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Russia-Africa. I soldati di Mosca

Dal Gruppo Wagner agli Africa Corps

«Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi». A Mosca devono aver letto Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Deve sparire il gruppo Wagner, con le sue operazioni militari opache, la sua ambigua autonomia rispetto al Cremlino, la sua dubbia fedeltà, ma non deve mancare uno strumento militare per aumentare l’influenza russa nel Sud del mondo. È così che, dalle ceneri del controverso corpo paramilitare fondato da Evgenij Prigožin, è nato Africa Corps, una forza formalmente integrata nel ministero della Difesa russo. La transizione da una milizia privata a una struttura statale non sembra però priva di ostacoli. A un anno dalla sua creazione, l’Africa Corps appare aver raggiunto il proprio limite operativo, soprattutto nel Sahel.

La nuova struttura è stata concepita dopo la morte di Prigožin e il ridimensionamento del Gruppo Wagner nel 2023. Il Cremlino ha cercato di riassorbire l’apparato paramilitare per controllarlo in modo diretto, puntando su una forza visibile, istituzionale e meno compromettente dal punto di vista politico. Il battesimo ufficiale dell’Africa Corps è arrivato nel gennaio 2024, con l’arrivo dei primi soldati in Africa occidentale.

Evgenij Prigožin era il leader assoluto dellle milizie Wagner, gruppo paramilitare della Russia.
Dopo il suo scioglimento, il Cremlino ha inventato gli «Africa Corps». Screenshot.

Il nuovo dispositivo militare mantiene lo stesso obiettivo strategico del predecessore: rafforzare l’influenza russa nei Paesi africani attraverso supporto militare, protezione dei regimi alleati e accesso alle risorse naturali. Mosca offre formazione, intelligence, equipaggiamenti e sostegno nei consessi internazionali. Un «pacchetto» del quale le giunte militari, soprattutto quelle dell’Africa occidentale, hanno disperato bisogno per evitare l’isolamento politico, economico e militare. «In sintesi – è scritto in un’analisi del Cesi (Centro Studi Internazionali) -, la mancanza di alternative [dei Paesi africani, ndr], oltre alla tradizionale indifferenza russa nel rispetto dei diritti umani, costituisce la lega che salda tali alleanze di necessità».

Tuttavia, nonostante l’apparente continuità, l’Africa Corps si scontra oggi con difficoltà che ne limitano l’espansione. Sul piano operativo, le sue missioni sono ridotte rispetto a quelle condotte dal Gruppo Wagner. Secondo un’analisi del sito ciadiano Alwihda Info, l’Africa Corps oggi opera prevalentemente in Libia, Burkina Faso, Mali, Repubblica Centrafricana e Niger, mentre Wagner aveva operato anche in Sudan e, in misura minore, altrove nell’Africa orientale (Mozambico e Madagascar). Ciò è legato anzitutto alle difficoltà logistiche: trasporto, approvvigionamento e mantenimento di contingenti in Paesi poveri e instabili come Niger e Mali richiedono risorse che Mosca, in guerra, sotto sanzioni e sotto pressione bellica in patria, fatica a garantire.

L’azione nel Sahel è apparsa anche meno incisiva: le truppe russe sono spesso confinate alla difesa di infrastrutture strategiche o alla protezione di personalità politiche, più che impegnate in operazioni contro i gruppi jihadisti. Al contrario, i soldati Wagner partecipavano direttamente a missioni contro gruppi terroristici o ribelli e operavano separatamente, seppur a supporto del governo russo. I ricercatori del Combating terrorism center di West Point spiegano che ciò sarebbe dovuto a due fattori. Da un lato, l’Africa Corps ha capacità limitate rispetto alla flessibilità e alla brutalità operativa del Gruppo Wagner. Dall’altro, l’interesse del Cremlino sembra concentrarsi più su ritorni diplomatici e simbolici che su un reale e profondo coinvolgimento militare. La Russia intende mostrarsi presente e affidabile, ma non sembra voler (o poter) impantanarsi in nuovi fronti di combattimento.

Inoltre, anche il reclutamento interno risente delle nuove dinamiche. Wagner era capace di attrarre ex militari, criminali e mercenari offrendo salari alti e una certa libertà d’azione. L’Africa Corps, invece, è vincolato a una struttura più rigida, con soldati provenienti dalle forze regolari russe o da unità speciali, spesso riluttanti a essere impiegati in scenari esterni incerti. Le perdite subite in Ucraina, inoltre, riducono la disponibilità di truppe esperte.

C’è poi un nodo politico. A differenza del Gruppo Wagner, l’Africa Corps è un’estensione diretta dello Stato russo. Questo rende più difficile per Mosca negare il proprio coinvolgimento in caso di violazioni dei diritti umani o di insuccessi militari. L’ambiguità che una volta proteggeva il Cremlino dalle accuse internazionali si è dissolta, e con essa la possibilità di operare «sotto copertura». In compenso, i governi africani possono oggi sfruttare la visibilità della Russia per negoziare più agevolmente con altri attori globali, Cina e Turchia in primis.

In definitiva, l’Africa Corps rappresenta il tentativo del Cremlino di trasformare una politica estera «clandestina» in una presenza istituzionale. Ma i limiti emergono già con chiarezza: l’influenza russa è ancora viva, ma il suo slancio sembra essersi arrestato. Non è escluso che la Russia, nel medio periodo, scelga di ridimensionare le sue ambizioni africane, concentrandosi solo sui Paesi più strategici e meno problematici. Per ora, l’Africa Corps resta un esperimento in fase di rodaggio, simbolo di un imperialismo meno improvvisato ma più esposto.

Enrico Casale

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