Le migrazioni non sono il problema, ma la soluzione


L’opinione pubblica, alimentata da discorsi d’odio di matrice partitica e suprematista, dipinge le migrazioni più come rischio per la sicurezza del mondo, che come risorsa.
In realtà, coloro che si spostano non sono il problema del mondo. Il problema sono alcune delle cause per cui lo fanno, tra cui – non è inutile ricordarlo spesso – spiccano gli squilibri economici mondiali, i cambiamenti climatici, le guerre, le persecuzioni e le violenze…Proviamo allora a fare un po’ di chiarezza su alcuni aspetti che accompagnano il dibattito attuale sulle migrazioni.

Cominciamo innanzitutto dalle “parole” usate per definire la realtà migratoria.
Il 16 agosto 2023, la Corte di Cassazione italiana ha sancito che i migranti “richiedenti asilo” non devono essere definiti né irregolari, né clandestini, perché il diritto alla libera manifestazione del pensiero, anche come partito politico, non può essere equivalente o addirittura prevalente, sul rispetto della dignità personale degli individui.
Ora, e senza scomodare la magistratura, se il termine “clandestino” affibbiato ai “richiedenti asilo”, esprime un chiaro contenuto spregiativo con valenza fortemente negativa e lesiva della dignità personale degli individui in questione, perché continuare a definire “clandestini” anche tutti quei migranti che fuggono la fame, la siccità, le inondazioni, le carestie dei loro Paesi di origine?

I sempre numerosi partigiani delle “distinzioni stigmatizzanti” replicheranno che questi migranti, che in più di centomila sono sbarcati sulle coste italiane dal primo gennaio fino a metà agosto 2023 (doppiando e triplicando le cifre del biennio precedente, incuranti del colore del governo e delle roboanti dichiarazioni, promesse e inganni elettorali), non hanno seguito le vie legali d’ingresso in Italia e nell’Unione europea. E sono quindi “irregolari perché senza documenti”. Ma perché definirli sempre e solo “clandestini”? Se non per ingenerare e alimentare la paura di chi li vede arrivare e legittimare decreti e misure poco interessate alla dignità umana?
In realtà, non si può non considerare che, dal 22 ottobre 2022 (inizio dell’attuale governo in Italia) ad oggi, tramite i cosiddetti “canali di accesso legale” (reinsediamento, corridoi umanitari, evacuazione umanitarie) solo 1.042 persone sono potute arrivare in Italia, e solo se afghani, siriani, eritrei, sudanesi, etiopi. Dalla Libia, invece, sono potute arrivare solo 101 persone… Numeri chiaramente insufficienti a rappresentare l’alternativa, sicura e legale, alle pericolose traversate del Mediterraneo su imbarcazioni sempre più precarie.

Allo stesso tempo, se nelle traversate della morte c’è una “clandestinità” evidente questa non è dei migranti che, salvati da Guardia costiera o da organizzazioni umanitarie, sono identificabili e identificati nei diversi centri di permanenza, ma è quella dei trafficanti che non sono solamente gli scafisti di turno – scelti spesso tra gli stessi migranti e obbligati a condurre le imbarcazioni per evitare un sicuro naufragio – ma anche e soprattutto i criminali e i loro complici operanti nelle guardie di costiera e di frontiera dei Paesi di partenza o di transito.

Perché allora quando le politiche nazionali e comunitarie parlano di lotta senza quartiere all’immigrazione clandestina non troviamo misure capaci di colpire i veri trafficanti (cui invece si donano motovedette ben armate per contrastare i flussi di migranti o denaro sonante per riportare a terra i migranti e disperderli nei deserti tra Libia e Tunisia) ma solo dispositivi contro gli stessi migranti, chiamati scientificamente “clandestini” per giustificare la crudezza dei mezzi utilizzati?
Perché, con oltre 2.000 morti tra i migranti che da inizio 2023 hanno tentato di raggiungere l’Europa via Mediterraneo, la politica continua ad ostacolare l’opera di soccorso delle navi umanitarie, anche dopo che la teoria del “pull factor” (fattore di attrazione) è stata smascherata come una chiara menzogna ideologica?
Perché continuare a predire espulsioni e rimpatri forzati di quei migranti che non avrebbero diritto a rimanere solo perché fuggono da Paesi incapaci di dare loro vita e arrivano in Europa senza documenti? E tutto questo sapendo che nel 2023 sono stati effettuati solo 2.561 rimpatri, e che per effettuare rimpatri forzati nei Paesi di origine servono difficili e complicati accordi bilaterali, considerando anche che alcuni di essi, come Tunisia e Libia, hanno già dichiarato di non voler in nessun modo caricarsi dei migranti di altri Paesi transitati o partiti dalle loro coste.

Perché, inoltre, invece di eliminare le cause delle migrazioni, tutte forzate per un motivo o l’altro, ci si ostina a voler bloccare (con tutti i mezzi, anche poco leciti) la partenza dei migranti, offrendo ai governanti, in genere poco o per niente democratici dei Paesi di partenza e transito (Libia, Tunisia, Egitto…), denaro e investimenti che hanno poche o nessuna probabilità di servire allo sviluppo socioeconomico di quei Paesi e dei loro abitanti?
In questa prima parte del 2023 sono stati inaugurati “innovativi” accordi di cooperazione tra Unione Europea-Italia e alcuni Paesi di origine e transito dei migranti, fondati su una “vera” cooperazione paritaria tra Paesi del Nord e Paesi africani e non sull’endemico rapporto neocoloniale che da sempre caratterizza le relazioni euro-africane. Tali buone intenzioni sarebbero sicuramente più efficaci se non evidenziassero alcune contraddizioni che ne minano la reale volontà politica. In effetti, l’obiettivo dei Paesi del Nord è chiaramente quello di bloccare “quanto prima” i migranti e non certamente la sviluppo dell’Africa e il benessere degli africani che richiede ingenti investimenti economici e strutturali, in favore delle popolazioni locali (e non dei loro governanti, corrotti e autoritari), tempi lunghi e soprattutto, almeno nelle fasi iniziali del processo di emancipazione economica e sociale, non arresta le migrazioni, ma le incentiva.

Se la paura-ossessione dei migranti continua a dettare la politica italiana e comunitaria verso le migrazioni, diventa sempre più difficile assumere consapevolmente il fatto che la storia dell’uomo è basata sulla migrazione. Non si tratta, certo, di ignorare il modello di Stato nazione, attualmente predominante, ma è arrivato il tempo di ripensare ai criteri con cui decidiamo dove è consentito vivere a qualcuno, considerando che molti dei luoghi relativamente sicuri in cui vivere sul nostro pianeta, cioè le latitudini settentrionali, sono luoghi che soffrono di una crisi demografica elavorativa e sono destinazione di massicce migrazioni che possiamo prevedere, pianificare e gestire oppure rischiare di subire.
In tale prospettiva, solo una cooperazione “disinteressata” (vale a dire più interessata al “bene comune” che agli “interessi di parte”) tra attori locali, regionali e internazionali potrà individuare risposte capaci di superare gli squilibri socioeconomico-ambientali che cambiamenti climatici, fragilità locali e movimenti migratori vivono e vivranno in futuro. E continuare a corteggiare le dittature africane e i Paesi ultranazionalisti europei non è certo la strada più efficace per intraprendere scelte condivise, solidali e rispettose dei diritti umani.

Scalabriniani.net – Congregazione Scalabriniana
Centro Studi Emigrazione Roma | CSER
Roma, 21 agosto 2023




Mongolia. Tutti i video in preparazione del viaggio di papa Francesco


Tutti i video in preparazione del viaggio apostolico di papa Francesco in Mongolia dall’Agenzia Fides

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Video da https://www.youtube.com/@AgenziaFidesMission/videos




Casablanca: la forza della tradizione


Era sbarcata dalla Sicilia a Casablanca, migrante tra i migranti, quasi un secolo fa. La Madonna di Trapani, particolarmente venerata nella sua terra natale, aveva seguito l’avventura dei pescatori siciliani stanziati nella regione. «Per quanto lontano scorra un ruscello non dimentica la sua origine» si ripete in Africa.

Per questo, il 15 agosto, festa dell’Assunta, aveva dato appuntamento come da tradizione alla Chiesa italiana di Cristo Re, Boulevard Abdelmoumen (Casablanca). La serata prevedeva la celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo emerito mons. Giovanni d’Ercole, una commovente fiaccolata e una condivisione conviviale italo-marocchina.

La statua della Vergine, grandezza naturale, molto delicata e bella, coronata d’oro, tiene tra le braccia un bambino dall’espressione curiosa, dolce e accattivante. I trapanesi, infatti, affascinati dalla sua bellezza vi diranno che non vedrete una Madonna più bella se non in paradiso… Era arrivata per prima nel piazzale ancora vuoto fuori dalla chiesa, sotto gli occhi di TV Trapani in diretta. E subito, come per incanto, i miracoli iniziavano a fiorire tutt’intorno… La piazza diveniva, tra gli alberi e le file di banchi, un’originale cattedrale a cielo aperto. La grande bandiera rossa stellata del Marocco e il tricolore italiano si abbracciavano sotto gli occhi di tutti, all’ingresso. Un coro di filippini, poi, appariva per animare la celebrazione e i canti in italiano. In verità, è sempre una gradita sorpresa ritrovare la propria lingua sulle labbra degli altri!

Con voce commossa, Mons. Giovanni ricorda la storia dell’emigrazione e della fede dei siciliani e di tutti coloro che partono – spesso pieni di speranza e di disperazione – per una vita migliore. Ma tutto questo – ed è veramente sentito questa sera – sotto lo sguardo incoraggiante e materno di Maria «madre universale di tutti» cristiani e musulmani. «La madre rassicura, accompagna, trasmette pace – sottolinea il vescovo – dona coraggio e serenità ad ogni esistenza e alle sue sfide». Poi, al termine di una lunga fiaccolata nel clima di Lourdes, una cascata infinita, interminabile, di «Ave Maria». Ognuno dei presenti mette la sua voce e la sua lingua, chi dal Rwanda, chi dal Libano, dal Congo, dalla Spagna, dalla Francia o da altrove… L’assemblea, in ascolto col fiato sospeso, ripete incessantemente con gioia interiore «Amen».

Poi, su invito del vescovo, alcuni lunghissimi istanti di silenzio, per far parlare solo il cuore. Così, si rimane immobili davanti alla statua della Vergine, illuminata nell’oscurità da un incantevole bouquet di candele. Istanti magici. Spesso, si sceglie il silenzio per dire le cose più importanti. Come scrive Kalil Gibran: «C’è qualcosa di più grande e più puro di quello che dice la bocca. Il silenzio illumina l’anima, sussurra ai cuori e li unisce. Il silenzio ci allontana da noi stessi, ci fa navigare nel firmamento dello spirito, ci avvicina al cielo».

Al termine della preghiera interviene in italiano il Console spagnolo, per dire con emozione come lui stesso ritrovi in questa festa della Vergine un sapore di Spagna. Così, si possono immaginare i sentimenti di coloro che ci seguono in diretta da lontano, soprattutto dalla Sicilia, in una serata di preghiera fatta in tutte le lingue del mondo!

Un grazie, infine, è rivolto a quanti sono venuti dai vari quartieri di Casablanca, agli organizzatori, in particolare ai due appassionati di questa grande tradizione, Francesco e Gilbert, un italiano quest’ultimo diventato il responsabile di tutte le vetture del Re Mohammed VI! Questa sera la chiesa italiana di Casablanca, chiusa da tempo, si è aperta al mondo: è il miracolo più grande di Maria venuta da Trapani.

Lentamente, dopo una fraterna condivisione di fede e di gioia, ognuno, nel buio della notte, fa ritorno alla sua casa. Ma con sé porta le sfide e le speranze di tutta l’umanità. Anche questo è essere italiani oggi a Casablanca.

Renato Zilio
Missionario in Marocco, autore di «Dio attende alla frontiera», EMI




Niger. Colpo di stato: i militari padroni del Sahel


Niger. In seguito al golpe dello scorso 26 luglio da parte dei militari della guardia presidenziale, l’organizzazione economica regionale, Cedeao (Comunità economica degli stati dell’Africa dell’Ovest), ha imposto pesanti sanzioni economiche e dato un ultimatum di una settimana per il ritorno all’ordine costituzionale. In caso contrario, anche l’opzione militare è sul tavolo.

Mali e Burkina Faso, altri due paesi del Sahel attualmente governati da giunte militari, che hanno preso il potere con la forza (nel 2021 e 2022), si sono detti alleati dei golpisti del Niger, e pronti a sostenerli in caso di azione di forza della Cedeao (di cui, tra l’altro, fanno parte). La Guinea Conakry, anch’essa retta da una giunta golpista, è pure contraria alle sanzioni.

Si tratta di dichiarazioni, ma è solo un gioco delle parti. Questi eserciti non sono in grado neppure di difendere il proprio territorio dai gruppi armati jihadisti. La lotta al terrorismo è stata la loro scusa per prendere il potere, (anche se avevano già molta libertà su questo fronte), ma il risultato è stato un aggravamento della situazione nei loro paesi.

Dal Niger, arrivano immagini di folla inneggiante al nuovo potere (un sedicente Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria, Cnsp). In realtà la maggior parte della popolazione e la società civile, non appoggia né i golpisti né tanto meno la Russia, come la propaganda vuole farci credere.

«Ci sono state alcune manifestazioni anti golpe a Niamey, ma sono state represse», ci dice una fonte nigerina sul posto. Mentre si è dato largo spazio a quelle in favore, con i cartelli contro la Francia e bandiere russe, distribuite da qualcuno ad hoc.

Il sentimento antifrancese è certo diffuso, in tutta la regione, ma il pretesto anti imperialista, di allearsi con la Russia non regge. Il gruppo Wagner, nei paesi in cui interviene, fa razzia delle risorse minerarie.

«Penso che una parte della popolazione di Niamey sostenga i golpisti. Inoltre, ci sono diverse dichiarazioni di opportunisti in loro favore, ma sono persone sconosciute sia a livello della società civile che dei partiti politici», ci racconta un’altra fonte dalla capitale del Niger. In generale: «Sono contenti del golpe gli oppositori del presidente Mohamed Bazoum, mentre il nigerino comune e i lavoratori non lo sono affatto».

Nei villaggi, invece, questo è il periodo dell’anno di massimo lavoro nei campi, perché siamo nel pieno dell’unica stagione delle piogge (giugno-settembre), quindi «la preoccupazione principale della gente in questo momento è la raccolta, per avere da mangiare nel resto dell’anno».

«Poi c’è il grosso problema delle sanzioni, che rischiano di strangolare la popolazione. È già iniziata a mancare l’elettricità, che arriva dalla Nigeria. Mentre il sistema bancario rischia è bloccato e rischia di andare in tilt», continua la nostra fonte.

Uno degli elementi in questi paesi del Sahel è la crisi dell’istituzione «esercito repubblicano», e le divisioni in seno alla stessa. La realtà ha evidenziato che non esistono dei veri eserciti repubblicani, pronti a difendere il popolo, ma siamo ancora a livello di fazioni militari, pronte a prendere il potere quando l’occasione si presenti.

Il primo agosto, sono stati evacuati alcuni stranieri, tra i quali gli italiani (una trentina), tramite aerei militari (consentita dai golpisti). Mentre un contingente di militari italiani, ci circa 200 unità resta dispiegato nel paese, così come 1.500 francesi, oltre a soldati statunitensi e tedeschi.

Attualmente il Cnsp sta nominando i governatori di regione e alcuni membri del suo governo de facto, mettendo i propri uomini nei posti chiave.

Il due agosto è giunta a Niamey una delegazione della Cedeao per tentare una mediazione. È  condotta dall’ex presidente nigeriano Abdulsalami Abubakar, e ne fa parte l’influente sultano di Sokoto (Nigeria), capo tradizionale molto apprezzato nella regione.

Marco Bello




Ucraina nel cuore dell’estate


Padre Luca Bovio ha compiuto il suo settimo viaggio in Ucraina tra il 23 e il 28 luglio 2023. Partito da Kiełpin, in Polonia, ha toccato le città di Lutsk, Lubieszów, Kiev e Cherson (Fedorivka). Ecco la cronaca giorno per giorno.

Lutsk

23/07/2023. Questo viaggio si svolge nel cuore dell’estate e inizia con una prima tappa nella città di Lutsk, la prima che si incontra entrando dalla frontiera più a nord dalla Polonia.

Questa città, come del resto la regione chiamata Volyn, è la zona più lontana dal fronte. Per questo motivo più di 100mila rifugiati hanno trovato accoglienza qui.

I problemi non mancano, considerando che la zona è economicamente povera. Nella regione si trovano decine di villaggi medio piccoli abitati prevalentemente da contadini.

In questo territorio, fortemente influenzato dalla vicina Polonia, sono avvenuti scontri molto crudeli alla fine delle Seconda guerra mondiale.

La presenza dei cristiani cattolici è bassa. Più numerosi sono gli ortodossi. Quasi ogni nostro viaggio è iniziato da qui perché e la strada più diretta per entrare nel paese arrivando dalla Polonia.

Andiamo a conoscere il vescovo, mons. Vitalii Skomarovs’kyj. Qui la chiesa locale è impegnata nell’aiutare i rifugiati.

Lubieszów

24/07/2023. Di buon mattino ci mettiamo in viaggio insieme a don Paolo, il vicario del vescovo, in direzione nord, verso Lubieszów, a 130 km da Lutsk.

Lubieszow è una cittadina di circa 10mila abitanti posta a soli venti km dal confine con la Bielorussia. Lo scopo di questo breve passaggio è quello di visitare una chiesa e il convento adiacente che il vescovo vorrebbe dare al nostro Istituto, per una possibile futura presenza di lavoro missionario.

La chiesa dedicata ai santi Cirillo e Metodio fu costruita dai Cappuccini nel XVIII secolo. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale e l’inizio dell’occupazione russa, i frati dovettero abbandonare tutto e il convento divenne la stazione della polizia locale. La chiesa una palestra.

Dopo la caduta del muro di Berlino e il ritorno della democrazia in Ucraina, nel 1992, il complesso fu restituito alla diocesi locale. La comunità cattolica è oggi formata da circa trenta fedeli che la domenica partecipano alla santa Messa presieduta da un parroco polacco che vive a 60 km da qui.

L’intero edificio ha bisogno di importanti lavori di manutenzione, già iniziati con il cambio del tetto. Vedremo se in futuro il discernimento che faremo con i superiori ci porterà forse un giorno a lavorare in questo luogo.

Dopo questa breve visita, ci dirigiamo verso Kiev, che raggiungiamo con circa sei ore di viaggio per alloggiare in Nunziatura e riprendere il viaggio il giorno successivo in direzione di Cherson.

La sera faccio una passeggiata nel centro della città per sgranchire le gambe dopo le lunghe ore di viaggio e per gustare le bellissime chiese e palazzi illuminati.

Cherson

25/07/2023. La distanza che separa Kiev da Cherson è di quasi 600 km passando per la strada più diretta e sicura. Il GPS la mostra chiusa, ma in realtà è percorribile. Il viaggio ci regala dei paesaggi suggestivi. La giornata calda e soleggiata fa brillare intensamente le sconfinate distese di coltivazioni di girasoli che spesso incontriamo.

Sono abbastanza numerosi i grandi camion che viaggiano in direzione sud carichi di cereali e frumento per essere imbarcati nelle gigantesche navi cargo nel grande porto di Odessa e, da lì, partire per tutto il mondo.

Purtroppo, i magazzini portuali sono diventati ultimamente obiettivi sensibili e spesso sono stati colpiti causando la perdita di tonnellate di prodotti.

Anche il mancato accordo sul grano contribuisce a far lievitare i prezzi a livello mondiale di queste materie prime così importanti per sfamare tante povere popolazioni nel mondo.

Torniamo a Cherson per la seconda volta dopo essere stati qui a marzo. La situazione non è cambiata. La città, prima occupata e poi liberata, è continuamente sotto tiro, giorno e notte. Il fiume è la linea naturale del confine.

Abbiamo con noi aiuti sanitari. In particolare, abbiamo raccolto pastiglie che disinfettano l’acqua. Il sei giugno a circa 100 km da qui in direzione nord fu fatta saltare la diga sul fiume a Kakhovka. L’esplosione della diga riversò l’acqua del bacino artificiale che travolse e allagò villaggi e città. A Cherson il parroco don Massimo ci indica le pareti delle case con il segno lasciato dall’acqua.

Sui fili della corrente sono rimaste appese delle scarpe trascinate dalla corrente.

Molte case sono state invase dall’acqua e quelle più fragili distrutte, come quella che abbiamo visitato. Il proprietario, che ci mostra ciò che rimane e che prova a salvare, è ospitato in parrocchia.

Cherson è una città disabitata. Prima del conflitto contava circa 300mila abitanti. Oggi si stima che ve ne siano tra i 20 e i 25mila.

Nella zona più lontana dal fiume al mattino ci sono pochi negozi aperti e qualche mercato. Vicino al fiume, dove abitiamo, non si vede quasi nessuno per tutto il giorno. I mezzi pubblici, dove è possibile, svolgono ancora il loro servizio. Accanto a ogni stazione dell’autobus è stato posto un bunker: nel caso di improvvise esplosioni, la gente può così trovare un rifugio.

Già nel primo pomeriggio le strade dell’intera città si svuotano e i mezzi si fermano. Dalle nove di sera alle cinque del mattino c’è il coprifuoco. Durante la notte c’è il divieto di accendere la luce nei piani più alti dei palazzi. Sono tuttavia molto poche le persone che abitano su quei piani ritenuti troppo pericolosi.

26/07/2023. La mattina visitiamo l’ospedale pediatrico della città accompagnati dalla dottoressa responsabile. Ci racconta che prima della guerra qui nascevano annualmente circa 1.500 bambini. Oggi 20, 22 al mese.

Arriviamo poco dopo la nascita di un bambino. Tutte le attività dell’ospedale sono state trasferite al piano terreno.

Il quarto piano è stato colpito da un razzo. Lo visitiamo rapidamente arrivando fino al balcone più alto dell’edificio da cui si vede la città.

Facciamo diverse foto ma ci viene chiesto di non pubblicarle perché c’è il divieto di salire fino lassù.

La sala parto è una semplice stanza con l’occorrente. A fianco un’altra stanza attrezzata dell’essenziale: è la sala operatoria.

Ci affacciamo durante un intervento in corso.

Scendiamo nelle cantine dove si trovano i locali più sicuri. Qui ci sono delle brandine con i sacchi a pelo. Durante gli allarmi questo è il luogo di riparo. A fianco si sta lavorando per organizzare una vera sala operatoria.

All’esterno dell’ospedale vediamo un grande generatore di corrente ancora imballato, arrivato come dono umanitario. La dottoressa ci racconta che sarebbe molto utile, ma purtroppo non ci sono i cavi di collegamento. Ci impegniamo a interessarci della cosa per attivare la macchina.

La parrocchia del Sacro Cuore, dove abitiamo, è uno dei pochi centri di distribuzione di aiuti agli abitanti. Il giorno precedente al nostro arrivo è stata organizzata la distribuzione. Circa mille persone hanno ricevuto cibo.

Questa distribuzione è rischiosa. Ogni assembramento costituisce un potenziale obiettivo. È sufficiente che questa informazione arrivi dalla parte opposta del fiume e si potrebbero avere conseguenze gravi. Per questo motivo il giorno e l’ora della distribuzione non sono mai gli stessi.

In questo momento gli aiuti arrivano abbastanza regolarmente. Senza di essi sarebbe difficile sfamare i cittadini.

Oltre a quella della parrocchia in città è stata aperta anche una mensa organizzata dai Domenicani che, pur non vivendo qui, assicurano il cibo e ciò che occorre per la distribuzione. Ogni giorno vengono preparati mille pasti. Si possono consumare sul posto oppure una rete di volontari li consegna nelle case.

Anche la parrocchia greco cattolica della città, guidata dai padri Basiliani, è impegnata nella distribuzione degli aiuti.

Fedorivka

Nel pomeriggio di questa intensa giornata ci rechiamo in un villaggio fuori città, Fedorivka, a poche decine di chilometri a nord di Cherson.

Fedorivka è uno dei tanti villaggi colpiti dall’inondazione avvenuta a causa della distruzione della diga. Per arrivare qui occorre passare diversi check point dei militari.

Ne vediamo alcuni passare su una macchina. Hanno appena abbattuto un drone, e i resti caduti lontano sono ancora visibili e fumanti nei campi.

Siamo accolti nel villaggio dal responsabile con la sua moglie.

Portiamo un generatore di corrente perché qui gli abitanti hanno mediamente solo due ore di elettricità al giorno, un tempo insufficiente per tenere carichi i telefonini. Il generatore sarà messo a disposizione nella chiesetta del villaggio.

Siamo accompagnati a visitare l’abitato. Ci raccontano che l’acqua dell’inondazione, qui è rimasta per quasi tre settimane, perché il terreno è pianeggiante e quindi non favorisce il deflusso.

Molte case e fienili sono stati trascinati via insieme agli animali. Sacchi di cereali custoditi nei magazzini sono marciti. Chi è rimasto prova ora salvare il salvabile.

In questi villaggi è ancora vietato bere l’acqua dai pozzi a causa dell’inquinamento delle falde.

In tutti i campi attorno al villaggio persiste un cattivo odore di marciume. Per questo si cercano alternative come autopompe (una purtroppo si è guastata), acqua in bottiglia, pastiglie disinfettanti.

Portiamo del cibo a una coppia di anziani. La signora che ci accompagna ci racconta che durante il tempo dell’occupazione nella loro casa furono nascosti sei soldati ucraini in fuga. Quando arrivarono le forze speciali russe che li cercavano, la signora li nascose in un locale e diede loro il rosario dicendo: «Che ci crediate o no, usatelo!». I russi chiesero dei soldati. La signora disse che non li aveva visti e quelli se ne andarono. Allontanatisi i soldati russi, quelli ucraini poterono scappare a piedi fino a Mikolajow.

Tornati in città, trascorriamo la serata in parrocchia dopo aver fatto una breve passeggiata nei dintorni. Il quartiere è deserto e per tutta la notte si intensificano i colpi che spesso ci svegliavano insieme al suono delle sirene.

27-28/07/2023. Il viaggio di ritorno lo facciamo senza difficoltà, coprendo la lunga distanza che ci separa da casa in due giorni. Anche il passaggio della frontiera avviene con poche ore di attesa.

Come dopo ogni viaggio, anche questa volta ritorniamo con tanti ricordi. Abbiamo la consapevolezza che il conflitto sarà ancora lungo e per questo ci sentiamo sfidati, insieme a tante persone vicine a noi, a non stancarci nel portare consolazione e pace.

padre Luca Bovio


Il viaggio in immagini

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«Sbilanciamoci» anche noi

Ogni anno, negli splendidi ambienti di Villa d’Este di Cernobbio, sul lago di Como, si svolge il Forum internazionale Ambrosetti dedicato ai grandi temi globali e all’economia. Da tempo (la prima edizione fu nel 2003), la campagna «Sbilanciamoci!» organizza in contemporanea un forum alternativo, chiamato «contro Cernobbio» o «altra Cernobbio», in cui i temi dell’economia sono affrontati da punti di vista «altri», diversi, quando non opposti, da quelli del Forum Ambrosetti.

Tutto normale fino allo scorso 28 luglio quando gli organizzatori di Sbilanciamoci! hanno saputo che il loro controforum («La strada maestra. Ambiente, diritti, lavoro, pace: la nostra Costituzione»), in calendario per l’1 e 2 settembre, è stato vietato dal comune di Cernobbio per «motivi di ordine pubblico». Come se economisti, attivisti, volontari di Sbilanciamoci! fossero dei pericolosi sovversivi.

«È una decisione gravissima: lede l’articolo 17 (diritto di riunione) e l’articolo 21 (diritto d’espressione) della Costituzione repubblicana», ha scritto Giulio Marcon, portavoce di Sbilanciamoci!, la campagna che raggruppa 51 organizzazioni e reti della società civile italiana – tra esse Pax Christi, Mani Tese, Nigrizia, Altreconomia, Emergency, Medicina democratica, Legambiente, Wwf – impegnate sui temi della spesa pubblica e delle alternative di politica economica.

Quest’anno Cernobbio ospiterà – come sempre – il Forum Ambrosetti, ma non quello di Sbilanciamoci!, che dovrà spostarsi a Como. Una brutta pagina per la democrazia italiana si sta però trasformando in una pubblicità gratuita, benvenuta e – soprattutto – meritata per Sbilanciamoci!, che dal 1999 si impegna a favore di un’economia di giustizia e di un nuovo modello di sviluppo fondato sui diritti, l’ambiente, la pace.

La campagna Sbilanciamoci! produce studi alternativi, accurati e affidabili che sono scaricabili gratuitamente dal sito web dell’associazione (sbilanciamoci.info). Questa è l’occasione giusta per visitare quel sito, scaricare quei lavori (ad esempio, la Controfinanziaria 2023), leggerli con attenzione e, possibilmente, aiutare a diffonderli o a migliorarli. Perché forse, un giorno, quei sogni diverranno realtà.

Paolo Moiola

Villad’Este-Cernobbioa-Como-foto-Aleks-Marinkovic-Unsplash




Il Niger adotta un nuovo inno nazionale, per smarcarsi dal passato coloniale


Il 22 giugno scorso, l’Assemblea Nazionale (Parlamento) del Niger ha votato il nuovo inno nazionale, che sostituisce «La Nigérienne» (La nigerina), scritto dal francese Maurice Albert Thiriet nel 1961. Il paese saheliano, indipendente dal 1960, ha finalmente un inno nazionale scritto da musicisti nigerini.

Il nuovo inno, dal titolo «L’onore della patria», «descrive le ragioni che fanno l’unità del nostro popolo, la comunità di destini e di ideali di condivisione, perché noi vogliamo ritrovare, creare un nuovo Niger», racconta Amadou Mailallé, presidente del comitato che ha redatto il nuovo inno.

Il contenuto parla anche della chiamata alla patria, alla cittadinanza e alla fraternità. Il cambiamento è stato fortemente voluto dagli studenti universitari. In effetti, «La nigérienne», era troppo segnato dal passato coloniale del paese.

Il Niger, 1,2 milioni di chilometri quadrati, di cui tre quarti di deserto, è uno dei paesi più poveri del mondo (con l’indice di sviluppo umano tra i più bassi sulla scala di 191 paesi). Allo stesso tempo, ha un tasso di fecondità medio tra i più alti, circa 6,8 figli a donna (in discesa dai 7,2 del 2021). è abitato da circa 23 milioni di persone di otto etnie principali.

Il Niger è uno dei maggiori produttori di uranio al mondo, e ha anche risorse petrolifere, attualmente sfruttate da una compagnia cinese.

Il Paese è oggi strategico, anche per l’Europa, perché il suo territorio è diventato, negli ultimi anni, un crocevia per i migranti da Africa occidentale e centrale verso la costa del Mediterraneo, attraverso Algeria, Tunisia e Libia.

Marco Bello

Il ponte Kennedy, sullo sfondo i palazzi amministrativi e hotel del centro di Niamey. Foto Marco Bello




Perù. Popoli indigeni ancora isolati. Per fortuna.


In Perù, una parte del Congresso voleva depotenziare una legge che protegge i popoli indigeni isolati. Pericolo scampato. Per il momento.

Secondo i dati del ministero della Cultura del Perù, nel paese andino ci sono 55 popoli indigeni, di cui 51 vivono in Amazzonia e 4 sulle Ande. Si parla di circa 4 milioni di persone, pari al 26% della popolazione totale. Di queste all’incirca settemila vivono in isolamento, cioè volutamente separate dal resto della società. Ad esse ci si riferisce con il termine di «Pueblos indígenas en situación de aislamiento y contacto inicial» (Piaci, in sigla).

Lo scorso 23 giugno, una commissione (Comisión de descentralización) del Congresso peruviano ha «fermato» (momentaneamente) il progetto n. 3518 presentato da Jorge Morante Figari, esponente di Fuerza popular, il partito fujimorista. Il progetto legislativo mira a modificare radicalmente la norma 28736, nota come «Ley Piaci», che dal 2006 difende (almeno in linea teorica) l’esistenza e l’integrità dei popoli indigeni isolati.

Qualora la proposta venisse approvata, la competenza in materia di Piaci passerebbe dal ministero della Cultura ai governi regionali i quali potrebbero riconoscere o meno l’esistenza stessa dei popoli isolati, cancellare riserve indigene già riconosciute e sospenderne la creazione di altre.

Contro le riserve indigene e, in generale, contro i diritti dei popoli indigeni sono in campo forze poderose, di solito guidate da imprenditori bianchi. Una delle più note è la «Coordinadora por el desarrollo sostenible de Loreto» (Cdl). Loreto è la regione amazzonica del Perù che ospita il maggior numero di popoli indigeni: ben 32. Secondo Christian Pinasco Montenegro, presidente della Cdl, nella regione non esistono popoli indigeni isolati e, pertanto, le riserve non hanno ragione di esistere. Per Belvi Gelith Saldaña Calderon, vicegovernatrice di Loreto, la legge Piaci va modificata perché è un ostacolo allo sviluppo della regione. Sul lato opposto, a difesa dei popoli isolati e della legge del 2006 c’è l’organizzazione che raggruppa i popoli indigeni dell’Amazzonia peruviana («Asociación interétnica de desarrollo de la selva peruana», Aidesep). Infine, tra i più rispettati difensori dei diritti dei popoli indigeni s’incontra anche mons. Miguel Ángel Cadenas, vescovo di Iquitos, con una lunga esperienza missionaria tra i Kukama (il maggiore gruppo indigeno di Loreto).

Per il momento l’offensiva anti indigena è stata bloccata. Ma c’è da scommettere che i fautori di essa torneranno alla carica, magari sotto altre insegne o in altre forme. In Perù come altrove, le terre indigene fanno gola.

Paolo Moiola

Indigeni peruviani isolati (foto Ministerio de Cultura – Aidesep)




Strage annunciata


Comunicato stampa della Conferenza degli Istituti Missionari in Italia – CIMI – 18 giugno 2023

Con il passare delle ore diventa sempre più drammatico il bilancio delle vittime dell’ennesimo naufragio di una imbarcazione carica di migranti che è avvenuto tra il 13 ed il 14 giugno a Pylos, nel mar Jonio nelle acque territoriali greche.

Il timore è quello di arrivare a dover contare più di 600 morti tra uomini, donne e soprattutto bambini lasciati annegare e soccorsi in estremo ritardo. L’allarme lanciato da Alarm Phone alle autorità competenti (guardia costiera della Grecia, UHNCR Grecia e Frontex) è partito alle 16.53 del 13 Giugno e alle 2.47 del 14 giugno si registra l’ora del naufragio dell’imbarcazione. La domanda è quella di sapere che cosa è veramente successo in quelle quasi 10 ore.

Stiamo assistendo come sempre all’inguardabile e stomachevole scaricabarile.

  • I superstiti abbandonati su brandine in una struttura del porto di Kalamata, lontano dai giornalisti.
  • I corpi rinvenuti (sino ad ora sono 78) trasportati di notte al buio da una motovedetta della guardia costiera greca e trasferiti al nord di Atene in camion frigoriferi per la identificazione.
  • I parenti delle persone che avrebbero dovuto essere sull’imbarcazione che intasano il centralino dell’ospedale di Kalamata per avere notizie dei propri cari.

È il “rituale” che si ripete ad ogni naufragio, ad ogni “strage annunciata”.

Si, si tratta di vere “stragi annunciate” perché ogni “imbarcazione” che parte può essere una “strage annunciata” e non serve poi proclamare lutto nazionale per “lavarsi la coscienza”.

Le domande che ci poniamo e che poniamo a che è chiamato a governare sono sempre le stesse: le persone che erano su quell’imbarcazione o sulle altre imbarcazioni naufragate avevano altre alternative per scappare dalla violenza? Rischiare la vita oppure continuare a subire violenze nei lager libici? Voi, noi cosa avremmo fatto se fossimo stati al loro posto?

La risposta non sta l’ultimo “patto europeo”, la risposta non si trova nelle coscienze “sporche” dei politici che lo hanno votato.

Forse la risposta sta “semplicemente” nel rispetto delle leggi e delle convenzioni internazionali. Leggi e convenzioni che tutti i paesi hanno votato ma che vengono dimenticate quando si pensa solo alla difesa del proprio paese o della “fortezza Europa” e quando si fa politica per difendere interessi di corporazione o personali.

Leggi e convenzioni internazionali scritte nel corso di decenni per impedire che la violenza e la cultura della morte tornassero a prevalere.

Rispettare le leggi e le convenzioni internazionali per evitare altre “stragi annunciate”.

Missionari della Consolata;
Missionari Comboniani;
Missionari Saveriani;

Missionari della Società delle Missioni Africane;
Missionari del PIME; Missionari Verbiti;
Missionari d’Africa (Padri Bianchi);
Comunità Missionaria di Villaregia;
Missionarie di Nostra Signora degli Apostoli;
Missionarie dell’Immacolata;
Francescane Missionarie di Maria;
Missionarie di Maria – Saveriane;
Missionarie Comboniane;
Missionarie della Consolata

Per informazioni:
segreteriacimi@gmail.com (Segreteria)
antoniopiquicombo@gmail.com (GPIC)




Grazie da Chernihiv – Ucraina


Parrocchia dello Spirito Santo
Chernihiv-Ucraina

10.05.2022

A nome della nostra comunità di Chernihiv vorremmo ringraziarvi i benefattori della rivista MIssioni Consolata per aver aiutato le persone colpite dalla guerra.

Lo scorso 2022 non è stato un periodo facile per tutta l’Ucraina, compresa la nostra parrocchia. Lo scoppio della guerra che ha coinvolto anche la nostra regione a nord del paese vicino al confine con la Bielorussia, ha presentato molte sfide alla nostra comunità. Dalla fine di febbraio ad aprile, il nostro monastero guidato da noi Oblati, è stato luogo di rifugio per i parrocchiani e i residenti della città ospitati nei sotterranei del nostro monastero e della nostra chiesa. Qui le persone hanno ricevuto aiuti materiali e spirituali. Durante il bombardamento della città c’erano circa 80 persone nelle nostre cantine. Gli Oblati sono rimasti con la gente fino alla fine.

Dopo il ritiro delle truppe russe dal distretto di Chernihiv, il nostro monastero è diventato, tra l’altro, un luogo dove chiunque chiedesse aiuto umanitario poteva ottenerlo. Ci siamo recati nei quartieri più danneggiati della città e dintorni per sostenere le popolazioni particolarmente colpite dalla crudeltà della guerra. Tutto questo è stato possibile grazie agli aiuti umanitari di varie organizzazioni ecclesiali e non e anche con fondi propri. Il nostro monastero ha anche cercato di aiutare coloro che non sono stati raggiunti dagli aiuti umanitari. Abbiamo visitato le case delle persone, comprando loro i prodotti o le medicine necessarie. In diversi casi, siamo stati coinvolti nella ricostruzione di case fatiscenti acquistando materiali da costruzione. Il nostro aiuto, oltre al valore materiale, è stato principalmente di natura spirituale. Pregando insieme alle persone, abbiamo voluto dare loro un segno di solidarietà viva e di speranza. Dal settembre 2022, abbiamo ripreso la distribuzione dei pasti: “le cene del martedì e del giovedì”. A causa della situazione finanziaria molto difficile degli abitanti della città, il numero di persone che venivano al monastero per un pasto è aumentato il martedì: sono circa 70 le persone donne e uomini che ricevono un cibo caldo. A questo scopo i parrocchiani si sono uniti con grande impegno cucinando un pasto caldo.

Abbiamo anche in programma di aprire un centro di aiuto psicologico in parrocchia, perché molte persone sono ferite e hanno bisogno di aiuto psicologico.

Ancora una volta, desideriamo ringraziarvi per la vostra gentilezza e assicurarvi un ricordo orante per tutti i nostri benefattori. Benvenuti a Czerniców!!!

Padre Sergiy Panchenko OMI
Parroco della parrocchia dello Spirito Santo