Tunisia: la scomparsa dei gelsomini

Islam, una religione radicale? (5a puntata)

Tunisia
Angela Lano

Lo scorso luglio abbiamo visitato Tunisi, dove eravamo stati in diversi momenti storici del passato, compreso il 2012, per seguire l’evolversi delle dinamiche della «rivoluzione dei gelsomini». Il paese ha attraversato cambiamenti che hanno suscitato grandi speranze, soprattutto tra la popolazione giovanile. Speranze che però sono state presto deluse a causa di instabilità politica, attentati terroristici, crisi economica, corruzione e disoccupazione. In questo contesto dalla Tunisia sono partiti migliaia di giovani (foreign fighters) per unirsi al Daesh.

Luglio 2017. Arriviamo a Tunisi con un volo pieno di cittadini tunisini che tornano a casa per le vacanze. Dopo il primo scambio di battute in arabo e in francese, il tassista che ci conduce verso il centro della città inizia a parlarci in buon italiano. È vissuto in Italia per anni, a studiare e lavorare con il padre commerciante. Si tratta di un’esperienza comune a tanti suoi connazionali. 

Mentre attraversiamo una parte della città, ci accorgiamo del cambiamento di questo stato arabo maghrebino che, alla fine del 2010, diede il via alle cosiddette «primavere arabe»1. È tutto in costruzione: strade, palazzi, interi quartieri. Tunisi è una metropoli, con aree satellite, intorno e verso il mare, bianchissime, pulite e moderne. L’impianto urbanistico francese, con i suoi ampi viali alberati, le sue piazze e chiese, l’appariscente e lunghissima avenue Bourguiba, che conduce fino alle porte della Medina, la rende più simile a una qualsiasi città europea che a una araba.

Sono tanti i giovani per strada, indaffarati, o in pausa in qualche bar o ristorante. La maggior parte di loro è vestita in abiti occidentali e ci stupiamo nel vedere tante ragazze ostentare con disinvoltura minigonne, calzoncini e scollature, e tenere per mano i loro fidanzati. Gruppi di amiche, o di coppie, se ne stanno per ore sedute nei dehor dei caffé, a chiacchierare, studiare e a sorseggiare tè o altre bevande. In altri paesi arabi, dove il luogo privilegiato delle donne è ancora la casa, queste sarebbero scene surreali.

La francofilia delle classi benestanti

Gli anni di protettorato francese hanno lasciato tracce, oltre che nelle strade, anche nella cultura e nelle abitudini, per non parlare delle tante «patisserie» di cui i tunisini vanno fieri. Molti si dicono contenti di essere stati «colonizzati» dai francesi (e non dagli Italiani, come successe ai libici), e ne ostentano la lingua con ottimo accento, il ritmo settimanale di lavoro (festività domenicale) e l’organizzazione scolastica. La classe medio-alta è francofona e rigetta l’identità arabo-tunisina, come ci spiegano attivisti locali. La si nota in aeroporto, in certi locali, negozi o luoghi di riferimento «europei». Ciò riconduce alla «colonizzazione del pensiero», per parafrasare Frantz Fanon di «Pelle nera e maschere bianche», e anche a un’identità di classe economica in cui le famiglie tunisine benestanti si riconoscono. Questo vale anche per libici, egiziani, e forse per tutte le classi alto-borghesi africane e mediorientali.

In realtà, negli anni del lungo mandato francese, iniziato nel 1881 (Trattato del Bardo), ci fu sempre una fortissima resistenza organizzata da studenti e intellettuali e guidata, a partire dagli anni ‘20, dal Partito della Libera Costituzione (?izb al-?urr al-Dust?r?) e poi dal Neo-Destour. Quindi l’accettazione del modello europeo, per i benestanti, è un fatto economico, più che politico, e non differenzia i ricchi tunisini da quelli palestinesi che vivono nelle ville di Ramallah, i sudafricani neri post apartheid o gli europei dei quartieri chic. L’identità di classe è transnazionale e interetnica. O meglio, multietnica.

La storia: indipendenza, dittatura, rivoluzione

Habib Bourguiba, giurista tunisino, educato in Francia, fu la figura principale nella lotta per l’indipendenza, che iniziò nel 1938 e si concluse con successo nel 1956, con la proclamazione della Repubblica l’anno successivo.

Negli anni della sua presidenza, durata dal 25 luglio 1957 al 7 novembre 1987, quando venne destituito da Zine El-Abidine Ben Ali, la Tunisia attraversò profonde e lunghe fasi di cambiamento, di «modernizzazione» e «laicizzazione». Alle donne vennero concessi diritti che neanche in Francia ancora esistevano. Fu diffuso l’insegnamento – pubblico e gratuito -, promulgato il Codice dello Statuto personale, vietata la poligamia, ridotto il potere dei capi religiosi e abolito il doppio regime, coranico e civile, sia in ambito giudiziario sia scolastico.

Lo sviluppo politico, istituzionale, economico e culturale si arrestò, tuttavia, all’inizio degli anni ‘70, dando spazio, come in altri paesi arabi, alla corruzione, al nepotismo e al clientelismo, soprattutto negli apparati pubblici e statali. Nel frattempo, Bourguiba era diventato «presidente a vita», sul modello egiziano, e aveva trasformato la repubbica in una dittatura. Il 26 gennaio 1978, passato alla storia della Tunisia come il «Giovedì nero», il sindacato (Ugtt) organizzò uno sciopero che la polizia caricò con violenza: i morti furono diverse centinaia.

Gli anni ‘80 furono caratterizzati da una profonda crisi politica ed economica e, come successe anche in Egitto e in altri stati arabi maghrebini, il radicalismo islamico crebbe e si diffuse tra quegli strati della popolazione con minori strumenti economici e culturali, ma anche come forma di reazione politica a un regime autoritario e visto come filo occidentale e troppo laico.

Di questa situazione approfittarono il generale Zine El-Abidine Ben Ali e la sua cerchia di familiari e amici, che, nel 1987, deposero il vecchio e malato Bourguiba, con un «golpe medico». La Tunisia era dunque avviata a un lungo periodo di dispotismo e dittatura, con persecuzioni di oppositori e islamisti, che riempirono le prigioni. Il generale diede vita, infatti, a un regime poliziesco e corrotto, assegnando incarichi istituzionali a familiari e collaboratori, con periodiche elezioni-truffa che gli permisero di rimanere al potere fino a quando non fu costretto alla fuga dalla rivoluzione popolare del 2011.

Mohamed Bouazizi e l’inizio della rivolta

Nella «Rivoluzione dei Gelsomini», lo scrittore Tahar Ben Jalloun racconta il sacrificio del giovane venditore e l’inizio della rivolta tunisina che, il 14 gennaio del 2011, dopo 23 anni di dittatura, porterà la fuga in Arabia Saudita del corrotto Ben Ali e a Dubai del resto della sua famiglia. Mohamed Bouazizi diventa «eroe suo malgrado», non immaginando certo l’effetto domino che il suo gesto disperato avrebbe avuto per il suo paese e per diversi altri nel mondo arabo. (Bouazizi si diede fuoco il 17 dicembre 2010 per protestare contro la revoca della sua licenza da ambulante, da parte della autorità, dando inizio alla rivolta, ndr).

La Rivoluzione si scatena, dunque, con proteste e sommosse in numerose città: disoccupazione, carovita, mancanza di prospettive, corruzione endemica, repressione, mancanza di libertà, ecc., ne sono la causa principale.

È una rivolta dei giovani, delle classi popolari, medie e degli intellettuali, e, come nelle altre «primavere» che esploderanno da lì a poco in altri paesi arabi, è organizzata soprattutto via social network. I manifestanti si danno appuntamento attraverso le reti sociali e scendono in strada, incuranti delle cariche delle forze di polizia (l’esercito, invece, si rifiuta di intervenire contro la popolazione, evitando, così, un bagno di sangue e assumendo un ruolo importante nella caduta del regime). Immagini e video delle folle e della repressione vengono diffuse in tempo reale, scatenando altre manifestazioni e la simpatia e il sostegno internazionali. Diversi blogger e internauti vengono arrestati. Un caso noto è quello di Slim Amamou, che diverrà segretario di Stato per lo sport nel governo di transizione post rivoluzione.

Potremmo dire che la «primavera» tunisina è stata autentica, spontanea e popolare, probabilmente come quella egiziana. Su quelle libica e siriana ci sono, invece, dubbi, soprattutto sulla natura interna, autoctona, delle rivolte. Ne parlammo su MC, in un dossier del gennaio 20131, e ne scriveremo di nuovo nei prossimi numeri.

Con la fuga del clan Ben Ali, nel gennaio 2011, inizia dunque una nuova fase, significativa, nella società tunisina, che vede la massiccia partecipazione di studenti, giornalisti, blogger, attivisti vari alla vita politica, sociale e culturale. A ottobre 2011 si svolgono le elezioni, le prime libere, democratiche e multipartitiche, per l’Assemblea del popolo (il Parlamento tunisino): il partito islamista Ennahda si attesta al primo posto, e farà parte di una troika (coalizione parlamentare) insieme a Etakkatol (al-Takattul) e al Partito democratico progressista.

Nel gennaio del 2014 la nuova Costituzione entra in vigore e sancisce libertà ed uguaglianza, e «nuovi diritti» per tutti i cittadini.

Il 2013, tuttavia, è contrassegnato da omicidi politici perpetrati da salafiti e manifestazioni che chiederanno le dimissioni del governo. Il 6 febbraio viene assassinato l’avvocato del Fronte popolare tunisino, Shokri Bel’id: l’omicidio provoca proteste in tutta la Tunisia, e la richiesta delle dimissioni della Troika. Le sedi di Ennahda vengono attaccate in varie città. Il fratello di Bel’id accusa il partito islamista della responsabilità morale dell’omicidio, in quanto l’avvocato denunciava da mesi una forma di «violenza politica» del governo.

Il 25 luglio è assassinato il politico Mohammad Brahmi, leader del Movimento del popolo. Al funerale decine di migliaia di persone chiedono le dimissioni del governo. Entrambi gli uomini erano membri della coalizione di sinistra, all’opposizione presso l’Assemblea Nazionale, che chiede le dimissioni dell’esecutivo e nuove elezioni. Ma bisognerà aspettare fino alla fine del 2014.

Le elezioni presidenziali del 23 novembre e 21 dicembre 2014, segnano la vittoria di Beji Caid Essebsi, del partito Nida’a Tounes, che ottiene il 37,56% dei voti, mentre Ennahda retrocede al 27,79%.

Il 2015 e il 2016 sono contrassegnati da attacchi terroristici2 che lasciano il paese sconvolto e deprivato di un’importante fonte economica: il turismo.

La resistenza della casta

I giovani che abbiamo incontrato a Tunisi, a luglio del 2017, ci hanno parlato del desiderio di cambiamento profondo, di partecipazione attiva alle sorti del paese, ma anche di un sistema di corruzione politica radicata, nonostante la fine del regime: la vecchia casta e le sue tante ramificazioni non è stata spazzata via, ma ha continuato ad occupare i posti che contano e, soprattutto, a bloccare una vera riforma dello stato. Quindi, dal punto di vista politico, anche in Tunisia, la «primavera» è sfiorita subito, ed è tornata inverno, a causa di instabilità, crisi, vecchia classe dirigente ancora al potere, attentati, disoccupazione e frustrazione dei giovani, delusione e mancanza di prospettive, che porta molti, ancora, a emigrare verso l’Europa.

Abbiamo incontrato due attivisti che sono stati tra i testimoni diretti della «Rivoluzione dei Gelsomini»: Kais Zriba, giornalista tunisino, che lavora per Inkyfada3, un noto sito giornalistico di approfondimento, e la sua compagna, Debora Del Pistornia, operatrice di Amnesty International in Tunisia, e laureata in relazioni internazionali.

«La Primavera tunisina – ci hanno spiegato – si è articolata attraverso due processi paralleli: quello rivoluzionario e quello contro rivoluzionario. È in atto un dibattito sociale molto intenso e una negoziazione tra forze contrarie».

«Qual è l’identità tunisina? – hanno raccontato Kais e Debora -Africana? Mediterranea? Francese? La questione identitaria religiosa è stata strumentalizzata a livello politico – c’è una forte islamofobia, soprattutto tra le classi alto-borghesi – che fa perdere di vista le questioni principali».

Angela Lano
(quinta puntata – continua)

Note

(1) Angela Lano, E dopo la primavera arrivò l’inverno, dossier MC, gennaio-febbraio 2013.
(2) I principali attacchi terroristici risalgono al 26 giugno 2015, 4 novembre 2015 e 11 maggio 2016. La principale minaccia terroristica in Tunisia è rappresentata da al-Qa’ida nel Maghreb Islamico (Aqmi) e da estremisti libici con collegamenti al Daesh. La Tunisia ha un confine «aperto» con la Libia, dove permane una situazione instabile, dovuta a una forte presenza di bande armate e gruppi terroristici. Le forze di sicurezza tunisine sono ripetutamente oggetto di attacchi da parte dei terroristi, soprattutto nelle zone di confine.
(3) Sito: http://inkyfada.com.


Arabi e Berberi

La Tunisia è uno degli stati del Maghreb, insieme a Marocco, Algeria e Libia, e ha un’estesa superficie (40%) occupata dal Sahara. La maggioranza dell’odierna popolazione tunisina – circa 12 milioni di persone – parla una variante dialettale dell’arabo, con influenze berbere e francesi. Esistono anche etnie berbere arabizzate, soprattutto nel Sud. Altre lingue parlate sono il francese, dialetti berberi e l’italiano.

I tunisini residenti all’estero sono circa 1 milione, la maggior parte dei quali in Europa, principalmente in Francia e in Italia. Oltre il 90% della popolazione è di religione musulmana, con una minoranza di cristiani ed ebrei.

I primi, storici, abitanti furono qabilas (tribù) berbere. Nell’814 a.C. i Fenici fondarono Cartagine. Nel VII secolo d.C., quando iniziò la penetrazione araba e dell’Islam, l’area era territorio bizantino, e la popolazione locale berbera oppose parecchia resistenza ai nuovi invasori, ponendo molti ostacoli alla conversione: furono necessarie ben sei spedizioni (647, 661, 670, 688, 695 e 698-702). Con il passaggio dei Berberi all’islam, questa provincia divenne l’Ifriqiya. È interessante notare il fatto che i Berberi adottarono l’ideologia religiosa islamica kharijta, quella, cioè, dei primi ribelli anti sistema dell’islam. Le popolazioni berbere e la loro fede kharijita costituirono una costante spina nel fianco di tutti gli invasori, dagli Arabi fino agli Ottomani, organizzando rivolte periodiche contro governi imposti dall’esterno.

Nel 1881 la Tunisia divenne un protettorato francese, ma sotto l’autorità formale di un Bey (signore delle tribù). L’Italia aveva una folta colonia di contadini, soprattutto siciliani, e la Francia, accapparrandosi il dominio su quella regione del Nordafrica, impedì eventuali pretese italiane. Nel 1956 ottenne l’indipendenza.

A.La.

 

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