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Iran. Una tregua carica di incognite

Dopo i bombardamenti di Israele e Stati Uniti

Teheran, 24 giugno. L’annuncio del cessate il fuoco tra Iran e Israele, mediato dal presidente Trump, ha trovato Teheran in una posizione complessa e contraddittoria. Dopo dodici giorni di conflitto che hanno scosso il Medio Oriente, la tregua rappresenta un momento di svolta per gli equilibri interni della Repubblica islamica, dove le diverse anime del potere si confrontano su strategie e prospettive future.

La risposta iraniana al cessate il fuoco ha immediatamente evidenziato le tensioni interne al regime. Il ministro degli Esteri Abbas Araghchi ha inizialmente negato l’accordo annunciato da Trump, precisando che l’Iran ha intenzione di continuare la risposta militare finché Israele cesserà le sue aggressioni. Questa posizione riflette la necessità di mantenere un punto fermo davanti all’opinione pubblica interna, evitando di apparire come il soggetto che ha ceduto per primo.

Il silenzio prolungato della Guida suprema dopo gli attacchi Usa è particolarmente significativo. L’ayatollah Ali Khamenei ha impiegato più di 36 ore prima di rilasciare una dichiarazione pubblica, mentre la leadership militare ha rotto il silenzio attraverso dichiarazioni più moderate. Questo comportamento suggerisce un momento di riflessione strategica ai vertici del regime, dove si stanno probabilmente valutando le opzioni future e i rapporti di forza interni.

La popolazione iraniana ha accolto la notizia del cessate il fuoco con sentimenti contrastanti. Da un lato, il sollievo per la fine (o la temporanea interruzione) di una escalation che minacciava di trascinare il paese in un conflitto più ampio. Dall’altro, la frustrazione per un regime che ha portato l’Iran sull’orlo del baratro senza ottenere risultati tangibili. Le limitazioni imposte dall’economia di guerra e le conseguenze degli attacchi alle infrastrutture nucleari pesano sulla vita quotidiana dei cittadini, già provati da anni di sanzioni internazionali.

Teheran, che durante il conflitto aveva vissuto momenti di tensione con evacuazioni e timori di attacchi diretti, sta gradualmente tornando alla normalità. Tuttavia, la percezione di vulnerabilità rimane alta: gli attacchi israeliani hanno dimostrato che anche il cuore del potere iraniano non è inviolabile, infrangendo un mito che il regime aveva coltivato per decenni.

Il conflitto ha accentuato le tensioni tra i diversi soggetti. I Pasdaran (Guardie rivoluzionarie) erano emersi come il braccio più influente del regime durante l’escalation, gestendo tanto la strategia militare quanto quella diplomatica attraverso i loro proxy regionali. La loro influenza si era rafforzata a scapito dell’establishment clericale tradizionale, rappresentato dagli ayatollah.

Tuttavia, il cessate il fuoco potrebbe segnare un momento di riequilibrio e gli ayatollah potrebbero utilizzarlo per riprendere il controllo della narrativa e delle decisioni strategiche, presentandosi come i garanti della stabilità e della continuità del regime. La prudenza mostrata nella gestione del cessate il fuoco potrebbe essere interpretata come un segnale di questa ripresa di controllo da parte dell’establishment religioso.

Il ruolo futuro dei Pasdaran dipenderà largamente dalla loro capacità di adattarsi a una fase di de-escalation. Se durante il conflitto il loro peso politico era cresciuto, ora dovranno dimostrare di saper gestire anche la pace, mantenendo il controllo sui proxy regionali e sulle attività economiche che costituiscono una parte significativa del loro potere.

La foto di rito dei rappresentanti di vari paesi il giorno dell’accordo sul nucleare iraniano. Era il 2 aprile 2015, dieci anni fa. (Foto United States Departament of State)

Gli attacchi israeliani alle infrastrutture nucleari iraniane rappresentano un colpo significativo al programma atomico del paese. Tuttavia, la leadership iraniana potrebbe paradossalmente utilizzare questi attacchi come giustificazione per una ripresa più aggressiva del programma nucleare, presentandola come necessaria per la sicurezza nazionale.

La questione atomica rimane centrale per gli equilibri interni iraniani. I Pasdaran vedono nell’arma nucleare la garanzia ultima della loro influenza regionale, mentre una parte della classe clericale e civile preferirebbe una soluzione negoziata che alleggerisca le sanzioni economiche. Il cessate il fuoco potrebbe aprire uno spazio per questa seconda opzione, soprattutto se accompagnato da iniziative diplomatiche che offrano all’Iran una via d’uscita onorevole.

L’Iran post-tregua si trova a un bivio strategico. Da un lato, la necessità di ricostruire e modernizzare un’economia devastata dalle sanzioni spinge verso un approccio più pragmatico che potrebbe includere concessioni sul programma nucleare in cambio di un allentamento delle sanzioni. Dall’altro, l’ideologia rivoluzionaria e la necessità di mantenere la credibilità regionale spingono verso il mantenimento di una postura di sfida.

Il futuro degli equilibri interni dipenderà largamente dalla capacità del regime di gestire queste contraddizioni. Se gli ayatollah riusciranno a riprendere il controllo, sarà probabile una fase di maggiore pragmatismo, con aperture diplomatiche e tentativi di normalizzazione. Se invece i Pasdaran manterranno la loro influenza, l’Iran potrebbe continuare sulla strada del confronto, utilizzando il cessate il fuoco solo come pausa tattica per riorganizzarsi.

La società iraniana, intanto, osserva questi sviluppi con un misto di speranza e scetticismo, consapevole che il suo destino dipende dalle scelte che la leadership compirà nelle prossime settimane. Il cessate il fuoco rappresenta un’opportunità per tutti gli attori coinvolti, ma solo il tempo dirà se sarà sfruttata per costruire una pace duratura o semplicemente per preparare il prossimo round di confronto.

da Teheran, Piergiorgio Pescali

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