Dona il 5 per mille a Rivista MC

Inserisci la tua email e iscriviti alla nostra newsletter

Alta tensione nel Corno d’Africa

Cambi di alleanze nel complicato scacchiere regionale
Dopo la guerra nel Tigray, che ha visto Etiopia ed Eritrea alleati, si sono risvegliati antichi attriti.  Gli equilibri con gli altri Paesi dell’area sono instabili e poco chiari. I due Stati appoggiano le reciproche opposizioni per indebolire l’avversario. Analisi di una situazione complessa.

La tensione è di nuovo alta tra Etiopia ed Eritrea. Addis Abeba e Asmara sono tornate a non parlarsi, a minacciarsi, a sostenere i reciproci nemici. Le armi, al momento, tacciono, ma basta una scintilla per far riaccendere il fuoco e far ripiombare l’area in un nuovo e, si prevede, devastante conflitto.

Le tensioni tra i due Paesi sono antiche e affondano le radici nella storia (si veda pag. 27). La crisi attuale, però, risale alla fine della recente guerra nel Tigray (2020-2022). Un conflitto nato, paradossalmente, sotto un segno opposto. Nel 2018, a Gedda (Arabia Saudita), i due Paesi hanno firmato uno storico accordo di pace promosso dal premier etiope Abiy Ahmed e dal presidente eritreo Isayas Afewerki. L’intesa aveva portato, dopo decenni di rapporti freddi, a una riconciliazione e a un riavvicinamento senza precedenti. Lo scoppio della guerra del Tigray ha quindi visto Addis Abeba e Asmara dalla stessa parte. E, infatti, l’esercito eritreo si è quasi immediatamente schierato a fianco di quello etiope e delle milizie Amhara contro i reparti del Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf). Alla fine dei combattimenti, però, si sono avvertiti i primi scricchiolii.

Accordo con esclusione

«L’accordo di pace siglato dal governo etiope e dal Tplf a Pretoria nel 2022 – spiega Corrado Cok, analista dell’European council for foreign relations – è stato condotto in modo bilaterale tra governo etiope e tigrini, escludendo gli eritrei, nonostante essi fossero stati parte attiva nel conflitto. Ciò ha cominciato a intaccare i rapporti tra le due nazioni. Il premier Abiy aveva però urgenza di chiudere la guerra, nonostante sul terreno fosse in una situazione di vantaggio, per tacitare, da un lato, le frange più oltranziste del suo governo e, dall’altro, per ridurre il costo in vittime e armamenti».

Da quel momento, dichiarazioni fatte da entrambe le parti hanno progressivamente aumentato la tensione. Incendiaria è stata la presa di posizione del premier Abiy Ahmed sul diritto dell’Etiopia ad avere uno sbocco sul Mar Rosso. «Questo tipo di dichiarazioni – continua Cok – ha allarmato tutti gli Stati costieri che confinano con l’Etiopia e, in particolare, l’Eritrea. Si è accesa un’escalation diplomatica. Asmara, temendo che Addis Abeba avesse mire sui suoi porti, ha cercato di consolidare un fronte unito contro le ingerenze etiopi stringendo i rapporti con Somalia ed Egitto, nemici tradizionali dell’Etiopia. L’Eritrea ha poi rafforzato le relazioni con l’etnia maggioritaria dell’Etiopia, gli Amhara, che ha relazioni tese con il governo di Addis Abeba. Stessa strategia è stata seguita dal premier etiope che, a sua volta, ha ospitato il convegno dell’opposizione eritrea. Si è creata quindi una sorta di spirale di dichiarazioni e alleanze che ha aumentato notevolmente il livello della tensione tra i due Paesi».

The President of Sudan’s Transitional Sovereignty Council (TSC) General Abdel Fattah al-Burhan (R) welcomes Ethiopia’s Prime Minister Abiy Ahmed during an official visit in Port Sudan on July 9, 2024. (Photo by AFP)

Lotte interne al Fronte

Molti analisti hanno interpretato questa tensione crescente come il preludio a uno scontro armato. I presupposti c’erano tutti. L’Eritrea ha mobilitato la riserva delle sue forze armate e l’Etiopia ha schierato reparti nella regione dell’Afar, non lontano dal porto eritreo di Assab, che molti etiopi considerano parte del proprio territorio.

A ciò si sono aggiunte le tensioni all’interno del Tplf, teatro di una lotta di potere tra due figure chiave: Getachew Reda, che fino a poco tempo fa ha ricoperto la carica di presidente ad interim della regione del Tigray, e Debretsion Gebremichael, presidente del Tplf. Il conflitto è emerso dopo il 14° Congresso del Tplf che si è tenuto nell’agosto 2024, durante il quale Debretsion è stato rieletto leader e Getachew, insieme ai suoi alleati, è stato sospeso ed espulso dal partito. Getachew ha criticato il congresso definendolo illegittimo e non conforme alle normative elettorali. Le tensioni si sono aggravate quando Debretsion ha richiesto le dimissioni di Getachew e dei suoi sostenitori dall’amministrazione ad interim, accusandoli di tradire gli interessi del Tigray.

La spaccatura ha portato a una paralisi amministrativa, con ciascuna fazione che governa autonomamente le proprie aree di influenza. Le tensioni si sono estese anche all’ambito militare, con la fazione di Debretsion che ha assunto il controllo di parti della capitale regionale e di altre città chiave.

«Secondo una serie di rapporti – spiega Luca Puddu, docente di storia dell’Africa all’Università di Palermo – sembrerebbe che il governo eritreo, venendo meno all’inimicizia pluridecennale che aveva contraddistinto i rapporti tra Asmara e il Tplf, abbia oggi contatti con l’ala dissidente di Debretsion Gebremichael, mentre Getachew Reda avrebbe un’interlocuzione privilegiata con il governo federale ad Addis Abeba».

Strategia Eritrea

«La politica di Asmara è coerente con la linea che ha sempre seguito nei confronti dell’Etiopia – continua Puddu – ovvero il corteggiamento delle periferie per evitare che vi sia un forte potere centrale ad Addis Abeba che possa minacciare l’integrità territoriale dell’Eritrea. Da qui i rapporti con il Tplf e con le milizie Fano nella regione dell’Amara».

«Ci sono stati di sicuro incontri tra Asmara e la fazione di Debretsion – osserva Cok -. Nessuno sa per certo fino a che punto le due parti si siano avvicinate. Va però detto che le truppe eritree presenti nel Tigray non hanno né approfittato della situazione di dissidio all’interno del Tplf né cercato di fermarla. Anche se, in caso scoppiasse un nuovo conflitto tra Etiopia e Tplf, ci sarebbe con ogni probabilità un supporto eritreo sia ai dissidenti del Tplf sia ai gruppi Amhara che, già ora, stanno portando avanti una guerriglia contro l’esercito di Addis Abeba».

Queste dinamiche sono ben note al premier etiope Abiy Ahmed. Non è un caso che, per disinnescare il dissidio tra Debretsion e Reda, il primo ministro abbia nominato Tadesse Worede come nuovo capo dell’amministrazione ad interim del Tigray nell’aprile 2025. Secondo gli analisti dell’agenzia stampa Reuters, Tadesse, ex comandante del Tplf durante la guerra del 2020-2022, è una figura neutrale e ha promesso di concentrarsi sul ritorno degli sfollati e sulla smobilitazione delle forze armate. Tuttavia, la fazione di Debretsion ha espresso resistenza a questa nomina, sostenendo che rappresenta «un’interferenza del governo federale negli affari del Tigray».

Anziano davanti abitazione

Che fa la Somalia

Il premier etiope Abiy ha portato avanti una simile strategia anche in Somalia. Il governo di Mogadiscio controlla solo una parte minima del Paese e deve mantenere un equilibrio tra le potenze confinanti, che hanno diverse ambizioni sul suo territorio. «Da qui nasce il riavvicinamento con l’Etiopia – osserva Puddu -. Un riavvicinamento che, però, non ha contorni chiari. Mentre il presidente somalo viaggiava ad Addis Abeba per riallacciare le relazioni diplomatiche e accettare le truppe etiopi nella futura missione di pace multinazionale per la Somalia, il suo ministro degli Esteri si trovava al Cairo, dove l’Egitto dichiarava l’inammissibilità dei tentativi dell’Etiopia di acquisire un accesso diretto al mare. Questo rende evidente come esistano diverse agende all’interno del governo federale somalo, il quale gioca su più piani per contenere l’espansionismo etiope, evitando al contempo uno scontro aperto».

Equilibri regionali

Se la situazione è complessa sul piano nazionale, ancora di più lo è a livello regionale. Etiopia ed Eritrea si muovono con i mezzi della diplomazia per stringere legami con alleati internazionali. Asmara ha ottimi rapporti con l’Egitto, che vede nell’Etiopia una minaccia.

Il Cairo considera la «Grande diga del millennio», che gli etiopi stanno costruendo sul Nilo Azzurro, un pericolo per il Paese perché potrebbe limitare l’afflusso di acqua al Nilo, da cui gli egiziani dipendono per l’approvvigionamento idrico.

Negli ultimi anni, Asmara si è avvicinata anche al governo sudanese del presidente al-Burhan, offrendo un supporto militare attivo nell’addestramento e nell’intelligence al governo di Khartoum (ora trasferito a Port Sudan). Nella crisi sudanese, l’Etiopia ha invece stretti rapporti con le Rsf, le milizie guidate da Mohamed Hamdan Dagalo, noto come «Hemetti», che si oppongono al governo centrale (cfr. MC aprile 2025).

Posizioni che si riflettono anche nelle alleanze con i Paesi del Golfo. Qui, Addis Abeba, così come il Somaliland, è vicina agli Emirati arabi uniti, mentre Arabia saudita e, in misura minore, Qatar continuano a offrire un sostegno attivo all’Eritrea.

In questi giochi entrano in scena anche altri attori esteri, come la Turchia. «Va detto che non vi sono agende coerenti su base nazionale – sottolinea Puddu -. C’è un continuo tentativo di bilanciare i diversi interessi in gioco. L’Arabia Saudita è stata certamente vicina all’Eritrea in passato, così come gli Emirati arabi uniti, soprattutto durante la guerra in Yemen. Tuttavia, hanno anche sostenuto la transizione in Etiopia, elargendo generosi prestiti alla Banca centrale etiope. Lo stesso si può dire della Turchia.

Il governo turco ha ingenti investimenti in Somalia e sta contribuendo alla ricostruzione dell’apparato di sicurezza del Paese, ma, al contempo, ha importanti rapporti economici con l’Etiopia, come dimostra la vendita dei droni turchi al governo di Addis Abeba. Di conseguenza, il governo turco, come altri governi della regione, cerca di mantenere un equilibrio tra queste diverse istanze».

Naturalmente, gli equilibri sono possibili finché la politica regionale, pur attraversata da tensioni, non degenera in una guerra aperta. «Se dovesse scoppiare un conflitto su larga scala tra Etiopia ed Eritrea – conclude Puddu -, inevitabilmente si cristallizzerebbero delle alleanze più definite, almeno finché durassero le ostilità. In tal caso, è presumibile che la Turchia continuerebbe a fornire assistenza militare all’Etiopia tramite la vendita di droni, mentre altri Paesi dell’area potrebbero sostenere lo sforzo militare eritreo per evitare un’espansione etiope nell’arena geopolitica del Mar Rosso».

Enrico Casale

Mercato

Una lunga storia di conflitti
Cugini che non si amano

La storia delle guerre tra Etiopia ed Eritrea è una delle più complesse e tormentate del Corno d’Africa, segnata da decenni di occupazione, guerriglia e nuovi conflitti. Dalla metà del Novecento a oggi, il rapporto tra i due Paesi è passato da una difficile convivenza forzata a una lunga guerra, fino alla fragile pace firmata nel 2018 e alle nuove e recenti tensioni.

Tutto ha inizio nel 1952, quando l’Onu decide di federare Eritrea ed Etiopia, allora guidata dall’imperatore Hailé Selassié. La decisione, spinta soprattutto dagli interessi geopolitici degli Stati Uniti in funzione antisovietica, ignora però le spinte indipendentiste eritree. Dieci anni dopo, nel 1962, Selassié scioglie la federazione e annette l’Eritrea come provincia etiope, provocando la nascita del movimento armato di liberazione.

Comincia così una guerra lunga trent’anni (1961-1991), condotta inizialmente dal Fronte di liberazione eritreo e poi, dal 1970, dal Fronte di liberazione del popolo eritreo (Eplf). Dopo la caduta del Derg – il regime militare marxista-leninista guidato da Menghistu Hailé Mariam – e la presa del potere in Etiopia da parte del Fronte popolare rivoluzionario democratico (Eprdf) guidato da Meles Zenawi (alleato dell’Eplf che combatte il regime del Negus Rosso in Tigray), l’Eritrea ottiene l’indipendenza de facto nel 1991, sancita nel 1993 da un referendum che decreta la nascita ufficiale dello Stato eritreo.

La pace è breve. Nel 1998 scoppia una nuova guerra tra Etiopia ed Eritrea, stavolta per una disputa territoriale sul confine. Il conflitto è sanguinoso: si stima che siano morti tra i 70mila e i 100mila soldati. Nonostante gli accordi di cessate il fuoco del 2000 e la firma dell’Accordo di Algeri, le tensioni continuano per anni, alimentate dal rifiuto etiope di accettare l’arbitrato internazionale che assegna zone del confine all’Eritrea. I rapporti tra i due Paesi restano congelati: nessuna guerra dichiarata, ma neppure una pace reale.

Solo nel 2018, con l’arrivo al potere del premier etiope Abiy Ahmed, la situazione si sblocca. Abiy riconosce l’accordo di confine e firma la dichiarazione di pace con il presidente eritreo Isaias Afewerki. L’evento vale ad Abiy il Premio Nobel per la pace nel 2019. L’accordo non porta a una normalizzazione dei rapporti commerciali e diplomatici, e molte questioni rimangono irrisolte. Dal 2020, la guerra in Tigray rimette in discussione la fragile pace regionale. Il conflitto vede l’Eritrea schierarsi al fianco del governo federale etiope contro il Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf), nemico storico di Asmara, ma anche vecchio alleato nella guerra contro Menghistu. Le truppe eritree sono accusate di gravi crimini di guerra, alimentando nuove tensioni e rendendo la pace tra i due Paesi ancora una volta precaria.

E.C.

SCARICA IL PDFSTAMPA L'ARTICOLO

Ti è piaciuto questo articolo? Sostieni MC: ci aiuterai a produrre un’informazione approfondita senza pubblicità!

Cambiare il mondo comincia da te. Diamo voce ai valori umani: iscriviti e fai la differenza!