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La campagna elettorale per le elezioni in Myanmar inizia il 28 ottobre e durerà due mesi, fino al 28 dicembre, quando si svolgeranno le operazioni di voto.
La Commissione elettorale dell’Unione, nominata dalla giunta militare al potere nella nazione, accelera i preparativi per le elezioni, diramando le norme per i comizi e i candidati.
Tuttavia la parvenza di normalità che la giunta militare intende dare alle operazioni di voto non riesce a celare le enormi sfide e le questioni cruciali che si aprono in vista di quella che alcune organizzazioni in patria e all’estero, come la Federazione internazionale per i diritti umani, definiscono «una farsa elettorale».
Tra l’altro la legge prevede pesanti sanzioni fino alla pena capitale per chi si oppone al voto, e l’esclusione dalle liste elettorali di tre milioni di cittadini e della Lega nazionale per la democrazia che, nel 2020, prima del golpe militare, aveva ottenuto una schiacciante vittoria.
La tornata elettorale, che proseguirà in più fasi nel 2026, vede 55 partiti registrati, nove dei quali in lizza a livello nazionale.
La Commissione elettorale ha stabilito 330 circoscrizioni elettorali per i seggi della Camera bassa, 110 per la Camera alta, 364 per i parlamenti regionali e 29 per le cariche di rappresentante delle minoranze etniche.
Ma il voto potrà svolgersi, per ammissione dello stesso Generale Min Aung Hlaing a capo della giunta, in un territorio che corrisponde circa alla metà del Paese. Le elezioni saranno, dunque, secondo la Resistenza e le minoranze etniche che si oppongono al regime e controllano l’altra metà del territorio, del tutto irregolari e prive di legalità.
Il boicottaggio annunciato dai gruppi di opposizione, unito alle critiche degli osservatori internazionali, tuttavia, non ferma i generali che, dopo il golpe del 1° febbraio 2021, provano a legittimare, sia sul piano interno, sia a livello internazionale, il controllo sulla nazione.
Il centro studi Asian network for free elections, nel suo rapporto di valutazione sul voto, ha rilevato che «le elezioni organizzate dalla giunta in Myanmar non si allineano con gli standard internazionali e non possono essere considerate credibili o legittime».
Anche l’Ong Human Rights Watch ha invitato i leader dell’Asean (l’Associazione delle nazioni del Sudest asiatico, di cui il Myanmar è membro) a negare il riconoscimento delle elezioni, a intensificare l’isolamento diplomatico della giunta e aumentare l’assistenza umanitaria ai rifugiati in quella che ha definito «una delle peggiori crisi di sfollamento in Asia dalla seconda guerra mondiale».
Dal 2021, infatti, nel tentativo da parte della Giunta militare di fiaccare i gruppi della resistenza – oggi un’alleanza tra le Forze di difesa popolari, milizie dell’etnia maggioritaria bamar, e gli eserciti delle minoranze etniche -, oltre 3,5 milioni di persone sono state sfollate e altri milioni affrontano un’insicurezza alimentare acuta. L’Ong ha anche documentato attacchi aerei, bombardamenti di artiglieria su villaggi, municipi e infrastrutture civili.
Dal Myanmar alcune voci della società civile hanno problematizzato la questione, considerandola sul lungo periodo: il processo elettorale, pur essendo controllato dai militari, «avrà comunque, come esito finale, un maggiore coinvolgimento dei civili nel governo della nazione e sarà un piccolo passo positivo», ha riferito all’agenzia vaticana «Fides» Joseph Kung Za Hmung, cattolico di Yangon, educatore e fondatore della prima università cattolica privata della nazione.
Con il voto, argomenta, «vedremo l’influenza della giunta militare in qualche modo diminuire, si parlerà del rilascio dei prigionieri politici, la nazione avrà nuovamente delle istituzioni democratiche, e sarà un’evoluzione positiva, che ci permetterà di fare un primo passo per uscire dal governo esclusivo della giunta».
Pur senza sottovalutare «tutte le critiche e le criticità, come il fatto che le elezioni non saranno del tutto libere, o che molta parte della popolazione non potrà o non vorrà votare», ha spiegato Kung Za Hmung, «bisogna considerare che il voto resta un’espressione democratica, sicuramente con limiti e con risultati in parte scontati: ma è pur sempre l’inizio di una via d’uscita per tornare ad avere un governo civile».
Sul piano internazionale, se alle Nazioni Unite si esprimono critiche e riserve, alcune grandi potenze come Russia e Cina (mentre si vedrà quale sarà la scelta dell’India), si preparano a riconoscere il risultato del voto e il Governo che ne uscirà.
Paolo Affatato