Buon anno! I nostri auguri ai missionari e missionarie della Consolata, ai laici che ci seguono e ci vogliono bene, ai tanti amici che, conoscendo il nostro beato fondatore, seguono il suo esempio e continuano ad invocarlo con fiducia.
Abbiamo da poco iniziato il cammino di questo 2019 e ci siamo augurati vicendevolmente che sia «buono» (anzi, migliore dell’anno appena passato). Certamente ci riserva una bella sorpresa: un intero «mese missionario straordinario», il prossimo ottobre, dentro il quale si incastonerà il «Sinodo per l’Amazzonia».
Inutile dire che il Sinodo 2019 ci tocca da vicino, perché parecchi nostri missionari lavorano in quell’immenso territorio che si allarga in vari paesi latinoamericani e dove «una profonda crisi è stata scatenata da un prolungato intervento umano, caratterizzato da una “cultura dello scarto” e da una “mentalità estrattiva”».
Papa Francesco, prima dell’indizione del Sinodo amazzonico, così scriveva al cardinale prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli: «Indìco un mese missionario straordinario nell’ottobre 2019, al fine di risvegliare maggiormente la consapevolezza della missio ad gentes e di riprendere con nuovo slancio la trasformazione missionaria della vita e della pastorale. Ci si potrà ben disporre ad esso, anche attraverso il mese missionario di ottobre del prossimo anno, affinché tutti i fedeli abbiano veramente a cuore l’annuncio del Vangelo e la conversione delle loro comunità in realtà missionarie ed evangelizzatrici; affinché si accresca l’amore per la missione, che “è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo”».
A questi due eventi, vorremmo aggiungere la memoria di un centenario che ci è caro e che celebra la nostra presenza missionaria in Tanzania, dove i primi quattro «arditi della Consolata» sbarcarono nell’aprile del 1919; avevano il permesso e la benedizione dello stesso fondatore, che aveva acconsentito a quella terza apertura missionaria del suo giovane Istituto, nonostante «la scarsità di personale» e in obbedienza al papa… soggiungendo: «Io sorrido quando sento dire che c’è tanto lavoro. Più lavoro c’è e più se ne fa; ma bisogna lavorare con energia, che è la caratteristica del missionario».
Sia ancora lui, allora, a ispirarci e accompagnarci nel nuovo anno perché, nella preghiera, nella riflessione e in gesti concreti di apertura e solidarietà, ci prepariamo al prossimo «straordinario ottobre» che colora di intensa gioia missionaria i giorni della nostra attesa.
P. Giacomo Mazzotti
L’Allamano nella vita di ogni giorno
Questa rubrica che propone diversi aspetti della ricca personalità del beato Giuseppe Allamano, durante l’anno 2019 conterrà due pagine con la pretesa di una certa novità: un Allamano «a tu per tu».
Non si può dire che l’Allamano non sia conosciuto, soprattutto nei territori dove vivono e operano i suoi missionari e missionarie, sia in Italia che in tante altre nazioni. Sono state pubblicate tutte le sue conferenze come pure tutta la sua corrispondenza scritta e ricevuta. Le pubblicazioni che trattano di lui sono numerosissime e in diverse lingue.
Non è facile offrire ancora qualcosa di nuovo sull’Allamano. A ben pensarci, però, c’è ancora una strada da percorrere. Si tratta di aprire gli archivi e ascoltare certe sue parole che abitualmente rimangono nascoste. L’Istituto possiede un archivio molto ricco, nel quale, tra il resto, è conservata una grande quantità di testimonianze sull’Allamano.
Subito dopo la sua morte, molti sacerdoti, religiosi, suore e laici, che lo avevano conosciuto da vicino, hanno sentito il desiderio di riferire i propri ricordi personali. Non volevano che la memoria di un tale personaggio finisse per scomparire. Quando poi è stata iniziata la causa per la beatificazione, molte di queste testimonianze sono state garantite dal giuramento.
È interessante riprendere in mano questi documenti, per lo più manoscritti, e rileggerli con attenzione. Spesso i testimoni non si accontentano di parlare di lui, ma riportano addirittura sue parole che ritengono di ricordare, scrivendo: «l’Allamano diceva…» e, tra virgolette, riportano le sue espressioni in forma diretta.
Riguardo queste testimonianze, si deve tenere presente che il testimone ridice le parole dell’Allamano come le ricorda, affidandosi cioè alla propria memoria. Non è quindi sempre possibile pretendere l’esattezza assoluta della terminologia, ma solo quella del concetto.
La novità di queste pagine consiste nel fatto che contengono le parole e le reazioni dell’Allamano «nella vita di ogni giorno». Non l’Allamano delle conferenze o delle lettere, ma nei suoi interventi in situazioni concrete della vita, diverse l’una dall’altra e quindi spontanee. In definitiva un Allamano immediato proprio come era nella vita ordinaria.
Proporrò queste parole, riferite dai testimoni e poco conosciute, attraverso dei fatterelli e facendo notare come l’Allamano li seppe vivere e interpretare. Le sue parole collegate a questi episodi sono quelle che i testimoni riferirono avendole udite direttamente da lui.
Al Paese
Il primo tema che propongo riguarda Castelnuovo, suo paese natale, oggi detto il paese dei santi (Giuseppe Cafasso, Giovanni Bosco, Giuseppe Allamano). Sono quattro fatterelli che dimostrano la sua semplicità umana e la sua ricchezza interiore.
Il primo fatto tocca la sua vocazione al sacerdozio a proposito della quale l’Allamano seppe dare la giusta importanza ad un dettaglio della sua infanzia. Un giorno, il parroco e il sindaco del paese capitarono a casa sua a visitare la mamma. Avendolo visto lì in cucina, piuttosto timido, domandarono alla mamma: «Che cosa facciamo di questo ragazzo?». La risposta di quella saggia donna dimostra che conosceva di quale stoffa era fatto il figlio: «Gli lascio fare quello che vorrà», rispose. Il parroco, che stimava il ragazzo, non si accontentò: «Non lo sprechi; lo faccia studiare».
Un fatto così semplice poteva passare inosservato, ma non per l’Allamano, che fin da ragazzo sapeva rendersi conto della presenza di Dio nella propria vita.
Ecco il suo commento, confidato anni dopo ad un suo missionario: «Se non fossero passati da casa mia il sindaco e il parroco, forse non avrei seguito la vocazione». Sembra che abbia voluto dire: «È stata la Provvidenza a mandarli a casa mia proprio quel giorno, quando io ero in cucina con la mamma, che così fu convinta e mi mandò a studiare a Valdocco da Don Bosco».
Un secondo fatterello riguarda il suo rapporto proprio con la mamma, quella «santa donna», come lui la chiamava, alla quale era molto legato, particolarmente durante gli anni di una lunga malattia che la portò alla cecità e alla totale sordità. La mamma era la sorella di Giuseppe Cafasso, morto in concetto di santità. Per ottenere la guarigione, sicuramente il figlio, affezionato, l’avrà raccomandata all’intercessione dello zio. Riferendosi poi al fatto che non era stata guarita, pur essendo sorella, si accontentò di questo bonario commento confidato ad una suora missionaria: «I Santi non fanno le grazie ai parenti». Né perse la sua fiducia nel Cafasso, del quale curò la causa presso la Santa Sede fino alla beatificazione.
Il terzo fatto riguarda la sua presenza a Castelnuovo. Dopo l’ordinazione, si recò al paese sempre più raramente. Quando il cognato Giovanni Marchisio si ammalò, andò a trovarlo, ma senza dilungarsi troppo. Lo raccontò così: «Sono stato a trovare mio cognato; mi fermai poche ore; alle due ero ancora a Torino, alle sette avevo già finito il viaggio. Da ben quindici anni non ero più stato a Castelnuovo».
Un ultimo episodio piuttosto curioso. Al sacerdote don Pagliotti, suo penitente, saputo che dedicava la nuova chiesa parrocchiale in Torino a S. Agnese, espresse la sua soddisfazione aggiungendo questa confidenza: «I miei genitori avevano già deciso, prima della mia nascita, di pormi il nome di Agnese… se fosse nata una bambina. E poiché nacqui proprio il giorno di S. Agnese [21 gennaio 1851], mia madre mi instillava gran devozione a questa cara martire, e alla sua protezione ho pure riposto l’esito del gran passo dell’istituzione delle Missioni della Consolata».
P. Francesco Pavese