

La malattia dei poveri
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L’infezione portata dalla zanzara è dimenticata nei Paesi ricchi, ma resta una realtà nel Sud Globale. A rilento, alcuni progressi sono stati fatti. La grossa novità sono i vaccini. Ora occorre diffonderli, nonostante i monopoli farmaceutici.
Se per l’Occidente la malaria ormai appartiene al passato, in tanti Paesi, soprattutto del Sud globale, continua a rappresentare una minaccia significativa. Sono ben 83 gli Stati in tutto il mondo – principalmente in Africa subsahariana, Sud Est asiatico e Centro e Sud America – dove questa malattia è ancora oggi endemica.
Causata da cinque parassiti del genere Plasmodium, la malaria si trasmette attraverso la puntura di una zanzara femmina di tipo Anopheles. Per veicolare la malattia a un individuo sano, l’insetto deve averne precedentemente punto uno infetto.
Oggi, combattere la malaria – limitando la diffusione dei vettori e curando tempestivamente i malati – è possibile. Lo è ancora di più se strategie tradizionali, come zanzariere e spray, sono combinate con altre metodologie, come i vaccini. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), proprio grazie all’uso sinergico di tutti questi strumenti, dal 2000 a oggi, nel mondo, sono stati evitati 2,2 miliardi di casi e 12,7 milioni di decessi.
Alcuni dati
Nel 2023, secondo l’ultimo rapporto dell’Oms (dicembre 2024), a livello globale, ci sono stati 263 milioni di infezioni, 11 milioni in più rispetto al 2022. Buona parte di esse – 246 milioni, il 94% del totale – si è verificata in Africa subsahariana.
La regione, infatti, guida l’aumento mondiale dei casi, soprattutto a causa degli elevati tassi di crescita della sua popolazione. Ma, a un’analisi più approfondita, emerge che, tra il 2000 e il 2023, le diagnosi di malaria in Africa subsahariana si sono ridotte da 356 a 227 ogni mille abitanti a rischio, mentre i decessi sono calati del 63%.
Dunque, nella regione, in una contraddizione solo apparente, in termini assoluti, i casi aumentano, ma l’incidenza percentuale si riduce. Ciò dimostra che, nonostante tutto, la strada intrapresa dai Paesi subsahariani nella lotta a una delle malattie più letali per i loro abitanti è giusta.

Ambizione «malaria-free»
Capo Verde, ad esempio, a dicembre 2023, è stato incluso tra i 44 Paesi certificati «malaria-free» (letteralmente «liberi da malaria») dall’Oms. Cioè Stati dove per almeno tre anni consecutivi non si sono verificate infezioni e sono stati eliminati i parassiti responsabili della malattia.
L’arcipelago è il secondo Stato subsahariano a riuscirci dopo le Mauritius nel 1973. Guardando al continente nel suo complesso, invece, l’Oms – rispettivamente nel 2010 e nel 2019 – ha dichiarato «malaria-free» anche Marocco e Algeria, mentre l’Egitto lo è da fine 2024.
La certificazione di Capo Verde è il risultato di almeno cinque decenni di sforzi, basati su strategie complementari di individuazione e contenimento rapido dei focolai, diagnosi precoci e trattamento mirato degli infetti. Ma, secondo l’Oms, non è finita qui. Grazie a politiche sempre più efficaci ed efficienti, nel giro di qualche anno, anche altri Paesi subsahariani – Sudafrica, Botswana, Rwanda ed eSwatini – potrebbero diventare «malaria-free».
Zanzariere per tutti
Strumento cardine in questa lotta sono le zanzariere. Tant’è che aumentare la percentuale di persone che dormono protette da una rete è da sempre una priorità nelle strategie nazionali di lotta alla malaria.
In Africa subsahariana, tra il 2000 e il 2023, la diffusione delle zanzariere è cresciuta passando dal 5% al 73%.
Negli ultimi anni poi, l’efficacia delle zanzariere è aumentata grazie alla diffusione di reti trattate con insetticidi. Nel 2023, ad esempio, nei Paesi subsahariani sono giunti 195 milioni di zanzariere trattate (l’86% di tutte quelle distribuite nel mondo).
Ugualmente importanti, anche se meno usati, sono gli spray per gli individui. Mentre, già a fine anni Novanta, diversi Paesi avevano introdotto il trattamento farmacologico preventivo intermittente. Rivolto soprattutto a bambini sotto i cinque anni – la fascia d’età più a rischio con il 76% dei decessi totali – e donne incinte, consiste nella somministrazione periodica (principalmente durante la stagione delle piogge) di farmaci per la prevenzione della malaria.
Infine, si sta rivelando cruciale anche l’utilizzo sempre più capillare dei test rapidi – l’Oms calcola che in Africa, tra il 2010 e il 2023, ne siano stati distribuiti più di 4,5 miliardi – che permettono di identificare precocemente l’infezione e intervenire tempestivamente con le prime cure.

I vaccini: la novità
Lo strumento che, senza dubbio, ha impresso un’accelerata nella lotta alla malaria in Africa subsahariana sono i vaccini. Ormai venti Paesi – Benin, Burkina Faso, Burundi, Camerun, Ciad, Costa d’Avorio, Ghana, Kenya, Liberia, Malawi, Mali, Mozambico, Niger, Nigeria, Repubblica centrafricana, Repubblica democratica del Congo, Sierra Leone, Sud Sudan, Sudan e Uganda – hanno avviato massicce campagne di vaccinazione.
Una svolta resa possibile dalla recente approvazione da parte dell’Oms di due sieri, frutto di decenni di studi e ricerche, incentrati soprattutto sul complesso ciclo di vita del Plasmodium e sulla sua capacità di eludere il sistema immunitario umano. L’utilizzo di entrambi i vaccini è stato raccomandato in aree endemiche, soprattutto sui bambini.
Il Mosquirix
Il primo vaccino a essere approvato, a ottobre 2021, è stato l’Rt,s/As01, conosciuto anche con il nome commerciale di Mosquirix. Sviluppato dalla Path
malaria vaccine initiative (un’organizzazione sanitaria globale non profit), è prodotto dalla casa farmaceutica britannica GlaxoSmithKline (Gsk) ed è somministrato in quattro dosi nei primi 18 mesi di vita.
Nel 2019, il Mosquirix era stato al centro di un’esperienza pilota in Ghana, Kenya e Malawi, dove erano stati vaccinati 1,7 milioni di bambini. Proprio i risultati incoraggianti (anche se non pienamente soddisfacenti) della sperimentazione – prevenzione del 40% delle infezioni, riduzione del 30% dei casi gravi e diminuzione del 13% della mortalità – hanno spinto l’Oms a raccomandarne l’uso.
A gennaio 2024, il Camerun è stato il primo Paese al mondo a inserire l’immunizzazione contro la malaria nel calendario delle vaccinazioni infantili essenziali, utilizzando il Mosquirix. Poi anche Benin, Burkina Faso, Burundi, Liberia, Niger e Sierra Leone lo hanno aggiunto alla lista delle vaccinazioni infantili di routine. Il Mali, invece, ha iniziato a somministrarlo nel 2025, proprio in occasione della Giornata mondiale contro la malaria, il 25 aprile.
L’R21
Tuttavia, i dati del Mosquirix non sono mai stati ritenuti pienamente soddisfacenti in termini di prevenzione dei casi e, soprattutto, di riduzione delle ospedalizzazioni e della mortalità. Anche perché il vaccino agisce solo contro uno dei cinque parassiti della malaria, il Plasmodium falciparum. Perciò, l’approvazione di un nuovo siero – l’R21/Matrix-m – a ottobre 2023, ha generato una nuova ondata di ottimismo.
Sviluppato dai ricercatori dell’Università di Oxford, il vaccino è prodotto dall’industria farmaceutica indiana Serum institute. Già dopo tre dosi, ha un’efficacia del 77%, di molto superiore al Mosquirix e, soprattutto, in grado di soddisfare la soglia del 75% stabilita dall’Oms.
Il primo Stato ad approvare l’R21 – nonché un vaccino contro la malaria – è stato il Ghana. Ad aprile 2023, ancora prima dell’autorizzazione dell’Oms, il Paese ha autorizzato l’uso dell’R21, definendo la malattia una «grave minaccia per la salute pubblica».
Poche settimane dopo, anche Nigeria e Burkina Faso hanno approvato il vaccino. A luglio 2024 invece, Costa d’Avorio e Sud Sudan hanno avviato una campagna di somministrazione gratuita dell’R21 per i bambini sotto i cinque anni.

Il nodo dei costi
Come mostrato anche dalla pandemia da Covid-19, il costo dei vaccini è un fattore critico, che rischia di limitarne diffusione e utilizzo capillare. La speculazione economica – diffusa tra le industrie farmaceutiche, anche grazie al monopolio sui brevetti e a un potere contrattuale sproporzionato, in particolare in situazioni emergenziali come le pandemie – impatta soprattutto su contesti dalle risorse limitate, come il Sud globale.
Anche i vaccini contro la malaria sono spesso inaccessibili ai Paesi africani. Tanto che, finora, a facilitarne la diffusione – al costo di 0,20 dollari a dose (prezzo poi soggetto a un incremento annuo del 15%) – è stata l’Alleanza per i vaccini (Gavi). Un’organizzazione che però dipende a sua volta dai finanziamenti dei grandi donatori e filantropi che la sostengono e che, quindi, non è immune a interessi di parte e sconvolgimenti geopolitici.
Dopo aver supportato la prosecuzione della campagna vaccinale in Ghana, Kenya e Malawi (a seguito della sperimentazione del 2019), a inizio 2024, Gavi ha iniziato a distribuire dosi di Mosquirix e R21 in altri Paesi subsahariani. Partendo dagli Stati con i maggiori tassi di infezione e mortalità, l’organizzazione ritiene che in un anno siano stati vaccinati cinque milioni di bambini in 17 Paesi (che insieme racchiudono il 70% dei casi mondiali di malaria).
Nel continente, Gavi stima una domanda in rapida crescita: serviranno 40-60 milioni di dosi nel 2026 e 80-100 milioni l’anno fino al 2030. Tuttavia, la chiave sta nella volontà dei colossi farmaceutici di lavorare con il Sud globale per soddisfarne la richiesta. Oltre che nella loro disponibilità a consentire il trasferimento della tecnologia, permet- tendo di avviare la produzione anche in altri contesti come l’Africa, abbattendo i prezzi.
Al momento, Gsk ha siglato un accordo con l’industria indiana Bharat Biotech per fornirle l’antigene alla base del Mosquirix. Ma, da contratto, l’azienda non potrà iniziare a produrre autonomamente prima del 2028. La produzione dell’R21, invece, per ora resta saldamente in mano al solo Serum institute.
Bisogna accelerare
La mancata disponibilità di vaccini a prezzi sostenibili è un problema. Perché, sebbene la lotta alla malaria proceda spedita, è necessario accelerare. Preoccupa il numero sempre maggiore di zanzare resistenti ai repellenti sulle zanzariere e agli spray per gli esseri umani, ma anche capaci di opporsi ai farmaci tradizionali ed eludere i test diagnostici rapidi. Si sta poi diffondendo un nuovo vettore, l’Anopheles stephensi, originario dell’Asia. Individuata per la prima volta a Gibuti nel 2012, questa zanzara – capace di adattarsi rapidamente ai contesti locali e di sopravvivere a temperature molto alte – è arrivata anche in Eritrea, Etiopia, Ghana, Kenya, Nigeria, Somalia e Sudan. Oggi, la malaria continua a costituire una sfida importante e in continua evoluzione. Tuttavia, eliminarla è possibile. Anche se è necessario farlo in fretta e, soprattutto, combatterla tutti insieme.
Aurora Guainazzi
Malaria su MC
- • Chiara Giovetti, Malaria: meglio ma non basta, aprile 2023.
- • Angelo Dutto, Malaria: zanzare e plasmodium, una coppia pericolosa, ottobre 2017.
