Siamo rimasti umani?
Le manifestazioni per Gaza e per la Palestina degli scorsi 22 settembre, 3 e 4 ottobre, e diverse altre, hanno fatto vedere come l’Italia non sia totalmente «anestetizzata» rispetto a quanto sta succedendo in Medio Oriente. I tardivi riconoscimenti dello Stato di Palestina, da parte di molti Paesi in concomitanza della 80a Assemblea delle Nazioni Unite hanno mostrato che, anche per la diplomazia formale, il limite è stato passato. Oggi oltre 150 Paesi su 193 membri dell’Onu hanno riconosciuto la Stato di Palestina (circa lo stesso numero di quelli che riconoscono Israele). E nell’ultimo giro, anche molti europei di peso.
In effetti, una commissione di esperti indipendenti delle Nazioni Unite, già il 16 settembre avevano rilasciato un rapporto che scioglieva ogni dubbio: a Gaza è genocidio. Quattro su cinque «atti genocidi» definiti dalla Convenzione sul genocidio del 1948, si sono avverati a Gaza per mano del Governo di Israele, mentre uno solo di essi è sufficiente per definirlo tale.
Il Governo estremista di Benjamin Netanyahu nega ogni crimine di guerra, e opera in tutti i modi affinché sia impossibile la creazione di uno Stato palestinese. Non solo con la distruzione totale di Gaza, ma anche con la progressiva occupazione della Cisgiordania, in maniera da creare una vera e propria disintegrazione territoriale di quello che dovrebbe essere lo Stato di Palestina. «Se non ci muoviamo, non ci sarà più terra da riconoscere come Palestina», ha ammesso un rappresentante del ministero degli Esteri del Regno Unito, un Paese che ha dichiarato il riconoscimento lo scorso 21 settembre, insieme a Canada e Australia.
Segnaliamo, in Librarsi di questo numero, un interessante libro sulle «narrazioni opposte» di questa guerra.
Salutiamo, la coraggiosa missione della Gaza Sumud Flotillia, della quale abbiamo raccontato sul nostro sito. I suoi componenti sono stati arrestati in acque internazionali, contro ogni legge, poi trattenuti in strutture detentive, e sottoposti a maltrattamenti fisici e psichici.
Molto bella è stata l’iniziativa della neonata rete «Preti contro il genocidio», alla quale aderiscono circa 1.600 sacerdoti di 50 Paesi dei cinque continenti. Il giorno 22 settembre, un gruppo di un centinaio di loro, di varia nazionalità, ha pregato e a realizzato una processione a Roma, chiedendo «Giustizia e pace per la Palestina». I sacerdoti e i vescovi presenti «hanno voluto sollecitare nella comunità civile ed ecclesiale una coraggiosa riflessione circa il genocidio palestinese», ha scritto la rete in un comunicato stampa.
Importante anche la nota diffusa dalla Conferenza episcopale italiana, riunita nel Consiglio episcopale permanente, il 24 settembre, nel quale ha espresso una posizione inequivocabile: «Chiediamo con forza che a Gaza cessi ogni forma di violenza inaccettabile contro un intero popolo e che siano liberati gli ostaggi. Si rispetti il diritto umanitario internazionale, ponendo fine all’esilio forzato della popolazione palestinese, aggredita dall’offensiva dell’esercito israeliano e pressata da Hamas. Ribadiamo che la prospettiva di “due popoli, due Stati” resta la via per un futuro possibile. Per questo, sollecitiamo il Governo italiano e le istituzioni europee a fare tutto il possibile perché terminino le ostilità in corso e ci uniamo agli appelli della società civile».
È tardi, forse troppo tardi. Tutti, avremmo dovuto muoverci prima. Non possiamo sapere cosa diventerà Gaza nelle prossime settimane, se la tregua reggerà, chi la ricostruirà e chi la governerà. Oggi, però, è chiaro che non fare nulla non è più neutralità, ma complicità. Noi, con l’unica arma che abbiamo in mano, la penna – o meglio la tastiera -, condanniamo il genocidio perpetrato a Gaza.
Parafrasando il motto dell’attivista e giornalista Vittorio Arrigoni, ucciso a Gaza nel 2011, «Restiamo umani!», ci chiediamo: siamo rimasti umani?
Marco Bello
Care lettrici e cari lettori,
dallo scorso agosto la Fondazione Missioni Consolata onlus, il nostro editore, ha completato il processo per iscriversi nel Registro unico del terzo settore (Runts). Percorso necessario, come soggetti della società civile, per adempiere alla nuova legge del Terzo settore.
Il nome diventa quindi Fondazione Missioni Consolata Ets.









