Inserisci la tua email e iscriviti alla nostra newsletter

Alle armi, alle armi!

L’Europa e la corsa al riarmo
È da mesi che questo grido risuona nei paesi europei. È giustificato? Il vecchio continente è veramente così debole rispetto alla Russia di Putin? La retorica militarista e il peso dell’apparato industriale.

Da molti mesi sembra ormai essersi consolidato un consenso nei governi nazionali e nelle istituzioni europee, secondo cui l’Europa non ha abbastanza mezzi per difendersi da potenziali minacce militari. In particolare, dalla minaccia russa. Questa percezione di inadeguatezza è acuita dalla possibilità che gli Stati Uniti, con l’amministrazione Trump, riducano o annullino il loro ruolo nell’Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord (North Atlantic treaty organization, in sigla Nato). Di qui, gli appelli ad aumentare drasticamente – di svariate centinaia di miliardi di euro l’anno – le spese militari dei paesi europei membri di questa alleanza. La domanda a cui vogliamo tentare di rispondere è la seguente: l’Europa è veramente così debole rispetto alla Russia?

Europa e Russia

Se si esaminano i dati di una fonte affidabile, come il Military balance dell’International Institute for Strategic Studies (Iiss) di Londra, la risposta è: «No!», almeno se si raffrontano i principali equipaggiamenti convenzionali dei trenta paesi europei della Nato (esclusi – quindi – Stati Uniti e Canada) con quelli della Russia.

Si tratta – in particolare – dei sistemi d’arma oggetto del Trattato sulle forze convenzionali in Europa del 1990, quelli ritenuti i più adatti a conquistare e mantenere un territorio: carri armati, corazzati per trasporto truppe, calibri d’artiglieria di almeno 100 mm, aerei da combattimento, elicotteri d’attacco.

Come si può vedere dalla tabella (con dati del 2024, alla pagina seguente), in tutte queste categorie la Russia è in forte svantaggio rispetto ai paesi europei della Nato: possiede meno della metà dei carri armati, degli aerei e dei pezzi d’artiglieria, circa un terzo dei corazzati per il trasporto truppe. I sistemi d’arma in possesso delle forze armate bielorusse, unico alleato europeo della Russia, non cambierebbero di molto questo quadro. Si deve anche considerare che molti degli attuali armamenti pesanti russi sono costituiti da vecchio materiale risalente a decenni fa, recuperato dai magazzini per rimpiazzare le enormi perdite subite nel corso del conflitto in Ucraina.

Anche in altre categorie, stessa storia. Gli europei, rispetto ai russi, hanno più aerei da trasporto, più aerei da rifornimento in volo, più aerei di allarme, sorveglianza e controllo (Awacs), ma meno satelliti. Se in questo quadro si inseriscono gli alleati d’Oltre Atlantico, la superiorità occidentale diventa schiacciante. Al di là dei numeri, poi, la qualità degli armamenti occidentali è universalmente ritenuta superiore a quella degli equivalenti russi.

Si deve anche ricordare come le forze navali Nato siano non solo maggiori, ma pure in grado di contenere la marina russa in aree molto limitate, come i mari Nero, Baltico e quelli della zona artica.

Carro armato distrutto. Foto Justin Campbell-Unsplash.

Truppe e spese a confronto

Consideriamo ora le truppe dei soli paesi europei della Nato; anche in questo caso sono numericamente superiori a quelle russe (1,8 milioni rispetto a 1,1 milioni nel 2024), mentre il numero dei riservisti vede in modesto vantaggio la Russia. Anche riguardo alla popolazione complessiva, l’Europa è in vantaggio: Francia, Italia e Spagna assieme hanno più abitanti della Russia (150 milioni), mentre l’Unione europea ne ha tre volte tanti (450 milioni).

Per quanto riguarda la spesa militare, sempre sulla base dei dati del Military balance, valutata in dollari a tassi di cambio correnti, quella dei paesi europei della Nato era nel 2024 pari a 3,7 volte quella della Russia (a parità di potere d’acquisto, circa una volta e mezzo). Se poi paragoniamo le economie nazionali, il Prodotto interno lordo (Pil) russo era nel 2023 il 10% di quello dell’Unione europea misurato in dollari a tassi di cambio correnti (il 25% a parità di potere d’acquisto).

Nonostante queste importanti superiorità, che smentiscono ogni situazione di emergenza per il settore militare europeo, si può, però, concordare sul fatto che alcuni miglioramenti siano opportuni, specie nel caso di un disimpegno americano.

Ad esempio, quello di dotarsi di satelliti per comunicazioni e osservazione senza il bisogno di sborsare centinaia di miliardi. Ad esempio, la costellazione europea di satelliti «Iris2» costerebbe circa undici miliardi di euro, spalmati su diversi anni.

Domande senza risposte

Si sente dire che i paesi europei devono aumentare la percentuale di Pil dedicato alla difesa, anche di vari punti.

Se si passasse dal circa 2% di oggi al 3,5%, gli europei si impegnerebbero a spendere 840 miliardi di dollari, rispetto ai 480 attuali, ovvero quanto gli Stati Uniti, a parità di potere d’acquisto.

Perché mai si dovrebbe farlo? L’Europa ha forse le ambizioni militari globali di Washington? O si tratta semplicemente di dare un segnale alla Russia che si è disposti ad andare a uno scontro militare?

È – comunque – paradossale che il dibattito sul livello di spesa da raggiungere non venga mai accompagnato da una spiegazione di come questi denari verrebbero impiegati, di cosa dovrebbero comperare.

Il 12 dicembre 2024 a Bruxelles, nella sua prima uscita pubblica come nuovo segretario generale della Nato, Mark Rutte ha dichiarato: «È ancora in corso il processo per stabilire le capacità da raggiungere; speriamo di chiuderlo prima dell’estate del 2025». Ma quando gli è stato chiesto se, una volta fatte le scelte, sapremo quali capacità la Nato vuole acquisire, non ha assicurato nulla. Per contro, Rutte ha le idee molto chiare su dove reperire tutti questi soldi.

«So che spendere di più per la difesa significa spendere meno per altre priorità. Ma solo poco di meno. I paesi europei spendono in media fino a un quarto del loro reddito nazionale in pensioni, sanità e sicurezza sociale. Abbiamo bisogno di una piccola parte di quei soldi per rafforzare molto la nostra difesa e preservare il nostro modo di vivere».

A ben guardare, Mark Rutte non sbaglia a dire che la montagna di denaro richiesta dalla Nato deve provenire da tagli a pensioni, sanità e sicurezza sociale. Fatta eccezione per la Germania, infatti, tutti gli Stati europei che hanno economie significative – Francia, Italia, Spagna e, fuori dall’Unione europea, la Gran Bretagna – hanno già troppo debito pubblico per poterne fare altro. Sebbene sia vero che i Paesi baltici e la Polonia hanno già molto aumentato le loro spese militari, resta il fatto che il loro Pil è modesto e quello che conterà veramente per aumentare sostanzialmente le risorse per la difesa europea sono le scelte dei principali paesi, quelli che abbiamo citato, tra cui il nostro.

Aereo militare dell’inglese Raf – Royal air force – dotato di un sistema radar di sorveglianza. Foto Royay Air Force-Ministry of Defence.

La frammentazione della Nato

La Russia ha un solo vantaggio rispetto all’Europa: è una realtà politica singola, mentre nella Nato ci sono i paesi della Unione europea (tranne i neutrali: Austria, Cipro, Irlanda e Malta), più sette nazioni extra Ue (Albania, Islanda, Montenegro, Macedonia del Nord, Norvegia, Turchia e Regno Unito). Questa frammentazione è motivo di lentezza, inefficienza e di grandi sprechi. Per questo è sorprendente che nella discussione sulla sicurezza europea non emerga la sola tematica che potrebbe cambiare la situazione: la formazione di un esercito europeo, o perlomeno la creazione di quanti più comandi e reparti integrati possibili.

L’arsenale nucleare

Qualche lettore potrebbe far notare che i russi dispongono di un cospicuo arsenale nucleare, assai superiore alle corrispondenti forze in possesso dei paesi europei. Includendo tutti gli ordigni, sia quelli strategici che tattici (i primi essendo destinati a minacciare i più importanti centri politici e militari dell’avversario, nonché le grandi conurbazioni; i secondi pronti per essere impiegati sul teatro di guerra), i russi dispongono di circa 5.600 testate, mentre la Francia ne ha trecento e la Gran Bretagna poco più di duecento. Dell’arsenale nucleare russo, una parte considerevole è costituito da ordigni tattici e questi sono in buona parte schierati sul fronte occidentale, per controbilanciare la superiorità convenzionale occidentale. Ma si farebbe un grave errore se, con le armi nucleari, ci si limitasse a fare solo confronti numerici.

Navi militari in rada. Foto Konstantin-Pixabay.

La questione della deterrenza

Il punto per l’Europa è la deterrenza: si vuole ridurre al massimo la probabilità di un attacco. Per questo bastano, però, gli arsenali atomici francese e britannico attuali, dato che entrambi i paesi dispongono di sistemi di lancio affidabili e invulnerabili, come i missili sui sommergibili.

Il problema è semmai concordare a livello politico l’estensione della copertura nucleare di Parigi e Londra agli altri membri dell’Unione europea e convincere amici (e avversari) della validità di questa garanzia. In fondo è la stessa delicata questione che ha sempre messo in dubbio la credibilità dell’ombrello atomico statunitense: un presidente americano metterebbe a rischio New York o Washington per difendere Berlino, Roma o Madrid?

Proprio le bombe nucleari ci offrono un esempio di come l’entusiasmo riarmista possa portare a risposte esagerate.

Negli anni Ottanta gli arsenali delle superpotenze Usa e Urss contenevano più di 70mila testate nucleari, grosso modo equamente divise; un numero capace di cancellare la civiltà umana dalla faccia della Terra, se fossero state impiegate. Che tale numero fosse esagerato, anche da un punto di vista esclusivamente militare, lo dimostra il fatto che, dopo lunghe trattative, buona parte di questo arsenale fu poi smantellato, ciò che rappresentò un notevolissimo spreco di risorse: gli Stati Uniti spesero, infatti, dal 1945 al 1995 almeno 4 trilioni (4mila miliardi) di dollari per il loro programma atomico militare. Oggi i paesi europei rischiano di ripetere un errore simile: avanti a testa bassa a spendere per armamenti inutili.

Un mezzo militare di terra. Foto Military Material.

La retorica militarista

Sembra che ancora una volta gli insegnamenti della storia siano dimenticati. Tra questi la raccomandazione del presidente (ed ex generale) statunitense Dwight Eisenhower, il quale, alla fine del suo mandato, mise in guardia contro l’influenza del complesso militare industriale, sempre impegnato a cercare di aumentare i propri profitti.

Per concludere, un aumento drastico delle spese militari europee è ingiustificato, non solo per le armi che già possediamo, ma anche per la pessima prova che le forze armate russe hanno dato di sé nell’aggressione all’Ucraina, dimostrandosi incapaci di conseguire progressi rapidi e decisivi, malgrado un enorme dispendio di risorse umane e materiali. Ed è proprio questo esercito inefficace che dovrebbe conquistare l’Europa?

È auspicabile un abbandono della retorica militarista e un ritorno alla pratica politica e diplomatica, che tenga presente da una parte le necessità e le sensibilità delle varie parti che si confrontano, e dall’altra la necessità di usare le risorse disponibili per affrontare i gravi problemi – dal cambiamento climatico alla povertà – che l’umanità si trova di fronte.

Marco De Andreis e Mirco Elena (*)

(*) Marco De Andreis fa parte del consiglio scientifico dell’Unione scienziati per il disarmo (Uspid). Mirco Elena è un fisico, divulgatore scientifico, membro del consiglio scientifico dell’Uspid e del consiglio direttivo della Scuola internazionale sul disarmo e la ricerca sui conflitti (Isodarco).

Le organizzazioni Uspid e Isodarco

● L’Unione degli scienziati per il disarmo (Uspid) è un’associazione di scienziati e ricercatori costituita nel 1983 con l’obiettivo di fornire informazione e analisi su controllo degli armamenti e disarmo, incluse quelle relative all’impatto ambientale e ai costi umani. Organizza convegni, predispone studi, produce articoli di analisi e opera per divulgare al pubblico le tematiche relative alla sicurezza internazionale. www.uspid.org

● L’International school on disarmament and research on conflicts (Scuola internazionale sul disarmo e la ricerca sui conflitti, Isodarco) è una Ong fondata nel 1966. Offre a giovani laureati e laureandi, ma anche a persone interessate alla pace e alle relazioni internazionali, dei corsi residenziali su temi che spaziano dagli aspetti tecnici della corsa agli armamenti, alla cyberguerra, alle tensioni etniche, al terrorismo. Nel 2017, Isodarco ha ricevuto una medaglia dal presidente Mattarella e, nel 2016, i complimenti dell’ex presidente Usa Obama. www.isodarco.it

La bandiera della Nato e quella dell’Ucraina, paese invaso dalle truppe russe di Putin. Foto Wilfried Pohnke-Pixabay.
SCARICA IL PDFSTAMPA L'ARTICOLO

Ti è piaciuto questo articolo? Sostieni MC: ci aiuterai a produrre un’informazione approfondita senza pubblicità!

Cambiare il mondo comincia da te. Diamo voce ai valori umani: iscriviti e fai la differenza!