

Turchia. Minoranze e dialogo
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Le minoranze afflitte da discriminazioni giuridiche. Le difficoltà post terremoto. I luoghi delle prime comunità cristiane, ormai quasi privi di cristiani. I pellegrinaggi come occasioni di incontro e dialogo tra fedi. La Turchia, sempre più islamista, di Erdogan.
«L’ecumenismo e il dialogo interreligioso, […] vengono vissuti da noi nella nostra quotidianità», ha detto monsignor Antuan Ilgit nel novembre scorso ai media vaticani. Il gesuita, amministratore apostolico di Anatolia, primo vescovo cattolico di nazionalità turca, da poco nominato da papa Francesco a succedere al confratello monsignor Paolo Bizzeti, fotografa così i rapporti tra le fedi in Turchia. Il dialogo tra le confessioni all’interno della minoranza cristiana, e con le altre fedi, a partire dall’islam sunnita, è parte della vita quotidiana in questo Paese centrale nello scacchiere geopolitico globale.
In Turchia, la libertà religiosa sulla carta è garantita, e, come constatiamo in prima persona, gli stranieri che vi arrivano sono accolti con favore. Ma, nella quotidianità dei cittadini, i problemi sono enormi. A partire dalla difficoltà di costruire nuove chiese o aprire seminari.
«La discriminazione sistematica delle minoranze religiose in Turchia è per lo più di tipo giuridico, non cruento, ma il risultato, a lungo termine, sembra essere ugualmente grave», denuncia la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) nel suo ultimo rapporto sulla libertà religiosa nel mondo.
La popolazione turca, di circa 85 milioni di persone, conta una maggioranza assoluta di musulmani sunniti. Per il governo, questi rappresentano il 99%, benché circa 10-25 milioni di essi (secondo l’Uscirf, United states commission on international religious freedom) siano in realtà aleviti, il cui credo, di derivazione sciita, non è riconosciuto, ed è anzi osteggiato nel Paese. Il resto della popolazione, meno dell’1%, è costituita da cristiani ortodossi greci e siriaci, cristiani cattolici romani e caldei, cristiani armeni apostolici e protestanti, baha’i, ebrei, yazidi, testimoni di Geova e altri. Anche l’Uscirf spiega che «le condizioni della libertà religiosa in Turchia sono preoccupanti, con il perpetuarsi di politiche governative restrittive e intrusive sulla pratica religiosa e un netto aumento degli episodi di vandalismo e violenza sociale contro le minoranze. Il governo continua, inoltre, a interferire indebitamente negli affari interni delle comunità religiose».

Nicea 325
A fine maggio, si celebrano nel Paese i 1.700 anni del Concilio di Nicea. Un’occasione per rafforzare il dialogo ecumenico tra le confessioni cristiane, e anche quello tra le diverse fedi.
«Le autorità della Turchia – riferisce il vescovo di Istanbul, monsignor Massimiliano Palinuro – ci hanno mostrato i loro progetti per Nicea. La zona, da questo 2025, sarà attrezzata per accogliere i pellegrini e rendere fruibile il sito archeologico del luogo nel quale si celebrò il primo Concilio ecumenico».
È chiaro che, al di là degli interessi storici o culturali, quello principale per la Turchia riguarda il turismo religioso. Quest’ultimo, infatti, dopo il 7 ottobre 2023, a causa della guerra tra Israele e Hamas a Gaza che ha reso più difficili i viaggi nella terra di Gesù, si è spostato verso l’Anatolia, la terra dove, per la prima volta, i membri della Chiesa furono chiamati cristiani.
Allo stesso tempo è vero che, come ci dice padre Alessandro Amprino, cancelliere dell’arcidiocesi di Smirne, «la Chiesa ha la possibilità di crescere nel dialogo con chi non è cristiano».
Il dialogo è sempre stato al centro della pastorale di monsignor Antuan Ilgit: «In questa terra, già da secoli – ha detto al momento della sua ordinazione episcopale nel 2023 -, si sperimenta il dialogo e il cammino tra le differenti realtà cristiane nella quotidianità, condividendo le stesse sorti, gioie e dolori. E lo stesso vale per il dialogo interreligioso con l’islam».

Pellegrinaggi e incontro
Un volano di incontro e dialogo sono i pellegrinaggi in crescita, soprattutto quelli cattolici.
L’Opera romana pellegrinaggi (Orp), per esempio, propone viaggi nella terra dei Concili e, in particolare, a Nicea.
Suor Rebecca Nazzaro, responsabile dell’Orp, sottolinea come Nicea sia «il luogo che papa Francesco ha indicato come importantissimo da ricordare. Quest’anno sono 1.700 anni dal Concilio nel quale è stata proclamata la divinità di Cristo Gesù nell’unità della Chiesa. […] è il fondamento del Credo che recitiamo tutte le domeniche a messa». Ma i pellegrinaggi interessano molte zone della Turchia. Il Paese è, infatti, ricchissimo di tracce delle prime comunità cristiane che qui si sono sviluppate grazie a san Paolo, san Nicola, san Pietro e san Giovanni.
La Madonna di Efeso, venerata dai musulmani

Visitiamo a Efeso, nella provincia occidentale di Smirne, un santuario cristiano, frequentato soprattutto dai musulmani: è quello di Meryem Ana, la Casa di Maria, il luogo nel quale tradizionalmente la Madonna visse dopo la morte di Gesù, insieme all’apostolo Giovanni.
Efeso è, dunque, un ponte tra islam e cristianesimo. Lo è Meryem Ana, ma anche il grande parco archeologico dove si trovano i resti della prima basilica dedicata alla Madonna, come anche l’anfiteatro nel quale predicava san Paolo agli efesini.
Oggi, nella terra dove si sono sviluppate le prime comunità di seguaci di Cristo, i cristiani sono pochissimi, non possono celebrare ovunque e, soprattutto, non possono svolgere una vera e propria opera missionaria.
Tuttavia, si vedono germogliare, anche grazie ai pellegrinaggi e al turismo religioso, semi di dialogo e rispetto reciproco.
A raccontarci la devozione delle famiglie islamiche per la Madonna di Efeso sono Caterina e Antonietta, laiche consacrate della famiglia delle Discepole di Maria e dell’apostolo Giovanni.
Entrambe hanno lasciato l’Italia, rispettivamente Salerno e Avellino, dieci anni fa per la Turchia, e da nove vivono a Efeso.
«Per i musulmani, questo posto è un “ibadet yeri”, un luogo sacro, benedetto. Infatti, nel Corano c’è una Sura – ricorda Antonietta – che dice che Maria è la donna più santa tra tutte le donne. E molti musulmani si affidano a lei per avere un bambino. Ci è capitato di incontrare alcune donne musulmane, venute qui per ringraziare la Madonna dopo aver chiesto la grazia di un figlio».
«La Casa della Madonna è un po’ come un ponte tra il cristianesimo e l’islam. Qui pregano sia cristiani che musulmani, e questo è un segno che nella casa di Maria c’è qualcosa di particolare», ci confidano le consacrate.
Antiochia, i segni del sisma

Il cartello stradale con l’indicazione «katolik kilisesi», Chiesa cattolica, porta in un vicolo stretto e anonimo di Hatay, l’antica Antiochia, all’estremo Sud del Paese. L’ingresso dell’edificio è sobrio come quello delle tante case basse del borgo.
Da qui, Aleppo, in Siria, dista un centinaio di chilometri. Istanbul, invece, 1.100.
Nel convento dei cappuccini vivono dieci frati, sia italiani che di altri Paesi.
Uno dei saloni della casa è stato sistemato con icone e altare per poter celebrare la messa. Questa casa chiesa, intitolata ai santi Pietro e Paolo, è l’unico luogo di culto cattolico in città.
Ad Antiochia, dove i discepoli di Cristo furono per la prima volta chiamati «cristiani», e dove vissero san Pietro e san Paolo, oggi i cattolici sono un centinaio, mentre complessivamente i cristiani sono poco più di un migliaio. Ci sono una decina gli ebrei, mentre, per il resto, la città di 1,2 milioni di abitanti è musulmana.
Oggi, a distanza di due anni dal terribile sisma che colpì l’area, Antiochia resta in gran parte un cumulo di macerie. Sulle rive dell’Oronte sono al lavoro gru per ricostruire la città, ma gran parte della popolazione vive ancora nei centri di accoglienza temporanei o nei villaggi vicini, ospiti di parenti e amici.
Quel 6 febbraio del 2023, quando la Turchia, insieme alla vicina Siria, fu colpita da uno dei terremoti più violenti della storia, la casa dei cappuccini rimase in piedi. Con molti danni, ma niente al confronto con la distruzione attorno.
In questo convento, ha vissuto in missione per quasi 35 anni padre Domenico Bertogli, che da qualche tempo si è trasferito a Istanbul: «Ad Antiochia c’è sempre stato dialogo e rispetto», ci ha detto il frate, oggi quasi novantenne, da 58 anni missionario in Turchia. Lui ad Antiochia ha celebrato «ventisei battesimi» in famiglie non cristiane. «La convivenza c’è sempre stata, è importante però che il dialogo parta dalla propria identità. Io dico sempre: questa è la mia fede. Ma senza proporre e imporre nulla».
Padre Bertogli conserva ancora oggi un Corano regalatogli da una donna musulmana.
Il terremoto del febbraio 2023 ha ridotto in polvere anche un’antichissima moschea di Hatay che, per la sua storia, rappresentava un simbolo di questo proficuo dialogo tra le fedi. Risaliva al VII secolo, ed era dedicata, forse unico caso al mondo, a un «santo» cristiano, Habib-i Nejjar, che, secondo la tradizione, fu punito e martirizzato perché cercò di proteggere e nascondere san Paolo e san Barnaba arrivati in città.
L’imam della moschea, che avevamo incontrato a novembre del 2022, tre mesi prima del terremoto, spiegava che Habib-i Nejjar era venerato dai musulmani proprio per il gesto di generosità nei confronti dei cristiani.
Anche a Iskenderun, a circa 50 km a Nord di Antiochia, restano le ferite del terremoto. «Non se ne parla più – dice monsignor Antuan Ilgit ai media vaticani -, ma la situazione rimane tuttora grave con una precarietà evidente anche qui, dove c’è la sede del nostro vicariato. Il governo turco sta cercando di fare la sua parte: il terremoto ha colpito una zona geograficamente enorme.
Noi abbiamo ancora la nostra cattedrale da ricostruire, e siamo costantemente in contatto con le autorità locali e centrali cercando di superare alcune difficoltà burocratiche».

Tarso, città museo

Conta i danni del terremoto anche Tarso, la città natale di san Paolo. La chiesa a lui dedicata è oggi un complesso monumentale usato per concerti ed eventi culturali, e per visitarla si paga un biglietto di ingresso.
Non è possibile celebrarvi la messa: i pellegrini cattolici, fino a qualche anno fa, potevano farlo nel convento delle suore della Congregazione delle figlie della Chiesa che avevano adibito una stanza della loro abitazione per il culto. Erano in tre fino al gennaio 2021, quando il Covid si è portato via una di loro, suor Maria Concetta Mustacciu.
Al momento a Tarso non c’è più neanche quella presenza.
«Dire cosa “facciamo” a Tarso – raccontavano le religiose sul portale della loro Congregazione -, città completamente islamica, non è cosa facile. Accogliamo i pellegrini che passano sulle orme di Paolo. Nessun altro tipo di attività è possibile qui, ma noi siamo convinte che la nostra missione non è quella di fare; è semplicemente una missione di presenza: esserci e basta».
Anche il pozzo di san Paolo, all’ingresso della città, è più un’attrazione turistica che un luogo di devozione. Un tempo, quando Tarso era a maggioranza cristiana, si credeva che quell’acqua potesse guarire.
La difficoltà di «vivere», e non solo visitare, i luoghi santi della cristianità resta un vulnus nei pellegrinaggi che spesso fanno riferimento solo alle pietre del passato più che alle «pietre vive» dell’oggi. Il contrario di quello che accade, per esempio, in Palestina, dove i cristiani sono pochi, ma la memoria dei luoghi è vissuta anche grazie alla possibilità di pregare e partecipare alle celebrazioni.
Francescani e dialogo

Nonostante le difficoltà, comunque, il dialogo resta un obiettivo forte. È in questa ottica che la comunità francescana in Turchia ha organizzato per il prossimo autunno, dal 12 al 25 ottobre 2025, un incontro di formazione per il dialogo interreligioso ed ecumenico che si terrà presso il Convento di Santa Maria Draperis, a Istanbul.
«Questo programma – spiega fra Eleuthere Makuta – è stato iniziato dall’Ordine Francescano 19 anni fa per continuare il dialogo nello spirito di san Francesco, e coerentemente con gli sforzi di papa Francesco per promuovere la pace e l’armonia tra le nazioni e le religioni». Inoltre, fa notare il francescano, «il 2025 è l’anno giubilare nel quale si commemorano anche gli 800 anni del Cantico delle Creature di san Francesco. Avremo l’opportunità di ascoltare persone che condivideranno le loro esperienze, e i partecipanti stessi che visiteranno vari luoghi per acquisire esperienze di dialogo interreligioso ed ecumenico».

(© Manuela Tulli)
I limiti alla libertà
In questa ricerca di concordia, non mancano gli attriti.
La trasformazione, a Istanbul, della basilica di Santa Sofia in moschea nel 2020 è stata uno di questi. Già basilica cristiana, nel 1453 Santa Sofia fu convertita dagli ottomani in moschea. Nel 1935, durante la repubblica laica di Atatürk, fu trasformata in museo. Nel 2020 è tornata a essere una moschea.
Il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, ad agosto 2020, qualche giorno dopo la decisione del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ha detto: «Siamo stati feriti dalla conversione della basilica di Santa Sofia e della chiesa di Chora in moschee. […] Questi due monumenti unici di Costantinopoli furono costruiti come chiese cristiane. Esprimono lo spirito universale della nostra fede».
Altra ferita è quella degli attentati nelle chiese da parte di fondamentalisti islamici.
Anche se sporadici, sono il segno di una certa insofferenza nei confronti della minoranza cristiana. Aiuto alla Chiesa che soffre, al proposito denuncia: «In Turchia, la piccola comunità cristiana, lo 0,2% della popolazione, è oppressa a causa della progressiva reislamizzazione della società. Attacchi contro le chiese, arresti ingiustificati, impossibilità di ottenere il pieno riconoscimento giuridico delle Chiese cattolica e protestante, proibizione di costruire i seminari delle Chiese cattolica, armena e greco ortodossa, ripetute offese contro la cultura cristiana: sono solo alcune delle preoccupanti manifestazioni di questo pericoloso connubio fra islamismo di Stato ed estremismo di alcuni gruppi sociali».
Ma ci sono anche altri ostacoli al dialogo: «L’educazione religiosa – si legge nell’ultimo Rapporto di Acs – è obbligatoria nelle scuole pubbliche primarie e secondarie, nelle quali viene insegnato esclusivamente l’islam sunnita. Gli studenti di fede cristiana o ebraica possono essere esentati […], previa esplicita richiesta dei loro genitori. Il governo continua a rifiutarsi di concedere tale possibilità anche agli aleviti e agli appartenenti ad altre fedi, che sono invece tenuti a frequentare le lezioni di islam sunnita».
A sottolineare la difficoltà di muoversi in queste ristrettezze giuridiche è anche monsignor Paolo Bizzeti, ex amministratore apostolico del vicariato di Anatolia, innamorato della Turchia fin dalla sua giovinezza. Ci confida che, durante i suoi tanti anni in Turchia, ha assistito a un crescente interesse dei turchi per il cristianesimo: «In ogni parrocchia ci sono dei turchi che chiedono di diventare cristiani». Questi processi, però, non sono facili, perché le persone «hanno bisogno di un accompagnamento e non sempre è possibile offrirglielo».
Bizzeti parla della libertà religiosa e spiega: «La Chiesa cattolica in Turchia non ha personalità giuridica, come non ce l’ha la Caritas. Non si possono costruire cappelle, erigere seminari, ed è anche difficile a volte ottenere permessi di soggiorno per gli operatori pastorali».
Tutto è ancora legato al Trattato di Losanna del 1923, firmato alla fine della prima guerra mondiale. In quell’accordo, la religione cattolica non venne parificata all’islam. «Questo Trattato ha oltre cento anni. Non credo che la Turchia lo voglia mettere in discussione – dice Bizzeti -. E noi?».
Manuela Tulli
