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La missione Catrimani si trova nella Terra indigena yanomami (Tiy), in un’area amazzonica di difficile accesso. «I viaggi in aerotaxi sono molto costosi, superando il costo dei viaggi internazionali. I tragitti in canoa sono molto pericolosi a causa delle cascate. Gli spostamenti a piedi da o verso la città durano dai cinque ai sei giorni». A parlare è suor Mary Agnes Njeri Mwangi, missionaria della Consolata originaria del Kenya.
Le missionarie arrivarono nell’odierna Roraima il 12 maggio del 1949. Nel 1953, padre Riccardo Silvestri, pioniere delle spedizioni dei missionari della Consolata, condusse quattro donne Yanomami alla loro casa di Boa Vista. L’evento fu una prima assoluta. Da allora, le suore iniziarono le relazioni con gli Yanomami, a partire dalla «Casa do indio» (Casai) e dalla casa di cura «Hekura Yano», entrambe a Boa Vista.
Nel 1965, i missionari fondarono Catrimani (riquadro a pag.13): quest’anno, dunque, la missione nella foresta amazzonica ha compiuto sessant’anni. Le suore la visitavano di tanto in tanto. Dal 1990, però, la loro presenza è divenuta stabile.

Suor Mary ha lavorato a Catrimani fino al 2024 per un totale di ventitré anni. È stata infermiera e formatrice di educatori. A Catrimani, fin dalla fondazione, l’obiettivo dei missionari della Consolata è stato la presenza tra la gente, il contatto diretto con gli indigeni, l’apprendimento della lingua, come dei costumi, della cultura, dell’etica e dell’arte. Chiediamo a suor Mary se questa metodologia ha evitato che i non indigeni si trasformassero in conquistatori venuti in terra altrui per imporre il proprio credo.
«Lo abbiamo evitato perché abbiamo fatto un’evangelizzazione che non cerca la conquista ma si svolge con umiltà e rispetto per l’alterità di ogni persona. Questo avviene attraverso incontri basati sul dialogo interreligioso, interculturale e interspirituale. È questo dialogo che costruisce relazioni sane, liberatrici e trasfor-
mative perché ogni interlocutore condivide la propria esperienza. Gli Yanomami offrono la loro “teologia”, un sistema di pratiche spirituali e saggezza in cui spiegano i nuovi e antichi misteri della loro vita. Da parte sua, la missionaria condivide la propria esperienza, basata sulla lettura della Parola di Dio e guidata dalla teologia cristiana».
Nella cosmologia degli Yanomami il creatore si chiama Omama. Il mediatore tra il mondo degli spiriti e quello degli Yanomami è lo sciamano (xapuri in lingua yanomae, xama o pajé in lingua portoghese). Tutto è spiegato: la creazione del mondo, gli enigmi dell’esistenza umana, il male e la felicità. Anche la strada da seguire è indicata.
«Per il popolo Yanomami l’imperativo etico è essere “moyamɨ” – ci spiega suor Mary -. Essere felici è sinonimo di essere moyamɨ, cioè abbracciare virtù e valori umani. Essere Yanomami capaci di fare scelte con audace prudenza, con coscienza per il bene comune, con generosità, consapevoli che l’accumulo di beni ha valore solo se condiviso e che un defunto sarà ricordato solo per la sua generosità, perché tutto ciò che lascia dopo la morte sarà cancellato».

Gli Yanomami – conosciuti nel mondo anche per merito dell’opera di Davi Kopenawa (sciamano e grande amico di fratel Carlo Zacquini, missionario della Consolata) – vengono da anni difficili: fame, malattie, invasione e distruzione della propria terra.
«È vero. Gli Yanomami sono conosciuti nel mondo per il loro modo di essere – un popolo che mantiene le proprie credenze, lingue, costumi e tradizioni -, ma anche a causa dell’invasione del proprio territorio, demarcato e ratificato nel 1992. Oggi il popolo Yanomami si trova ad affrontare nuove sfide. Per accedere ai benefici concessi dallo Stato brasiliano – aiuti familiari (bolsa familia), pensioni per gli anziani, servizi remunerati all’interno delle comunità – gruppi di indigeni compiono lunghi viaggi in barca o a piedi verso la città per prelevare denaro dalla banca. L’espressione “ya pihi oke” (sono con pensieri vuoti) è molto comune tra i giovani Yanomami, poiché sono intrappolati tra i “due mondi” della città e della foresta».
«Per recuperare salute e benessere della popolazione – ammette suor Mary -, la strada è ancora lunga. L’acqua del fiume Catrimani assomiglia a un caffè con latte, immagino per causa dei garimpeiros e dell’inquinamento da mercurio. L’Amazzonia e le sue ricchezze sono ambite da molti. Eppure, secondo me, ci sono ancora possibilità di salvarla. Prendersi cura della casa comune è importante per indigeni e non indigeni. Speriamo che la Cop30 di Bélem (la conferenza sul clima di novembre 2025, ndr) sappia prendere le decisioni corrette».
Chiediamo alla missionaria di raccontarci una sua giornata tipo. «A Catrimani la giornata dipendeva da dove mi trovavo, o in una maloca (la tipica abitazione indigena, ndr) o nelle semplici case di legno della missione.
In maloca, la mia giornata poteva iniziare con i discorsi del leader, con il canto del gallo o con le parole di un rituale sciamanico, soprattutto se qualcuno era malato. Alle tre del mattino, le famiglie riaccendevano il fuoco per poi rimanere in silenzio nelle loro amache fino all’alba. Vivevo la mia giornata al ritmo della gente, una donna tra le donne Yanomami: lavoro nell’orto, tempo per la pesca, preparazione della selvaggina, momenti di condivisione e di dialogo».
Un compleanno è anche un tempo di consuntivi: quanti Yanomami passano dalla missione? «In verità – confessa la suora -, non saprei dire quante persone frequentino Catrimani. Tuttavia, credo di non sbagliarmi se dico una media di trecento persone a settimana. Nel lungo periodo trascorso lì, ho notato che il flusso aumentava ogni anno, anche perché la zona è un punto di incontro per gli indigeni che passano da una maloca all’altra durante le feste. Capita poi sovente che gruppi di indigeni vengano in barca a prendere i missionari per visitare e svolgere insieme qualche lavoro nelle loro maloche. Altre volte gli Yanomami vengono da noi per partecipare ai corsi presso il centro di formazione Yano Theã. Altri ancora vengono per cure o accompagnano i loro familiari ricoverati in una piccola capanna annessa al centro sanitario della missione. E poi, naturalmente, ci sono gli imprevisti, sempre numerosi. Tra noi missionari si dice che la volontà di servire la gente richiede una prontezza pari a quella di un “vigile del fuoco”».

Le indigene incinte e le giovani madri sono da sempre oggetto di particolare attenzione da parte di missionari e missionarie.
Suor Mary non si tira indietro neppure quando la domanda cade su una questione delicata come la pratica yanomami – un tempo diffusa – di eliminare i neonati più fragili, o quelli che non riescono a sostenersi autonomamente.
«Posso dire che le donne yanomami si sentono sfidate e preoccupate per i loro neonati fragili. Una gravidanza a meno di due anni dall’ultimo parto lascia le donne yanomami con una certa insicurezza, poiché la loro quotidianità richiede frequenti viaggi avanti e indietro nella foresta alla ricerca di cibo e per la pesca. In un ambiente selvaggio come la foresta è sempre una sfida camminare trasportando ceste con bambini sulla schiena o tenendoli per mano. Le questioni relative alla cura dei bambini fragili e disabili sono state, quindi, oggetto di dialogo tra missionari e donne yanomami. Il team missionario ha promosso adozioni per le famiglie di coppie che non si sentono in grado di prendersi cura del neonato. Nel corso dei sessant’anni anni di presenza tra il popolo yanomami di Roraima, alcuni bambini sono stati cresciuti dalle stesse suore missionarie della Consolata e successivamente affidati alle loro famiglie».

Un’altra cosa ha cambiato la quotidianità in maniera significativa: l’arrivo in foresta dei collegamenti internet. Se ne sono avvantaggiati i garimpeiros, ma anche gli stessi Yanomami. «Da quasi un anno – racconta suor Mary -, missionari e indigeni hanno accesso a internet. Questa è una novità per Catrimani e altri villaggi del territorio yanoma- mi».
Internet è una porta d’accesso al mondo che sta fuori della foresta amazzonica. «Esatto. Per esempio, i giovani yanomami trovano su Google i benefici statali di cui possono godere come indigeni, e subito diffondono la notizia in ogni modo possibile. E ancora: gli Yanomami possono comunicare con i loro parenti negli ospedali o con chi è in città per qualche commissione. Attraverso internet, si monitora l’organizzazione di incontri di formazione promossi da associazioni come Hutukara, che ha sede a Boa Vista. A mio parere, ne ha beneficiato anche il processo di alfabetizzazione perché i giovani amano inviare messaggi tramite WhatsApp».
Come sempre accade, la novità non ha portato soltanto benefici nella vita degli Yanomami.
«Questo è certo – conferma la missionaria -. Gli aspetti negativi non mancano: alcuni giovani e bambini trascorrono troppo tempo sul cellulare, trascurando i propri impegni verso la comunità. Inoltre, a volte, internet alimenta odio e controversie intercomunitarie a causa della trasmissione di messaggi mal interpretati». Accade ovunque. Ora anche in Amazzonia.
Paolo Moiola

Boa Vista. Lo scorso agosto sono tornato alla missione Catrimani. Mancavo da nove anni. L’ultima volta che vi ero stato risaliva – infatti – all’ottobre del 2016, in occasione dell’Vlll assemblea di Hutukara, l’organizzazione degli Yanomami. All’epoca erano presenti, tra gli altri, Davi Kopenawa, padre Corrado Dalmonego e Claudia Andujar, la nostra fotografa (al tempo non ancora internazionalmente famosa come lo è oggi).
Nove anni sono tanti. Quindi, quando i padri Bob Mulenga e Filbert Nkanga, attuali responsabili della missione, mi hanno invitato a partecipare alla festa per i 60 anni di Catrimani ho accettato con piacere.

Arrivato in loco, la prima cosa che mi ha impressionato è stata vedere l’arrivo sulla pista in terra battuta della missione di aerei monomotori che trasportavano pacchi alimentari («cestas básicas» contenenti soprattutto farina, riso e cibi in scatola) per la popolazione indigena. Un’operazione costosissima per le casse federali che ha arricchito molte persone tra politici, militari e imprese private (come le locali compagnie di aereotaxi).
Un’altra cosa che ho notato è stata la proliferazione di nuovi villaggi, vari dei quali nati dall’«astuzia» degli indigeni, che approfittano delle nuove opportunità offerte dallo Stato. In pratica, ogni villaggio yanomami ha diritto ad alcuni servizi con personale stipendiato da Brasilia: microscopisti, agenti indigeni di sanità, insegnanti. Così, però, può accadere che, gestendo queste situazioni e il relativo flusso di denaro, alcuni giovani yanomami finiscano per avere molto più potere che qualsiasi leader tradizionale.
Sulla salute ho avuto notizie confortanti. Infatti, nei dintorni della missione, pare che la malaria si sia molto ridotta. La spiegazione può essere dovuta alla riduzione del numero dei garimpeiros presenti sul territorio indigeno.
Inoltre, nella comunità yanomami, ho notato l’assenza di alcuni anziani, che erano stati portati in città a fare le pratiche per ricevere una sorta di pensione mensile. Molte di queste novità sono certamente positive per la vita della popolazione indigena, ma – lo dico con preoccupazione – allo stesso tempo stanno incentivando pericolose forme di paternalismo.
Questo ritorno a Catrimani mi ha fatto venire in mente il mio lungo percorso con gli Yanomami.
Tutto ebbe inizio negli ultimi mesi del 1965. Dovevo iniziare a insegnare meccanica nella nostra scuola professionale nel quartiere di Calungá, a Boa Vista. Fu da quella postazione privilegiata che ebbi l’opportunità di assistere alla partenza delle prime canoe missionarie, guidate dai padri Giovanni Calleri e Bindo Meldolesi (quest’ultimo con precedenti esperienze di visita ai popoli detti «incontattati» sui fiumi Apíaú e Ajaraní).
Con loro, un piccolo gruppo di uomini abituati al lavoro e alla vita nella foresta, alcuni dei quali indigeni (il tikuna José Peruano). Sulle canoe portavano: un motore fuoribordo, amache per dormire, carburante, provviste da cucina, attrezzi da lavoro (asce, machete, pale, zappe, ami e lenze da pesca, fucili e cartucce per la caccia), corde, una piccola radio per ascoltare i messaggi di un’emittente di Boa Vista, una piccola farmacia e decine di altri oggetti preziosi per sopravvivere in mezzo alla foresta vergine, a molti chilometri e molti giorni di viaggio da qualsiasi centro urbano.
Le canoe salparono dal rio Branco verso la foce del rio Catrimani, per poi risalire quel fiume fino a incontrare le prime tracce degli indigeni «incontattati». Fu un’uscita quasi silenziosa, pacifica e veloce. In pochi minuti furono fuori dalla mia vista, nascosti dalla foresta.
Due anni dopo – all’inizio di gennaio del 1968 – sarebbe toccato a me partire per Catrimani. Ci sarei arrivato in aereo invece che in canoa e senza minimamente immaginare le sfide che avrei dovuto affrontare. A distanza di molto tempo, posso però dire che quello trascorso alla missione Catrimani è stato – probabilmente – il periodo più bello della mia vita.
Carlo Zacquini*
Missionario della Consolata, grande conoscitore del mondo indigeno brasiliano e yanomami in particolare,
fondatore e responsabile del «Centro di documentazione indigena» (Cdi) di Boa Vista (Roraima, Brasile).

Arrivare in foresta in un paio d’ore invece che in giorni, riuscire a comunicare con gli Yanomami che stanno in città o in altri villaggi. Questi sono vantaggi innegabili, ma innegabili sono anche i costi, e non soltanto quelli di carattere monetario.
Prendiamo i servizi di taxi aereo. Quanti invasori sono stati portati in foresta da questi aerei? Quanto oro è stato trasportato dalle miniere illegali aperte in territori indigeni? Parliamo, ad esempio, del servizio di «Voare táxi aéreo», impresa aerea di Boa Vista che domina il mercato amazzonico. La compagnia ha in essere decine di contratti sottoscritti con entità federali (tra cui il ministero della Salute e la Funai, la fondazione per i popoli indigeni), la gran parte dei quali ottenuti senza alcuna gara d’appalto. Guarda caso la proprietaria di Voare táxi aéreo è una deputata federale, Helena da Asatur. L’imprenditrice e il marito, Renildo Evangelista Lima, sono indagati anche per reati elettorali. A peggiorare il quadro, l’uomo è stato sorpreso con 500mila reais (circa 80mila euro) in contanti nascosti nella biancheria intima durante un controllo di polizia. Insomma, quella di Boa Vista è una compagnia aerea al centro di numerosi scandali.
Ancora più delicata è la questione della rete internet in Amazzonia, praticamente monopolio di una sola società, la Starlink di Elon Musk, il multimiliardario statunitense di estrema destra, personaggio divisivo come pochi altri al mondo. La sua società – arrivata in Brasile nel 2022 durante il mandato presidenziale di Jair Bolsonaro, amico del miliardario – ha preso piede rapidamente non avendo concorrenti. Adesso la rete satellitare di Musk arriva in molte comunità indigene e tutti i garimpeiros ne sono forniti facilitando enormemente le loro attività illegali. Su Starlink permangono, inoltre, importanti dubbi sia per l’imprevedibilità del suo proprietario sia per l’utilizzo dei dati da essa raccolti.
Pa.Mo.
