SE NON LI CURI, LI AMMAZZI

“Iam vacua ardet Roma” (ormai vuota, Roma brucia). Lo scrisse papa Gregorio Magno nel Seicento, allorché «la capitale del mondo» era bottino dei barbari. È una frase-sentenza, continuamente attuale nelle «notti della storia», illuminate solo dal bagliore delle armi.
Brucia ancora l’Africa: Guinea Bissau, Etiopia, Eritrea, Sierra Leone, Congo… nel crepitio delle pallottole. Pallottole non africane!
Ma, come a Roma il papa non si rassegnò allo strazio del popolo, così in Africa qualcuno si ribella al catastrofismo. E diventa propositivo. È questo il senso di una lettera, scritta in Congo.
Dal 2 agosto scorso la nazione è ripiombata nella guerra civile o, forse, nella prima guerra mondiale africana: da una parte i ribelli (con Uganda, Rwanda e Burundi) e, dall’altra, i soldati del presidente Kabila (con Zimbabwe, Namibia e Angola). I ribelli controllano il nordest, ma anche il Katanga, ricco di diamanti. La contrapposizione potrebbe durare anni, senza una mediazione internazionale. Intanto si contano migliaia di morti, vittime sia dei ribelli sia dei governativi.
La lettera è stata scritta nell’ospedale di Neisu, nel «caldo» nord, da padre Oscar Goapper, missionario della Consolata e medico.
Cari amici, vi scrivo pur sapendo che questa lettera sarà controllata da qualche funzionario congolese. Siamo allo stremo. Il dollaro continua a salire e la nostra moneta a scendere.
Qui nel nord, complice la guerra, siamo tagliati fuori dal mondo. Tutto è commedia. E la commedia si ripete quando, dopo tentativi infiniti, riesco a trovare un posto su un aereo militare. Ma ecco che, al momento del decollo, mi sento dire: «Si parte domani, forse». Già, forse!
È terribilmente difficile reperire medicine per l’ospedale. Sono sette mesi che ci arrabattiamo con risultati quasi zero. Il confratello Rombaut, infermiere professionale, ha raggiunto Kampala (Uganda) ed è tornato con appena 30 chili di materiale medico. I 140 letti del nostro ospedale sono strapieni (senza contare i malati che giacciono per terra). Siamo impotenti di fronte alla guerra.
Come missionario medico, ho sempre perseguito progetti dettagliati. Nell’emergenza odiea tutto salta. Oggi, quando entro in ospedale barcamenandomi fra gli ammalati per non pestarli, un ritornello mi martella le tempia: «O li curi subito o li ammazzi!».
Ci servono soldi e un’immensa pazienza in questa interminabile quaresima…
I soldi sono anche nostri. La pazienza, intrisa di sofferenza, è loro. Il prossimo di tutti.
La Redazione

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Non sono Pinochet!

Mai più! Come pure: never again, nunca mas, jamais plus, nimmermehr! Cioè: mai più campi di sterminio, abusi sui bambini, pulizie etniche, bombardamenti su popoli inermi… «perché tutti gli esseri nascono liberi e uguali in dignità e diritti». Così recita il primo dei 30 articoli della «Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo», sottoscritta da 48 nazioni, a Parigi, il 10 dicembre 1948.
La Dichiarazione si lascia alle spalle 50 anni, durante i quali il suddetto «mai più» è stato smentito troppe volte. I suoi 30 articoli sono stati spesso solo pie esortazioni, o quasi. Anche oggi. Così, il 10 dicembre scorso, mentre tutto il mondo celebrava il cinquantenario dei diritti dell’uomo (fra cui il diritto alla vita), qualcuno festeggiava il rito della morte. L’ultima vittima della pena capitale è Tuan Anh Nguyen, profugo vietnamita negli Stati Uniti, giustiziato con una iniezione letale in Oklahoma a 39 anni. Era reo di omicidio.
Le violazioni dei diritti umani costituiscono una catena infame, con anelli numerosi come le stelle del cielo. Una tragedia infinita, che accusa anche l’Italia.
In barba alla Dichiarazione, sono 250 mila i ragazzi e le ragazze che imbracciano il fucile in eserciti regolari o gruppi guerriglieri, alla mercé di despoti e dei loro 33 conflitti armati in corso.
C’è il diritto ad «un livello di vita sufficiente ad assicurare la propria salute e quello della famiglia». Come mai, allora, 1 miliardo e 300 milioni di persone sopravvivono con meno di un dollaro a testa? È nata una categoria sociale nuova: quella degli «esclusi», penalizzati soprattutto dalla mancanza di lavoro nel mondo della globalizzazione.
Pesanti discriminazioni si abbattono sulle donne, che vanno dall’imposizione di un certo vestito all’«obbligo dell’ignoranza», dai matrimoni forzati alle mutilazioni sessuali.
La libertà religiosa non solo lascia molto a desiderare, ma è fonte di ritorsioni e persecuzioni. I regimi di Cina, Arabia Saudita, Sudan, Indonesia ecc. lo dimostrano.
Non ultimo il dramma dei profughi: un esercito di 50 milioni di persone, quasi sempre considerate una minaccia nei paesi dove cercano rifugio.
«Nel rispetto dei diritti umani il segreto della pace»: è il motto della Giornata mondiale per la pace, che si celebra il 1° gennaio 1999. È proprio il rispetto, sorretto dalla giustizia, la via maestra della pace. Per noi, che abbiamo la fortuna di una casa, il rispetto dell’altro incomincia all’interno delle pareti domestiche.
E, per favore, non diciamo: «Non sono mica Pinochet!».
La redazione

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