, i supermercati vuoti, il clima di insicurezza, la rabbia per le libertà civili violate”. E ancora “Con le strade trasformate in terreno di una battaglia campale infinita, il regime di Maduro si afferra al potere con un colpo di mano per cambiare la Costituzione. Mentre l’opposizione politica grida al golpe”.

Queste sono alcune considerazioni fatte a Padre Stefano, Superiore Generale, che è in costante contatto telefonico con loro, per manifestare la vicinanza di tutto l’Istituto, la preoccupazione per l’aggravarsi della situazione degli scontri e, attraverso di loro, la nostra solidarietà al popolo venezuelano di fronte ai gravi problemi che lo affliggono.

I missionari sono sereni e stanno bene, ringraziano per il ricordo e le preghiere, loro unica preoccupazione è il futuro incerto di un paese allo stremo, e per il quale chiedono di pregare costantemente.

In questi giorni il Venezuela è tornato sotto i riflettori delle maggiori agenzie di informazione internazionali, apparso nei titoli di apertura dei telegiornali e sulle prime pagine dei quotidiani nazionali e rispettivi siti web a causa dell’escalation della violenza, con i numerosi morti, feriti e i detenuti, ennesimo tragico epilogo di una situazione che si trascina oramai da 5 anni, dove non sembra esserci via d’uscita.

Mentre la gente soffre e vive nel terrore, i protagonisti del conflitto venezuelano, governo e opposizione, si trovano nel punto più distante tra loro, intenti solo a lanciare l’uno all’altro minacce e accuse.

 

I MISSIONARI A FIANCO DELLA GENTE

A Caracas i missionari della Consolata, insieme ad altri missionari e missionarie di altre Congregazioni hanno aperto una casa di accoglienza per barboni, senza casa, gente della strada che possono qui trovare riparo e sostegno, e se sono disponibili anche cura per rilanciarsi nella vita. Sempre a Caracas, capitale del Venezuela, abbiamo una Parrocchia situata nella periferia composta da almeno 150/200.000 persone che vivono incollate sulle casette di fortuna sulle colline attorno alla capitale. È un agglomerato di problemi, violenza, droga e malavita, ma anche di gente per bene che si guadagna la vita con un duro lavoro quotidiano e che poi, alla sera, si mette ancora in coda per arrivare alla sua casetta e vivere un momento di serenità con la propria famiglia. In questa situazione e contesto in nostri missionari cercano di costruire speranza ed essere segno di consolazione per un gruppo di cristiani che, certamente non sono maggioranza, ma sono presenza e fraternità e questo già basta per poter sognare almeno un poco.

Inoltre a Caracas, oltre alla parrocchia di Carapita, abbiamo la Casa Regionale con un centro per l’Animazione Missionaria vocazionale collegato anche al Centro della città di Barquisimento. La casa regionale è un pochino originale giacché non rappresenta lo stile delle solite case regionali, luogo di uffici e di organizzazione, ma è proprio la casa di tutti e dove tutti possono trovare un letto da dormire, un pasto da condividere e qualcuno che ascolta i tuoi problemi. E quando dico tutti, voglio dire tutti, non soltanto i missionari.

L’AMV è in mano ad un’equipe che lavora anche con i Laici della Consolata e con gli Amici della Consolata, un’esperienza importante e condivisa che vale la pena di essere studiata ed approfondita.

Tra tutte queste nostre presenze merita un ricordo particolare quella con gli indigeni. Abbiamo un’equipe di cinque missionari di diverse nazionalità che lavorano in due comunità distinte: una alla città di Tucupita dove gli indigeni si trasferiscono in tempi difficili o cercando espedienti lavorativi e sul Delta Amucuro dove gli indigeni Warau vivono a loro stile sulle palafitte sospese sull’acqua. I missionari, senza pretese, ma con l’unica forza della presenza condividono la vita di questo popolo assumendone le sorti, con l’unica pretesa dell’amore.

Insieme a tanti altri sacerdoti, consacrati e consacrate e ai fedeli laici i nostri missionari hanno scelto di rimanere nel paese, per stare accanto alla gente, condividerne la situazione, attenti ai loro bisogni concreti, nel cammino sofferto di una comunità ecclesiale schiacciata tra due blocchi che tra loro hanno rotto ogni ponte e contatto.

La loro testimonianza di umile presenza tra i poveri e gli indifesi delle periferie di Caracas, realizza molto bene l’esortazione rivolta a tutti noi da Papa Francesco:

Non stancatevi di portare conforto a popolazioni che sono spesso segnate da grande povertà e da sofferenza acuta, come ad esempio in tante parti dell’Africa e dell’America Latina. Lasciatevi continuamente provocare dalle realtà concrete con le quali venite a contatto e cercate di offrire nei modi adeguati la testimonianza della carità che lo Spirito infonde nei vostri cuori (cfr. Rm 5,5). … Mentre con gioia ringrazio il Signore per il bene che voi andate compiendo nel mondo, vorrei esortarvi ad attuare un attento discernimento circa la situazione dei popoli in mezzo ai quali svolgete la vostra azione evangelizzatrice…” (Papa Francesco, ai partecipanti ai Capitoli Generali dei Missionari e delle Missionarie della Consolata, Sala Clementina, 5 giugno 2017)

UNA SITUAZIONE COMPLESSA

Ci sarebbe bisogno di un’analisi sistematica ed approfondita per decifrare la complessità delle cause, nazionali ed internazionali, che hanno contribuito a gettare il Venezuela nel caos.

Qui ci limitiamo ad alcune considerazioni che, pur non essendo esaustive, danno però l’idea della gravità del momento.

“ […] A seguito della caduta internazionale dei prezzi dell’oro nero, il Paese è sprofondato nel caos economico. Solo nel 2016 le entrate per prodotti derivati dalla vendita del petrolio erano scese del 5000% annuo. Di conseguenza, la necessità strategica di cercare risorse provenienti da fonti alternative all’industria petrolifera.”

«[…] Nella zona amazzonica sono state date delle concessioni a società di origine russa, canadese, britannica, sudafricana, cinese, iraniana e australiana, per lo sfruttamento di territori pieni di riserve aurifere, argento, petrolio, ferro, diamanti, coltan, uranio e ogni tipo di risorsa strategica… Si assiste alla dislocazione degli abitanti originari che per secoli hanno popolato queste zone; e ciò avviene solo per l’avidità che induce allo sfruttamento sconsiderato delle risorse del sottosuolo» (in Dossier Caritas Italiana, “Inascoltati. Un popolo allo stremo chiede i suoi diritti fondamentali”, www.caritas.it )

La rivoluzione bolivariana, avviata da Hugo Chàvez quasi vent’anni fa, si sta spegnendo in un sanguinoso caos. Perfino il procuratore generale dello Stato, Luisa Ortega Diaz, alto funzionario nominato dal potere chavista, ha condannato la violenza della repressione della Guardia Nazionale bolivariana contro le manifestazioni di protesta, che ha causato decine di vittime.

La proposta fatta dal Presidente Maduro per l’elezione di una nuova Assemblea Costituente, è stata respinta dall’opposizione che la considera soltanto un “nuovo tentativo di golpe”. L’avvilupparsi della crisi politica, la carestia, e l’iperinflazione (che potrebbe arrivare al 1600% secondo l’Fmi nel 2017) hanno fatto fare crac anche a tutto il progetto del socialismo bolivariano sostenuto, almeno fino alle ultime presidenziali, aprile 2013, da una maggioranza, seppur limitata, della popolazione.

Oggi il blocco sociale, che seguì il caudillo rivoluzionario morto nel 2013 e le sue promesse di riscatto sociale, è in minoranza. Per questo Maduro – che secondo i sondaggi ha ormai contro il 70% del Paese – ha rinviato le elezioni, amministrative e regionali. E per questo, insieme alla miseria sempre più drammatica nel Paese, l’opposizione si è lanciata in piazza.

LA NOTTE DEL VENEZUELA NON È ANCORA FINITA!

Infatti la situazione attuale si mostra qualitativamente diversa dal recente passato, perché le libertà sociali sono sempre più sotto assedio, la repressione inusitata, la crescente insicurezza personale e la sfiducia nel sistema giudiziario: la mancanza di tutela dei diritti lascia i cittadini indifesi davanti a una violenza mai vista. Il popolo venezuelano continua a protestare, inascoltato!

La crisi umanitaria avvolge il Venezuela in una spirale drammatica. L’82% della popolazione è in povertà, di cui il 52% in povertà estrema. La vita stessa delle persone è minacciata da quando sono venuti a mancare gli alimenti necessari per la sopravvivenza e la disponibilità di medicine per le cure fondamentali.

Questo favorisce l’aumento di morti premature, in particolare delle fasce più deboli della popolazione, specialmente bambini, anziani e malati. La mortalità dovuta a queste cause non risulta nelle cifre ufficiali di cui dispongono i mezzi di informazione, perché l’interesse è incentrato soltanto sul numero dei morti e dei feriti delle manifestazioni che si verificano ogni giorno, sin dal mese di aprile di quest’anno. In realtà, le cifre reali sono altre. Sono oltre 11.000 i bambini morti nel 2016 per mancanza di medicinali e la mortalità materna è aumentata quasi del 70%. (questi sono alcuni dati dell’Osservatorio di Caritas Venezuela, che emergono da una ricerca sullo stato nutrizionale dei bambini, riportati nel Dossier di Caritas www.caritas.it).

GLI APPELLI DELLA CHIESA

Anche se il Vaticano, che nei mesi scorsi guidò una trattativa per un compromesso fra governo e opposizione, ha dovuto gettare la spugna, giudicando “quasi impossibile” una nuova mediazione.

Anche se fuori e dentro del Venezuela, di fronte all’ostinazione e chiusura delle parti, governo di Maduro e partiti dell’opposizione, sembrano rassegnati al peggio, la Chiesa continua a lanciare appelli al dialogo, alla fine della violenza e alla ripresa dei negoziati.

La Conferenza episcopale del Venezuela in una lettera recentemente inviata al Presidente Maduro 8 luglio 2017, ha chiesto al Governo “di ritirare la proposta di un’Assemblea Costituente, di rendere possibile lo svolgimento delle elezioni stabilite dalla Costituzione”; e di “riconoscere l’autonomia dei poteri pubblici, abbandonando la repressione inumana di coloro che manifestano un dissenso, di smantellare i gruppi armati” e di liberare “le persone che sono state private della libertà per ragioni politiche”.

Ancora, i vescovi chiedono di impegnarsi “a risolvere i gravissimi problemi della gente e di permettere l’apertura di un canale umanitario perché possano arrivare medicine e alimenti ai più bisognosi”. Alle Forze Armate nazionali chiedono di “adempiere il proprio dovere di servizio al popolo nel rispetto e a garanzia dell’ordine costituzionale”. Dalla dirigenza politica i presuli esigono l’impegno nell’esclusivo bene “del popolo e mai per i propri interessi”, rispettando “la volontà democratica del popolo venezuelano”. Alle istituzioni educative e culturali chiedono di collaborare a “far crollare i muri che dividono il Paese”, incoraggiando “ogni sforzo in favore della pace e della convivenza, fondati sulla legge dell’amore fraterno”. (le lettera si         trova in: www.caritas.it)

Papa Francesco stesso in più di un’occasione ha lanciato accorati appelli al Governo e a tutte le componenti della società venezuelana:

“affinché venga evitata ogni ulteriore forma di violenza, siano rispettati i diritti umani e si cerchino soluzioni negoziate alla grave crisi umanitaria, sociale, politica ed economica che sta stremando la popolazione.” (Regina Coeli, 30 aprile 2017)

E in vista della festa dell’indipendenza del Venezuela del 5 luglio ha assicurato:

“la preghiera per questa cara Nazione e la mia vicinanza alle famiglie che hanno perso i loro figli nelle manifestazioni di piazza. Faccio appello affinché si ponga fine alla violenza e si trovi una soluzione pacifica e democratica alla crisi. Nostra Signora di Coromoto interceda per il Venezuela!” (Angelus, 2 luglio 2017)

E in una lettera indirizzata all’episcopato venezuelano venerdì 5 maggio il Pontefice esprimeva la sua solidarietà ai Vescovi del Venezuela e la chiara convinzione:

“che i gravi problemi del Venezuela possono essere risolti se c’è volontà per costruire ponti, se si desidera dialogare seriamente e rispettare gli accordi raggiunti. Desidero incoraggiarvi a non permettere che i figli amati del Venezuela si lascino vincere dalla sfiducia e dalla disperazione, perché questi sono mali che penetrano nel cuore delle persone quando non si vedono prospettive future”.

I nostri missionari in Venezuela, nei dialoghi telefonici avuti, e nello scambio via posta elettronica, sono concordi nel sostenere la via del dialogo e dei negoziati come l’unica percorribile, perché:

“Nelle persone è sempre più diffusa la volontà di un forte cambiamento, bisogna seguire, però, la via della pace e della democrazia. La maggioranza del popolo chiede una soluzione pacifica. Ma i costi umani di questo processo sono troppo alti. Il governo deve ascoltare la gente che grida. È necessario trovare un accordo. Non sappiamo di quanto tempo avremo bisogno in Venezuela per riconciliare la popolazione e risanare le ferite che ci stiamo infliggendo”.

Noi come missionari della Consolata, facciamo nostro e rilanciamo l’appello di Papa Francesco, convinti che, quando ogni speranza tace, l’unica via di uscita stia proprio nella ricerca di soluzioni consensuali.

SOLIDARIETÀ’ CON IL POPOLO VENEZUELANO

Cari missionari, amici e uomini e donne di buona volontà, con questo messaggio vogliamo esprimere la nostra solidarietà a tutto il popolo venezuelano e la vicinanza e l’affetto ai nostri missionari, attraverso il ricordo e la preghiera.

La situazione d’insicurezza ed incertezza del Venezuela alla stremo, richiama quella vissuta dal profeta Isaia in uno dei periodi più difficili della storia del popolo di Israele: la città santa ridotta ad un cumulo di macerie, le persone più capaci e preparate deportate, distruzione e disperazione tutt’intorno, regna il silenzio e la morte: non un canto, non un grido di gioia, solo tristezza e tante lacrime.

Il   profeta è invitato a contemplare i germogli di speranza che spuntano tra le rovine e, soprattutto a fidarsi del Signore per “saper irrobustire le mani fiacche e rendere salde le ginocchia vacillanti e dire agli smarriti di cuore: coraggio non temete! Ecco il vostro Dio giunge” (Isaia 35, 3-4)

Caro popolo venezuelano questa profezia del profeta Isaia, nella situazione in cui vi trovate, sembrerebbe “un sogno impossibile”, eppure chi crede, non si rassegna di fronte al male, non lo considera ineluttabile, perché sa che Dio è fedele ed è personalmente coinvolto nella storia del suo popolo.

E a voi missionari auguriamo che la testimonianza della vita fraterna, il vostro impegno a fianco dei poveri, possano realizzare lo specifico del nostro stile missionario:

“Consolate, consolate il mio popolo, gridate a Gerusalemme che è finita la sua schiavitù…” (Isaia 40,1-2).

Attraverso di voi la consolazione di Dio possa diventare una tenera carezza che rincuora e asciuga le lacrime; soccorso a chi si trova in condizioni disperate, riscatto per il misero sollevandolo dalla polvere (1Sam 2,8), mutando il lamento di tanti in danza e il loro grido in canto di gioia (Salmo 30,12).

In questo modo, in voi, la gente potrà toccare con mano, un Dio che veramente consola perché libera da tutte le schiavitù.

Rinnovando il nostro impegno di sostenervi e ricordarvi nella preghiera insieme a tutto il popolo venezuelano, vi salutiamo con l’esortazione del nostro Beato Fondatore:

«Coraggio dunque, sostenuti dalle nostre preghiere; coraggio in Domino, giorno per giorno, ora per ora. Ai piedi della nostra Ss. Consolata vi benedico di gran cuore» (Lett., IX/1,150).

La Direzione Generale dei Missionari della Consolata

p. Stefano Camerlengo
P. Bhola James Lengarin
P. Godfrey Portphal Alois Msumange
P. Jaime Carlos Patias
P. Antonio Rovelli

Roma, 15 agosto 2017, Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria

 




Elezioni 2017 in Kenya – cronologia


Elezioni in Kenya, giorno dopo giorno dal 27 luglio al 12 agosto 2017

Aggiornamento del: 13 Agosto 2017 alle ore 9.00

Seggi elettorali che hanno inviato i risultati: 40.762 su 40.883
Partecipazione: 79.26 % (86% nel 2013)
Elettori registrati: 19.611.423
Voti validi: 15.142.783
Voti controversi: 5.191
Voti rifiutati: 401.1981
Fonte: https://public.rts.iebc.or.ke/results/results.html

Stato dei voti per il posto di presidente:

Uhuru Kenyatta JP 8.208.373 voti (54.21%)
Raila Odinga ODM 6.799.850 voti (44.9%)

Per che cosa si è votato

Ogni elettore doveva dare sei voti diversi:

  • – a livello nazionale: presidente, membro del parlamento (Assemblea Nazionale), senatore, rappresentante delle donne;
  • a livello di contea (47 contee): governatore e membri dell’assemblea di contea

CRONOLOGIA

27 luglio 2017, assassinio di Christopher Msando presidente della Independent Electoral and Boundaries Commission (IEBC).

In preparazione alle elezioni c’è un diffuso timore che si ripetano le violenze del 2007 che causarono circa 1.100 morti e 600mila rifugiati interni. In tutte le chiese si intensifica la preghiera e gli inviti alla calma e alla partecipazione responsabile.

8 agosto 2017
Votazioni (dalle 7 alle 17, e in molti posti anche oltre viste le lunghe code). La polizia e dispiegata in forze (circa 180mila uomini) per prevenire disordini. Partecipazione altissima senza particolari tensioni.

9 agosto 2017
escono i primi risultati parziali che proiettano la vittoria di Huhuru Kenyatta, il presidente uscente, del partito Jubilee del Kenya ;
Raila Odinga (che corre per la quarta volta al posto di presidente), del Nasa – National Super Alliance – accusa di imbroglio dicendo che il sistema computerizzato dei voti controllato dalla ICBC è stato manomesso e hakerato.
Scoppiano tafferugli a Mathare (uno slum di Nairobi noto come roccaforte del partito di Odinga) e Kisumu. Ci sono almeno cinque morti.

10 agosto 2017
l’Iebc (Independent Electoral and Boundaries Commission) invita alla calma e ad attendere i risultati finali rifiutando l’accusa che i dati siano stati manipolati e hakerati usando il password del suo defunto presidente assassinato.
Anche altre voci autorevoli invitano alla calma e ad attendere i risultati.

In giornata il capo della Pubblica Amministrazione invita tutti i dipendenti della stessa a ritornare al lavoro.

Nel pomeriggio l’on. Odinga e i suoi, in una conferenza stampa,  insistono che i risultati riguardanti il presidente sono stati manipolati e che la vittoria sarebbero ampiamente in favore di Odinga.

Interviene la Law Society of Kenya (Lsk) che in una dichiarazione afferma che le elezioni sono andate bene, che occorre attendere i risultati finali e che se qualcuno ha di che lamentarsi vada in corte.

Gli osservatori internazionali (l’Elections Observation Group – Elog – composto da membri della Comunità Europea, Unione Africana, Commonwealth, East African Community e il Carter Centre, con 8.300 osservatori sul campo) elogiano lo svolgimento delle elezioni e non trovano irregolarità di rilievo nel processo elettorale e nel rilascio dei risultati.

11 agosto 2017
L’onorevole Raila Odinga del Nasa accusa gli osservatori internazionali di aver avvallato un processo elettorale che per lui è bacato e manipolato.
Continuano ad essere resi pubblici i risultati, man mano che i voti vengono certificati, circa i governatori, la rappresentante della donne e i vari parlamentari e senator e i membri delle assemblee di Contea.
Alle 9.00 ca., l’Iebc informa che mancano ancora pochi risultati per poter dare l’annuncio ufficiale sul presidente.
Alle 15 ca. (ora italiana) il partito di Odinga nega di aver dichiarato Odinga come vincitore e invita la Iebc a dare l’annuncio ufficiale solo quando tutti i documenti relativi sono arrivati e verificati.
Allo stesso tempo la Iebc comunica che mancano solo i documenti di due circoscrizioni elettorali e invita di nuovo alla pazienza.
In serata la Iebc annuncia la rielezione del Presidente Huhuru Kenyatta con William Ruto come suo vice presidente.
Alle ore 23.00 (ora italiana) in un messaggio televisivo il presidente rieletto si rivolge all’opposizione ricordando che “siamo tutti cittadini della stessa repubblica” e ha invitato alla pace.
Ma l’opposizione continua a contestare i risultati e denunciando brogli, scoppiano disordini negli slum di Mathare e Kibera e a Kisumu.

12 agosto 2017
I vescovi cattolici, (Kenya Conference of Catholic Bishops – KCCB)

pubblicano un comunicato stampa in cui

  • Lodano il popolo del Kenya per il modo calmo e sobrio in cui ha partecipato alle elezioni.
  • Fanno le congratulazioni al presidente eletto Huhuru Kenyatta e agli altri candidati alla presidenza, riconoscendo la loro condotta sobria (conducting themselves with sobriety) durante la campagna elettorale.
  • Congratulano la Iebc per il modo con cui ha gestito un processo elettorale oggettivamente difficile.
  • Poi, però, sottolineano i seguenti punti:
    • un appello al presidente eletto e al suo governo a muoversi velocemente per guarire e unire la nazione divisa dopo un periodo elettorale emotivo: i vescovi si augurano che nessuna comunità venga emarginata o esclusa per il modo con cui ha sostenuto e scelto i candidati;
    • un invito urgente a tutti i politici a usare un linguaggio che promuova unità, pace e riconciliazione;
    • invitano le forze di sicurezza a non usare forza eccessiva nel controllo delle folle e a rispettare la santità della vita; i vescovi sono particolarmente dispiaciuti per le notizie di morti e distruzioni di proprietà;
    • i vescovi prendono atto che anche dopo l’annuncio ufficiale dei risultati ci sono molte lamentele circa la correttezza di tutto il processo elettorale, per questo implorano e urgono (implore and urge) le parti interessate a usare i mezzi legali offerti dalla Costituzione per risolvere i problemi.
  • Concludendo assicurano i Keniani della loro vicinanza, sostegno e preghiera, invitano a mantenere pace e tolleranza sempre (maintain peace and tolerance at all times) e a ritornare alla vita normale lasciando alle Istituzioni incaricate il compito di risolvere le questioni legate alle elezioni.

Violenze morti, rapporti contraddittori.
In serata Nasa, la coalizione dell’opposizione, accusa le forze di sicurezza di brutalità e violenza annunciando che ci sono già altre 100 morti, molti dei quali uccisi da pallottole sparate a bruciapelo dalla polizia.  La notizia è riportata con rilievo anche dai giornali italiani.
Ma la Kenya National Commission on Human Rights (KNCHR) dichiara che ha l’evidenza documentata di 24 morti (di cui 17 a Nairobi, tra cui la bambina di 10 anni) in relazione ai disordini connessi con le elezioni dell’8 agosto.




Missionari col cuore della Consolata

MESSAGGIO DEI CAPITOLARI PER I CONFRATELLI
IN OCCASIONE DELLA FESTA DELLA CONSOLATA 2017

“Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in un sabato. Entrati in città, salirono al piano superiore dove abitavano. C’erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelòta e Giuda di Giacomo. Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui”. (Atti 1,12-14)

Rileggere questo brano degli Atti degli Apostoli ci aiuta a raccontarvi l’esperienza vissuta in questo XIII Capitolo Generale e a condividerla con voi in occasione della festa della Consolata, madre di Gesù e madre nostra.

Siamo “entrati in città”,

non certo Roma, ma ogni città o villaggio dove noi siamo ai quattro angoli del mondo. Siamo entrati aprendo “il libro della missione” per ascoltare ed imparare dai cammini dei diversi continenti dove siamo presenti. Per “fare memoria” di come Dio, proprio in questo oggi, compie meraviglie attraverso la testimonianza e la dedizione di tanti missionari. Siamo entrati nella vita delle periferie di città anonime, attraversate da disagio e solitudine, serbatorni di scarti umani e di esclusione; dentro le foreste e le savane immense, sopra le montagne e lungo i fiumi, dentro la vita di popoli e comunità con cui camminiamo e lottiamo, soffriamo e ridiamo, cantiamo e piangiamo, preghiamo e speriamo imparando a conoscere, insieme, l’amore di Dio e a celebrarlo.

Siamo “saliti al piano superiore”

per vedere “la città di Gerusalemme”, cioè l’umanità, con gli occhi del Dio di bontà, lento all’ira, ricco di grazie e misericordia, e per lasciarci evangelizzare dai poveri e dalla realtà. Siamo saliti in alto per poter ascoltare nuovamente la chiamata di Gesù a “stare con Lui”, (Marco 3,13-14), per “alzare la testa e vedere che la nostra Liberazione è vicina” (Lc 21,28) e non lasciarci quindi scoraggiare dalle enormi difficoltà della vita e dalle tristezze dell’orizzonte del mondo. E per imparare da Lui a fare missione, con i suoi stessi atteggiamenti (Fil 2,5), di bontà e misericordia, lungo le strade, nei villaggi e nelle città, visitando la gente, accoglienti e premurosi nell’annunciare la misericordia di Dio per tutti contro ogni pregiudizio e divisione.

Siamo stati “assidui e concordi nella preghiera”

per cogliere il passaggio di Dio che in questi giorni “ci ha visitato” e ci ha fatto sentire la sua presenza in vari modi, specialmente nella fraternità tra di noi e nell’“attento discernimento circa la situazione dei popoli in mezzo ai quali svolgiamo la nostra azione di evangelizzazione” (Papa Francesco a noi).

In modo particolare, Dio è “passato in mezzo a noi” nelle due giornate trascorse insieme alle suore missionarie della Consolata e un gruppo di laici missionari a loro legati, e dedicate all’ascolto della vita e dell’insegnamento della Beata Irene Stefani, Nyaatha, umile missionaria del Vangelo, che “tutto faceva per Gesù” per essere carità e donare consolazione. E poi è “passato tra noi” in Papa Francesco che ci ha ricordato che “è molto più importante renderci conto di quanto siamo amati da Dio, che non di quanto noi stessi lo amiamo” e ci ha detto: “Non stancatevi di portare conforto a popolazioni che sono spesso segnate da grande povertà e da sofferenza acuta… Lasciatevi continuamente provocare dalle realtà concrete con le quali venite a contatto e cercate di offrire nei modi adeguati la testimonianza della carità che lo Spirito infonde nei vostri cuori (cfr Rm 5,5),” e imprimete “un nuovo impulso all’animazione missionaria” riqualificando “lo stile del vostro servizio missionario”.

Tutto questo abbiamo vissuto in compagnia di Maria, capace di “conservare e meditare tutto nel suo cuore,” per imparare da Lei a seguire suo Figlio Gesù (discepoli) e come Lei diventarne testimoni (missionari).

Cari confratelli,

Maria, non poteva lasciarci soli perché, come ci ricorda il nostro Beato Fondatore, è la “nostra Madre Tenerissima” che “ci ama più della pupilla dei suoi occhi”, e per questo ha vissuto con noi questo tempo di grazia, il kairos, tempo dello Spirito, vento di nuova Pentecoste per tutto l’istituto.

Lo Spirito Santo ci fa entrare nel mistero del Dio vivente e ci spinge ad aprire le porte per uscire, per annunciare e testimoniare il Vangelo, per comunicare la gioia della fede, dell’incontro con Cristo.

Lo Spirito Santo è l’anima della missione. Quanto avvenuto a Gerusalemme quasi duemila anni fa non è un fatto lontano da noi, è un fatto che ci raggiunge, che si fa esperienza viva in ciascuno di noi. La Pentecoste del cenacolo di Gerusalemme è l’inizio, un inizio che si prolunga e oggi coinvolge anche il nostro Istituto.

Cari confratelli,

non eravamo soli, “in quel piano superiore” in attesa dello Spirito Santo. Oltre a Maria, al Beato Giuseppe Allamano, alla Beata Irene Stefani e a tutti i confratelli che “hanno reso feconda la storia del nostro Istituto col sacrificio della vita” (Papa Francesco a noi), c’eravate anche voi che con la preghiera ci avete sostenuto e incoraggiato.

La nostra speranza non si fonda sui numeri o sulle opere, ma su Colui nel quale abbiamo posto la nostra fiducia (cfr. 2 Timoteo 1,12) e per il quale “nulla è impossibile” (Luca 1,37). È questa la nostra speranza che ci permetterà di continuare a scrivere altre pagine di una grande storia nel futuro, al quale dobbiamo tenere rivolto lo sguardo, coscienti che è verso di esso che ci spinge lo Spirito Santo per continuare a fare grandi cose con noi.

In occasione della festa della nostra Madre Consolata, chiediamo a tutti di rinnovare l’impegno di mettere la missione al cuore della nostra vita, così come il nostro Fondatore ci invita a fare anche oggi: “datevi con tutto il cuore e con tutte le forze all’opera di evangelizzazione. È per questo speciale fine, per farvi santi, che sceglieste la via della missione” (Giuseppe Allamano, Lettera ai missionari del Kenya, 2 ottobre 1910).

I vostri confratelli partecipanti al XIII Capitolo Generale

* L’immagine della Consolata in questa pagina fu dipinta nella Corea de Sud e offerta a Papa Francesco in occasione dell’Udienza concessa ai capitolari IMC/MC il 5 giugno 2017.