

India-Pakistan. L’azzardo di Modi
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Lo scorso 7 maggio, l’India ha dato inizio all’«operazione Sindoor» (vermiglio, in italiano), in risposta a un attentato terroristico avvenuto nel Kashmir indiano il 22 aprile, giorno in cui degli attentatori hanno ucciso diversi turisti indiani che si trovavano in quella zona. Il colore vermiglio è un riferimento al rosso che le donne hindu portano nella scriminatura dei capelli, come tradizionale simbolo del matrimonio. Il nome dell’operazione prende spunto da una foto scattata dopo l’attentato, dove una giovane sposa è rimasta in ginocchio accanto al cadavere del marito, ucciso nell’ attacco.
Tuttavia, il Pakistan ha respinto con forza qualsiasi coinvolgimento con l’attentato, e ha chiesto un’investigazione indipendente a riguardo.
«L’ attacco dell’India è stato il peggiore mai perpetrato, ai danni di civili, che la storia recente possa ricordare». Così ha dichiarato Omar Abdulla, primo ministro del Kashmir. Inoltre, questa volta i bersagli sono andati ben oltre la zona di conflitto contesa.
La notte del 7 maggio, infatti, i missili indiani hanno colpito la moschea di Muribke, a circa 40 km da Lahore, capitale della regione del Punjab. Qui, sono rimaste uccise tre persone. Nelle stesse ore, a Bahawalpùr (un’area a Sud del Punjab), è stata colpita una seconda moschea dove sono morte 13 persone, tra cui due bambine di tre anni. Poco dopo, altri attacchi hanno colpito la zona di confine tra Pakistan e India, portando il numero delle vittime a 31 civili e numerosissimi feriti.
L’India ha dichiarato di aver colpito solo terroristi che stavano pregando. Gli attivisti per i diritti del Pakistan, invece, mostrano le foto dei civili uccisi.
Inoltre, l’8 maggio, il Pakistan ha abbattuto 25 droni, di fabbricazione israeliana, che avevano violato lo spazio aereo nazionale.
In questo momento, vige ancora un cessate il fuoco, grazie al quale i residenti pakistani fuggiti dai propri villaggi, sono potuti tornare per constatare i danni. Molti hanno perso completamente le proprie abitazioni. Per altri sarà impossibile tornare, dato l’altissimo rischio dell’inasprirsi del conflitto.
Questi ultimi scontri sono solo l’ultimo episodio di una disputa che, praticamente, va avanti dal 1947 quando, in seguito alla fine del colonialismo britannico, l’India venne smembrata senza tener conto delle tantissime differenze culturali e religiose.

L’area più contesa è sempre stata quella del Kashmir, regione con una popolazione a maggioranza musulmana che, a partire dal 1846, si trovò a essere governata da maharajah prima Sikh e poi Hindu. Dopo l’indipendenza dalla Gran Bretagna, sia l’India che il Pakistan hanno rivendicato il suo possesso, dando inizio a un conflitto che ha diviso il territorio in due, con una linea di controllo che oggi rappresenta il confine non ufficiale tra i due paesi.
Considerando le tensioni tra Usa e Cina (da sempre coinvolte in quest’area geografica del mondo per sfruttarne le risorse) e tenendo presente che entrambe le nazioni hanno a disposizione un arsenale nucleare, quali potrebbero essere le conseguenze di questi ultimi attacchi? Lo chiediamo a B.J. Sadiq, giornalista e scrittore che avevamo già conosciuto lo scorso anno, durante il nostro reportage sulle elezioni in Pakistan.
«In questo momento abbiamo un cessate il fuoco, ma, secondo molti, è solo una pausa tecnica voluta dall’India per aver il tempo di riarmarsi. Siamo in tanti a pensare che l’India, in questi attacchi, sia stata direttamente sostenuta da Israele. Il Pakistan sta diventando parte di questo “gioco” geopolitico dove, chi è supportato dalla Cina, così come lo è il Pakistan, subisce l’attacco del blocco India-Usa-Israele. Per questa ragione, oggi, Islamabad è diventata strategicamente molto importante. Il Pakistan è una delle nazioni musulmane più influenti del mondo. Possiede un esercito di professionisti ben addestrato e questo fa molta paura a molti. Malgrado le vittime, l’attacco dell’India ha portato un senso di rinnovato patriottismo. La maggior parte di noi è stata orgogliosa di come il nostro Stato ha risposto. Siamo però anche coscienti che, se la Cina dovesse entrare apertamente in nostro aiuto, potrebbe essere la terza guerra mondiale».
Lo scrittore pachistano non è l’unico a pensarla così. Oggi, molti in Pakistan si identificano con quello che sta accadendo a Gaza. Trovano molteplici similitudini tra l’India del primo ministro indiano Modi, interessato a conquistare il Kashmir, e l’Israele di Netanyahu, che continua ad attaccare e occupare territori in Palestina. Il premier indiano non ha mai nascosto la sua ammirazione per il modo di agire del suo collega israeliano.
Prima di congedarci, B.J. Sadiq ci tiene a dire: «Gente come Modi e Netanyahu, con il loro veleno, stanno tenendo il mondo in ostaggio».
Angelo Calianno