L’ospedale di Ikonda, centro di speranza
Sono una consacrata laica di Cagliari e mi trovo in Tanzania per una esperienza missionaria di due mesi per la realizzazione di un progetto di sostegno ad un orfanotrofio nella regione di Mbeya, grazie all’aiuto di tanti amici. Durante la permanenza nel paese ho avuto il piacere di dedicare una settimana all’incontro ed al servizio nell’ospedale di Ikonda, nella regione di Njombe, gestito dai Missionari della Consolata. Ho conosciuto l’ospedale l’anno scorso, quando avevo accompagnato la sorella di una suora, mia amica tanzaniana, a fare degli esami diagnostici. Ricordo la sua riluttanza: pareva una spesa troppo grande per lei, che si era sempre sacrificata per i figli ed i nipoti. Anche se il suo villaggio nella cartina geografica non sembra distante, mancando le strade dirette, occorreva prima andare nella città e poi prendere il mezzo per Ikonda: questo aveva significato prendere tre bus e viaggiare circa 14 ore, cioè dal mattino presto fino alla sera tarda. L’indomani sul presto aveva incontrato il medico che le aveva prescritto gli esami di base e quelli specialistici. Durante il giorno aveva potuto fare tutti gli esami, avere i referti, ricevere le ricette con la cura necessaria e comprare le medicine. Dunque eravamo potute ripartire all’alba dell’indomani. Ero rimasta colpita dall’ottima organizzazione e così quest’anno ho desiderato conoscere meglio la realtà della missione di Ikonda ed i missionari della Consolata: i padri Marco Turra, William Mkalula, Luis Zubia e Riccardo Rota Graziosi (francescano). L’accoglienza è stata molto buona. Ho potuto dare il mio piccolo contributo nella farmacia, organizzando il materiale per le medicazioni. È stato importante per me essere utile, nonostante parli solo un kidogo (poco) swahili.
L’ospedale di Ikonda ha circa 450 posti letto, ma non sono sempre pieni. Mediamente ne vengono occupati tra i 350 e i 400. Ogni giorno arrivano circa 250 persone per le visite ambulatoriali (con strumenti per la risonanza magnetica, la Tac, etc.), mentre il lunedì e il martedì le presenze sono circa 400.
Nell’aprile e maggio 2020 ci sono stati vari contagi del Covid-19 e sono decedute due persone, una delle quali era proprio un’infermiera della struttura, ancora debole per aver partorito qualche giorno prima. Poi la fase dei contagi è diminuita fino a cessare. Come è successo in tutto il paese. La sala di rianimazione ha solo cinque posti letto e un’emergenza con grandi numeri non sarebbe stata possibile da gestire.
Ho apprezzato che all’inizio della giornata ci sia un incontro tra i missionari e tutto il personale medico per condividere i casi più importanti e le scelte da assumere. Mentre la messa viene celebrata la sera. Ed anche se le attività ed i bisogni continuano ad essere tanti, in quell’ora la priorità dei missionari, e dei loro collaboratori – tra cui suore e catechisti -, è la preghiera a Dio, Medico delle anime e dei corpi.
Per quanto riguarda le attività mediche, rimane la domanda, dato che il contesto di vita della maggioranza della popolazione è molto povero, sul come dare continuità alle cure più impegnative. Ad esempio, nei giorni della mia visita, un’adolescente è stata ricoverata d’urgenza per un coma diabetico. Tornata a casa dopo la fase d’urgenza, come potrà continuare le cure? L’insulina ha bisogno di temperature basse per essere conservata ma probabilmente nella sua casa non c’è un frigo. L’anno scorso invece mi aveva colpito il caso di una bambina tracheotomizzata d’urgenza: come avrebbe fatto tornando nella sua capanna e respirando la polvere della strada? La domanda si può estendere alle cure più impegnative e continuative, dato che c’è la proposta di organizzare un nuovo reparto di dialisi. Le persone potranno recarsi nella sede dell’ospedale frequentemente (tre volte alla settimana) come richiede la cura?
Questi ed altri quesiti rimangono. Ma non devono oscurare il tanto bene che già si compie e la speranza concreta che viene data a tante persone grazie ad una precisa diagnosi e cura. La Tanzania è un paese ricco di risorse; eppure, la mortalità infantile e giovanile è ancora molto alta. Il nostro auspicio è che si realizzi l’esortazione alla fraternità universale di papa Francesco, ricordando che «ogni essere umano ha diritto a vivere con dignità e a svilupparsi integralmente» (Fratelli tutti, n° 107).
Giada Melis
da Ikonda, 20/11/2020
Da dove è proibito ammalarsi
Cari amici,
saluti dal Kenya. [… Il] 2020 ci ha portato una pessima sorpresa, che nessuno si sognava, il Covid-19. Non si tratta della prima pandemia su questa terra. Già una mia nonna nel 1918 morì di febbre spagnola, una epidemia che uccise 50 milioni di vite umane. Forse il Signore permette che la natura abbassi la nostra superbia e ci insegni un po’ di umiltà e di solidarietà: ci salveremo solo se ci prendiamo cura gli uni degli altri. Pure qui in Africa, in Kenya, stiamo tremando, anche se meno che da voi in Italia. Abbiamo chiuso scuole e chiese per precauzione. I bambini che voi aiutate e sponsorizzate sono rimasti a casa con i genitori: hanno perso qualche chilo di peso, hanno perso un anno di scuola, qualcuno ha anche iniziato a rubacchiare per mangiare, qualche ragazza è anche rimasta incinta. Poi la disoccupazione è aumentata ovunque. Qui è severamente proibito ammalarsi, pena andare in fretta in paradiso. È meglio morire di fame o di Covid? Come Chiesa stiamo cercando di stringere la cinghia e dare una mano ai più poveri. In questi giorni spendiamo anche i pochi soldi rimasti per allargare le nostre scuole, creando più spazi, affinché quando riapriremo ci siano le distanze richieste come vuole il governo. Poco fa (inizio dicembre 2020, ndr) alcune scuole hanno riaperto le porte, ma solo per le classi che si preparano agli esami. Anche le chiese hanno riaperto, ma con tante precauzioni. Da noi dove non arrivano le medicine arriva la fede che qui è ancora forte, per fortuna. Però predichiamo che non basta la preghiera, occorre anche seguire le regole della salute: distanze, mascherine, acqua (…anche se non ci basta per bere!).
Carissimi, grazie sempre per la vostra amicizia e il vostro aiuto. Siamo tutti sulla stessa barca in balia della tempesta, ma non ci lasciamo prendere dal panico perché Lui è con noi, anche se sembra dormire. Diamoci una mano, siamo «fratelli tutti», come ci dice papa Francesco, e così vinceremo anche la seconda pandemia, quella dell’egoismo.
Un abbraccio, sempre con la mascherina.
+ Virgilio Pante
Maralal, Kenya, 20/11/2020
Non tutte le parabole sono di Gesù?
Il n. 18 di «Una Chiesa in uscita», in MC di ottobre 2020, è bello, argomentato, affascinante, ma un paio di affermazioni, categoriche, senza se e senza ma, mi lasciano perplesso e suscitano alcuni interrogativi.
«Oggi ci è chiaro che non tutte le parabole riportate nei Vangeli sono state dette originariamente da Gesù». Quali sono le prove incontrovertibili che permettono di fare una affermazione così categorica? Quali sono le parabole di cui si parla?
Perché non si usa una frase del tipo: «Fra gli studiosi è largamente condivisa l’ipotesi che alcune parabole non possono essere state dette da Gesù»? Ipotesi e non certezza, comunque teoria.
Come è possibile che le prime comunità, e parlo di quelle che hanno partecipato alla testimonianza diretta degli Apostoli o dei primi loro discepoli, non si siano accorte di queste aggiunte? O, pur accorgendosi, le abbiano accettate?
Mi si dirà che un esempio di manipolazione sono i Vangeli apocrifi, ma mi è stato detto che la Chiesa primordiale li ha vagliati e scartati!
La lettura del Vangelo viene accompagnata dalla frase «Parola di Dio»: possiamo pensare che la frase, «in quel tempo Gesù disse la seguente parabola», non sia vera? Ne ho parlato con un sacerdote: mi ha dato una spiegazione abbastanza contorta, che mi ricordava le spiegazioni che venivano date per dimostrare che la terra era al centro di tutto il creato.
È vero che nei Vangeli ci sono delle contraddizioni, dovute con grande probabilità al fatto che i testimoni, o chi per loro, si erano dimenticati. Ma l’aggiunta è una cosa arbitraria, che rende poco credibile il tutto. O mi sbaglio? Quante potrebbero essere le parabole che non sono mai state trasmesse?
«La comunione con Dio passa da Gesù … ci sono pratiche religiose che implicitamente lo contestano, tali pratiche sono da evitare». Di che pratiche si tratta?
E se il signor Angelo prende in considerazione quanto ho scritto, spero che non mi risponda dicendomi di consultare questo o quel libro. Distinti saluti
Mario Rondina
16/11/2020
Gent.mo Mario Rondina,
intanto, e a prescindere, grazie per le domande: perché sono segno di attenzione e coinvolgimento, e perché esprimono problemi veri.
1) Parole di Gesù, sì o no.
Nel nostro mondo contemporaneo posso mettere in bocca a qualcuno (tra virgolette) solo ciò che ha effettivamente detto. Anche a costo di non restituire lo sfondo: magari si trattava chiaramente di una battuta, ma comunque, se le parole sono state dette e io le riporto tra virgolette, non sono ritenuto bugiardo.
Il mondo antico era meno attento alla precisione dei particolari e insieme guardava più al contesto generale. Se nel riportare un pensiero altrui veniva in mente un esempio nuovo, lo si poteva aggiungere senza essere considerati bugiardi.
È ciò che succede nei Vangeli, che almeno in alcuni casi non riportano le parole precise di Gesù, ma il contenuto del suo messaggio, anche se a volte con parole non sue. Come lo sappiamo? Mai in modo assolutamente sicuro, ma spesso con fortissima probabilità, anche se, nel giro breve di un articolo, a volte la «fortissima probabilità» diventa «certezza», per semplificazione. Capita infatti che nei Vangeli ci siano giochi di parole possibili solo in greco (e Gesù di certo parlava aramaico), o ci sia la risposta a un problema che al tempo di Gesù non c’era ancora, o un modo di ragionare poco ebraico. Quante siano quelle «aggiunte» dipende da dove mettiamo il confine di quella «probabilità».
Dunque, i Vangeli sono inaffidabili? Se fossero stati scritti oggi, sì; ma sono prodotti del passato, e, secondo i criteri storiografici di allora, erano precisi e credibili. Gli apocrifi, come giustamente annota, non lo erano, e non sono stati inseriti nel canone. I nostri quattro ci ripropongono non sempre le parole di Gesù, ma sempre il suo pensiero.
2) Pratiche che contestano la centralità di Gesù.
In quanto alle pratiche che contestano la centralità di Gesù, per Paolo erano la circoncisione e il rispetto della legge mosaica. Se si diceva che per diventare cristiani queste erano necessarie, si sottintendeva, pur senza dirlo esplicitamente, che la fede in Gesù non era sufficiente.
Oggi può capitare che diversi gruppi di credenti si accusino reciprocamente di infedeltà alla fede, di «modernismo» o «tradizionalismo», sottintendendo che così non si sia più cristiani.
Paolo, probabilmente, ci risponderebbe che se qualche pratica diventa più importante della fede in Gesù (e non un modo di esprimerla) è pericolosa. Ma non vorrei, ora, essere io a mettere troppe parole in bocca a Paolo: non ho l’autorevolezza e la bravura degli evangelisti.
Angelo Fracchia
24/11/2020