Il lavoro nella bibbia e la voce delle donne

Due temi di grande attualità affrontati in modo originale e chiaro

Testi di Chiara Brivio


I libri che vi suggeriamo questo mese riguardano entrambi la riflessione sulle Sacre Scritture, ma con due approcci ben distinti tra loro. Da una parte è il lavoro come opera umana e divina il fulcro dell’analisi dell’autore, l’economista Luigino Bruni. Dall’altra è il ruolo delle donne nella Chiesa di Francesco, quello attuale e le sue prospettive future, affrontato dalla giornalista Sabina Caligiani attraverso le voci di 17 donne, tra le quali eminenti teologhe e ricercatrici.

L’arca e i talenti

L’Arca e i talenti. Quel che dice la Bibbia sul lavoro è un bel libro, un breve saggio, chiaro e scorrevole, su quello che le Sacre Scritture hanno da dire circa l’operare con le nostre mani, il lavoro e l’economia.

Non stupisce che a scriverlo sia stato uno degli economisti più noti in Italia, Luigino Bruni, professore di Economia politica all’Università Lumsa di Roma, editorialista di «Avvenire», saggista, coordinatore internazionale del progetto Economia di comunione (edc-online.org).

Il libro, edito da San Paolo, concentra la decennale riflessione di Bruni sull’economia e sulle relazioni sociali, e su come questi due temi possano essere illuminati dal messaggio della Bibbia, testo fondamentale e fonte di speranza e di sorpresa anche per l’uomo di oggi costretto a vivere in un mondo dominato da un capitalismo rapace e alienante.

Ripercorrendo le pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento, Bruni attua una vera e propria mappatura dei libri biblici e delle parabole più famose, riportandone in vita le narrazioni e contestualizzandole nel nostro tempo. Così nel confronto tra le storie di Noè e di Babele, ritroviamo la contrapposizione tra un lavoro di cooperazione «buono» ed edificante che porta alla costruzione dell’Arca, e un lavoro «cattivo», quello degli ingegneri e dei muratori di Babele, che porta all’innalzamento della famosa torre.

«Ci sono lavori che è bene che vadano dispersi», scrive Bruni, «i lavori creati oggi dai potentissimi imperi delle mafie, della pornografia, dell’azzardo, delle imprese che avvelenano, delle guerre, della prostituzione, dobbiamo continuare a disperderli». Ci sono gli schiavi di ieri e quelli di oggi, i domini (anche economici) che continuano a generare sfruttamento, i faraoni dell’antico Egitto paragonati ai moderni dirigenti e manager che «aumentano stress e malessere nei luoghi di lavoro».

I paragoni proposti da Bruni possono, a prima vista, sembrare azzardati, ma non lo sono affatto, e anzi contribuiscono a orientare la riflessione sul valore intrinsecamente umano del lavoro e delle relazioni tra gli uomini che lo svolgono.

Così Bruni ritrova nei libri di Isaia e Geremia alcune delle pagine più belle ed edificanti sull’operare con le mani: «Dio ci attende nelle botteghe, manovrando il tornio dal suo banco di lavoro», e si spinge a dire che alcuni versetti del libro del Qoelet dovrebbero essere affissi «all’ingresso di tutte le business schools, imprese, banche».

Gli ultimi capitoli del libro sono dedicati alle parabole più conosciute (e forse più interpretate) del Nuovo Testamento, tra le quali quella del figliol prodigo, quella dei talenti, del buon samaritano, interpretate anche alla luce di nuovi studi biblici («che in un libro sul tema del lavoro nella Bibbia può valere la pena almeno conoscere»). Così il figliol prodigo diventa il migrante moderno che lascia la casa paterna e si ritrova a svolgere i lavori più umili, e scopriamo che il racconto del buon samaritano ha ispirato le teorie del premio Nobel per l’economia Amartya Sen sulla giustizia come equità e imparzialità.

L’Arca e i talenti è un libro semplice che fa riflettere sulle condizioni del lavoro di ognuno di noi, forse «meno divino» di quello raccontato dalle Sacre Scritture, e sulla possibilità di considerarlo, come farebbe San Francesco, un «fratello lavoro», capace di generare relazioni di cooperazione e amicizia.

 


La voce delle donne

Le diciassette voci raccolte dalla giornalista Sabina Caligiani e pubblicate nel volume La voce delle donne. Pluralità e differenza nel cuore della Chiesa, recentemente uscito per le edizioni Paoline, sono le voci di teologhe, filosofe, sociologhe, bibliste, storiche dell’arte, laiche e religiose, che hanno focalizzato la loro ricerca, in un modo o nell’altro, sul ruolo e sul contributo delle donne nella Chiesa, soprattutto nella Chiesa di Francesco.

Nell’introduzione al volume, Caligiani dice di essere stata ispirata dal libro di Beate Beckmann Zöller, Frauen bewegen die Päpste: Hildegard von Bingen, Brigitta von Schweden, Caterina von Siena, Mary Ward, Elena Guerra, Edith Stein, su quanta influenza le donne del passato ebbero nelle gerarchie ecclesiastiche storiche, e di come posero le basi per la «costruzione di una “teologia al femminile”». Dalla lettura di quel libro è nata l’idea di raccogliere alcuni contributi sui nostri giorni di donne che si trovano ad affrontare gli stessi problemi e le stesse questioni del passato.

Le voci che ne emergono non sono un unisono, anzi, alle volte sono molto discordanti tra loro, riflesso di modi diversi di vivere la propria «missione» all’interno della comunità secondo il carisma e la sensibilità di ciascuna.

Un filo comune tuttavia c’è: la ricerca di nuovi modelli e prospettive per la costruzione di una nuova «teologia al femminile». Ciò che non viene negato è l’indiscusso, ma forse poco conosciuto, contributo delle donne nella storia della chiesa, ma da tutte le interviste emerge, più o meno marcatamente, che soltanto con l’accesso delle donne alle facoltà teologiche sancito dal Concilio Vaticano II si è avuto un vero punto di svolta nello studio e nella riflessione biblico-teologica.

Le dissonanze si sentono su altre questioni: se da una parte le riflessioni di studiose e teologhe del calibro di Cettina Militello, Adriana Valerio, Cristina Simonelli, Marinella Perroni e Serena Noceti puntano l’attenzione sugli stereotipi di genere, sull’emarginazione delle donne, sul «femminismo come onda d’urto», sull’antropocentrismo e sull’«esercizio diffuso del potere maschile», sia a livello politico che ecclesiale, affrontando anche di petto la questione del gender (inteso come genere) e le relazioni di potere uomo-donna (modelli e paradigmi che continuano a essere perpetuati), dall’altra, i toni di Mery Melone, di suor Marcella Farina, tra le altre, si fanno più pacati e più in linea con l’idea del «genio femminile» della Mulieris dignitatem di Giovanni Paolo II.

Diverse e molteplici sono anche le considerazioni sull’istituzione del diaconato femminile, per il quale, ad esempio, Serena Noceti si dichiara a favore perché introdurrebbe un «necessario riequilibrio con la figura del prete nella comunità».

Nonostante l’intento del libro non sia quello di fornire una summa sulla discussione in atto nella Chiesa circa la teologia femminile e femminista, ma piuttosto di stimolare una discussione sul tema, l’assenza di una conclusione comune sembra indebolire il volume lasciandolo in una certa misura irrisolto.

Dal libro, tuttavia, emerge un’opinione condivisa e una speranza che il futuro potrà essere più «roseo» per le donne in questa Chiesa di Francesco, e la necessità di una comunione di visioni, nel rispetto delle differenze individuali di ciascuna, che possa costituire un «approccio fecondo» alla discussione.

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