«Buon lavoro, Presidenta»

Viaggio in Cile / 1


Dallo scorso marzo, il palazzo della Moneda, sede della
presidenza, ospita di nuovo Michelle Bachelet. Nella capitale cilena abbiamo
incontrato il cardinale Ricardo Ezzati Andrello, che ci ha raccontato il «suo»
Cile: da Salvador Allende al generale Pinochet fino al ritorno della democrazia.
Con i suoi problemi: le troppe diseguaglianze, la questione dell’educazione, la
lotta dei Mapuche.

Santiago del Cile. Siamo arrivati in anticipo. C’è tempo per guardarsi attorno. La
zona è residenziale e la via alberata, dando coerenza al nome del municipio: Ñuñoa,
in mapudungún (la lingua mapuche), significa «luogo dell’iris». Al vicino
incrocio lo sguardo corre verso un grande cartello della recente campagna
elettorale. «Más áreas verdes. Todos con
Michelle», recita lo slogan scritto accanto al volto della signora
Bachelet, appena eletta presidenta. È ora di suonare il campanello. Entriamo in un curatissimo
giardino, posto tra una chiesetta in pietra e una casa a un solo piano,
elegante, ma molto semplice. È la residenza dell’arcivescovo di Santiago del
Cile, mons. Ricardo Ezzati Andrello, che ci accoglie con un ampio sorriso.

Attraversando l’Atlantico

Nato
in un piccolo paese del vicentino, all’età di 18 anni, sotto l’egida dei
salesiani, Ricardo Ezzati salpa dal porto di Genova alla volta del Cile. È il
1959. Dopo gli studi (Quilpué, Roma, Strasburgo)
e l’ordinazione sacerdotale, si muove tra Valdivia, Conceptión e Santiago, ricoprendo
vari incarichi e con sempre maggiori responsabilità. «La mia – racconta nel
salotto dove ci siamo accomodati – è stata una strada di pellegrino, avendo
dovuto cambiare tenda molto sovente»1. Il
suo lungo percorso cileno ci consente di toccare molti argomenti.

Negli
ultimi 50 anni il Cile è passato dalla breve stagione di Salvador Allende alla
lunga dittatura del generale Pinochet, fino al ritorno della democrazia. Il
paese ha ottenuto importanti successi economici, con elevati tassi di crescita
(4,2% anche nel 2013). Tuttavia, rimane uno dei più diseguali del mondo: l’1%
più ricco s’intasca il 31% dei redditi. La lista 2014 dei 1.645 miliardari
mondiali, stilata da Forbes2, conta 12 cileni, appartenenti all’oligarchia
storica (Fontbona, Horst, Matte, Falabella, Angelini Rossi, ma anche Piñera, il
presidente uscente).

«È
vero – conferma mons. Ezzati -: nel paese esiste un grande divario sociale tra
persone che non hanno niente e vivono nella povertà (se non proprio nella
miseria) e un gruppo minoritario di cileni che vive nell’abbondanza. Nel
settembre 2012, in una lettera pastorale3,
come vescovi abbiamo detto che lo sviluppo del Cile non può essere centrato
soltanto su valori economici e soprattutto che esso dovrebbe essere molto più
partecipato, più solidale, più giusto. Questo è un paese di molte speranze ma
anche di tantissime sfide».

Sfide
che dovranno essere affrontate da Michelle Bachelet, vincitrice delle ultime
elezioni con Nueva Mayoría, la
coalizione di centrosinistra. Alla fine del primo mandato, nel marzo del 2010,
lei aveva lasciato La Moneda con un alto indice di approvazione dei cittadini.
Oggi Bachelet ha più esperienza, ma anche più aspettative da soddisfare. Ha
affrontato la campagna elettorale sotto lo slogan Chile
de todos, promettendo più ospedali pubblici, più educazione pubblica, più
democrazia e diritti umani4.
Mons. Ezzati ha incontrato la presidenta
eletta il 16 dicembre. Che vi siete detti?, domandiamo.

«Dato
che la sua coalizione va dal partito comunista alla democrazia cristiana, le
abbiamo chiesto di non avere il timbro di un partito o di una determinata
ideologia, ma soltanto quello del bene comune. Le abbiamo chiesto che la sua
politica sia illuminata dai grandi valori dell’umanesimo. Le abbiamo chiesto di
essere presidente di tutte e tutti i cileni e di mettere il potere al servizio
dei poveri e di quelli che hanno più bisogno come gli anziani e i bambini.
Abbiamo infine parlato di temi molto concreti: la giustizia distributiva, la
famiglia, l’educazione».

Già,
l’educazione, tema caldo, caldissimo nel paese.

«Capisco gli studenti»

Il
Cile ha conosciuto molte riforme dell’educazione. Quella di Allende – si
chiamava «Scuola nazionale unificata» (Escuela
nacional unificada, Enu) – non vide mai la luce. Poi ci furono le
riforme di Pinochet – del 1981 e del 1990 (quest’ultima approvata nell’ultimo
giorno della dittatura) -, che portarono a una privatizzazione dell’istruzione.
Infine, nel 2006 Michelle Bachelet varò una riforma (legge 20370 o Lge) che,
nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto porre rimedio ai guasti delle precedenti.
Senza però riuscirvi. Oggi la situazione è questa: la qualità dell’educazione
pubblica è scarsa, mentre l’educazione privata è molto cara (e spesso
inadeguata). Questo ha portato a un sistema educativo diseguale in cui molti
studenti (e le loro famiglie) debbono indebitarsi per poter studiare.

Ecco
spiegato perché in Cile, in questi anni, le uniche, vere proteste sociali sono
nate proprio tra gli studenti. Prima (era il 2006) tra i giovani degli istituti
superiori, poi (2011) tra quelli universitari.

La
Chiesa cattolica cilena ha un ruolo rilevante nel sistema educativo del paese.
Vogliamo capire se questo suo essere parte in causa costituisca un impedimento
per prendere posizione. Mons. Ezzati, lei condivide le proteste studentesche? «Senz’altro.
Magari con qualche distinguo sulle loro modalità. Una riforma del sistema
educativo è però necessaria».

Ezzati
conosce bene il mondo dell’educazione, essendo stato rettore del collegio
salesiano di Conceptión e poi professore alla facoltà di teologia della «Pontificia
Università cattolica del Cile», un’istituzione con 26mila iscritti5 di cui oggi è gran cancelliere. «Noi
crediamo – precisa subito – che il diritto all’educazione sia un diritto
essenziale, ma è un diritto che riteniamo vada di pari passo con il diritto
alla libertà di educazione. Ogni persona ha cioè il diritto ad avere
un’educazione di qualità ma, insieme a questo, ha anche il diritto di scegliere
il tipo di educazione – di base, superiore o universitaria – in accordo con la
propria concezione di vita».

Anche
Michelle Bachelet considera fondamentale la riforma educativa e l’ha posta tra
le priorità del proprio programma di governo. Un programma ambizioso in cui si
parla anche di un debito storico dello Stato e della società cilena nei
confronti dei popoli indigeni. Questi – secondo i dati del censimento 2012 –
costituiscono l’11% della popolazione totale (1,8 milioni su 16,3)6. L’etnia prevalente è quella mapuche con
oltre 1,5 milioni di persone.

La lotta del popolo mapuche

Nel
settembre 2010, mons. Ezzati, all’epoca arcivescovo di Conceptión, accetta il
ruolo di mediatore nel conflitto tra oltre 30 Mapuche – incarcerati con
l’accusa di terrorismo e in sciopero della fame per protestare contro
l’applicazione della legge antiterrorismo varata all’epoca di Pinochet – e il
governo centrale.

«Io
preferisco il termine di “facilitatore del dialogo”. I Mapuche mi chiesero di
intervenire e il governo di Piñera accettò. Ebbi dialoghi lunghissimi con i
capi mapuche. All’epoca la crisi si risolse, ma la situazione tra indigeni e
governo rimane ancora oggi delicata, con manifestazioni di protesta e incendi
nei casi più gravi. La mia esperienza mi ha fatto scoprire che tra gli indigeni
ci sono due anime, due visioni. Quella predominante è pacifica e contemplativa
vedendo nella natura il riflesso di Dio. I Mapuche assistono con grande
preoccupazione alla scomparsa delle coltivazioni tradizionali per far posto a
pini ed eucalipti utilizzati nella produzione di cellulosa per carta. Ma non
basta. Con le coltivazioni tradizionali spariscono anche le erbe medicinali, su
cui si basa l’autorità delle machi, le
guide spirituali mapuche (che in gran parte sono donne)».

Cosa
occorre fare, dunque, per risolvere il conflitto tra indigeni e governo
centrale? «La prima cosa di cui c’è necessità è il riconoscimento politico dei
Mapuche come popolo con la sua cultura e identità. E poi va risolto lo storico
problema della terra».

Se in
territorio mapuche la terra è finita in mano alle imprese della cellulosa
(soprattutto quelle delle famiglie cilene Angelini e Matte), anche lo
sfruttamento di altre ricchezze naturali ha generato problemi. Come ad esempio
nell’Aysén, regione della Patagonia cilena, in cui un consorzio internazionale
(formato da Endesa-Enel e da una società della famiglia Matte) vorrebbe
sfruttare le enormi risorse idriche per la produzione di energia elettrica. Al
progetto si oppone la maggioranza delle popolazioni locali, guidata da mons.
Luis Infanti della Mora, italiano di Udine, vicario apostolico dell’Aysén7.

«La
battaglia di mons. Infanti nella regione di Aysén è una battaglia etica più che
economica. Ci sono istituzioni che lo appoggiano e altre che lo criticano.
Tuttavia, anche nelle correnti di pensiero ecologico ci sono posizioni diverse.
Il tema energetico è un tema forte. L’acqua sembra – dico sembra perché non
sono un tecnico – dare la possibilità di produrre energia in forma più pulita.
In Cile abbiamo molte centrali a carbone, che sono veramente inquinanti. Sono
vissuto per tre anni a Conceptión dove siamo riusciti a fermare la costruzione
di una nuova centrale termoelettrica a carbone, quella sì veramente inquinante.
L’acqua è un bene comune che deve essere difeso opportunamente. D’altra parte,
abbiamo anche bisogno di risolvere il problema energetico».

«Francesco è un dono»

Mons.
Ezzati non vuole parlare soltanto del suo ruolo pubblico. Vuole essere anche e
soprattutto un uomo di Chiesa. «Perché – spiega – è una condizione in cui mi
sento comodo e felice. Quella cilena non è una chiesa clericale, ma una chiesa
di popolo, dove la partecipazione dei laici è molto forte. Qui a Santiago
abbiamo una scuola di formazione dei laici (Instituto
Pastoral Apóstol Santiago, ndr)8 che
io ho seguito da vicino quando ero vescovo ausiliario della capitale, cui
partecipano migliaia di persone. Sono tutti volontari che, dopo il lavoro, alla
sera dedicano alcune ore alla propria formazione per essere attivi nelle
rispettive comunità. E poi un secondo aspetto molto bello della chiesa cilena
sono le espressioni della religiosità popolare, che costituiscono una ricchezza
straordinaria, trasmessa di generazione in generazione. Ricordo, tanto per fare
un esempio, la festa del Cuasimodo9 a Pasqua».

Da un
anno al Vaticano c’è un papa argentino. «Io ho avuto occasione di conoscere il
cardinale Bergoglio in alcune riunioni del Celam (Consejo
episcopal latinoamericano, ndr)10, ma
soprattutto durante l’assemblea di Aparecida – era il maggio del 2007 -, dove
eravamo nella stessa commissione, lui come presidente e io come membro. Dunque,
ho potuto conoscere abbastanza bene questo dono di Dio alla Chiesa universale.
Ho conosciuto un uomo molto umile, rispettoso del lavoro degli altri, un uomo
di una spiritualità semplice ma allo stesso tempo molto profonda. Una persona
di grande fede e dal tratto umano veramente squisito. Considero veramente una
grazia del Signore che lui sia il vescovo di Roma. Anche perché papa Francesco
porta alla Chiesa universale il respiro di una Chiesa che, dopo 500 anni di
storia, può offrirci molto».

Una
Chiesa, quella latinoamericana, che ha proposto, tra l’altro, una teologia
tanto affascinante quanto foriera di discussioni interminabili, polemiche
feroci, separazioni dolorose. Ci riferiamo alla teologia della liberazione. «Come
tutte le teologie, anche quella della liberazione ha una propria storia. I
documenti della Congregazione per la dottrina della fede parlano di una
teologia della liberazione necessaria e di una influenzata da idee
sociopolitiche. Dico questo senza voler fare una critica, perché da sempre la
storia della salvezza s’incarna nella storia concreta delle persone e dei
popoli. Io credo che la teologia della liberazione, quella più autentica, abbia
dato un apporto significativo alla Chiesa universale».

Le ferite del passato

La
teologia della liberazione si diffuse nei primi anni Settanta. Proprio negli
anni in cui ci fu, tra l’altro, il golpe di Augusto Pinochet contro il governo
socialista di Salvador Allende.

Mons. Ezzati
non si tira indietro quando gli chiediamo di commentare quel periodo storico. «Io
posso dire che, durante gli anni di Unidad
Popular11,
c’erano grossi problemi. Quando ci fu il colpo di stato si pensava che sarebbe
durato pochi giorni. Invece si trasformò in una dittatura, dove i diritti umani
furono calpestati e si generò molta ingiustizia. Allora ero un giovane e
insignificante prete di periferia, ma anch’io vissi momenti difficili. Nel
1978, con un gruppo di preti elaborammo dei testi scolastici di educazione
religiosa. Fummo denunciati come “nemici della patria e marxisti” semplicemente
perché un libro, destinato alla scuola superiore, parlava del cristiano nel
mondo facendo riferimento a problemi molto concreti: diritti umani, giustizia
distributiva, armamenti. Quel periodo è passato, anche se ci sono ferite che
rimangono e che soltanto con il tempo si potranno rimarginare».

Paolo Moiola
(fine prima puntata – continua*)
Note

1 – Questa intervista a mons. Ezzati si è svolta a Santiago del Cile
prima che si conoscesse la sua nomina a cardinale, avvenuta lo scorso 22
febbraio.
2 – L’annuale lista di Forbes, uscita nel marzo 2014,
quest’anno comprende 1.645 persone. Si veda: www.forbes.com/billionaires.
3 – La lettera pastorale, uscita il 27 settembre 2012, è titolata Humanizar
y compartir con equidad el desarrollo de Chile
. Essa è scaricabile dal sito
della Conferenza episcopale cilena: www.iglesia.cl.
4 – Il programma di governo di Michelle Bachelet si può scaricare da:
michellebachelet.cl/programa.
5 – I siti corrispondenti: Università cattolica, www.uc.cl; Università
del Cile, www.uchile.cl; Collegio salesiano di Conceptión,
www.salesianoconcepcion.cl.
6 – Tutti i dati del censimento 2012 sono scaricabili dal sito:
www.censo.cl. Va notato che sui numeri dei popoli indigeni (sono 9 quelli
riconosciuti), e in particolare dei Mapuche, non c’è concordia.

7 – Si legga: Luis Infanti de la Mora, Dacci oggi la nostra acqua quotidiana, Emi, Bologna 2010.
8 – Il sito: www.inpas.cl.
9 – Originaria dell’epoca della colonia, la festa di Cuasimodo si
celebra la domenica successiva alla Pasqua.
10 – Il sito: www.celam.org.
11 – Nome della coalizione dei partiti di sinistra che portò alla
presidenza Salvador Allende.

 
Biografia essenziale


Cardinale Ricardo Ezzati Andrello
 

• 1942 – Nasce a Campiglia dei Berici, in provincia di
Vicenza.

• 1959 – Arriva per la prima volta in Cile per studiare a
Quilpué (Valparaíso) nel noviziato dei salesiani.

• 1970, marzo – Viene ordinato sacerdote.

• 1971-1990 – Ricopre vari incarichi all’interno della
Congregazione salesiana in Cile.

• 1991-1996 – È in Vaticano alla Congregazione per la vita
consacrata.

• 1996, settembre – Viene ordinato vescovo di Valdivia,
capitale della regione meridionale de Los Ríos.

• 2001, luglio – Viene nominato vescovo ausiliare di
Santiago del Cile.

• 2006, dicembre – Viene nominato arcivescovo di Conceptión,
capitale della regione del Biobío.

• 2007, maggio – Partecipa alla Conferenza di Aparecida,
dove lavora a stretto contatto con il cardinale Bergoglio, futuro papa
Francesco.

• 2010, settembre-ottobre – È «facilitatore del dialogo»
nello scontro tra i Mapuche e il governo centrale.

• 2010, dicembre – Viene nominato arcivescovo di Santiago
del Cile e presidente della Conferenza episcopale.

• 2014, 22 febbraio – Papa Francesco lo nomina cardinale.

Cile / 1: la
cronologia essenziale

Il ritorno di
Michelle

Nel bene e nel male, alcuni dei protagonisti della storia
cilena: Spagna, popolo Mapuche, Salvador Allende, Augusto Pinochet, Milton
Friedman e Chicago boys, Giovanni Paolo II, Sebastián Piñera, Michelle
Bachelet.

1810

Inizia il processo d’emancipazione dal dominio spagnolo. Il
Cile dichiarerà l’indipendenza il 12 febbraio del 1818.
1879 febbraio.Le truppe cilene occupano l’allora porto boliviano di
Antofagasta. Poco dopo l’azione, ad aprile, inizia la «guerra del Pacifico»,
che si concluderà nel 1883 con la vittoria cilena su Perù e Bolivia. Le
conseguenze di quel conflitto si fanno sentire ancora oggi.

1883

Termina la secolare «Guerra de Arauco». Le terre dei Mapuche
sono occupate in via definitiva dall’esercito cileno. La perdita è all’origine
di un conflitto mai più sanato.

1970 novembre.

Le elezioni sono vinte da Salvador Allende, medico e
socialista.

1973 settembre.

Il generale Augusto Pinochet guida un colpo di stato contro
il presidente Salvador Allende. La Moneda, il palazzo presidenziale dove
Allende è asserragliato, viene bombardata. Allende muore, forse per suicidio.
Il golpe ha l’appoggio concreto di Washington e di Henry Kissinger, il potente
segretario di stato Usa. È l’altro «11 settembre» della storia, il primo (ma
meno conosciuto e riconosciuto).

1975 marzo.

Il prof. Milton Friedman, economista statunitense, fondatore
della «Scuola di Chicago», visita per una settimana il Cile e incontra il
generale Pinochet. Nello stesso anno i cosiddetti «Chicago boys» (cileni
graduati alla scuola di Friedman) entrano nel governo di Pinochet, mettendo in
atto un forte piano di riforme economiche liberiste.

1987 aprile.

Papa Giovanni Paolo II visita il paese. Saranno 6 giorni
difficili e controversi.

1989 dicembre.

Dopo 17 anni di dittatura, si tengono elezioni democratiche.
Vince la coalizione di centro-sinistra (Concertación
de partidos por la democracia
), che goveerà ininterrottamente il Cile
fino al 2010. I presidenti saranno: Patricio Aylwin, Eduardo Frei, Ricardo
Lagos e Michelle Bachelet, prima donna presidente della storia cilena.

2006

È l’anno della prima rivolta studentesca, quella denominata
«rivoluzione pinguina» (a causa delle tipica divisa degli studenti: giacca blu
e camicia bianca). Nel 2011 ne seguirà una seconda, questa volta guidata dagli
studenti universitari.

2010 marzo.

Inizia il mandato presidenziale di Sebastián Piñera,
rappresentante della destra (Coalición por el cambio) e miliardario.

2013 novembre.

Camila Vallejo, la più conosciuta leader del movimento
studentesco, viene eletta deputata nelle liste del Partito comunista, alleato
di Nueva Mayoria, la coalizione di centro-sinistra guidata da Michelle
Bachelet.

2013 dicembre.

Al ballottaggio per le presidenziali vince la candidata
Michelle Bachelet, al suo secondo mandato.

2014 marzo.

L’11 del mese assume la presidenza Michelle Bachelet. Anche
la seconda carica del paese, la presidenza del Senato, è nelle mani di una
donna: Isabel Allende Bussi, figlia dell’ex presidente Salvador Allende.

Paolo Moiola

 

Cile / 2: una mappa riassuntiva


Le questioni principali

politica

La Costituzione cilena è, con poche modifiche, ancora quella
promulgata l’11 marzo 1981 durante la dittatura del generale Augusto Pinochet.
Nel programma di governo della presidenta Bachelet, pubblicizzato sotto lo
slogan «Chile de Todos», è prevista (pagg. 30-35) una nuova Magna carta in cui
democrazia e diritti umani siano più tutelati. Ma raggiungere questo obiettivo
non sarà facile.

economia

Il Cile è uno dei paesi al mondo che più sono cresciuti
negli ultimi 25 anni. Le diseguaglianze sociali permangono però molto ampie:
l’1% dei cileni incamera il 31% del prodotto nazionale (contro – ad esempio –
il 21% degli Stati Uniti). Il tasso di povertà è del 14,4%, che corrisponde a
2,5 milioni di cileni (dati Casen 2011). Le fortissime disparità economiche
sono riassunte nell’alto valore dell’Indice Gini (52,1, secondo i dati della
Banca mondiale e della Cia), che pone il paese ai primi posti nel mondo per
diseguaglianza. Il salario minimo, fissato ad agosto 2013, è pari a 210.000 pesos
cileni, pari a circa 270 euro.

salute ed educazione
Il problema dell’educazione pubblica – inefficiente, di
scarsa qualità e soppiantata da quella privata – ha generato le due rivoluzioni
studentesche nel 2006 e nel 2011. Il programma della presidente Bachelet
prevede una riforma radicale basata sul principio che l’educazione non è un
bene di consumo. Il problema della sanità pubblica è riassumibile in due dati:
il Cile è agli ultimi posti tra i paesi dell’Ocse come spesa sanitaria (7,5%
del Pil) e uno dei tre – assieme agli 
Stati Uniti e al Messico – in cui la spesa sanitaria privata supera
quella pubblica.

ambiente

La questione ambientale è legata alle conseguenze dello
sfruttamento delle risorse del sottosuolo (ad esempio, il progetto Pascua-Lama
nella regione di Atacama), dell’acqua (regione dell’Aysén, Patagonia cilena),
delle risorse forestali (soprattutto in terra mapuche) e delle risorse ittiche
(in particolare con riferimento alla pesca del salmone nelle acque
dell’arcipelago di Chiloé).

popolo mapuche

Mapuche – il principale gruppo indigeno del Cile e il terzo
per numero in America Latina – reclamano la restituzione delle loro terre a Sud
del fiume Bío-Bío (erano circa 100mila kmq), terre finite in mano a
latifondisti e compagnie forestali. Le loro azioni di lotta (dalla
disobbedienza civile agli incendi) sono punite con l’applicazione della Legge
anti-terrorismo 18.314 emanata nel maggio 1984 da Pinochet. Contro di essa si
levano non soltanto le proteste dei Mapuche, ma anche quelle delle
organizzazioni inteazionali per i diritti umani e dell’Onu.

relazioni
inteazionali

Il Cile ha due contenziosi territoriali aperti, sia con il
Perù che con la Bolivia. In entrambi i casi si tratta di conseguenze della
cosiddetta Guerra del Pacifico che – tra il 1879 e il 1883 – vide contrapporsi
il Cile all’alleanza tra Perù e Bolivia. I due paesi andini uscirono sconfitti
dal conflitto: il Perù perse la regione di Arica e la Bolivia il suo unico
sbocco al mare, sul litorale del deserto di Atacama. Di recente (27 gennaio
2014) la Corte internazionale di giustizia de L’Aia (Paesi Bassi) ha deciso sul
contenzioso tra Cile e Perù riducendo la sovranità del primo sul mare
antistante i due paesi di un’area pari a circa 38mila km quadrati. Anche la
Bolivia aspetta per il 2015 una decisione della Corte internazionale che le
permetta di riacquistare uno sbocco al mare.

Paolo Moiola

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Paolo Moiola