

Filippine. Dinastie al potere
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La critica l’ha chiamata «The game of thrones», richiamando la nota serie televisiva statunitense. La lotta per la conquista del trono che, in quel racconto fantastico, porta le più potenti e nobili famiglie a scontrarsi o allearsi tra loro in un contorto gioco di potere, ben si addice alla turbolenta lotta tra dinastie che, nelle Filippine, si contendono e si spartiscono il potere politico ed economico.
All’indomani di una rumorosa campagna elettorale durata due mesi, le elezioni di medio termine, tenute il 12 maggio, sono state una sorta di referendum per sondare il consenso alle due famiglie più potenti delle Filippine.
I leader dei due schieramenti in campo sono l’attuale presidente Ferdinand «Bongbong» Marcos jr. (rampollo del noto generale e dittatore Ferdinad Marcos sr.), e la vicepresidente Sara Duterte, figlia dell’ex presidente Rodrigo Duterte, predecessore di Marcos jr.
I due clan si allearono tre anni fa per la scalata, poi riuscita, al vertice dello Stato: nelle elezioni presidenziali del 2022, infatti, registrarono uniti una vittoria schiacciante. Ora sono coinvolti in un’aspra contesa che non ha ancora vincitori e vinti. L’alleanza si è prima incrinata e poi definitivamente sciolta in accuse reciproche: Marcos accusava Sara Duterte di aver minacciato di assassinarlo, lei lo ha tacciato di incompetenza e ha detto di sognare di decapitarlo.
In questo clima incandescente, il voto di medio termine ha coinvolto quasi 69 milioni di votanti, per oltre 18mila cariche pubbliche a tutti i livelli di governo: 354 seggi della Camera bassa del Parlamento, 12 seggi in Senato (la metà dei 24 che compongono l’assise) e governatori, sindaci e consiglieri locali in province e comuni.
Se la coalizione legata al presidente Marcos ha confermato di detenere la maggioranza alla Camera bassa, i seggi in palio in Senato hanno attratto in particolare l’attenzione politica e mediatica: solo sei dei 12 senatori eletti appartengono all’alleanza di Marcos e, tra questi, una, Camille Villar, ha accettato anche l’appoggio di Sara Duterte, dunque non andrebbe conteggiata tra i sostenitori del presidente. Quattro senatori sono nel campo di Duterte e due di loro sono tra i primi tre candidati più votati. I senatori vengono eletti con un semplice voto a suffragio nazionale, il che è un buon indicatore dell’orientamento dell’elettorato.
Sara Duterte, attuale vice presidente, è stata messa in stato d’accusa il 7 febbraio scorso dalla Camera dei Rappresentati, in un voto di impeachment che dovrà essere confermato o annullato dal Senato, dove sarà necessaria la maggioranza dei due terzi per incriminarla: per questo le elezioni del Senato si presentavano come decisive nella tornata elettorale.
L’impeachment, per cui l’assise voterà probabilmente nel mese di luglio, comporterebbe l’esclusione di Sara Duterte dalle cariche pubbliche, ponendo fine alla sua ambizione di correre per la presidenza alle prossime elezioni. Il voto nella Camera bassa ha definitivamente rotto gli equilibri e dichiarato lo scontro politico aperto tra i clan Marcos e Duterte.
Successivamente, a marzo, il presidente Marcos ha deferito il padre di Sara, l’ex presidente Rodrigo Duterte, alla Corte penale internazionale perche rispondesse delle accuse di crimini contro l’umanità per la cosiddetta «guerra alla droga» da lui lanciata e promossa nel sessennio della sua presidenza. E l’uomo è stato arrestato e condotto in carcere a l’Aja per la sua campagna che, secondo i dati ufficiali del governo filippino, portò alla morte di 6.248 persone (secondo il procuratore della Corte penale internazionale, invece, tenendo conto delle moltissime morti avvenute in circostanze poco chiare, le vittime sarebbero state 30mila).
Il voto nazionale del 2025 non fa che confermare un dato: la politica nelle Filippine è un affare di famiglia, segnato dal crony capitalism, il “capitalismo dei compari” perchè una oligarchia detiene anche il potere economico, con il settore bancario, i latifondi, l’industria estrattiva.
Sono circa 200 le famiglie più influenti. I Marcos sono in politica da 80 anni. Il padre dell’attuale presidente governò dal 1965 al 1986, impose la legge marziale e venne esautorato dalla rivoluzione popolare non violenta del 1986. Nella provincia natale del presidente, Ilocos Norte, i suoi parenti sono governatori, sindaci e consiglieri comunali. Lo stesso dicasi per i Duterte nella roccaforte di Davao, città sull’isola di Mindanao, nel Sud dell’arcipelago. Anche se detenuto in una cella, l’ex presidente Rodrigo Duterte si è candidato a sindaco di Davao e ha stravinto, pur senza aver mai incontrato i cittadini. E il vicesindaco eletto, che in sua assenza ne farà le veci, è suo figlio Sebastian. I Duterte sono stati sindaci di Davao per 34 degli ultimi 37 anni. E le elezioni hanno dimostrato che godono ancora di un forte sostegno popolare.
È difficile prevedere cosa accadrà ora, e il primo decisivo banco di prova sarà il voto per l’impeachment di Sara Duterte.
Un fattore che desta interesse è l’elezione a sorpresa dei senatori Bam Aquino e Francis Pangilinan, entrambi appartenenti all’ala liberale della politica. Due uomini fuori dalla faida. La loro presenza è un piccolo segno – anche se forse ancora non proprio determinante – di cambiamento.
Paolo Affatato