
Padre Marcelo Pérez, era parroco a San Cristóbal de Las Casas nel Chiapas, e uno dei pochi sacerdoti indigeni del Messico, dell’etnia Tzotzil. Difensore dei poveri, è stato assassinato il 20 ottobre scorso appena uscito dalla celebrazione dell’eucaristia. Due brevi ricordi da un missionario e un vescovo che lo hanno conosciuto.
Nella diocesi di San Cristóbal, fin dalla sua ordinazione sacerdotale, avvenuta nel 2002, si era sempre distinto per la sua semplicità e vicinanza ai poveri e ai più svantaggiati, soprattutto quelli che appartenevano alla sua etnia Tzotzil, un gruppo discendente dagli antichi Maya. È stato un grande combattente e promotore di pace in una città dove la violenza è endemica e dove gli omicidi e i rapimenti abbondano e spesso restano impuniti. Padre Marcelo Pérez, appena quarantenne, negli anni della sua vita sacerdotale è stato sempre attento al grido del suo popolo. In molte occasioni la sua parola è stata l’unica a portare all’attenzione dell’opinione pubblica la situazione dei popoli indigeni che sono sempre stati poco visibili e poco considerati nella società messicana.
La mancanza di attenzione, sostegno e valorizzazione delle culture indigene non è stata solo una questione del passato o dell’epoca coloniale, ma è ancora oggi una realtà che ha concrete conseguenze in termini umani, educativi, sanitari e culturali. In ampi settori della società messicana gli indigeni sono ancora un gruppo considerato inferiore e di seconda categoria. Questa realtà è spesso così accettata dagli stessi indigeni che a volte cercano persino di nascondere la loro origine, invece di essere orgogliosi della loro lingua e cultura. Padre Marcelo è stato un grande difensore di tutti questi valori: parlava correntemente la lingua autoctona; diffondeva la cultura e cercava di far apprezzare ai cosiddetti güeros (bianchi) le comunità indigene in mezzo alle quali loro stessi erano cresciuti. Era un coraggioso promotore della ricchezza dei popoli messicani originari.
Il profeta delle periferie
Padre Marcelo aveva fatto una grande scelta come sacerdote indigeno: essere sempre presente nelle periferie e in paricolare in quella di San Cristóbal de Las Casas, dove le comunità indigene sono più numerose. Per questo è stato ucciso.
La sua opzione ha incoraggiato anche la scelta che noi Missionari della Consolata abbiamo fatto quando abbiamo iniziato il nostro lavoro in questa grande nazione: quando siamo arrivati nella diocesi di Tuxtla Gutiérrez ci siamo stabiliti in periferia, nella regione conosciuta come tierra colorada, dove vivono i nostri fratelli Tzeltal (altro popolo indigeno discendente dai Maya).
Grazie alla sua profezia e al suo coraggio, nella nostra diocesi di Tuxtla Gutiérrez, padre Marcelo Pérez è stato un grande missionario che non ha mai tentato di fuggire di fronte alle urgenze che si presentavano per essere fedele al Vangelo di Gesù.
Nel suo ministero sacerdotale fu sempre libero di proclamare il valore e la ricchezza della fede: lo ha fatto con le sue parole e poi alla fine con il dono della sua stessa vita. È significativo che la morte violenta lo abbia raggiunto proprio nella Giornata missionaria mondiale e giorno della canonizzazione di Sant’Allamano. In lui abbiamo un esempio che illumina il nostro impegno e cammino missionario.
padre Luis Jiménez, Imc

Marcelo Pérez, sacerdote indigeno Tzotzil della diocesi di San Cristóbal de Las Casas, è stato assassinato domenica venti ottobre nel quartiere de Cuxtitali, appena conclusa la celebrazione dell’eucaristia.

È stato uno dei primi indigeni che ho ordinato come sacerdote e si è sempre impegnato per la giustizia e la pace. Non si è mai immischiato nella politica di partito o si è schierato a favore di una o un’altra parte; ha lavorato piuttosto per il rispetto di tutti e il dialogo tra le parti, al fine di raggiungere sempre soluzioni pacifiche.
Era un sacerdote concentrato sulla sua vocazione: uomo di preghiera, vicino al tabernacolo e molto impegnato con il suo popolo. Non si è mai vergognato delle sue origini indigene e ha sempre saputo trattare bene chi non le aveva.
Il suo omicidio ci mostra, ancora una volta, il clima di violenza che si è scatenato in Chiapas e nella maggior parte del Paese. C’è una decomposizione sociale che inizia con la distruzione della famiglia ed è consolidata dall’impunità con cui agiscono i gruppi armati. Non è tutta colpa del Governo, ma questa situazione ci fa vedere chiaramente che le istituzioni e tutti noi, comprese le Chiese, siamo sopraffatti. Non siamo riusciti a fermare la violenza che invece sta aumentando.
Questo dovrebbe far riflettere tutti, anche i credenti, ma soprattutto il Governo del Paese. Bisogna impegnarsi a smantellare questi gruppi armati che stanno facendo tanto male alla comunità.
Nella fede, speriamo che il padre Marcelo riposi in pace con Cristo risorto, perché sono benedetti coloro che soffrono per costruire la giustizia e la pace.
cardinale Felipe Arizmendi Esquivel, vescovo emerito di San Cristóbal de Las Casas.
Dolore è stato espresso dalla Conferenza episcopale messicana: «Quest’atto di violenza – hanno scritto i vescovi – non solo priva la comunità di un pastore delicato ma mette a tacere una voce che ha lottato instancabilmente per la pace e la giustizia nella regione». Altri due padri gesuiti, solo due anni fa, avevano perso la vita assassinati sul sagrato della loro chiesa nello Stato di Chihuahua da uomini armati mentre rimane ancora un mistero l’omicidio di padre Isaías Ramírez González il cui corpo è stato ritrovato il 15 agosto scorso sotto un ponte di Guadalajara, capitale dello Stato di Jalisco.
da Avvenire, 21/10/2024
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