Dona il 5 per mille a Rivista MC

Inserisci la tua email e iscriviti alla nostra newsletter

Iran. Dubbi nucleari

La guerra dei 12 giorni: i danni e il motivo dei bombardamenti

Teheran. Israele ha iniziato gli attacchi all’Iran con l’obiettivo di distruggere gli impianti del programma nucleare iraniano che, stando ai rapporti dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), aveva ormai accumulato 400 kg di scorte di uranio arricchito di fino al 60% di U-235. Un tale livello è incompatibile con programmi civili, che utilizzano al massimo uranio arricchito al 20% di U-235. Vi sono reattori ad uso civile che possono essere alimentati con uranio arricchito al 60%, ma la quantità massima che questi reattori possono utilizzare è di 30-40 kg ogni 3-4 anni, molto inferiore, quindi, ai 400 kg prodotti dall’Iran.

Un secondo obiettivo che si era dato il governo israeliano, è l’eliminazione dei principali scienziati impegnati nel programma (almeno 14 di questi scienziati sarebbero stati eliminati). Se rimpiazzare tecnici e tecnologie è relativamente semplice e veloce, diverso è sostituire le menti di un programma come quello nucleare.

Le immagini diffuse dalle Agenzie governative mostrano folle di iraniani per le strade a difesa della teocrazia.
Gli oppositori sono molti ma ancora divisi.
Foto Meghdad Madadi per Tasnim News Agency.

Al tempo stesso, i missili di Tel Aviv hanno mirato alle capacità militari iraniane, in particolare colpendo le basi di missili balistici che l’Iran aveva puntato contro Israele per ritorsione in caso di attacco.

Del migliaio di missili predisposti da Teheran, nei successivi 12 giorni dopo l’attacco ne sono stati lanciati 543 missili balistici (circa il 50%) in 43 ondate, con un grado di successo che si aggira attorno all’11% (60 missili a bersaglio); il restante 89% (483 missili) sarebbe stato neutralizzato dalla difesa israeliana. Occorre notare, inoltre, che i sistemi di difesa israeliani non cercano di intercettare tutti i missili, ma solo quelli diretti verso centri abitati. Gli ordigni indirizzati verso zone isolate non sono oggetto di intercettazione immediata e vengono lasciati passare (questo è il motivo principale dell’11% non intercettato). Ancora più alta (99,99%) sarebbe stata l’intercettazione dei circa 1.000 droni lanciati dall’Iran su Israele (solo un drone avrebbe raggiunto l’obiettivo).

Ogni tipo di missile balistico lanciato su Israele ha un suo differente Cep (Circular error probable, Probabilità di errore circolare), il raggio di precisione con cui si colpisce un obiettivo stabilito.

I missili iraniani che hanno colpito Israele sono di quattro tipi: Fattah-1 (Cep 10-25 metri), Khorramshahr-4 (Cep 10-30 metri), Kheybar Sjekan (Cep 100-300 m) e infine i Ghadr (Cep 1,2 km) e gli Emad (Cep 2.000 m), gli ultimi due costruiti da un disegno nordcoreano.

Dopo giorni di silenzio, la Guida suprema, ayatollah Ali Khamenei, ha parlato alla Tv di Stato.
(Screenshot da video)

Dal 20 giugno, gli attacchi israeliani si sono concentrati sulle istituzioni iraniane, colpendo sedi militari, politiche della Guardia rivoluzionaria Islamica (Islamic revolutionary guard corps – Irgc, conosciuti come Pasdaran) a Teheran nonché impianti di produzione – sia militari che civili – di proprietà o gestiti dall’Irgc. Tra gli obiettivi colpiti vi sono la sede Imam Hassan Mojtaba dell’Irgc nella provincia di Alborz e il Comando per l’applicazione della legge iraniana. Sono stati presi di mira anche impianti energetici (ad esempio una raffineria di gas, un impianto di produzione di gas naturale, un deposito di petrolio a Teheran) costringendo l’Iran a rallentare la sua produzione energetica, già comunque fortemente limitata dalle sanzioni internazionali. L’intento di questa seconda fase di attacchi israeliani non sarebbe stato quello di far cadere il regime sostituendolo con un altro, quanto quello di dimostrare che l’Idf fosse in grado di colpire il cuore delle istituzioni iraniane. Israele è conscio che un drastico cambio di governo in Iran non garantirebbe automaticamente un cambio di politica verso lo Stato ebraico: preferisce quindi mantenere lo status quo facendo capire alla fazione più potente e più ostile verso Tel Aviv (l’Irgc) di essere costantemente sotto tiro.

Il risultato di questa politica è un indebolimento della fazione clericale e più ideologizzata (gli ayatollah) favorendo i Pasdaran, più duri nella loro condanna a Israele, ma anche più pragmatici e forse più propensi ad una intesa con Tel Aviv. Questo, però, comporta il rischio di un cambio generazionale verso un gruppo di rivoluzionari più inclini ad accelerare il programma nucleare in chiave militare. Se questo dovesse accadere, Israele è sempre pronta a riprendere gli attacchi, questa volta colpendo in modo più sistematico i quartieri generali dei Pasdaran in tutto il territorio iraniano.

I siti nucleari di Fordow, Natanz e Isfahan: quali danni?

I tre siti nucleari iraniani colpiti dai bombardamenti Usa (U.S. strikes).
(Screenshot da FoxNews)

Per quanto riguarda il programma nucleare iraniano, ogni rapporto sui danni compiuti dai bombardamenti è fuorviante.

Il Bda (Bomb damage assessment), l’unico documento che afferma con ufficialità il risultato delle azioni militari, non è stato ancora emesso e le relazioni fatte da singoli o da agenzie sono da prendersi con le pinze (comprese le dichiarazioni di Trump e quelle più recenti della Dia, la Defence intelligence agency, pubblicata dalla Cnn)

Le fotografie satellitare a disposizione dopo gli attacchi statunitensi del 21 giugno, mostrano sei crateri nel sito di Fordow, il principale centro di arricchimento d’uranio concentrati in due punti, che sono considerati i punti deboli del centro nucleare. In totale sarebbero state sganciate su Fordow 12 bombe Gbu-57 ad alta penetrazione.

David Albright, presidente dell’Institute for science and International security (Isis), ha dichiarato alla Cnn che le immagini satellitari suggeriscono che «la sala di arricchimento e le sale adiacenti che forniscono supporto all’arricchimento potrebbero aver subito danni considerevoli. La distruzione totale della sala sotterranea è del tutto possibile», aggiungendo però che una valutazione completa dei danni richiederà del tempo.

I bombardamenti di Natanz avrebbero arrecato danni molto più gravi sin dai primi attacchi israeliani, distruggendo la quasi totalità delle centrifughe presenti nel sito. Gli isotopi di uranio all’interno della struttura avrebbero aumentato la radioattività (che non si sarebbe sprigionata all’esterno), rendendo difficoltoso e pericoloso un suo ripristino a breve termine.

Natanz disponeva di tre siti sotterranei che sarebbero stati colpiti da due bombe Gbu-57 a cui si sono aggiunti missili da crociera.

Il terzo sito nucleare colpito dagli attacchi Usa è stato quello di Isfahan, un complesso inaugurato nel 1984 e costruito con l’aiuto della Cina e che è il cuore del programma nucleare iraniano. Qui, in sale sotterranee, che dalle immagini sarebbero state colpite da missili Tlam, verrebbe immagazzinato l’uranio arricchito. Le entrare oggi appaiono occluse da detriti e da terra, probabilmente accumulata dagli stessi iraniani per evitare dispersione di radioattività all’esterno.

A titolo di cronaca, un eventuale trasferimento delle centrifughe dai centri colpiti ad altri (come hanno fatto intendere aver fatto gli iraniani e le cui notizie sono state riprese acriticamente dai media italiani) non è cosa semplice: un impianto di arricchimento non si costruisce da un giorno all’altro e le centrifughe, per essere trasferite e rese operative, hanno bisogno di lunghe tempistiche oltre che tecnici specializzati, cosa di cui oggi l’Iran, dopo l’eliminazione dei fisici nucleari specializzati, manca.

Ciononostante, l’Iran avrebbe avuto il tempo di trasferire le scorte di uranio arricchito fino al 60% in siti segreti. Facendo questo, però, Teheran ammetterebbe di aver consciamente violato l’accordo Jcopa in almeno due punti: mantenendo siti non dichiarati all’Aiea e trasferendo materiale nucleare senza avvisare neppure in questo caso l’agenzia. Il direttore dell’Aiea, Rafael Mariano Grossi ha affermato che l’unico modo per avere la certezza sull’uranio arricchito iraniano è riprendere le ispezioni il prima possibile: «Non abbiamo informazioni sulla posizione di questo materiale», ha dichiarato in un’intervista alla Fox News.

L’uscita dalla Aiea

La sospensione degli accordi con l’Agenzia per l’energia atomica, organo dell’Onu, votata dal Parlamento iraniano mercoledì 25 giugno, potrebbe riflettere la volontà dell’Iran di riprendere l’arricchimento dell’uranio e rivedere i trattati Jcopa firmati nel 2015.

Piergiorgio Pescali, da Teheran

SCARICA IL PDFSTAMPA L'ARTICOLO

Ti è piaciuto questo articolo? Sostieni MC: ci aiuterai a produrre un’informazione approfondita senza pubblicità!

Cambiare il mondo comincia da te. Diamo voce ai valori umani: iscriviti e fai la differenza!