Giustizia e mentalità nuova

 

A metà aprile sono scappato per un
paio di giorni dalla città, questo luogo in cui per vedere il cielo devo
guardare in su. Ho fatto un bagno di primavera. Brevissimo. Poi l’inverno è
tornato di prepotenza: i migranti annegati, il terremoto in Nepal, la morte
improvvisa di un confratello, la violenta manifestazione a Milano, l’aumento
della disoccupazione, la gravissima situazione della Grecia, le vuote promesse
dei politici, il rapporto Caritas sullo sfruttamento e il traffico di persone
nel Sud-Est asiatico, il massacro degli Yazidi, le tensioni in Burundi e anche
le piccole grandi notizie di malattie, speranze deluse, mancanza di lavoro, di
fame che mi arrivano alla spicciolata da tante persone che ho amato in Kenya…
Sono quasi quarant’anni che faccio questo mestiere, dovrei essere abituato alle
cattive notizie. Ma non ci riesco. E soprattutto non riesco ad abituarmi alle
sparate di quelli che colgono al volo occasioni di forte emotività per fare
proposte miracoliste di soluzione ai problemi del mondo. Proposte accattivanti,
magari anche esplosive, che, se guardate con occhio critico, non vanno oltre il
solito buonismo.

Anche il grande avvenimento dell’Expo
rischia di titillare l’orgoglio buonista senza affrontare le cause vere di
un’ingiustizia che penalizza gran parte dell’umanità. Il tema «Nutrire il
pianeta, energia per la vita», è di grande attualità. «Purché non resti solo un
“tema”, purché sia sempre accompagnato dalla coscienza dei “volti”: i volti di
milioni di persone che oggi hanno fame, che oggi non mangeranno in modo degno
di un essere umano», ha detto papa Francesco all’inaugurazione, nella quale i
bambini, modificando l’Inno di Mameli, hanno cantato di essere «pronti alla
vita». Ha poi continuato: «Vorrei che ogni persona – a partire da oggi -, ogni
persona che passerà a visitare l’Expo di Milano, attraversando quei
meravigliosi padiglioni, possa percepire la presenza di quei volti. Una
presenza nascosta, ma che in realtà dev’essere la vera protagonista
dell’evento: i volti degli uomini e delle donne che hanno fame, e che si
ammalano, e persino muoiono, per un’alimentazione troppo carente o nociva.
[…] Anche la Expo, per certi aspetti, fa parte [… del] “paradosso
dell’abbondanza”, se obbedisce alla cultura dello spreco, dello scarto, e non
contribuisce a un modello di sviluppo equo e sostenibile. Dunque, facciamo in
modo che questa Expo sia occasione di un cambiamento di mentalità, per smettere di
pensare che le nostre azioni quotidiane – a ogni grado di responsabilità – non
abbiano un impatto sulla vita di chi, vicino o lontano, soffre la fame».

Cambiamento di mentalità. Ecco le
parole chiave. L’aumento degli aiuti e della cooperazione internazionale
(arrivando finalmente allo 0,7% del Pil), una riedizione del Mare Nostrum,
un’accoglienza più responsabile e condivisa possono aiutare a non far finire in
tragedia quello che è già un dramma. Ma non bastano. Occorre un grandissimo
cambiamento di mentalità che investa la politica, l’economia e le relazioni
inteazionali. La politica deve riappropriarsi dell’economia e non esserle
suddita. I paesi da cui fuggono i migranti hanno bisogno di pace, giustizia e
lavoro. Giustizia soprattutto: nelle retribuzioni di chi lavora (persone, non
schiavi); nel commercio delle materie prime e dei prodotti agricoli (non
rapina, desertificazione, inquinamento, land grabbing e monocolture);
nel movimento delle persone (no alla tratta, al traffico dei minori, al turismo
sessuale). E ancora: eliminare il commercio delle armi, le guerre per procura,
la corruzione dei politici, e riscrivere i trattati di «libero» scambio. La
lista di ciò che si deve fare per evitare il disastro dell’umanità è lunga.
Troppo ambiziosa per un semplice editoriale e oltre la capacità della singola
persona. Ma non si può stare con le mani in mano, aspettando che siano gli
altri a cambiare mentalità.

Informazione, formazione e azione sono le altre parole chiave per
cambiare. Informarsi criticamente, senza accontentarsi di slogan ed emozioni.
Approfondire le conoscenze, studiare, capire. E cambiare il nostro modo di fare
la spesa, di utilizzare le risorse, di relazionarci con gli altri, di
partecipare alla vita politica, di vivere l’ambiente.

Toiamo a sognare allora e a fare sognare, non da soli, ma insieme. E
torniamo ad agire, cominciando dal nostro «piccolo»: «Se molti uomini di poco
conto – come ha scritto anche Giorgio Torelli -, in molti posti di poco conto,
facessero cose di poco conto, allora il mondo potrebbe cambiare».

Gigi Anataloni