La mossa del cavallo

Dopo l’elezione di Donald Trump, dallo scorso maggio un altro statunitense è salito alla ribalta internazionale: il missionario Robert Prevost, eletto papa con  il nome di Leone XIV. Ma cos’è oggi il cattolicesimo in quella che è ancora la prima potenza mondiale? E quali saranno i rapporti tra il nuovo pontefice e l’egocentrico e divisivo presidente Usa?

Le elezioni americane del 2024 hanno visto grandi movimenti di elettori all’interno di gruppi specifici: più elettori latinos maschi per Trump; più laureati per Harris; elettori più abbienti ai democratici; americani della classe operaia ai repubblicani. Resta però una questione di pochi punti percentuali, con la stragrande maggioranza dell’elettorato trincerata in due campi. Queste tendenze di voto vanno lette sia attraverso i diversi gruppi di identità etnico-culturale (bianchi, latinos, asiatici, ecc.) sia attraverso le diverse appartenenze religiose (cattolici, evangelici, ecc.).

Circa 6 cattolici bianchi su 10 hanno sostenuto Trump. Al contrario, circa 6 cattolici latinos su 10 hanno votato per Harris.

La percentuale dei cattolici latinos sta aumentando all’interno della Chiesa americana. Tuttavia, essi non possono più essere identificati come naturalmente vicini al partito dei Kennedy e di Biden, in un Paese che è sempre meno europeo e sempre più orientato verso l’Asia e – in modo ancora maggiore – verso l’America Latina. Inoltre, da anni c’è una tendenza chiara verso un nuovo baricentro del cattolicesimo negli Stati Uniti: demograficamente, ma anche culturalmente e politicamente. Il nuovo cattolicesimo che cresce, geograficamente si sposta a Sud del paese, allontanandosi dal Nord Est (sul corridoio da Boston a Baltimora) e – di conseguenza – si allontana anche dal Partito democratico.

Negli Stati Uniti il numero di parrocchie cattoliche è in forte calo, soprattutto nelle zone urbane del Nord Est e nella rust belt, le zone deindustrializzate. La chiusura delle parrocchie cattoliche ha creato un vuoto specialmente nei quartieri dei neri e latinos, e sono in crescita le parrocchie senza un parroco residente. Gli ordini religiosi maschili e femminili hanno perso moltissimi membri dagli anni Cinquanta in poi, specialmente tra quelli impegnati nelle scuole, ospedali e nei servizi sociali: le suore sono passate da quasi 180mila nel 1965 a 35mila nel 2023. Allo stesso tempo, c’è una Chiesa cattolica in crescita nel Sud e nel Sud Ovest del paese: in queste regioni, alcune diocesi devono costruire chiese velocemente per tenere il passo con la crescente popolazione cattolica di immigrati.

Papa Leone XIV saluta la folla raccolta in piazza San Pietro per la prima udienza generale del suo pontificato, lo scorso 21 maggio 2025. Foto Filippo Monteforte – AFP.

I vescovi e il trumpismo

Il cattolicesimo rappresentato dalla maggioranza dei vescovi ha accompagnato il trumpismo senza opporvisi, in un riflesso di rifiuto dell’agenda abortista e sul gender di un Partito democratico oggi ancora meno affidabile, ai loro occhi, senza il cattolicesimo di Biden. È stata una scelta prevedibile e politica che ha mostrato come i vescovi avessero cognizione della forza del populismo nel Paese. Ma l’episcopato ha taciuto sulla questione razziale e nazionalista sollevata da Trump, e non ha rimediato all’errore storico – commesso anche dal Partito democratico – di aver abbandonato la working class a favore dell’enfasi, spesso monotematica e ossessiva quanto disinformata, sulle «guerre culturali» attorno alle questioni sessuali e di genere.

Papa Leone XIII e la sua «Rerum novarum» del 1891. Immagine VaticanNews.

È il congedo da quella Chiesa americana forgiata dal cattolicesimo sociale, dalla Rerum novarum di Leone XIII (1891) in poi, passando per il New deal (1933-1943) a cui la dottrina sociale della Chiesa e il clero americano contribuirono in modo inequivoco.

Le posizioni della Rerum novarum, che furono poi recepite dalla tradizione successiva di tutti i papi fino a Francesco, erano critiche verso il capitalismo selvaggio e favorevoli al ruolo del governo nell’economia, alla regolamentazione e alla sindacalizzazione. Oggi, esse suonano come tecnicamente eterodosse – se non eretiche – alle orecchie di molti americani, cattolici inclusi.

Il cattolicesimo americano è indissolubilmente legato al sistema economico e a come si è sviluppato, sia dal punto di vista strutturale (a partire dai sistemi di finanziamento alla Chiesa) sia culturale («il capitalismo come religione»).

Per questo, per capire dove va la Chiesa negli Stati Uniti, bisogna prima capire dove va il capitalismo americano. Inoltre, dopo
l’Humanae vitae (l’enciclica di Paolo VI) e Amoris laetitia (l’esortazione apostolica di Francesco, quest’ultima non recepita da buona parte dei vescovi Usa), sulle questioni sessuali non si è mai avuta in America una visione unificante per i cattolici, capace cioè di bilanciare tra modelli ideologici diversi e spesso opposti.

Da questo punto di vista, esiste un parallelismo tra le traiettorie ideologiche del Partito democratico e della conferenza episcopale, entrambe molto distanti dalle proposte del pontificato di papa Francesco.

L’assenza di contatti visibili tra la presidenza Biden e i vescovi degli Stati Uniti corrispondeva al deserto in cui si trovava e continua a trovarsi l’episcopato che vive una grande solitudine rispetto a una Chiesa in buona parte post istituzionale e a una destra politica nominalmente religiosa ma post morale e anarco libertaria quando si tratta dei rapporti tra economia e società.

Dal papa gesuita al papa agostiniano

Un ritratto di San Tommaso d’Aquino a cui si deve il concetto di «ordo amoris», cui si è appellato il vicepresidente Usa JD Vance.

Il conclave del 7-8 maggio 2025 ha dato un risultato di prima importanza per la Chiesa globale, ma in modo particolare per quella degli Usa: dal papa «venuto dalla fine del mondo», il gesuita argentino Jorge Mario Bergoglio – Francesco, all’agostiniano born in the Usa Robert Prevost – Leone XIV. Il papato si sposta più a Nord e si fa panamericano.

Le chiese cattoliche di Africa e Asia sono oggi al tavolo del cattolicesimo globale importanti come mai prima, ma il papato è ancora una questione transatlantica.

Gli Usa non sono più la superpotenza del secolo XX, ma lo sono ancora nel cattolicesimo, e non solo finanziariamente. Un universo cattolico anglo americano apparentemente marginalizzato dal pontificato di papa Francesco (visto che nel collegio dei cardinali elettori non c’erano vescovi della Chiesa irlandese, una volta «the best catholics in the world») ha prodotto il primo papa dagli Usa.

Leone XIV avrà a che fare con un cattolicesimo americano diverso da quello della Chicago che gli ha dato i natali, un cattolicesimo che non esiste più sociologicamente e politicamente: non è più quello dei Kennedy e neanche quello di Joe Biden, ma è anche quello che è arrivato alla Casa Bianca di Donald Trump con J.D. Vance.

La scelta di un papa agostiniano che succede a un gesuita lancia un messaggio politico particolare agli Usa di oggi, caratterizzati da un nazional populismo nutrito di un integralismo cattolico che si è sostituito al protestantesimo nelle stanze del potere. Non è necessario essere un «gesuita delle periferie» per opporsi al progetto politico-religioso che è il trumpismo.

Mesi fa, il futuro Leone XIV aveva apertamente criticato Vance quando (il 19 febbraio 2025) questi aveva provato a offrire una lettura selettiva e discriminatoria dell’ordo amoris di san Tommaso d’Aquino per giustificare l’esclusione di chi si colloca fuori dalla comunità familiare, locale e nazionale: «J.D. Vance sbaglia, Gesù non ci chiede di classificare il nostro amore per gli altri», scrisse sui social l’allora cardinale Prevost. Era una interpretazione politicamente alternativa e cattolicamente ortodossa non solo della tradizione sociale cattolica, ma anche di sant’Agostino, rispetto a quella offerta dal pulpito della Casa Bianca.

Tra tradizionalisti e progressisti

Il ritratto ufficiale scelto da Donald Trump per il suo secondo mandato presidenziale. Foto WhiteHouse.gov.

Il conclave ha dato una risposta alla crisi degli Usa, che è anche religiosa e teologica. Questa elezione papale è pure una risposta a Trump: una risposta non frontale, ma laterale, «la mossa del cavallo» negli scacchi (come metafora di iniziativa abile e intelligente adatta a uscire da una situazione critica, ndr).

Negli Stati Uniti, per il tradizionalismo cattolico eversivo al servizio del trumpismo sarà difficile «scartare» l’agostiniano Prevost come un radicale progressista, e sarà impossibile dipingerlo come anti americano (anche se alcuni hanno già iniziato a farlo).

A loro volta, i liberal americani dovranno fare buon viso a cattivo gioco su alcune questioni divisive su cui papa Francesco aveva dato un endorsement senza troppe condizioni. Ma anche per loro sarà impossibile «scartare» questo papato come tradizionalista. Prevost è diventato l’eroe del momento per i cattolici Usa, per un Paese che il conclave ha fatto «great again», ma in modo molto diverso da quello che Trump e Vance speravano.

Così Prevost potrà trattare con il nuovo ambasciatore Usa presso la Santa Sede, l’attivista trumpiano Brian Burch, su un piano diretto e con una prossimità culturale unica (entrambi provengono da Chicago). Potrà, inoltre, confrontarsi con le lobby politico finanziarie cattoliche Usa in modi molto diversi da quelli del pontificato di Francesco.

Il pontefice americano e il mondo

Dal punto di vista internazionale, la scelta di un papa statunitense apre molti scenari inediti . Rimane da vedere cosa significa per un papa dagli Usa, nel mondo della crisi delle democrazie liberali e costituzionali oggi, parlare come capo della Chiesa cattolica e della Santa Sede alla Russia e all’Ucraina, a Israele e al mondo arabo, alla Cina e alle due Coree.

Il primo test è interno all’asse transatlantico. Negli ultimi mesi, il trumpismo ha rotto molti tabù internazionali, ma il conclave ha risposto a tono rompendo un altro tabù: quello che non fosse possibile per un cittadino della superpotenza Usa diventare papa, al fine di evitare una sovrapposizione tra supremazia politico-militare americana, erede (almeno simbolicamente) dell’Impero romano, e leadership della Chiesa cattolica. Trump ha degradato l’eccezione americana, ha dato una nuova dimensione nostalgica al «destino manifesto» del progetto politico-religioso chiamato Stati Uniti e, con lo slogan Maga (Make America great again, in italiano «Rendiamo l’America di nuovo grande»), ha riconosciuto che la grandezza americana è andata perduta.

La risposta del conclave

L’ambasciatore presso la Santa Sede Brian Burch, presidente di «Catholic Vote», organizzazione cattolica conservatrice. Foto CatholicVote.org.

Il conclave del 2025 tenta di risignificare l’eccezionalismo Usa in chiave universalista, in un messaggio che è al mondo intero, alla Chiesa cattolica, e agli Stati Uniti, presi questi ultimi in un cambio di regime dai connotati inquietanti.

L’inizio della seconda presidenza di Trump ha sorpreso le organizzazioni religiose, che si sono ritrovate nel mirino di decisioni volte a ridurre le attività del governo federale e, di conseguenza, anche i finanziamenti alle entità che forniscono servizi sociali per conto del governo.

Quei vescovi cattolici che avevano assistito con simpatia all’ascesa del trumpismo, in risposta agli eccessi dei programmi ultraprogressisti – dal «woke» al «diversity, equity and inclusion» (Dei, in sigla) al «gender» -, si trovano ora di fronte a un cambiamento epocale nel sistema dei rapporti tra Chiesa e Stato, verso nuove forme di controllo governativo sulle chiese. Sembra passato un secolo da quando quegli stessi vescovi di orientamento conservatore assunsero una posizione di opposizione frontale alla presidenza Obama e alla riforma del sistema sanitario a partire dal 2010. A detta dei vescovi Usa, infatti, la riforma
Obamacare rendeva più facile il ricorso alla contraccezione e all’aborto.

Oggi, per quanto riguarda Trump, non c’è traccia di quell’opposizione urgente che abbiamo visto contro Obama. Ci sono singoli vescovi o commissioni episcopali che hanno alzato la voce e intrapreso azioni legali, ma non c’è alcuna mobilitazione cattolica nazionale in risposta al cambio di regime in corso.

J.D. Vance e il neotradizionalismo

Il vicepresidente degli Usa J.D.Vance, cattolico tradizionalista. Foto Gage Skidmore – Wikimedia.

La principale novità, dal punto di vista religioso, è l’ascesa ai vertici del potere, e soprattutto con il vicepresidente J.D. Vance, di un cattolicesimo di nuova concezione: neotradizionalista, ma alleato con i poteri forti della Silicon Valley; che ha fatto uso pubblico e politico della sua fede e con Francesco non aveva esitato ad alzare il livello dello scontro teologico con il Vaticano; che trae forza da un movimento marginale ma militante, revanscista e para scismatico all’interno del cattolicesimo statunitense.

L’elezione al papato di Robert Prevost-Leone XIV non ferma il progetto teologico e politico del neotradizionalismo cattolico Usa che continuerà in una lunga marcia iniziata almeno due decenni fa. Ma ne complica di molto le strategie.

Massimo Faggioli*

* Massimo Faggioli è professore ordinario al dipartimento di teologia e scienze religiose di Villanova University (Philadelphia, Pennsylvania), la maggiore università agostiniana degli Stati Uniti (l’altra è il Merrimack College). I suoi libri più recenti sono «Global catholicism: between disruption and encounter» (con Bryan Froehle, Brill 2024) e «Da Dio a Trump. Crisi cattolica e politica americana» (Morcelliana 2025).

* Robert Francis Prevost – papa Leone XIV – si è laureato in matematica alla Villanova University nel 1977.

La cattedrale di Chiclayo, città peruviana della quale il futuro papa Leone XIV è stato vescovo per otto anni. Foto Carloscoomkm – Wikimedia.