La corsa di Seul. La Corea del Sud tra luci e ombre

Cittadini e visitatori leggono e si riposano lungo il Cheonggyecheon, corso d’acqua recuperato alla capitale coreana dopo un importante investimento pubblico; le sovrastanti lanterne colorate sono state appese per la celebrazione del «compleanno del Buddha». Foto Paolo Moiola.

Miracoli (e incubi) sul fiume Han.
Nella capitale sudcoreana

Dopo la lunga sottomissione all’Impero giapponese e una guerra civile sanguinosa, la Corea è rimasta divisa tra il Nord comunista e il Sud filoccidentale. Negli ultimi settant’anni, Seul ha fatto passi da gigante, pur sacrificando spesso la democrazia. Oggi, la Corea del Sud è una potenza economica, ma i problemi non mancano.

Seul, fine aprile. Alle sette del mattino l’aria è fresca. Sui grandi cartelloni digitali la pubblicità scorre senza sosta, ma le strade di Myeong-dong (dove il suffisso «dong» è traducibile con «quartiere») sono ancora deserte, i negozi e i ristoranti chiusi. Soltanto ieri sera, qui era un flusso ininterrotto di persone, una sequela di bancarelle che vendeva ogni sorta di cibo cucinato al momento (l’acclamato street food coreano). E poi luci e ancora luci di tutti i colori: Myeong-dong è zona di negozi di cosmetici (un’eccellenza della Corea del Sud), vestiti, accessori, giochi, fotografia e, ovviamente, di locali e ristoranti. Insomma, un distretto dello shopping e dello svago. Sono trascorse soltanto poche ore, ma adesso pare di essere stati catapultati in un altro luogo. Tutto è ordine e pulizia.

Sul The Korea Times, per spiegare il suo stupore davanti al decoro del Paese, un professore universitario indiano è ricorso a una citazione: «La pulizia è vicina alla santità». Come accade il più delle volte, l’affermazione è di attribuzione incerta, ma il concetto espresso non è lontano dalla realtà. La Corea è un paese dove i luoghi pubblici – strade, mezzi di trasporto, giardini – sono così immacolati e ordinati da lasciare a bocca aperta. Per non parlare dei bagni pubblici (sempre gratuiti), che – agli occhi di uno straniero – rimandano all’igiene di una clinica o al film di Wim Wenders, Perfect days (ambientato nei bagni pubblici di Tokyo). 

Difficile non collegare questa condizione all’influsso del confucianesimo, la filosofia che permea ogni aspetto della vita dei coreani, indipendentemente dalla loro eventuale affiliazione religiosa.

Senso civico e iper-consumismo

Modernissimi grattacieli si affacciano su una delle più note spiagge di Busan, seconda città della Corea. Foto Paolo Moiola.

Seul, capitale della Corea del Sud, è una metropoli cresciuta attorno al fiume Han (o Hangang) fino a raggiungere i dieci milioni di abitanti, pari al venti per cento dell’intera popolazione coreana (52 milioni, ma – come vedremo – in costante decrescita).

Il modo migliore per raggiungere piazza Gwanghwamun, cuore della capitale coreana, è prendere la metropolitana. Estesa ed efficiente, la metro svela molte cose. Per esempio, il senso civico dei coreani, ma anche una società votata all’iperconsumismo. Tra le molteplici pubblicità che, nelle stazioni e nei vagoni della metro, circondano la folla dei passeggeri, risaltano quelle di cliniche e medici. Qui c’è la reclame di alcuni oculisti, più avanti quella dei dermatologi. «Ma il vero business – ci spiega Han Gyeol, il giovane coreano che ci fa da guida e che si fa chiamare Antonio, il suo nome da battezzato cattolico – è la chirurgia estetica».

Nel frattempo, è il momento di scendere dal vagone, ordinatamente come fanno i coreani. All’uscita della metro, ecco apparire piazza Gwanghwamun, di forma allungata, costeggiata da palazzi moderni e con ampi spazi pedonali. La statua di Sejong il Grande (1397-1450), monarca della dinastia Joseon, famoso per aver inventato l’alfabeto della lingua coreana (lo «Hangul», che sostituì i caratteri cinesi), s’innalza imponente poche centinaia di metri prima della porta del Gyeongbokgung, uno dei palazzi reali costruiti dalla sua dinastia.

Attorno al monumento, l’associazione dei fotoreporter coreani ha allestito la mostra del 61° Korea press photo contest. Quest’anno la foto che ha vinto il concorso raffigura soldati schierati davanti all’edificio principale dell’Assemblea nazionale il 3 dicembre 2024, quando il presidente Yoon Seok-yeol ha dichiarato la legge marziale. I soldati inviati da Yoon si sono trovati ad affrontare le persone accorse per proteggere l’istituzione e permettere ai legislatori riuniti all’interno di respingere la legge. Una notte drammatica nel contesto di una vicenda con molti punti oscuri e che non può essere disgiunta dalla storia del Paese.

Nord-Sud, una ferita non rimarginata

Una storia in cui la democrazia non ha ancora avuto modo di consolidarsi. Quella dello scorso dicembre risulta essere, infatti, la diciassettesima volta che è stata dichiarata la legge marziale dalla fondazione della Repubblica, nel 1948. Inoltre, dalla tregua bellica del 1953, il Paese vive con la spada di Damocle delle azioni ostili della Corea del Nord, Paese fratello ma prigioniero di Kim Jong-un, dittatore tanto folle quanto imprevedibile.

Il confine del 38.mo parallelo, probabilmente il più militarizzato al mondo, è poco distante da Seul. «In questo momento, però, non conviene visitare la zona demilitarizzata (conosciuta con la sigla inglese Dmz, nda)», spiega Han Gyeol. Negli ultimi tempi, le relazioni tra Pyongyang e Seul sono (di nuovo) peggiorate. Oltre alle minacce e alle esercitazioni militari, nell’ultimo anno Kim Jong-un, sostenuto da Pechino e Mosca, ha iniziato a inviare sulla Corea del Sud palloni aerostatici carichi di rifiuti e di escrementi. Di conseguenza, per precauzione, gran parte dei siti visitabili della zona demilitarizzata (nei pressi della città di Paju) sono attualmente chiusi. La Dmz – 250 chilometri di lunghezza, 4 di ampiezza – è il lascito visibile della Guerra fredda e della sanguinosa guerra di Corea, che hanno sancito la divisione tra Nord e Sud del Paese. Una ferita dolorosa che, al momento, pare impossibile da rimarginare, nonostante, dal 1969, Seul abbia istituito il ministero dell’Unificazione (Mou). «No – precisa Han Gyeol -, non credo che la riunificazione avverrà. O, perlomeno, non credo che accadrà nel corso della mia vita».

La tensione permanente con il regime comunista di Pyongyang è stata utilizzata anche da Yoon Suk-yeol, nel suo tentativo di instaurare la legge marziale. Nel discorso televisivo del 3 dicembre 2024, il politico conservatore aveva accusato l’opposizione democratica, maggioritaria al Congresso, di essersi alleata con i comunisti, affermando, tra l’altro: «Cari cittadini, dichiaro la legge marziale d’emergenza per difendere la libera Repubblica di Corea dalle minacce delle forze comuniste nordcoreane e per sradicare le spudorate forze anti stato filo-nordcoreane che stanno saccheggiando la libertà e la felicità del nostro popolo, nonché per proteggere il libero ordine costituzionale».

A causa del suo fallito colpo di stato, il presidente è stato destituito rendendo necessarie nuove elezioni presidenziali previste per il 3 giugno. Eppure, a parte per alcuni, sparuti striscioni elettorali, non percepiamo un clima elettorale. Forse anche per il fatto che la città è distratta dalla preparazione dei festeggiamenti per il «compleanno del Buddha» (Chopail), che quest’anno cade il 5 maggio (una data che cambia in ragione del calendario lunare). È una celebrazione non solo per i quasi nove milioni di buddhisti coreani, ma per tutto il Paese che la classifica come festa nazionale.

Le lanterne di carta colorata – simbolo di luce e speranza, preghiera e ricordo dei defunti – sono appese in tutti i templi, ma spesso pure in vie e luoghi pubblici. Alcune sono appese anche in piazza Gwanghwamun, in direzione opposta rispetto all’entrata del palazzo reale, accanto alla statua dell’ammiraglio Yi Sun-sin (1545-1598). E poi s’infittiscono più avanti, in piazza Cheonggye, dove parte il Cheonggyecheon, un corso d’acqua – è meno di un fiume, ma più di un ruscello – recuperato a partire dal 2003 con un grande e riuscito progetto di riqualificazione urbana e valorizzazione ambientale. Per quasi undici chilometri la gente può passeggiare lungo camminamenti verdi o sedersi nei pressi dell’acqua a conversare o leggere un libro.

Passare dalle camminate lungo il Cheonggyecheon al distretto di Bukchon è facile e piacevole. Bukchon è un vecchio quartiere residenziale, ma è anche un’attrazione turistica perché ospita un «villaggio hanok».

Il termine hanok deriva dalla combinazione di due caratteri cinesi, «han» (che significa «il popolo coreano») e «ok» (che significa «casa»). Di conseguenza, la parola è traducibile come «casa del popolo coreano». O, per dirla con il dizionario locale, «termine usato per riferirsi alle case costruite nello stile architettonico tradizionale coreano distinte dagli edifici in stile occidentale».

Un tempo, le hanok erano case familiari costruite con materiali naturali (legno e pietre) e con carta speciale (per porte e finestre), in armonia con il contesto. Erano caratterizzate da un pavimento riscaldato (ieri come oggi, in casa i coreani non usano scarpe) tramite il calore recuperato dal fuoco della cucina, un patio, un tetto di tegole d’argilla (ma, in passato, anche di paglia per le famiglie meno abbienti). Spazzate via dagli eventi storici (guerre e distruzioni) e dai mutamenti della società (tutte le città coreane sono circondate da altissimi grattacieli, esatto contrario delle case tradizionali), ultimamente le hanok sono tornate di moda, anche se con caratteristiche adattate ai tempi e soltanto per famiglie con redditi elevati.

Originali o ricostruite che siano, le hanok testimoniano armonia, bellezza, tradizione.

Come il percorso lungo il Cheonggyecheon, anche il villaggio hanok è un luogo tranquillo e piacevole che infonde serenità. Tuttavia, sarebbe sbagliato dedurre da questi aspetti esteriori che quella coreana sia una società felice.

Insegna pubblicitaria di un medico all’entrata di una stazione della metro, a Busan; in Corea, le pubblicità di cliniche e medici sono diffusissime; in particolare, vanno per la maggiore quelle della chirurgia estetica, molto praticata dai sudcoreani. Foto Paolo Moiola.

Una società (troppo) competitiva

Secondo il The Korea Times, che cita i dati di alcune ricerche pubbliche del 2023, soltanto il 35 per cento dei coreani sarebbe felice. Il dato trova conferma nel recente rapporto mondiale sull’indice di felicità («2025 World happiness report», University of Oxford). Ebbene, la Corea del Sud si piazza solamente al 58.mo posto su 147 Paesi.

Pressione sociale, competizione esagerata fin dai primi anni di vita e stress lavorativo (è legale arrivare a 52 ore settimanali, l’antisindacalismo è una consuetudine radicata e gli scioperi sono praticamente inesistenti) sono le cause più citate.

«In Corea – ci spiega il professor Kim Sanghyuk -, il divario tra ricchi e poveri è molto forte, e le misure del welfare statale sono deboli, rendendo molto più difficile la vita dei bisognosi. Inoltre, i coreani hanno una forte tendenza al confronto. Questo si riflette nei bassi livelli di felicità e in un elevato tasso di suicidi».

«Il suicidio – ha scritto Kwon Jun-soo, psichiatra all’ospedale della Seoul national university – è la principale causa di morte tra le persone di età compresa tra i 12 e i 39 anni. Con un tasso di fecondità di 0,8 e appena 200mila neonati all’anno, la fertilità ha raggiunto un livello seriamente preoccupante, per non parlare del rapido invecchiamento della popolazione e dell’aumento della solitudine tra gli anziani. I giovani coreani stanno rinunciando a frequentare qualcuno, a sposarsi e ad avere figli». «È così – conferma Han Gyeol -. È vero che in Corea non si fanno più figli. È vero che deteniamo il più alto tasso di suicidio tra i Paesi industrializzati».

È lo stesso quadro che ci dipinge padre Kim Moon-jung, coreano e missionario della Consolata in Messico: «Quando ero bambino – ci racconta via email -, ben più della metà della città era composta da bambini, e ora ben più della metà è composta da adulti e anziani, senza figli. Con l’adozione del capitalismo, la Corea è diventata una società estremamente competitiva. Questo ha permesso al Paese di svilupparsi rapidamente, ma ha anche causato molto stress. Sebbene la vita di molte persone sia diventata più prospera, anche le pressioni sono aumentate. Oggi le persone non hanno tempo per fare altro, se non lavorare sodo per avere una vita migliore. Pertanto, molti coreani non vogliono più avere bambini. Sia per mancanza di tempo, sia per evitare ai figli lo stress imposto da una società troppo competitiva».

Paolo Moiola

Byun Jae-woon con in mano una copia del Kookmin Ilbo, quotidiano coreano nel quale il giornalista ha lavorato per molti anni. Foto archivio Byun Jae-woon.

Korean way of life

Come ha fatto il Paese asiatico a diventare una potenza economica mondiale? Quali costi sociali ha dovuto
pagare per il suo successo? Quali sono le differenze con il vicino Giappone? E come comportarsi con i «fratelli» separati della Corea del Nord? Abbiamo chiesto questo e altro a un giornalista coreano.

In Corea del Sud, salvo poche eccezioni, le montagne sono poco più che colline. Con Byun Jae-woon, giornalista, ci siamo conosciuti durante una camminata nel parco di Seoraksan. Anche lì, per raggiungere la sommità, non si fa molta fatica. Avvantaggiati dalla situazione, un passo dopo l’altro, la nostra conversazione è andata avanti senza affanni fisici. Data la sintonia abbiamo, quindi, deciso di risentirci subito dopo l’appuntamento elettorale del 3 giugno, e così abbiamo fatto.

Le elezioni sono state vinte da Lee Jae-myung, candidato del Partito democratico (Dpk), che ha sconfitto Han Duck-soo, candidato del Partito del potere popolare (Ppp) al potere. Un altro candidato, Lee Jun-seok, fondatore del Partito riformatore ma ex dirigente del Ppp, è arrivato al terzo posto. Ha vinto, sì, l’opposizione, ma sommando i voti ottenuti dai due partiti conservatori la situazione sarebbe stata in parità.

Preso contatto con Byun Jae-woon, che ha lavorato nel quotidiano Kookmin Ilbo (redattore, caporedattore, direttore e – infine – anche amministratore delegato, prima di andare in pensione), gli chiediamo un commento ai risultati elettorali.

«Nei Paesi con un sistema presidenziale – esordisce -, la popolazione è divisa, e i conflitti possono essere rilevanti a causa delle rispettive inclinazioni ideologiche. Personalmente, sono soddisfatto e ho grandi aspettative perché il candidato del partito che ho scelto è diventato presidente, ma chi ha sostenuto altri candidati non lo sarà. Parlando solo dal mio punto di vista, mentre Yoon Suk-yeol, l’ex presidente messo sotto accusa, era un ex procuratore brutale e incompetente, questo presidente, avendo già ricoperto la carica di sindaco e governatore, ha una capacità di governo del Paese quantomeno eccellente. Per questo, penso che aiuterà la Repubblica di Corea a fare un balzo in avanti e ad aumentare il Prodotto interno lordo per migliorare la vita della popolazione. Inoltre, mentre l’ex presidente è nato in una famiglia benestante e ha studiato e cresciuto in un ambiente favorevole, il presidente eletto è nato in una famiglia estremamente povera e si è fatto strada da solo. Dato che conosce la gente comune, è probabile che attuerà politiche a favore dei normali cittadini piuttosto che della classe privilegiata».

Samsung, Lg, Hyundai, Kia sono marchi universalmente conosciuti della Corea potenza economica mondiale. Tuttavia, il loro successo è dovuto anche a un sistema produttivo che privilegia sempre e comunque le imprese a scapito dei lavoratori. Come dimostra l’irrilevanza dei sindacati. 

«In verità, dopo la democratizzazione della vita politica coreana, il potere dei sindacati è notevolmente aumentato. Però, è vero che i passati regimi militari hanno oppresso i lavoratori attuando politiche che favorivano le grandi aziende e che ciò ha contribuito a una rapida crescita del Paese. Era simile all’attuale politica economica cinese, guidata dal governo centrale, che ha soppresso i diritti umani fondamentali dei lavoratori e delle persone in generale per ottenere un’elevata crescita economica. Tuttavia, questo da solo non può spiegare il successo della Corea. I suoi cittadini sono fondamentalmente laboriosi e molto impazienti. Secondo alcuni studi, la natura impaziente dei coreani ha giocato un ruolo decisivo nel balzo del Paese verso l’economia digitale (penso alla diffusione di internet ad alta velocità). Inoltre, la Corea è una società in cui la competizione per conquistare un livello di vita migliore di quello degli altri è molto agguerrita. Credo che questi diversi fattori si siano combinati per contribuire alla crescita del Paese».

In tutto questo, qual è il ruolo del confucianesimo?

«La Corea è stata fortemente influenzata dal pensiero confuciano. La sua influenza persiste ancora, ma è diminuita significativamente rispetto al passato. Il confucianesimo era la dottrina che governava il popolo durante la dinastia Joseon, fermamente applicata dal re e dalla classe dirigente dell’epoca (1392-1910, ndr), ma la situazione era completamente diversa durante la precedente dinastia Goryeo (936-1392, ndr). Ad esempio, sotto la filosofia confuciana della dinastia Joseon, gli uomini avevano un vantaggio assoluto sulle donne, ma prima, durante il regno di Goryeo, uomini e donne godevano di pari dignità. Credo che le tendenze dei coreani assomiglino in realtà a quelle della dinastia Goryeo e che tali tendenze stiano rivivendo dopo il declino del confucianesimo in seguito alla modernizzazione».

Con o senza l’influenza del confucianesimo, il successo economico coreano ha (almeno) due lati oscuri: l’alto tasso di suicidi e il bassissimo tasso di natalità.

«Sono due problemi seri. La Corea è una società fortemente orientata al successo. Per esempio, c’è una spiccata tendenza a conoscere in quale università una persona si sia laureata come standard per giudicare le sue capacità. Poiché è una società in cui la superiorità è determinata dal background accademico e dalla ricchezza, chi rimane indietro prova un profondo senso di sconfitta, che spesso porta alla depressione.

Credo che questo sia il risultato dell’aver seguito il capitalismo della giungla in stile americano piuttosto che la socialdemocrazia in stile europeo. Il partito conservatore coreano è più vicino a un partito di estrema destra, e l’attuale partito al governo, che viene definito un partito progressista, è più vicino a un partito conservatore secondo gli standard europei. Ecco perché la gente non è felice, nonostante sia un Paese economicamente prospero.

Rispetto al tasso di natalità, occorre ricordare che, per integrare i bambini in una società altamente competitiva come quella coreana, è necessario mandarli in buone scuole e buone università, ma poiché l’istruzione è molto costosa fin da piccoli, i novelli sposi sono riluttanti ad avere figli. La maggior parte di loro sono coppie che lavorano e, se hanno figli, non è facile crescerli a causa della mancanza di asili nido pubblici. Sebbene stia gradualmente aumentando, la spesa sociale della Corea è ancora bassa rispetto a quella degli altri membri dell’Ocse e soprattutto rispetto a quella dei Paesi europei».

Per molti occidentali Corea e Giappone si somigliano. In realtà, le differenze sono sostanziali e poi ci sono pesanti ferite della storia – 35 anni di dominazione giapponese (dal 1910 al 1945) – non ancora rimarginate.

«La Corea del Sud e il Giappone sono paesi geograficamente prossimi, ma con molte questioni da risolvere, sia politiche che diplomatiche.

Personalmente, auspico che i due paesi si avvicinino. Se essi unissero le forze, sarebbero in grado di esercitare una maggiore influenza nel mondo. A tal fine, sarebbe però indispensabile che il Giappone mostrasse un atteggiamento più flessibile, che si scusasse ancora una volta per le sue azioni passate e risarcisse le vittime civili.

Tuttavia, non mi pare che abbia alcuna intenzione di farlo e, a meno che il governo di Tokyo non cambi atteggiamento, sarà difficile per quello di Seul cambiare la sua posizione nei confronti del vicino. Premesso questo, nell’ordinarietà non ci sono molti conflitti tra i due paesi. Per esempio, sia da una parte che dall’altra il numero di turisti è aumentato vertiginosamente».

Capita spesso che la Corea del Nord faccia esercitazioni militari con lancio di missili o annunci il rafforzamento dei propri programmi nucleari. Come sudcoreani temete gli ordigni atomici di Pyongyang?

«La Corea del Sud ha un vantaggio schiacciante sulla Corea del Nord in termini di armi convenzionali, fatta eccezione per quelle nucleari. Tuttavia, è vero che le armi convenzionali sono inutili di fronte agli ordigni atomici. Il modo più efficace per evitare la guerra sarebbe che anche la Corea del Sud si dotasse di armi nucleari.

Tuttavia, è probabile che, se il nostro governo sviluppasse programmi nucleari a scopo militare, subirebbe sanzioni internazionali che causerebbero al Paese enormi danni economici. Inoltre, gli Stati Uniti si oppongono a un riarmo nucleare temendo un effetto domino (anche il Giappone lo farebbe e così altri Paesi).

Pertanto, la pace deve essere mantenuta attraverso sforzi diplomatici. Il nuovo presidente ha recentemente sottolineato che si impegnerà per la riconciliazione e la cooperazione intercoreane. Alcuni esperti di politica estera ritengono che il presidente Usa (del quale, però, io non ho una buona opinione) stia cercando di portare la Corea del Nord dalla sua parte per tenere sotto controllo la Cina. A tal fine, è probabile che Trump visiti la Corea del Nord già quest’anno e si prevede che le relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Corea del Nord si stabilizzeranno. Se ciò accadrà, sarà il modo più auspicabile ed efficace per garantire la pace nella penisola coreana».

Al momento, l’obiettivo auspicato da Byun Jae-woon rimane molto lontano. Tuttavia, Seul sta mettendo in campo almeno un po’ di buona volontà. Pochi giorni dopo la sua elezione, il governo del neoeletto presidente ha sospeso alcune sue azioni di disturbo verso Pyongyang per mantenere – è stato scritto – «un impegno con l’opinione pubblica, ripristinare la fiducia nelle relazioni intercoreane e raggiungere la pace nella penisola».

Paolo Moiola

Manifestazione di protesta per le strade di Busan. Foto Paolo Moiola.

Confucio batte tutti
Religione e spiritualità in Corea del Sud

Buddhisti, protestanti e cattolici: la maggior parte dei fedeli coreani appartiene a uno di questi tre gruppi. Su tutto prevale però il confucianesimo, che non è una religione in senso proprio, ma una filosofia a cui ogni coreano – credente e non – fa riferimento. Ne abbiamo parlato con alcuni missionari.

Jeonju. Sul lungo striscione bianco appeso sopra la cancellata d’ingresso campeggia l’immagine di Francesco da un lato e lo stemma del Vaticano dall’altra. Si riescono a distinguere anche alcuni numeri, ma il resto è una scritta in lingua coreana. Tuttavia, non occorre arrabattarsi troppo per avere la sua traduzione. Preso in mano il cellulare e fatta la fotografia, Naver – il principale motore di ricerca coreano – in pochi istanti ci ritorna l’immagine dello striscione in versione italiana: «Signore, dona a Francesco la vita eterna». E, sotto, in caratteri più piccoli: «Papa Francesco muore il 21 aprile 2025».

L’entrata è quella della chiesa di Jeondong, una struttura che assomiglia in modo evidente alla cattedrale di Myeog-dong di Seul. Il motivo è spiegato nella bacheca dove è raccontata la sua storia: le due costruzioni hanno avuto lo stesso disegnatore, padre Poinel.

Nell’arioso e soleggiato piazzale antistante la chiesa si aggirano varie persone, tutte intente a cercare la migliore inquadratura per l’immancabile selfie. Molte di loro indossano sofisticati e colorati «hanbok», gli splendidi abiti tradizionali del Paese, vera passione dei coreani di qualsiasi età come testimoniano i numerosi negozi che questi vestiti li noleggiano.

La chiesa di Jeonju è stata costruita in onore dei martiri cattolici della dinastia Joseon. È sotto la sua dominazione (1392-1910) che gli storici hanno individuato almeno cinque grandi persecuzioni contro i cattolici coreani. Oggi, le cose sono cambiate: la Corea del Sud, infatti, è divenuta il Paese dell’Asia continentale con più cristiani (protestanti e cattolici, con i primi in maggioranza).

Uno striscione all’entrata della chiesa cattolica di Jeonju ricorda la morte di papa Francesco. Foto Paolo Moiola.

I coreani e la religione

Dal centro di dialogo interreligioso di Daejeon, padre Diego Cazzolato, da oltre trent’anni in Corea, dice: «I coreani sembra abbiano con le religioni una relazione complessa. Mentre non ci sono assolutamente situazioni di ateismo dichiarato, l’adesione a una religione particolare sembra essere difficile per molte persone. Infatti, ben la metà della popolazione dichiara, nelle statistiche ufficiali, di non aderire a nessuna Chiesa e anche coloro che aderiscono a una o l’altra delle religioni della Corea – cristianesimo, buddhismo, religioni autoctone tipo buddhismo-won, ceondoismo e sciamanesimo – spesso non partecipano davvero».

In questo elenco di religioni manca il confucianesimo. «In Corea – ci spiega il missionario -, il confucianesimo è onnipresente, però non come “religione” (che è praticata da ben poche persone) ma come base della cultura coreana. Con il suo mandato a ogni persona di essere il “meglio” che possa arrivare a essere, il confucianesimo si manifesta in modo positivo nell’alto livello di coscienza etica della popolazione (fare bene il proprio dovere; lavorare con impegno per il successo della nazione; istruzione a tutti i costi dei figli; rispetto dell’autorità e delle istituzioni; le “regole” basiche delle relazioni interpersonali). A volte, però, esso sfocia nell’autoritarismo (anche nella Chiesa), nel non riconoscere la meritocrazia, in poca libertà personale nelle relazioni sociali e nella politica, in mancanza di senso critico».

«La forma mentis di tutti – conferma padre Gianpaolo Lamberto, anche lui da trent’anni in Corea del Sud – è profondamente confuciana. Confucio ce l’hanno nel sangue. Anche i cattolici, dal vescovo in giù».

Un momento di una celebrazione buddhista. Foto Paolo Moiola.

Croci e chiese evangeliche

Già colpiti dal barocchismo dei templi buddhisti (tra l’altro, amplificato dalla moltiplicazione delle lanterne durante le celebrazioni per il compleanno del Buddha), nelle città coreane abbiamo notato un proliferare di croci, spesso croci rosse al neon. «Ma – ci spiega con fervore padre Gianpaolo – quelle croci rosse da tantissimi anni stanno sulla cima delle chiese protestanti. A volte, si tratta di chiesette di poche decine di fedeli: il numero sufficiente per mantenere un pastore. Comunque, sì, i protestanti sono tanti. Loro sono arrivati a fine Ottocento, quando i cattolici erano esausti per via delle persecuzioni. Hanno cominciato aprendo scuole e università e così hanno attirato molti coreani. Quanto alla qualità… personalmente penso che se Lutero venisse in Corea, si farebbe cattolico!».

Più diplomatico, si mostra padre Diego: «In Corea, il dialogo ecumenico tra cristiani è presente e attivo. Sfortunatamente, la frammentazione delle Chiese protestanti è un ostacolo formidabile. Buona parte di esse sono di matrice “evangelica”, la quale non sente il bisogno di dialogare con le altre Chiese. In tal modo, al dialogo ecumenico partecipa solo circa un terzo delle chiese protestanti – quelle affiliate al Kncc (Korean national conference of churches, a sua volta affiliato al World council of churches) – che operano in Corea del Sud».

Gianpaolo Lamperto (a sinistra) e Diego Cazzolato, padri missionari Imc, da oltre trent’anni in Corea del Sud. Foto archivio Imc Corea.

Non soltanto tecnologia

Entrambi i missionari italiani sembrano aver subito il fascino del Paese. «Per capire la Corea – ci dice padre Gianpaolo -, occorre svuotarsi dagli schemi mentali con cui un occidentale è abituato a giudicare la realtà. Occorre ascoltare, guardare e cercare di capire senza metterci dentro il nostro mondo». Mondi diversi, dunque. Ma come spiegare il fatto che un paese semi sconosciuto in Occidente in pochi anni sia diventato prima notissimo per i suoi prodotti tecnologici e le auto e infine, ai giorni nostri, un paese di successo nei campi più svariati, dalla musica alle serie televisive? 

«Alla base dell’hallyu – l’«onda coreana», come viene chiamata – che sta invadendo il mondo, c’è – spiega padre Diego – il sentimento nazionalista di tutta la popolazione (a sua volta rinforzato dal confucianesimo). L’amore per la nazione è un “sine qua non” per ogni coreano. I coreani sentono come una umiliazione storica il fatto di essere stati colonizzati dai giapponesi fino alla fine della Seconda guerra mondiale; di essere divisi tra Corea del Sud e del Nord; di essere un paese piccolo di fronte ai “giganti” del mondo. Per tutte queste ragioni adesso reagiscono dicendo a tutti che la Corea è invece una grande nazione, con una lunga storia e una grande cultura, degna di stare alla pari con qualunque altro Paese del mondo. E lo fanno, appunto, in vari campi, dallo sviluppo tecnologico, alla musica, ai film, alla cucina. Ognuno nel suo campo è impegnato a far conoscere ed apprezzare la Corea sulla scena mondiale».

La cattedrale di Myeong-dong, a Seul, è luogo simbolo della Chiesa cattolica coreana. Foto Paolo Moiola.

I costi dell’onda

L’«onda coreana» esiste, ma ci sono anche i suoi costi. Uno di questi è il Suneung exam (o «College scholastic ability test», Csat). Questo esame è noto per essere «il primo e più importante obiettivo nella vita di un coreano». Esso determina se uno studente è idoneo o meno all’università.

«L’esame di Stato per accedere a posti importanti nell’amministrazione – spiega padre Diego – è una antica tradizione della Corea, in uso da molti secoli. La sua versione moderna consiste nel famoso “esame di accesso all’università”, che chiunque voglia entrare all’università deve affrontare alla fine del Liceo. È un esame comprensivo di quasi tutte le materie studiate, e si svolge nell’arco di una giornata, normalmente nel mese di novembre. Dal risultato di tale esame, misurato con esattezza fino al centesimo (es. 247,36) dipende, in buona misura, il futuro di ogni studente. È ben diverso poter studiare ciò che uno desidera in una delle grandi università del Paese, o doversi immatricolare in altre università meno rinomate o adattarsi a studiare qualcosa che non rientrava nei piani e desideri personali e con meno aperture positive verso il futuro. La competizione per far bene all’esame, quindi, è estrema, e la preparazione allo stesso diventa di fondamentale importanza (per la gioia delle tante “accademie di studio” che preparano i giovani all’esame).

Il giorno dell’esame il Paese si ferma: la gente va al lavoro un’ora più tardi del solito (per non creare traffico che potrebbe far ritardare qualcuno al luogo dell’esame); la polizia è a disposizione per accompagnare velocemente possibili ritardatari; gli aerei non volano nel tempo previsto per l’esame di inglese, per permettere agli studenti di ascoltare bene il testo inglese proposto per l’esame, ecc.

Le mamme degli esaminandi passano la giornata in chiesa, o al tempio, a pregare per i figli (magari dopo aver frequentato una preghiera speciale per il buon esito dell’esame, durante i cento giorni che lo precedono). E, alla fine di tutto, grande gioia o grande disperazione».

Sul tema, padre Kim Moon-jung, missionario della Consolata in Messico, ha esperienza diretta: «Ricordo che, all’epoca dell’università, per un anno, dormivo soltanto quattro ore al giorno per prepararmi all’esame di ammissione. Un’esperienza che non vorrei ripetere».

Paolo Moiola

Una fedele s’inchina davanti ai due «guardiani» (di solito, raffigurati con un aspetto truce) posti all’entrata del tempio buddhista. Foto Paolo Moiola.

Il respiro delle «haenyeo».
Jeju, l’isola delle donne

La sua natura l’ha portata a diventare una frequentata meta turistica. L’isola di Jeju è però molto altro. È la tempra delle sue «haenyeo», le pescatrici subacquee. La loro epopea è simbolo di riscatto per la tragica storia delle «comfort women» ed è d’esempio per le donne coreane d’oggi la cui condizione è ancora d’inferiorità.

Seogwipo, isola di Jeju. L’ampia vetrata guarda sul lungomare. Certamente un bel vedere, ma all’interno del ristorante le distrazioni sono molte. A capotavola, c’è un piccolo schermo tattile – già incontrato in vari locali – sul quale scorre il menu: immagine, descrizione e costo dei piatti disponibili. Il cliente sceglie attraverso il monitor e il suo ordine arriva direttamente in cucina. Al centro di ogni tavolo – il ristorante è specializzato in carne alla brace e, in particolare, in quella di maiale nero -, si trova una griglia a carbone (sormontata da un tubo d’aspirazione) sulla quale il commensale si cuoce la propria carne.

Non è tutto qui, però. Nel locale si muovono camerieri-robot che portano i piatti dalla cucina ai tavoli e, se trovano un ostacolo davanti a sé, cambiano immediatamente direzione. I camerieri umani ci sono (e, peraltro, debbono correre da un tavolo all’altro), ma sono aiutati da quelli assemblati in fabbrica. Insomma, siamo in un locale che fa sfoggio di molta tecnologica efficienza, ma probabilmente sprigiona meno romanticismo e meno atmosfera di uno tradizionale.

Possiamo vedere questo ristorante come un piccolo esempio di una delle due facce della Corea: quella lanciata a grandi falcate nel futuro. Come lo sono – ma con più obiezioni da parte della popolazione (anche se formulate con «calma confuciana», che è uno dei dieci insegnamenti del filosofo cinese) – le decine di enormi pale eoliche innalzate per chilometri (sia sulla terraferma che in mare) lungo la costa non lontana da qui.

In questa immagine esposta al Haenyeo Museum dell’isola di Jeju, un gruppo di donne (con in mano la tipica attrezzatura) entra nelle acque dell’oceano per andare a immergersi. Foto Haenyeo Museum.

Storie di donne coreane

Non è futuro, ma storica tradizione dell’isola di Jeju la figura delle haenyeo, le «donne del mare». Trattenendo il fiato anche per un paio di minuti (in apnea, quindi), queste donne s’immergono nelle acque dell’oceano fino a dieci metri di profondità per raccogliere dal fondo marino polpi, abaloni, crostacei, ricci, ma anche alghe. Escono in mare in gruppo (anche per limitare i rischi, che – nonostante il meticoloso addestramento e, forse, anche la genetica di queste donne – ci sono sempre) e poi si dividono equamente il pescato, indipendentemente dalla raccolta di ognuna.

Le haenyeo rispettano i tempi del mare e della natura per questo la loro pesca è considerata sostenibile (diversamente da quella di molti altri). Nella tradizione delle sommozzatrici di Jeju rientrano anche alcuni riti sciamanici in onore di Yeongdeung Halmang, la dea del mare.

La scrittrice coreana Han Kung, premio Nobel per la letteratura 2024. Foto John Sears – Wikimedia.

La loro storia è talmente straordinaria che, nel 2016, l’Unesco le ha dichiarate patrimonio immateriale dell’umanità. Le haenyeo ci sono ancora, pur se in numero molto ridotto rispetto alle quindici-ventimila del passato. Nel 2024, il governo provinciale di Jeuju ne ha contate 2.839, ma il novanta per cento di esse aveva 60 anni o più.

Purtroppo, non abbiamo l’opportunità di vederle in azione e, quindi, dobbiamo accontentarci di visitare il museo a loro dedicato. Oltre a foto e filmati d’epoca, alle ricostruzioni delle abitazioni delle famiglie, sono esposti gli attrezzi utilizzati per le immersioni, veramente minimi: maschere subacque, cinte con pesi di piombo per scendere più velocemente, galleggianti con una rete attaccata per raccogliere il pescato.

Le sommozzatrici di Jeju hanno un posto nella storia coreana non soltanto per la loro epopea e le loro straordinarie abilità d’immersione, ma anche per quello che hanno rappresentato per le donne coreane. Con riferimento ad esse, molti hanno addirittura parlato di società matriarcale.

Su un pannello del museo a loro dedicato è scritto: «La vita delle donne di Jeju è molto diversa da quella delle donne in altre parti della Corea. Nella Corea continentale, le donne erano tradizionalmente responsabili delle faccende domestiche, mentre gli uomini si guadagnavano da vivere, a causa della differenziazione dei ruoli di genere. Al contrario, le donne di Jeju si dedicavano ad attività economiche, come l’agricoltura e le immersioni per la pesca dei molluschi, oltre alle faccende domestiche».

Se quella delle haenyeo è una storia di determinazione e coraggio, ne esiste un’altra in cui le donne coreane (e di altri paesi asiatici) sono state umiliate senza mai ricevere scuse ufficiali dai responsabili. Ci riferiamo alle military comfort women («donne di conforto per i militari»), traduzione inglese del termine giapponese jūgun-ianfu. Durante la sua lunga dominazione sulla Corea (dal 1910 al 1945), il Giappone costituì una rete di bordelli in cui le donne venivano costrette a prostituirsi per il «conforto» dei militari. Ebbene, dal 1992, ogni mercoledì, persone di diversa estrazione sociale in Corea del Sud organizzano una manifestazione in memoria davanti all’ambasciata giapponese a Seul.

«È una protesta – ci spiega Byun Jae-woon, giornalista -, che mira ad avere dal governo giapponese scuse ufficiali e un risarcimento per le donne che furono ridotte in schiavitù sessuale dall’esercito nipponico e subirono uno sfruttamento fisico e psicologico. Tuttavia, l’atteggiamento del Giappone non è mai cambiato. Nel frattempo, le vittime hanno continuato a morire e, a quanto mi risulta, oggi ne rimangono poche».

Una protesta, questa, le cui modalità ricordano quelle delle «madres de Plaza de Mayo», a Buenos Aires, in Argentina. Dal 1977, le Madri s’incontrano ogni giovedì alle 15,30 in Plaza de Mayo, nella capitale argentina, davanti alla Casa Rosada, per girare in tondo, in una manifestazione pacifica e altamente simbolica con cui esse chiedono giustizia per i loro figli e figlie scomparsi durante l’ultima dittatura argentina.

Ceremony for unveiling comfort woman statue in Seoul – International Memorial Day For Comfort Women – August 14, 2019
Namsan, Yongsan-gu, Seoul, Ministry of Culture, Sports and Tourism. Korean Culture and Information Service, Korea.net (www.korea.net)
Official Photographer : Kim Sunjoo

La resistenza della società patriarcale

A parte gli estremi delle «haenyeo» e delle «comfort women», ad oggi, al successo economico mondiale della Corea del Sud non è corrisposto un eguale successo delle donne coreane, ancora limitate in una società dalle strutture patriarcali. I numeri dei report internazionali sembrano confermare la situazione. Secondo l’«Indice del soffitto di vetro» (Glass ceiling index 2025, «The Economist») sulla condizione lavorativa delle donne, la Corea del Sud è al 28.mo posto tra i 29 paesi appartenenti alla Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). A sua volta, l’«Indice sulla disparità di genere» (Global gender gap index 2024, «World economic forum») colloca il paese asiatico al 94.mo posto su 146.

Kim Sang-hyuk, già professore alla Università nazionale dei trasporti, ci dice: «La Corea è fortemente influenzata dal confucianesimo e credo che la discriminazione di genere abbia avuto origine da esso. Se ci liberiamo del confucianesimo, la discriminazione di genere si ridurrà».

«Bisogna sempre fare riferimento al confucianesimo dominante – ci conferma padre Diego Cazzolato, missionario in Corea -, dove la donna ha un ruolo “strutturalmente” inferiore a quello dell’uomo. In più, potrei dire che un movimento femminista degno di tale nome in Corea non si è mai sviluppato. Per cui le donne sembrano accontentarsi di essere “belle” il più possibile, e di avere un loro ruolo ben ritagliato in famiglia. Tuttavia, devo anche aggiungere che adesso le giovani mogli riescono ad ottenere in casa una certa parità, in quanto anche gli uomini vengono paritariamente coinvolti nelle faccende di casa e nel badare ai figli. Non è un cambiamento da poco».

In effetti, la rivincita delle donne coreane è già cominciata. Non ci riferiamo soltanto al movimento femminista delle «4B» (dove «bi» – «no», in coreano – è l’iniziale dei quattro principi del movimento: niente matrimonio, niente parto, niente appuntamenti, niente sesso), ma anche e soprattutto ad Han Kang, la scrittrice sudcoreana che, nel 2024, è stata insignita del premio Nobel per la letteratura, prima volta per una donna asiatica.

Peraltro, Han Kang ha dedicato uno dei suoi romanzi – «Non dico addio» – proprio a Jeju e sono sempre due donne (Gyeong-ha e In-seon) a far rivivere una rivolta avvenuta sull’isola tra il 1948 e il 1949 e repressa nel sangue dalle autorità dell’epoca. «Per la sua intensa prosa poetica – recita la motivazione del Nobel -, che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana».

Paolo Moiola

Il sorriso di una giovane signora coreana intenta a giocare. Foto Paolo Moiola.

Corea del Sud. Cronologia essenziale

Dai Tre regni alle elezioni presidenziali di giugno 2025

57 a.C – 661 d.C.
È il periodo dei «Tre regni di Corea»: Baekje, Goguryeo e Silla. Quest’ultimo finirà con l’avere il sopravvento sugli altri due.

661-935
Munmu è il trentunesimo re di Silla dal 661 al 681. Gli storici sono soliti identificare nella sua figura il primo sovrano del periodo definito del Silla unificato, cosiddetto per aver inglobato i regni di Baekje (nel 660) e Goguryeo (nel 668).

Maschere esposte presso il Museo nazionale della Corea, a Seul. Foto Paolo Moiola.

936-1392
Sono i secoli del regno di Goryeo che subentra a Silla. In questo periodo il buddhismo viene dichiarato religione di Stato. Ad esso succede la dinastia Joseon.

1392-1910
Sono i secoli della dinastia Joseon, l’ultima e più longeva dinastia della Corea. Fondata dal generale Yi Seong-Gye, che stabilì la capitale a Hanyang (l’odierna Seul), il regno prese il nome di Joseon dall’omonimo stato che aveva dominato la penisola coreana in tempi antichi.
Durante il periodo Joseon, viene incoraggiato il radicamento degli ideali e delle dottrine confuciane cinesi nella società coreana, e il neoconfucianesimo venne installato come ideologia di Stato della nuova dinastia. La dinastia termina con il 26.mo re, Gojong, che nel 1897 diviene il primo imperatore dell’Impero coreano, cui pongono fine fine i giapponesi nel 1910. 

1397-1450
Re Sejong il Grande, quarto sovrano della dinastia Joseon, introduce lo «hangul», l’alfabeto coreano usato per scrivere la lingua coreana. Esso sostituisce il sistema di scrittura cinese, basato sugli «hanja» e usato fino a quel momento dalle élite colte del Paese.

Prezioso reperto cartaceo esposto nel Museo, nella capitale sudcoreana Seul. Foto Paolo Moiola.
 

1784-1866
In Corea viene lanciato il movimento cattolico con l’organizzazione della prima chiesa a Seul da parte di Yi Seung-hun (1756-1801) e dei suoi compagni convertiti. Nel 1801, Chiesa cattolica coreana è soggetta alla prima grande repressione da parte del governo (la persecuzione Shinyu) in cui vengono uccise più di 300 persone. Yi Seung-Hun diventa il primo martire cristiano, decapitato l’8 aprile del 1801. Altre persecuzioni contro i cattolici avvengono nel 1839 (persecuzione di Kihae) e nel 1866 (persecuzione di Byungin).

1904 (novembre) – 1945 (15 agosto)
Nel 1904 viene firmato un trattato di protettorato con il Giappone, nel 1910 il trattato di annessione. L’impero giapponese dominerà sulla Corea per trentacinque anni, fino al 15 agosto del 1945. Per tutta la durata della dominazione, Tokyo attuerà la sistematica umiliazione della cultura coreana, inclusa la distruzione di palazzi, templi buddhisti, libri.

1930-1945
Sono gli anni delle «military comfort women» (jugun ianfu, in giapponese). Si stima che le donne (non soltanto coreane) coinvolte in questo sistema di schiavitù sessuale siano state 200mila.

1945, luglio-agosto
Alla conferenza di Potsdam (luglio 1945), a un mese dalla fine della Seconda guerra mondiale, i negoziatori delle potenze vincitrici stabiliscono che il 38° parallelo diventi il confine temporaneo tra la Corea del Nord (controllata dall’Unione Sovietica) e la Corea del Sud (controllata dagli Stati Uniti). L’inizio della Guerra fredda congelerà questa situazione.

1945, 7 settembre
Il generale dell’esercito Usa Douglas MacArthur proclama che «tutti i poteri del governo sul territorio della Corea a Sud dei 38 gradi di latitudine Nord e sulla sua popolazione saranno per il momento esercitati sotto la mia autorità». In seguito al proclama, il governo militare dell’esercito degli Stati Uniti in Corea (Usamgik) diviene l’organo governativo ufficiale per tre anni, fino alla costituzione della Repubblica di Corea (Roc) il 15 agosto 1948.

1948 (maggio-luglio)
Sotto il controllo delle Nazioni Unite, il 10 maggio del 1948 si tengono le elezioni nella sola Corea del Sud. A luglio viene approvata la Costituzione: nasce la Repubblica di Corea (Rok). Syngman Rhee, uomo degli Usa, sarà il primo presidente (e dittatore) del Paese fino al 1960.

1948-1949
Tra il 3 aprile 1948 e il maggio del 1949 nell’isola di Jeju avviene un’insurrezione guidata da gruppi di sinistra che si oppongono alla divisione del paese in due. Si stima che un numero imprecisato di persone – i numeri variano dalle 14mila alle 100mila – perda la vita a causa della repressione dell’esercito sudcoreano a guida Usa e di un gruppo paramilitare di estrema destra. È una carneficina di pescatori e povera gente, donne e bambini. Il motivo della repressione è la presunta simpatia verso le idee comuniste da parte degli insorti. Nel 2000 viene istituita una commissione nazionale per far luce su quegli avvenimenti di cui il presidente Roh Moo-hyun chiederà perdono. Alla vicenda storica di Jeju, il premio Nobel Han Kang dedicherà il suo ultimo romanzo «Non dico addio».

1950 (25 giugno) – 1953 (27 luglio)
Il 25 giugno del 1950 la Corea del Nord di Kim Il-sung (appoggiata dall’Unione Sovietica di Stalin e dalla Cina di Mao) invade la Corea del Sud. È l’inizio della guerra di Corea. Il conflitto durerà tre anni, provocando un olocausto in termini di numero di vite perse: circa tre milioni di coreani (tra militari e civili), oltre un milione di «volontari» cinesi e 36,516 soldati americani perirono durante i combattimenti. Questi terminano nel luglio del 1953 con la firma di una tregua, tuttora in vigore.

1961-1979
Il 16 maggio del 1961 il generale Park Chung-hee compie un colpo di stato, dissolve il Parlamento, impone la legge marziale e forma un Consiglio supremo per la ricostruzione nazionale. Il generale riesce a trasformare il paese in una potenza economica. È sotto il suo governo che nascono i grandi conglomerati industriali e finanziari a conduzione familiare (i «chaebol»), organizzati «secondo principi di lealtà e integrità ideologica». I suoi anni al potere sono però segnati dall’autoritarismo. Il 26 ottobre 1979 Park viene assassinato dal direttore dei servizi segreti coreani.

1965 (22 giugno)
Dopo quattordici anni di discussioni, vengono ristabilite normali relazioni diplomatiche tra Corea e Giappone.

1980-1988
Al generale Park Chung-Hee subentra con un colpo di Stato il generale Chun Doo-hwan che instaura una nuova dittatura. Contro di lui si solleva un movimento popolare a Gwangju. Gli scontri e la successiva repressione ad opera dell’esercito sudcoreano portano a un numero di vittime stimato tra le diverse centinaia ed alcune migliaia (18 maggio 1980). La storia è raccontata da Hang Kang nel romanzo «Atti umani».
Anche nel periodo di Chun Doo-hwan prosegue la crescita economica della Corea.

1988
La Corea ospita i giochi delle ventottesime Olimpiadi.

1991 (14 agosto)
Kim Hak-soon (1924-1997) è la prima donna coreana a testimoniare pubblicamente la sua esperienza come «military comfort woman» per gli occupanti giapponesi. Nel dicembre del 1991, Kim denuncia il governo giapponese per i danni subiti durante quegli anni.

1993-1998
Kim Young-sam è il settimo presidente della Corea e – soprattutto – il primo a formare un governo non legato ai militari.

2005 (1° dicembre)
Viene istituita una commissione governativa – «Commissione per la verità e riconciliazione» – per indagare sui fatti storici delittuosi avvenuti dalla dominazione giapponese (1910) alla fine della dittatura (1993).

2024
La scrittrice coreana Han Kang vince il Premio Nobel per la letteratura. Tra i suoi romanzi, tradotti in tutto il mondo: «La vegetariana», «Atti umani», «Convalescenza», «Non dico addio», «L’ora di greco».

2024, 10 aprile
Alle elezioni per l’Assemblea nazionale (unicamerale), il Partito democratico (Dpk) ottiene 171 seggi su 300. Il Partito del potere popolare (Ppp), conservatore e al governo, soltanto 107.

2024 (3-27 dicembre)
Il 3 dicembre il presidente conservatore Yoon Suk-yeol dichiara la legge marziale. Sei ore dopo l’Assemblea nazionale la annulla. Il 14 dicembre viene avviato un procedimento di impeachement e nominato presidente ad interim il primo ministro Han Duck-soo. Il 27 dicembre, a soli dodici giorni dalla nomina, anche questi viene rimosso accusato di non aver voluto promulgare le misure contro l’ex presidente e sua moglie. Sia Yoon Suk Yeol che Han Duck-soo appartengono al conservatore Partito del potere popolare (Ppp).

2025 (24 marzo)
La Corte costituzionale respinge l’impeachment del primo ministro Han Duck-soo, reintegrandolo come presidente ad interim, un ruolo che gli era stato assegnato dopo che l’allora presidente Yoon Suk-yeol era stato sospeso per aver dichiarato la legge marziale.

2025 (4 aprile)
La Corte costituzionale coreana si esprime a favore della rimozione definitiva del presidente conservatore Yoon Suk-yeol. Il verdetto trova l’unanimità dei suoi otto giudici.

2025 (3 giugno)
L’affluenza alle urne per le elezioni presidenziali anticipate raggiunge il 79,4%, la più alta degli ultimi 28 anni, a dimostrazione del coinvolgimento dei coreani in un periodo di sconvolgimenti politici. Lee Jae-myung, candidato del Partito democratico (Dpk), vince con il 49,42% delle preferenze. Han Duck-soo, candidato del Partito del potere popolare (Ppp) al potere, ottiene il 41,15%. Un altro 8,34% va al Partito riformatore, fondato da Lee Jun-seok, ex dirigente del Ppp.

2025 (4 giugno)
Il presidente Lee Jae-myung giura davanti all’Assemblea nazionale. Rimarrà in carica per cinque anni.

2025 (11 giugno)
Dopo aver interrotto la distribuzione di volantini antiregime, la Corea del Sud interrompe anche le sue trasmissioni di propaganda – attuate tramite altoparlanti posti sul confine – anti Pyongyang.

Paolo Moiola

Fonti principali: Yonhap News Agency; Young Ick Lew, «Brief History of Korea»; Britannica.com.

Ha firmato il dossier

Paolo Moiola, giornalista, redazione Missioni Consolata. Ha viaggiato in Corea del Sud tra aprile e maggio 2025.

Hanno collaborato: Byun Jae-woon*, giornalista; Kim Sang-hyuk, professore universitario; Han Gyeol, guida turistica e insegnante; Kim Moon-jung, missionario della Consolata in Messico; Diego Cazzolato, missionario della Consolata in Corea; Gianpaolo Lamperto, missionario della Consolata in Corea.

(*) In Corea, il cognome precede il nome proprio e spesso quest’ultimo è composto da due caratteri.

Una giovane coppia di coreani con vestiti tradizionali (hanbok) si fotografa davanti alla chiesa cattolica di Jeonju. Foto Paolo Moiola.