Diario semplice da Dianra:

Accogliere e donare Amore

Testo di Carla Paccoia, con foto sue e di padre Matteo Pettinari |


«Sono Carla, nata a Perugia e cresciuta a Chiaravalle, Ancona. Vengo dalla diocesi di Senigallia, stesso paese e diocesi di padre Matteo Pettinari, missionario della Consolata a Dianra, nel Nord della Costa d’Avorio. Ho avuto la grazia di vivere là circa sei mesi in un momento molto intenso della mia vita. Li condivido con voi tramite le pagine di diario che ho inviato periodicamente ai miei amici in Italia».

Qui a Diarna mi accoglie una comunità composta da due giovani missionari, padre Matteo Pettinari e padre Raphael Ndirangu Njoroge. Sono già stata qui due anni fa con altre quattro persone con le quali avevo frequentato per due anni gli atelier missionari, incontri organizzati dalla nostra diocesi e tenuti all’inizio da padre Matteo e poi da padre Ariel Tosoni. Quando a Natale del secondo anno ci avevano chiesto se qualcuno avesse voluto fare esperienza diretta di missione, avevo perso da pochi mesi mio marito Giuliano (15 agosto 2015), che aveva frequentato con me il corso, e avevo già presentato la domanda per la mia pensione.
A me era sembrata subito una strada tracciata dall’Alto e perciò avevo detto: io vado!

È stata un’esperienza intensa ed emozionante che mi ha fatto sentire di nuovo viva. Colori, suoni, profumi, volti e sorrisi che mi hanno letteralmente conquistata. Purtroppo, però, il tempo è volato ed il mese è sembrato troppo breve.

Al rientro a casa, ho continuato a mantenere contatti telefonici e scritti con la missione, mentre in parrocchia mi sono dedicata all’animazione missionaria con il fermo desiderio di tornare a Dianra per conoscere meglio persone e luoghi.

Il 15 giugno sono di nuovo arrivata ad Abidjan. Il giorno dopo sono partita la mattina presto mentre era ancora notte perché c’erano da percorrere tanti chilometri. Yamoussoukro, Bouaké, poi la missione di Marandallah e, finalmente, la gioia di essere di nuovo a Dianra.

La stessa sensazione di due anni fa: sono a casa mia! Il tempo non ha scalfito la memoria, le cose sono al loro posto come le ricordavo, i luoghi belli e rigogliosi di verde, le persone gioiose, calde affettuose ed accoglienti.

I missionari a Dianra, a parte padre Matteo con cui avevo viaggiato, sono diversi: c’è padre Ramon (il superiore della delegazione dei missionari della Consolata in Costa d’Avorio, che ho già conosciuto nel 2016 e normalmente risiede a San Pedro, ma presente per un paio di settimane come aiuto extra) e padre William Wema, il primo tanzaniano che conosco ai suoi primi mesi di servizio missionario essendo sacerdote solo dal 2017. Lui è qui in attesa di stabilirsi a Marandallah, quando tornerà padre Raphael che è in famiglia per le sue vacanze.

La grande assenza è quella di padre Manolo Grau che purtroppo è malato e si trova in Spagna. La sua presenza, però, si avverte in ogni angolo della missione e in ogni parrocchiano che, con affetto, chiede sue notizie. Comunque siamo vicini con la preghiera che ci sostiene e ci unisce come un filo invisibile ma molto forte.

30 giugno 2018

Carissimi e carissime tutti, dopo ore di volo, km di jeep su strada e su pista di terra rossa, sotto un diluvio d’acqua, tuoni e fulmini (ma qui erano felici perché l’acqua mancava da novembre ed io che l’ho portata sono una benedizione!), sono finalmente arrivata e ritornata a Dianra, nel Nord della Costa d’Avorio, nella missione affidata alla Consolata, dove vive il nostro padre Matteo Pettinari.

Con gioia ho rivisto persone e luoghi a me molto cari che mi sono entrati nel cuore fin dal primo giorno dell’agosto del 2016. L’affetto ricevuto ed il sorriso dei bimbi hanno subito cancellato la fatica del viaggio. Adesso mi sto inserendo nelle varie, quotidiane attività della missione con il mio francese scolastico che migliora lentamente e con la certezza di vedere ogni giorno, nella vita e nell’opera dei missionari, la costante tenerezza di Dio verso i nostri fratelli africani. Sento il vostro sostegno e so di essere qui anche a nome vostro. Continuate ad accompagnare i miei passi con la vostra preghiera.

14 luglio

L’ultimo periodo di questo mio primo mese a Dianra l’ho trascorso al centro sanitario che è una piccola splendida realtà nel buio della sanità locale, espressione pratica della tenerezza di Dio. Dal niente, con l’aiuto di tante persone, anche di Chiaravalle e della nostra diocesi, è stata costruita una struttura sanitaria che comprende l’ambulatorio di primo soccorso, la farmacia, la maternità, l’ambulatorio odontoiatrico ed il laboratorio analisi. Purtroppo, quest’ultimo ha dovuto smettere di funzionare poco dopo la sua inaugurazione a causa della scarsa corrente elettrica erogata.

In queste ultime ore, con l’acquisto di uno stabilizzatore (acquisto reso possibile grazie a una donazione dall’Italia) potrà funzionare senza interruzioni a partire dalla settimana prossima. Sempre grazie a quella donazione, il centro ha potuto dotarsi da ieri di un ecografo che, possibilmente, inizierà ad essere a disposizione della popolazione entro breve.

Quanto a me, sono arrivata qui forte della mia quarantennale attività lavorativa come infermiera e pronta a spenderla, ma la realtà che mi circonda e con cui mi incontro ogni giorno è così lontana per mezzi, usi e costumi, necessità e lingue che, per ora, posso fare ben poco.

E quando arrivano soprattutto i bimbi con 40 di febbre per la malaria (qui endemica), con le convulsioni, malnutriti, anemici ed intorno non hai abbondanza di medicinali, di apparecchiature sanitarie, di medici (la nostra è l’unica per una popolazione di 45mila abitanti e non sempre è sul posto perché deve andare nella capitale), di strutture idonee perché l’ospedale più vicino è a non meno di 140 km di pista (circa tre ore di strada), mi sento impotente. Ammiro gli infermieri che lavorano in prima linea e con quasi niente, ma la mia impotenza di fronte ai problemi di questi pazienti mi pesa.

Ciononostante, condividendo, donando affetto, tempo e un po’ della mia professionalità riacquisto serenità e la voglia di vivere questa splendida esperienza di vita.

28 luglio

Cari amici, le giornate qui a Dianra scorrono veloci, piene di incontri, di visi sorridenti di bimbi, di preghiera, di chilometri e di lavori. Si inizia la mattina alle 6,15 con le lodi, la messa, la colazione e poi tutto il resto: le visite in moto a malati o famiglie in difficoltà, le riunioni per preparare il programma della attività, il riordino della sacrestia, l’acquisto ed il trasporto dei medicinali per l’ospedale, gli incontri serali con le comunità di base, etc.

Sabato sono andata con padre Matteo nel villaggio di Nahangamakaha (a circa 40 km da Dianra) per partecipare all’incontro dei giovani di varie zone. Dopo la cena tutti i giovani e i cristiani ci siamo riuniti attorno al fuoco, unica luce che illuminava la notte, per la recita del rosario. Poi i giovani hanno vegliato, danzando e cantando tutta la notte. La mattina seguente, prima della messa, abbiamo fatto una visita di cortesia al capo villaggio, all’imam e al responsabile della chiesa battista. Quest’ultimo ha poi partecipato per intero alla nostra celebrazione eucaristica. Nel pomeriggio iniziamo il viaggio verso Abidjan (1.200 km circa tra andata e ritorno, di cui 250 di pista di terra rossa resa impossibile dalle piogge) per andare ad accogliere padre Raphael, che torna dal suo paese, il Kenya, e Riccardo Lenci, seminarista di Corinaldo. Adesso Matteo, Riccardo e io siamo una piccola comunità della Chiesa di Senigallia in trasferta nel cuore dell’Africa.

5 agosto

Carissimi, sicuramente questi giorni dei miei primi due mesi a Dianra sono i più belli perché strapieni di avvenimenti, feste, conoscenze, viaggi, imprevisti, lavori anche artistici da me mai svolti prima d’ora.

L’imprevisto accolto è il filo conduttore della vita qui in missione. Qui niente è semplice. Tutto si complica: compri un apparecchio medicale per l’ospedale, fai tanta strada per andare a prenderlo, lo metti in uso, non funziona, chiami il tecnico che è a un giorno di distanza, quando tutto è pronto non c’è più corrente e così via. Dopo un po’ non ti stupisci più e accogli l’imprevisto, capisci che qui la vita scorre con un altro ritmo e l’accetti, e sorridi, come fanno i missionari della Consolata, che sono molto pazienti.

Il 4 agosto abbiamo partecipato all’inaugurazione dell’ultima di cinque casette della salute (progetto finanziato, tra altri benefattori, dai lettori della rivista Missioni Consolata) nel villaggio di Bebedougou.

La casetta è un ambulatorio nel quale, periodicamente, una equipe sanitaria dell’ospedale della Consolata (un infermiere, un’ostetrica, un’ausiliaria) si reca in moto o con motocarro per fare vaccinazioni, visite, promozione sanitaria alle mamme e ai loro figli, perché – come sempre – motore del cambiamento sono le donne.

Poi, il 7 agosto, siamo andati a Farabà per la festa dell’Indipendenza e Riccardo e io, seduti tra le autorità, eravamo un’importante delegazione. Il massimo, però, è stato il viaggio che abbiamo fatto con padre Alexander Likono (da Marandallah) e padre Matteo, per andare nella missione di San Pedro, nel Sud Ovest della Costa d’Avorio. Quindici ore consecutive di jeep con una foratura e problemi meccanici che ci hanno bloccato di notte lungo la strada. La nostra benedizione è stato un camionista si è fermato per soccorrerci, nonostante la notte. Da un vicino villaggio è arrivato un gruppo di giovani. Io subito sono rimasta perplessa, ma poi quasi mi sono commossa. Non solo, senza conoscerci, sono venuti per aiutarci (hanno spostato a mano la jeep), ma sono andati al villaggio per prendermi una sedia e una pila per far luce.

Viaggiavamo per partecipare alla festa per il 25° anno di sacerdozio di padre André Nekpala, un congolese parroco nella missione di Grand-Zattry: altri 400 km. Una fatica ben ripagata perché la celebrazione è stata molto intensa, emozionante, con tante persone e anche perché abbiamo conosciuto il mitico padre Silvio Gullino, decano dei padri qui in Costa d’Avorio. È un piemontese, da 50 anni in missione, adesso è anziano ma i suoi occhi brillano e il suo volto si riempie di gioia quando racconta le sue avventure in Congo o in Costa d’Avorio. Conoscerlo, ascoltarlo, avvertire ancora in lui tanto amore e tanta energia da spendere per il prossimo è sicuramente tra le emozioni più importanti e belle che sto vivendo.

22 settembre

Dopo il tempo bello dei viaggi è arrivato quello del duro lavoro. Infatti, l’ultima parte del soggiorno di Riccardo – il seminarista di Corinaldo che ha condiviso con me queste settimane – lo abbiamo dedicato ai lavori nella nuova chiesa in costruzione a Dianra Village. Questi lavori, che procedono a seconda delle disponibilità economiche e della manodopera, avevano come obiettivi la decorazione dell’altare principale e della cappellina feriale, la creazione ex novo dell’angolo mariano e la conclusione di alcuni mosaici del pavimento, particolarmente quello che percorre tutto l’asse centrale della chiesa, dal battistero all’altare.

Padre Matteo e Riccardo hanno dato fondo a tutta la loro creatività, trovando ottime soluzioni anche con i pochi mezzi e il poco tempo a disposizione. Non dimentichiamo che la missione sollecita a ogni momento, e con numerosi imprevisti, la quotidianità e bisogna ritagliarsi il tempo per questi lavori spesso rubandolo a tante altre necessità.

Con i padri Kizito e Makori – due missionari della Consolata qui di passaggio per un breve periodo a rifrescare il loro francese in vista di aprire una nuova missione in Madagascar – abbiamo messo a disposizione per i vari lavori le nostre mani e tutto il nostro tempo. Tra le attività, abbiamo pitturato una ad una le tante tessere del mosaico che, in alcuni casi, abbiamo anche assemblato: un lavoro certosino, di grande pazienza e di grande soddisfazione. È davvero un peccato che non possiate vedere di persona i risultati, ma vi assicuro che il tutto è molto bello. I mosaici e i lavori all’interno della nuova chiesa sono stati accompagnati dall’architetto Daniela Giuliani, della nostra stessa diocesi di Senigallia, e si ispirano liberamente all’arte spirituale dell’atelier del padre gesuita Rupnik.

L’angolo mariano è come una vela disegnata sulla parete. O meglio, vuol significare una tenda, rimandando simbolicamente al mistero dell’incarnazione per il quale Maria è colei che ha permesso a Dio di piantare la sua tenda nell’accampamento dell’umanità in cammino. La scritta Magnificat e tre colonnine di diversa altezza – il tutto fatto a mosaico con pezzi di mattonelle rotte e di vari colori – fanno parte di quest’angolino semplice e raccolto. Anche se principianti, devo riconoscere che abbiamo fatto un ottimo lavoro di squadra che potrà essere sorgente di preghiera e contemplazione per questo popolo e ciò mi rende felice.

Soprattutto vorrei condividere con voi il piacere e la gioia di aver coinvolto nelle attività tanti bambini che, prima guardavano da lontano curiosi e incerti, poi si avvicinavano e, infine, a forza di sorrisi e di gesti (non dimenticate che loro parlano senufo e io italiano), finivano per iniziare anche loro a pitturare e incollare, con le loro manine e pieni di entusiasmo, le varie tessere e mattonelle. Oserei dire che abbiamo dato vita a veri e propri laboratori per artisti alle prime armi, stupende occasioni di avvicinamento tra mondi lontani. Come tutte le cose belle, però, anche questi lavori sono terminati.

Riccardo è dovuto rientrare a Senigallia portandosi sicuramente via, nel cuore, le tante emozioni vissute. Quanto a me posso continuare a godere un po’dell’accoglienza serena e affettuosa di questa terra che è entrata nel mio cuore e vi resterà per sempre.

1° ottobre

Oggi sono passati 3 mesi dal mio arrivo. Non mi sembra vero che siano passati già tanti giorni. Sicuramente un tempo di grazia ricco di persone nuove, di sorrisi e abbracci di bimbi, di vita in fraternità con i padri, di preghiera e di conoscenza e approfondimento del mio io. Un tempo ricco anche di qualche giornata di buio e di sofferenza. Riconosco ora che, forse, proprio questi giorni sono quelli in cui sono cresciuta di più. Mi rendo conto che insieme a tutto questo nuovo che vivo e vedo, ho fatto un viaggio in me stessa. Mi sono posta tante domande: «Riuscirò, Signore, a capire qual è la mia strada? Cosa posso fare? Dove e come?». Fino alla domanda vera che fa male: «Sopravvivo o riesco a vivere senza mio marito?».

Ho riempito le mie giornate di cose da fare fino a sfinirmi proprio per rinchiudere questi interrogativi, questo dolore immenso che mi toglie il respiro.

Non lo pensavo possibile, ma è proprio qui, in questa missione sperduta, nella brousse (savana, ndr) che pensi dimenticata da Dio e dagli uomini, che ti rendi conto di quanto superfluo ti circonda, di quanto poco ti serve effettivamente per vivere felice. E allora grazie a un abbraccio stretto stretto di un bimbo che sente il tuo affetto, al calore e all’accoglienza di una comunità che apprezza il solo tuo esserci, alla gioia di una preghiera intensa e costante, giorno dopo giorno il vuoto del cuore torna, in parte, a riemergere e a riempirsi.
E comprendi quello che era sotto i tuoi occhi ma non vedevi: la vita continua, la vita deve continuare. Le lacrime possono allora trasformarsi in un altro amore, quello semplice del donarsi agli altri vedendo in tanti sconosciuti dei fratelli da accogliere e che ti restituiscono molto più di quel poco che offri.

Il mio soggiorno continua ancora per qualche settimana… ma sicuramente, già fin d’ora, ho tanti motivi per cui ringraziare il Signore, la Consolata e tutti i missionari che mi sono vicini.

21 ottobre

Buona domenica e buona giornata missionaria mondiale. Ringrazio Dio che mi fa vivere questo giorno a Dianra con la presentazione dei nuovi catecumeni e dei catechisti. Certo la parola missione qui acquista un significato più intenso ma missione è ogni gesto della nostra vita ovunque la viviamo. La mia gioia è ancora più grande pensando che tanti anni fa in questa giornata Giuliano ed io abbiamo celebrato il nostro matrimonio.

19 novembre 2018

Il mio permesso di soggiorno sta per scadere. Ancora pochi giorni e dovrò rientrare in Italia.

È difficile spiegare come questa terra, queste persone e questa missione mi siano entrati nel cuore, ma qui da subito mi sono sentita a casa e i giorni trascorsi non hanno un inizio e una fine ma solo il presente.

Il presente di una vita missionaria fatta di semplicità, di nessun grande progetto e di condivisione della vita quotidiana con la fatica del lavoro, degli spostamenti difficili per le piste impraticabili, con la gioia delle nascite e la sofferenza delle perdite.

In realtà domenica con padre Matteo siamo andati in moto, un’ora di pista tremenda perché la jeep ci aveva lasciati a piedi, a Sononzo per celebrare la messa, e ho salutato la comunità che per prima a giugno mi aveva dato il benvenuto, quella di Fotamana.

Oggi padre Raphael è partito per un corso di formazione a Sago nel Sud della Costa d’Avorio e così la fraternità che mi ha accolta, accettata e accompagnata con affetto in questi mesi, si è sciolta.

Quanti bei momenti: la recita delle lodi sul fare del giorno ancora assonnati, e la messa. Il profumo del caffè le chiacchiere della colazione. Poi gli impegni della giornata scanditi dal ritmo della preghiera. I fine settimana, dal sabato fino alla domenica pomeriggio, nei villaggi per celebrare i sacramenti, conoscere i bimbi nuovi, visitare i malati e condividere, alla luce delle pile, cibo e alloggio.

Infine, il piacere di ritrovarsi la domenica sera stanchissimi attorno alla tavola, ma con la voglia del racconto della condivisione. Padre Raphael e padre Matteo, i due giovani missionari (hanno l’età dei miei figli) di Dianra, sono veramente splendidi nonostante tutto il loro lavoro hanno detto sì al mio desiderio di fare un’esperienza lunga di missione. Fatto nuovo per loro e per me, ma passati i primi momenti di adattamento e conoscenza, giorno dopo giorno, si è creato un piacevole clima familiare, direi di madre e figli, fatto di tante piccole attenzioni gli uni per gli altri.

E ora siamo arrivati al momento difficile della partenza, ogni partenza è uno strappo, una ferita, un taglio netto. Io spero di lasciare qui il frutto del mio cammino personale, le tante piccole e grandi cose che pesavano sulle mie spalle e di partire con le valigie e il cuore pieni di quel l’amore di Cristo che ho ricevuto indietro centuplicato, in confronto a quello che io ho donato, da tutti: dai padri missionari, dalle mamme, dai papà e soprattutto dai tanti bimbi che felici ti sorridono e ti abbracciano forte.

In questo abbraccio c’è tutto il valore del mio tempo in missione: accogliere e donare amore riflesso dell’amore di Dio. La missione va vissuta ovunque viviamo, nella famiglia, nel lavoro, ma forse a volte per rendersene conto dobbiamo lasciare per un po’ le nostre comodità e le nostre certezze e tornare a guardare il tutto con occhi più semplici.

Carla Paccoia

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Foto: La nuova chiesa di Dianra

Foto della nuova chiesa pronta per l’inaugurazione.  A presto una descrizione più dettagliata della stessa e dei suoi simboli.

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