E la chiamano economia 7/2024
Fu un saggista e storico scozzese di nome Thomas Carlyle (1795-1881) a definire l’economia «scienza triste» (dismal science). Si ritiene che questa definizione sia stata ispirata dalla previsione del pastore ed economista Thomas Robert Malthus (1766-1834) secondo cui la popolazione mondiale sarebbe cresciuta sempre più velocemente del cibo, condannando l’umanità a povertà e difficoltà senza fine.
L’economia si merita questa definizione dispregiativa? Se guardiamo alle diseguaglianze che essa produce (con i ricchi sempre più ricchi) e alla distruzione ambientale (il riscaldamento globale di origine antropica, ma non solo), allora la risposta è «sì, se la merita». Eppure, come ci racconta Francesco Gesualdi nelle sue analisi, il benessere per tutti non sarebbe un’utopia se si capisse che la crescita infinita è insostenibile e ci fosse la volontà politica di imboccare strade diverse.
Un esempio che si muove in questa direzione si può trovare nell’ultima puntata dell’anno, «Riparare alla barbarie». In essa il nostro autore parla della «due diligence», la direttiva dell’Unione europea (2024/1760), per le grandi imprese. Secondo la norma, il profitto è lecito soltanto «se ottenuto nel rispetto dei diritti dei lavoratori e dell’integrità del pianeta».
Pur senza risolvere i tanti problemi sul tappeto, già l’implementazione effettiva (e globale) di questa norma farebbe fare un salto qualitativo importante all’economia nel suo complesso. Buona lettura.