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Il dilemma del mercato interno

I dirigenti alle prese con un rebus economico

Passato il decennio di grande crescita a inizio millennio, oggi aumenta la propensione dei cinesi al risparmio. Ma la politica, vista l’incertezza internazionale, spinge sui consumi interni. Le ricette, però, non sono univoche.

Per Song Jingli, giovane startupper, il 2023 sarebbe dovuto essere un anno di grandi spese. La 39enne e suo marito speravano di andare in Nuova Zelanda e acquistare un secondo appartamento a Pechino. Ma la situazione economica li ha convinti a evitare acquisti costosi. «È come quando sai che sta per arrivare una tempesta – spiega la donna -, meglio tenersi lontano dall’acqua». Quella della giovane imprenditrice è una scelta personale che ha implicazioni nazionali. Anche perché Song non è l’unica in Cina ad avere sviluppato una spiccata vocazione per la parsimonia.

Secondo un sondaggio della banca centrale, dal 2020 la quota dei risparmiatori rispetto a quella di chi preferisce spendere o investire è rimasta costantemente superiore al 50%. Nell’ultimo trimestre del 2024, è salita addirittura al 61,4%. Tradotto in dati tangibili: le vendite al dettaglio, un importante indicatore dei consumi, hanno registrato un aumento del 3,7% su base annua a luglio, in calo rispetto al 4,8% registrato a giugno.

Sono numeri che hanno un impatto travolgente per lo sviluppo del Paese. È dalla pandemia da Covid-19 che, sotto il motto della «doppia circolazione» (interna ed esterna), il governo cinese tenta di rendere il mercato domestico il nuovo motore della crescita. Complici l’interruzione temporanea della catena di approvvigionamento globale e i dissapori con l’Occidente sull’origine del virus, nonché le preoccupazioni legate alla sicurezza nazionale. Ma anche la consapevolezza che i vecchi strumenti, all’origine del «miracolo cinese», non funzionano più come prima.

© Yang Guang Wu via Pixabay

Investimenti ed esportazioni

Dagli anni Novanta in poi il modello di sviluppo del gigante asiatico è sempre stato fortemente orientato agli investimenti e alle esportazioni. Oggi la Repubblica popolare detiene il rapporto investimenti sul Pil più alto della storia nonché tra i più alti al mondo. Puntare sull’iniezione di capitali aveva senso quando la Cina doveva ancora colmare un enorme deficit infrastrutturale: costruire strade, ponti, fabbriche, e aeroporti è servito a sostenere la crescita per vent’anni. Ma con il tempo le opportunità di investimento produttivo si sono esaurite. Il debito accumulato per finanziare grandi opere non più «necessarie» ha iniziato a lievitare più rapidamente dell’economia. Al contempo, le tensioni con Stati Uniti e Unione europea rendono oggi troppo rischioso continuare a puntare sull’export per compensare quanto non viene acquistato internamente. Anche nel cosiddetto Sud globale la sovrapproduzione industriale della Repubblica popolare sta diventando un problema.

Ecco che l’oculatezza di Song rappresenta un grattacapo per la leadership di Pechino, determinata a rendere i consumi il fattore trainante dello sviluppo nazionale. Non sarà facile cambiare la mentalità della popolazione. La frugalità è profondamente radicata nella cultura cinese. Già oltre duemila anni fa, i testi confuciani promuovevano moderazione, autocontrollo, e responsabilità verso la propria famiglia. Tanto che sostenere finanziariamente i genitori anziani, organizzare matrimoni e funerali solenni viene considerato tutt’oggi un obbligo morale. La penuria del periodo maoista ha acuito l’inclinazione al risparmio per cui sono divenuti noti i cinesi. Il decennio della crescita a due cifre è stato un’eccezione nella storia dell’ex Celeste Impero: l’ottimismo generalizzato della prima decade del nuovo Millennio ha spinto i cittadini ad aprire più volentieri il portafoglio. Ma quel periodo è ormai alle spalle.

© Giovanni Hu

Incertezza

Dal Covid in poi, l’incertezza verso il futuro ha esercitato un effetto frenante: il mercato del lavoro è sempre più competitivo e i salari salgono più lentamente. Il sistema pensionistico scricchiola e l’assistenza sociale presenta ancora diverse lacune. Soprattutto per i 200 milioni di «lavoratori flessibili», compresi gli autonomi e i part time.

Circa sedici milioni di persone invece dipendono dagli scambi con gli Stati Uniti. Secondo Goldman Sachs, quasi altrettanti rischiano di perdere il posto se la «trade war» (guerra commerciale) con Donald Trump dovesse proseguire nel tempo. Il tracollo del mercato immobiliare costituisce un’altra variabile centrale nell’andamento dei consumi. Non potrebbe essere altrimenti considerato che in Cina la casa rappresenta tra il 50 e il 70% del patrimonio familiare.

La tendenza al risparmio è trasversale ma più evidente nel Nord del Paese rispetto al Sud, culla delle prime riforme denghiane (da Deng Xiaoping, leader cinese al quale si devono le riforme economiche, 1978-92, ndr), dove prevale una mentalità orientata al business e alla mercificazione. Anche l’età fa la differenza. La generazione Z (i nati indicativamente tra il 1997 e il 2010, ndr) è più attenta dei propri genitori. Dopo il «revenge spending» (corsa alla spesa, ndr) dell’immediato post-Covid, i più giovani, cresciuti negli anni d’oro, hanno reagito alla precarietà del momento con un’improvvisa propensione al risparmio, definita «revenge saving» (tendenza al risparmio, ndr). Su piattaforme come Xiaohongshu (RedNote), gli under 30 condividono strategie di risparmio, come tagliare i costi delle pause pranzo e guadagnare con i depositi sul fondo di investimento monetario Yu’e Bao. Allo stesso tempo si affacciano nuove esigenze. Chi spende, spende meno, e non lo fa più per beni durevoli, come è stato per l’immobiliare durante il boom economico, bensì per prodotti che offrono gratificazione immediata e identità sociale: viaggi esperienziali, fumetti e giochi. Le ricercatissime Labubu, i mostriciattoli di Pop Mart, sono un esempio di come il meccanismo delle blind box (pacco sorpresa) conferisca quell’esclusività che oggi fa la differenza.

Le sfide dei leader

Se per i cittadini non è facile cambiare abitudini, non lo è nemmeno per i leader cinesi. I primi (vani) tentativi per sostenere i consumi risalgono agli anni Novanta; prima con le riforme del premier Zhu Rongji, poi con gli stimoli di Wen Jiabao-Hu Jintao per respingere la crisi finanziaria internazionale del 2008. Ma in entrambi i casi, dei finanziamenti pubblici hanno beneficiato soprattutto i progetti infrastrutturali. Difficilmente la strategia messa in atto dal presidente Xi Jinping avrà maggiore successo. Potenziare la «circolazione interna» (il mercato domestico) rispetto a quella «esterna» (gli scambi internazionali) richiede un compromesso troppo oneroso per il Paese.

Come sottolineato da Michael Pettis, autorevole economista della Peking University, l’unico modo per aumentare gli acquisti è permettere alla popolazione di trattenere una quota maggiore di ciò che produce, così che la Cina possa ridurre la sua dipendenza da investimenti inutili e surplus commerciali. Ma le istituzioni bancarie, legali, politiche, finanziarie e imprenditoriali sono state tutte costruite su un sistema che, nel corso di trenta quarant’anni, ha comportato trasferimenti impliciti dalle famiglie ad altri soggetti, come istituti di credito, imprese e amministrazioni locali.

© China_foto-damon-17-Unsplash

Difficile rebus economico

La maniera più ovvia per correggere la stortura è aumentare i salari molto più rapidamente, in modo che rimangano in linea con l’incremento della produttività. Tuttavia, la competitività del settore manifatturiero cinese si basa in gran parte sul basso costo del lavoro, anche se meno di un tempo. In altre parole, risolvere il problema dei consumi significa indebolire quanto ha reso la Cina la seconda economia mondiale. Aumentare i tassi di interesse, consentendo alle famiglie cinesi di guadagnare di più dai propri risparmi, invece renderebbe più caro il credito elargito dalle banche all’industria manifatturiera. E aumentando il valore del renminbi, la valuta cinese, le importazioni diventerebbero più economiche, facendo crescere il valore reale del reddito delle famiglie. Ma ancora una volta, comprometterebbe le aziende cinesi sul mercato internazionale, rendendo l’export di made in China meno appetibile. 

Campagna anticorruzione

Jack-Mccracken-MFdgQ0sowrw-Unsplash

A completare il quadro concorrono fattori politici. Innanzitutto, il metodo per valutare l’operato dei funzionari valorizza ancora la crescita del Pil a breve termine (in particolare essi vengono promossi se riescono a implementare progetti con un ritorno economico immediato in termini di Pil). Un risultato ottenibile più rapidamente con gli investimenti che con i consumi. E poi c’è la campagna anti corruzione: sebbene inasprite solo di recente, le misure contro le «spese stravaganti» tra i membri del partito comunista hanno già paralizzato il settore della ristorazione, cresciuto a giugno di appena lo 0,9% su base annua, il tasso più basso dal 2023.

Va detto che alcuni dei provvedimenti annunciati dall’amministrazione Xi Jinping paiono centrare il punto. Oltre a un massiccio programma di permuta – che prevede sussidi per auto, elettrodomestici e altri beni – il Governo di Pechino ha introdotto il primo programma nazionale di incentivi ai genitori con bambini sotto i tre anni. La misura – da 12,5 miliardi di dollari – dovrebbe allentare la pressione sul bilancio familiare, tenendo conto che in Cina, crescere un figlio fino all’età adulta costa 6,8 volte il Pil pro capite, una cifra tra le più alte al mondo.

Poi c’è l’annoso nodo dei lavoratori migranti interni. Lo scorso anno, il Consiglio di Stato cinese ha presentato un piano quinquennale per riformare il sistema dell’hukou (che limita i servizi di base al luogo di nascita) che va nella direzione di ridurre le disparità economiche e sociali tra abitanti di città e campagna. Sempre allo scopo di rilanciare i consumi.

Idee a confronto

Il dibattito è aperto. All’interno della Repubblica popolare non tutti concordano sulla strada migliore da seguire. Secondo il «China finance 40 forum» (CF40), le statistiche della Banca mondiale (che pongono la spesa pro capite dei cinesi pari all’8,8 per cento di quella degli americani) sono sottostimate. Gli analisti del prestigioso think tank hanno scoperto che in molti settori – come quello alimentare – i livelli di consumo della Repubblica popolare sono pari o addirittura superiori a quelli dei paesi sviluppati. In altri segmenti, il divario è significativamente inferiore se si utilizza come parametro il volume di consumo effettivo anziché il valore monetario.

Per Xu Gao, vicepresidente della Bank of China international, è invece proprio il basso consumo che obbliga a mantenere alti gli investimenti. L’esperto concorda, come molti, che sia necessaria una ridistribuzione del reddito. Ma aggiunge anche che, in assenza di progressi rapidi, mantenere gli stimoli statali è necessario a prevenire una contrazione maggiore dell’economia. Piuttosto ritiene vadano foraggiati i settori giusti: quelli che non aumentano la sovracapacità produttiva. Opinione condivisa da David Tingxuan Zhang, analista di Trivium China (istituto di analisi), che tra i comparti da potenziare cita espressamente l’assistenza all’infanzia e agli anziani, l’edilizia abitativa a prezzi accessibili, le infrastrutture verdi, e i servizi sanitari. D’altronde, proprio le cure mediche hanno ancora costi significativi in Cina.

Insomma, occorre realizzare quello «sviluppo incentrato sulle persone» che il presidente Xi ha promesso in più occasioni.

Alessandra Colarizi

il pupazzetto Labubu, prodotto da Pop Mart, è diventato oggetto cult e venduto in milioni di esemplari in tutto il mondo. – © Dushawn-Jovic-DWS3Q47bI2o-Unsplash
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