Alaska. Se Fairbanks tocca i 30 gradi
Nel giro di venti giorni – tra il 13 giugno e il 3 luglio – il Servizio meteorologico nazionale degli Stati Uniti (National weather service) ha emesso due allerta per le alte temperature. Nulla di eccezionale se gli avvisi non avessero riguardato l’Alaska: per lo Stato più settentrionale e più freddo degli Usa, si è trattato della prima (e della seconda) volta. Nella regione di Fairbanks le temperature hanno raggiunto i 30 gradi (86 gradi Farenheit). Per capire la portata dell’evento, va precisato che la città di Fairbanks si trova a soli 320 chilometri dal Circolo polare artico (e questo dista circa 2.670 chilometri dal Polo Nord). In Alaska il riscaldamento climatico è da due a tre volte superiore alla media del resto del mondo: parliamo di un incremento di almeno 2 gradi Celsius. Secondo l’«Alaska climate research center» (Acrc) dell’Università di Fairbanks: «Considerando l’andamento della temperatura a lungo termine, la nuova normalità indica che lo Stato si sta riscaldando».
Le conseguenze di questa nuova normalità sono plurime, tutte molto pesanti: i ghiacciai si riducono, il ghiaccio marino artico si contrae, le coste si erodono, il permafrost si scioglie (con danni su case, strade e infrastrutture), eventi estremi (inondazioni e incendi) si intensificano, le mutate condizioni ambientali si riflettono su flora e fauna, i popoli indigeni vedono modificate le proprie abitudini (di caccia e pesca, in primis). Per l’Alaska (e la questione climatica, in generale) la situazione si è aggravata con il ritorno di Donald Trump, da sempre negazionista, alla Casa Bianca. E lo si è visto fin dal primo giorno del suo insediamento. Infatti, il presidente ha immediatamente firmato un ordine esecutivo intitolato «Liberare lo straordinario potenziale di risorse dell’Alaska» e questo in linea con il suo mantra in materia di energia, «Drill, baby, drill» (Trivella, tesoro, trivella).

Con Donald Trump anche la riserva naturale dell’«Arctic national wildlife refuge» (in alto, a destra) è in pericolo.
In altre parole, Trump vuole facilitare le trivellazioni in Alaska abrogando le limitazioni, definite «punitive», dell’era Biden. Il progetto include anche l’«Arctic national wildlife refuge», un’area naturale protetta che si trova nella zona nord-orientale dello Stato.
Nonostante le evidenze scientifiche e le esperienze quotidiane, il negazionismo climatico continua a imperversare. I negazionisti sostengono che le variazioni sono sempre esistite e che esse non sono dovute a cause umane. Anche in Italia ci sono molti esponenti, che riescono a trovare ascolto in partiti politici e media. «L’ideologia verde, fondata su presupposti scientifici fallaci, ha impoverito il mondo. Ecco perché Trump, ponendo fine a questa follia, sta salvando il pianeta» ha scritto su La Verità (17 giugno) Franco Battaglia, da anni leader irraggiungibile dei negazionisti italiani. «Cosa ci insegna il caldo di questi giorni? La narrazione dominante sui media dice che è colpa nostra […]. Sennonché questa ideologia è smentita dalla storia e dalla scienza, infatti sappiamo, con certezza, che il clima del pianeta cambia continuamente, da sempre» ha sottolineato il negazionista Antonio Socci su Libero (6 luglio). Pochi giorni dopo (9 luglio), commentando un calo improvviso delle temperature, lo stesso quotidiano titola «Dopo l’allarmismo per l’estate carissima», confondendo il clima con il meteo. Un errore incredibile.
I negazionisti sono stati criticati dallo stesso papa Leone XIV che, nell’omelia del 9 luglio, ha detto: «Dobbiamo pregare per la conversione di tante persone, dentro e fuori della Chiesa, che ancora non riconoscono l’urgenza di curare la casa comune. Tanti disastri naturali che ancora vediamo nel mondo, quasi tutti i giorni in tanti luoghi, in tanti Paesi, sono in parte causati anche dagli eccessi dell’essere umano, col suo stile di vita».
Paolo Moiola