

Kenya. I giovani contro la violenza
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A un anno dalle proteste che, tra giugno e agosto 2024, hanno paralizzato il Kenya, i giovani continuano a manifestare, venendo spesso repressi dalle forze dell’ordine. L’intensità delle proteste è cresciuta nelle ultime settimane, dopo la morte del blogger e insegnante Albert Ojwang, mentre era in custodia della polizia. E, al contempo, anche la violenza delle forze dell’ordine keniane è tornata sotto i riflettori.
Mesi di manifestazioni
Lo scorso anno, i giovani keniani – o meglio, la «generazione Z», i nativi digitali – si sono mobilitati per mesi sui social media per manifestare contro la nuova legge finanziaria. La disposizione infatti – attraverso l’apposizione di nuove tasse o l’aumento di altre già in vigore – puntava a raccogliere 2,7 miliardi di dollari. In un Paese dove la disoccupazione, soprattutto tra i giovani, è estremamente elevata e il costo della vita cresce di anno in anno.
La finanziaria poi è stata modificata, rimuovendo alcune delle disposizioni più controverse. Ma, in realtà, per i giovani keniani rappresentava solo l’apice di un sistema sociale, politico ed economico allo sbando. Manifestando, denunciavano la corruzione sistemica della classe politica, più interessata ad aumentare il proprio tenore di vita che a investire in servizi pubblici e politiche sociali.
Ben presto, l’obiettivo delle proteste sono diventate le dimissioni del capo di Stato, William Ruto. Il quale ha risposto con un rimpasto dell’esecutivo che, però, di fatto, non ha cambiato nulla. Nel frattempo, molti giovani sono stati repressi dalla polizia – secondo Amnesty International (Ong per la difesa dei diritti umani) sono state uccise almeno cinquanta persone e tante altre – non meno di 80 – sono sparite nel nulla.
La morte di Ojwang
La storia ha poi iniziato a ripetersi a inizio giugno 2025, quando Albert Ojwang, giovane blogger e insegnante di Migori (Ovest del Paese), è stato arrestato. Accusato di aver pubblicato sui suoi profili social contenuti critici nei confronti del governo, è stato rapidamente trasferito a Nairobi, nella sede centrale della polizia. Il giorno successivo, le forze dell’ordine ne hanno annunciato il suicidio. Una tesi rapidamente smentita dall’autopsia che ha invece evidenziato ferite compatibili con la tortura a morte.
Infatti, che le forze dell’ordine keniane silenzino voci di dissenso e attivisti non è una novità. Secondo l’Independent policing oversight authority (ente che monitora la violenza della polizia keniana), negli ultimi quattro mesi, almeno 20 persone sono morte mentre erano in custodia. Poco prima dell’arresto di Ojwang, invece, Rose Njeri, sviluppatrice di software, era stata arrestata per aver ideato uno strumento digitale che facilitasse la partecipazione dei cittadini alle audizioni sulla nuova finanziaria. Il tutto mentre, paradossalmente, il governo incita i cittadini alla «partecipazione pubblica».
Nuove proteste, vecchia storia
Dopo la morte di Ojwang, i giovani keniani sono tornati in strada. Questa volta, oltre a criticare il nuovo innalzamento delle tasse previsto nella finanziaria del 2025 e il crescente costo della vita, hanno anche denunciato la violenza della polizia. E sono stati, di nuovo, repressi. Diversi manifestanti hanno denunciato di essere stati colpiti dai proiettili delle forze dell’ordine. Altri sono stati attaccati da un gruppo di ciclisti, armati di mazze e fruste e conosciuti per collaborare con la polizia.
Il 25 giugno poi, in occasione dell’anniversario delle proteste del 2024, in diverse città keniane, centinaia di persone sono scese in strada per commemorare le vittime e denunciare quanto la violenza sia un tratto distintivo delle forze dell’ordine. Anche quest’anno, si è sentito riecheggiare uno degli slogan delle proteste del 2024: «Ruto must go» (Ruto se ne deve andare).
A Nairobi, ci sono stati scontri tra la polizia e i manifestanti con il lancio incrociato di gas lacrimogeni e pietre. Almeno 16 persone sono morte e i feriti sono più di 400. Le attività commerciali e le scuole sono rimaste chiuse, mentre polizia ed esercito hanno bloccato le strade principali della capitale e i maggiori edifici governativi sono stati circondati con il filo spinato. Il ministro dell’Interno ha accusato i manifestanti di «tentato colpo di stato».
Ancora una volta, le città keniane si sono riempite di giovani in protesta, mostrando che la strada verso un Paese più giusto e democratico è ancora lunga.
Aurora Guainazzi