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Uno sbarramento gigantesco. Un blocco di cemento e acciaio che sbarra uno dei fiumi più lunghi e imponenti del mondo. Ci sono voluti quindici anni per costruirlo e ora è pronto. Il 9 settembre l’Etiopia ha ufficialmente inaugurato la Grand ethiopian renaissance dam (Gerd), la più grande diga idroelettrica dell’Africa. Un’opera colossale che, nelle intenzioni del Governo, dovrebbe garantire elettricità a milioni di etiopi, sostenere lo sviluppo agricolo, trasformare il Paese in un hub energetico regionale e regolare il corso del Nilo Azzurro (il principale affluente del Nilo). L’entusiasmo di Addis Abeba si scontra però con i timori e le proteste dei vicini, in particolare Egitto e Sudan, che vedono nella faraonica infrastruttura una minaccia per la loro sopravvivenza economica e sociale.
L’opera
I lavori sono cominciati nel 2011, nella regione di Benishangul-Gumuz, a quindici chilometri dal confine sudanese. A realizzarla è stata l’italiana Salini Impregilo (oggi Webuild), con un cantiere che ha richiesto migliaia di operai, turni continui e la costruzione di una vera e propria città di supporto. Il risultato è uno sbarramento di dimensioni imponenti. La diga principale, in calcestruzzo compattato, è alta 145 metri e lunga 1.780; accanto si estende una diga di sella (una struttura idraulica secondaria, costruita per integrare quella principale) di cinque chilometri. Il bacino, battezzato Nigat Lake, ha una capacità di 74 miliardi di metri cubi e copre quasi 1.900 chilometri quadrati di superficie.
A pieno regime, le 16 turbine installate genereranno 5.150 megawatt di potenza, con una produzione annua di circa 15.700 gigawattora: un quantitativo sufficiente a triplicare l’attuale disponibilità di elettricità del Paese. L’obiettivo del governo è garantire energia a una popolazione di oltre 130 milioni di persone, di cui circa 60 milioni oggi ancora senza accesso alla corrente, e allo stesso tempo vendere elettricità ai Paesi vicini. Addis Abeba prevede entrate per 427 milioni di dollari tra il 2025 e il 2026, in gran parte grazie a contratti con aziende minerarie.
I benefici
La diga ha già cambiato gli equilibri energetici interni. In questi ultimi anni, il bacino ha iniziato a riempirsi. A settembre 2025 le riserve hanno raggiunto i 64 miliardi di metri cubi, quattro in più rispetto all’anno precedente coprendo, da sola, un terzo della produzione nazionale di energia, con un aumento del 43% rispetto all’anno precedente. Per un Paese che dipende dalle esportazioni di caffè e fiori recisi, la vendita di elettricità rappresenta una nuova fonte di valuta estera, cruciale per finanziare infrastrutture e sostenere la modernizzazione. Non a caso la Gerd è diventata un simbolo del «rinascimento etiope»: campeggia su poster e magneti venduti nei mercati di Addis Abeba e ha raccolto consenso popolare anche grazie a bond diffusi tra i cittadini, che hanno contribuito a finanziare il progetto per cinque miliardi di dollari. Sul piano pratico, la diga dovrebbe contribuire anche alla regolazione del Nilo Azzurro, riducendo le inondazioni stagionali e mitigando gli effetti delle siccità, con benefici diretti per l’agricoltura, settore che occupa il 70% degli etiopi.
Gli equilibri internazionali
Negli anni, però, il sogno etiope è diventato un incubo per i Paesi a valle. L’Egitto dipende per circa il 90% dal Nilo per il suo fabbisogno idrico, il Sudan per il 70%. Entrambi denunciano che un serbatoio di tali dimensioni rischia di compromettere la loro sicurezza idrica, soprattutto in caso di periodi di scarse piogge. Le tensioni non sono nuove. Fin dall’avvio dei lavori si sono moltiplicati i negoziati tra i tre Paesi, ma nessuno ha portato a un accordo vincolante. Una delle questioni più controverse è la gestione del flusso in caso di siccità: il Cairo pretende garanzie precise, Addis Abeba si oppone a vincoli che limiterebbero la sua sovranità. «Se immagazzini 60 miliardi di acqua che prima fluivano in Egitto, non crei un danno?», ha denunciato Abbas Sharaky, professore di Geologia all’Università del Cairo.
Per l’Egitto, la Gerd non è solo un problema idrico ma anche una questione identitaria e politica: il Nilo è considerato «un fiume sacro», legato alla storia stessa della nazione. Vederne le acque controllate dall’Etiopia è vissuto come un affronto. La minaccia di bombardare la Gerd è stata evocata più volte da esponenti egiziani, soprattutto negli anni di maggiore tensione con l’Etiopia. Il caso più noto risale al 2013, quando durante una riunione politica trasmessa per errore in diretta televisiva, diversi leader egiziani parlarono apertamente di possibili azioni militari contro la diga. In quell’occasione l’ex presidente del Parlamento Essam El-Erian e l’esponente del partito al-Wafd Mounir Fakhry Abdel Nour ipotizzarono il bombardamento della diga per impedire all’Etiopia di deviare le acque del Nilo Azzurro. Successivamente, anche alti ufficiali egiziani hanno lasciato intendere che «tutte le opzioni restano sul tavolo», compresa l’azione militare, se il progetto minacciasse la sicurezza idrica dell’Egitto. Addis Abeba ribatte che gli accordi del 1959 tra Egitto e Sudan, che regolavano l’uso del fiume, sono ormai anacronistici e non possono vincolare un Paese che non li ha mai firmati.
Mancano gli accordi
Dietro la diga si gioca anche una partita che va oltre l’acqua e l’energia: riguarda il prestigio regionale, le prospettive economiche e la stabilità politica. Per il premier Abiy Ahmed, reduce dalle difficoltà economiche e dalle ferite della guerra civile con il Tigray, la Gerd è un investimento d’immagine e una promessa di riscatto. Non a caso l’inaugurazione è stata programmata in coincidenza con un summit climatico ad Addis Abeba, in vista della Cop30 in Brasile, per presentare la diga come progetto collettivo e attrarre consensi sul piano africano.
Resta però un’incognita: se il clima dovesse cambiare e le piogge ridursi, le tensioni potrebbero esplodere di nuovo. Senza un accordo condiviso sulla gestione delle emergenze, «la diga della rinascita» rischia di trasformarsi nella diga della discordia.
Enrico Casale